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    Il servizio


     

    Giovani: vocazione laici /13

    Paola Bignardi

    (NPG 2018-08-70)


    Il termine servizio non ha buona fama oggi; ancor meno ne ha il termine che da esso deriva: servo. Richiama un rapporto di subordinazione e di dipendenza, fa pensare ai lavori umili e di scarso valore che normalmente vengono riservati ai servi. Insomma: è una parola che non piace! Eppure connota la natura e l’identità del cristiano! D’altra parte, forse in ragione di questa caratteristica, è uno dei termini che vengono più disinvoltamente usati nel linguaggio della comunità cristiana e nei contesti pastorali. Convinti che sia lo stile autentico di un cristiano che vuole fare sul serio, il servizio viene continuamente citato, benché non sempre all’uso del termine corrisponda un’effettiva esperienza. Bisogna anche considerare che il servizio, più che essere identificato con cose concrete da fare, è uno spirito, è una disposizione interiore! E si sa che su questi aspetti è fin troppo facile barare! Quante volte ci è capitato di trovarci di fronte a persone che hanno dichiarato “servizio” il loro attaccamento al loro ruolo e ai loro compiti?!
    Servizio è una parola umile: si adatta anche ad essere utilizzata per coprire arroganze, attaccamenti, affermazione di sé. Ma quelle sono caricature del servizio vero.

    Servo perché cristiano!

    Il servizio è un’esperienza identificativa del cristiano: del laico e del prete, del monaco e del politico, del giovane e dell’adulto, di chi opera nella Caritas e di fa il professionista… perché' il servizio è lo stile di Gesù; il cristiano è colui che nella sua vita fa suoi i tratti del comportamento di Gesù, che si è fatto umile servo dell’umanità. Papa Francesco lo ha fatto notare in diverse omelie: se uno vuole essere discepolo di Cristo deve riprodurre l’esempio di Lui, diventando come Lui “servo”. In Gesù il servizio definisce l’identità della sua missione: è nel servizio che si rivela il volto autentico di Dio, che esce da se stesso, va in cerca dell’uomo e lo salva amandolo. Dunque non si può essere cristiani senza collocarsi alla sequela del Servo, facendo come Lui, che ad un gesto di servizio ha dedicato le ultime ore della sua vita, prima di essere arrestato e crocifisso. Nel cenacolo in cui i suoi hanno assistito al vertice dell’insegnamento che il Maestro ha impartito loro, Gesù ha lavato loro i piedi, compiendo il gesto del servo; e ha ordinato loro di fare quello che lui aveva fatto, di farsi anche loro servi, oltre quel momento e per sempre. Lavando i piedi, Gesù ha dato la chiave per interpretare tutta la sua vita: mille gesti diversi, concreti, intessuti di un unico spirito: il dono di sé, totale e radicale, quello che non teme di farsi come il chicco di grano che scende nella terra a morire perché nasca nuova vita. Mille gesti, accompagnati da parole, insegnamenti, dialoghi tutti orientati a far capire che quello è l’unico stile secondo cui vale la pena vivere. La vita di Gesù è tutta per gli altri, fino ad apparire divorata dalle persone che lo cercano; il Vangelo dice che non aveva tempo nemmeno per mangiare e che doveva ogni tanto sfuggire alla folla per respirare e per conservare il suo dialogo con il Padre. E quando ha dovuto spiegare gli impegni che la vita da discepolo comporta, lo ha fatto insegnando il comandamento dell’amore, in cui ha riassunto l’impegno della vita cristiana: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti” (Mt 22,37-40).
    Alla base di ogni comandamento Gesù mette lo spirito dell’amore, unico nella sua duplice espressione: Dio e il fratello. Non si può amare Dio che non si vede se non sappiamo amare quel fratello per il quale il Signore Gesù ha dato la sua vita; e d’altra parte non possiamo amare in modo adeguato i nostri fratelli se non guardando a Dio, se non immergendoci nel suo stesso amore, che ha assunto tutte le modulazioni esistenziali del dono di sé. L’amore evangelico, che è un atteggiamento di fronte alla vita prima di farsi gesto o scelta, ha un’originalità che non va appannata: quella di essere un riflesso dell’amore con cui Dio ci ama.
    L’amore evangelico si declina in molti modi diversi: vi è quello che si distende lungo la vita di ogni giorno, con i suoi atteggiamenti semplici fatti di benevolenza, di prossimità, di attenzione cordiale e solidale alle persone. Vi è quello che assume le forme consapevoli ed esplicite del servizio, attraverso la mediazione delle istituzioni: la politica, il bene comune assunto dentro la città e per la città. Vi è l’amore per la crescita delle persone nel loro cammino verso la verità, cioè quella “carità intellettuale” che è accompagnare soprattutto le nuove generazioni a scoprire nelle verità e nella Verità il senso dell’esistenza. Infine vi è quello che passa attraverso l’attenzione verso i poveri e che è fatto di condivisione, di impegno per la giustizia, di solidarietà. Nelle fasi della crescita della persona, per scoprire la grammatica del servizio è fondamentale sperimentare l’incontro con il povero, con il suo bisogno, con la sua sofferenza.

    Il servizio, via alla fede

    Qualcuno potrebbe pensare che prima si crede e poi ci si pone a servizio degli altri. È un percorso che molti hanno compiuto: scoprire che il chinarsi con amore e con disponibilità sugli altri nasce dalla consapevolezza che questo è l’esempio che il Signore ci ha dato e che noi dobbiamo seguire per non tradire il Maestro e per essere fedeli al Vangelo. Ma vi sono anche coloro che hanno fatto il percorso inverso: che hanno avuto il coraggio di guardare le piaghe di Lazzaro; di lasciarsi cambiare i programmi dall’incontro con un malcapitato incontrato lungo la via; di lasciarsi invadere il cuore dalla compassione per il dolore dei propri fratelli. Per questa strada hanno trovato la loro umanità più profonda e in essa la via ad una fede più personale.
    Il mettersi a disposizione degli altri, vissuto con convinzione e con fedeltà, a poco a poco libera il cuore dalla preoccupazione per se stessi, aiuta a dare alla propria vita un’impostazione aperta, sensibile al prossimo. La via dell’apertura della coscienza alle esigenze dell’altro è anche la via della fede. Lungo la strada del servizio al povero si maturano gli atteggiamenti che aprono il cuore anche al Signore: si impara ad essere umili, a non costruire la vita attorno a se stessi e ai propri bisogni, a misurare la propria piccolezza. Sono gli atteggiamenti della fede, di quella profonda, personale, che incide sulla vita. Vi sono giovani credenti, che sono arrivati alla fede attraverso il percorso consueto dell’educazione familiare, e poi della catechesi e della parrocchia. Il passo verso la maturazione di una fede in cui la persona si compromette, accettando che la fede dia impronta alla vita quotidiana e ne ispiri le scelte, spesso avviene attraverso l’esperienza del servizio: dapprima vissuto con gli amici del proprio gruppo di formazione, e poi impegno assunto in prima persona. Allora quella fede, che prima era rimasta alla superficie, mette le radici in profondità; spesso da quelle esperienze un giovane esce educato a pensare la relazione con Dio in un rapporto imprescindibile con la solidarietà, la condivisione, l’aiuto fraterno.
    Il Vangelo ci insegna che il comandamento dell’amore potrebbe restare un bell’enunciato teorico, se non passa al vaglio del gesto concreto, che nella sua umiltà verifica l’autenticità del dono di sé. È quanto si legge anche nell’Esortazione Apostolica Gaudete et Exsultate: “La santità a cui il Signore ti chiama andrà crescendo mediante piccoli gesti. Per esempio: una signora va al mercato a fare la spesa, incontra una vicina e inizia a parlare, e vengono le critiche. Ma questa donna dice dentro di sé: “No, non parlerò male di nessuno”. Questo è un passo verso la santità. (…). Poi esce per strada, incontra un povero e si ferma a conversare con lui con affetto. Anche questo è un passo avanti” (n. 16).

    Laico e servizio

    È il servizio che capiterà più frequentemente al laico: compiere piccoli gesti dentro grandi orizzonti, cioè vivere con amore, come ci invita a fare nello stesso documento Papa Francesco. L’amore si fa servizio, nell’esistenza semplice di ogni giorno, e si realizza in quello stile che sembra fatto di niente –niente di clamoroso, niente che faccia notizia, nulla che possa essere notato…- ma che costruisce la trama buona dell’esistenza. Basti pensare - dice Papa Francesco - al ruolo che ricoprono in famiglia le nostre mamme; chi è che si mette seduto per ultima alla tavola dopo aver “servito” tutti? Sicuramente la mamma umile serva della famiglia, ma è lei che nello stesso tempo è la persona più importante del nucleo famigliare, il punto di riferimento, il faro.
    Fede e servizio non si possono separare, anzi sono strettamente collegati, annodati tra di loro, come ha spiegato Papa Francesco nell’omelia del 2 ottobre 2016 a Baku: “Ogni tappeto, voi lo sapete bene, va tessuto secondo la trama e l’ordito; solo con questa struttura l’insieme risulta ben composto e armonioso. Così è per la vita cristiana: va ogni giorno pazientemente intessuta, intrecciando tra loro una trama e un ordito ben definiti: la trama della fede e l’ordito del servizio. Quando alla fede si annoda il servizio, il cuore si mantiene aperto e giovane, e si dilata nel fare il bene. Allora la fede, come dice Gesù nel Vangelo, diventa potente, fa meraviglie. Se cammina su quella strada, allora matura e diventa forte, a condizione che rimanga sempre unita al servizio”.
    I gesti concreti di servizio sono la verifica di una fede che diviene stile quotidiano, testimonianza che questo è l’amore più grande, sull’esempio di quello del Signore Gesù.
    Esso non può essere identificato con la Caritas o con il volontariato, cioè con scelte che solo alcuni compiono, ma è lo stile ordinario di ogni cristiano, che sull’esempio del suo Signore sa di non poter vivere per se stesso, ma nel dono di sé. Non è un percorso facile. Sappiamo quanto amiamo noi stessi e quanto ci risulta difficile liberarci dall’ingombro del piccolo amore con cui facciamo del nostro io un idolo. Tuttavia è l’unica strada per costruire in pienezza un’umanità come quella del Signore Gesù.

    Il servizio, compimento del percorso della fede

    Il servizio è un’esperienza nella quale sembra trovare compimento il percorso di crescita nella fede di una persona. Parafrasando l’inno alla carità di Paolo, si può dire che il servizio è sollecito, si dà da fare per aiutare, sostenere, incoraggiare, accompagnare: desidera che la fatica dell’altro sia alleviata senza indugi.
    Il servizio è lieve, nasce da un cuore libero da se stesso e per questo totalmente capace di darsi.
    Il servizio è concreto; non si accontenta di discorsi astratti, ma è disposto a immergersi nella polvere della vita e crede nei pensieri che cambiano la storia.
    Il servizio è umile; per questo non costruisce gerarchie tra impegni importanti o no. Si dedica a ciò di cui gli altri hanno bisogno.
    Il servizio è premuroso: si muove con il passo di Maria di Nazareth che si affretta dalla cugina Elisabetta per rivelarle il segreto che porta nel grembo.
    Si legge in una bellissima poesia di Tagore, che tutti dovremmo poter dire alla fine della nostra vita: “Io dormivo e sognavo che la vita non era che gioia; mi svegliai e ho visto che la vita non era che servizio. Io ho servito e ho visto che il servizio era la gioia”. Sarebbe bello che ogni giovane potesse credere che servire è gioia e che potesse incontrare adulti ed educatori capaci di farglielo vedere in concreto nella loro esistenza concreta.


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