Giovani: vocazione laici /9
Paola Bignardi
(NPG 2017-07-73)
Lavoro, scuola, autobus, famiglia, web, piazza, …; insegnanti, familiari, colleghi e datori di lavoro, amici e sconosciuti …, una folla di figure diverse popola le giornate di un laico cristiano, che passa di luogo in luogo, ciascuno dei quali ha “regole del gioco” diverse, risponde ad interessi diversi e si muove secondo logiche e sensibilità molto lontane tra loro.
Vi è la possibilità che ciascuno diventi dentro di sé il riflesso di questo molteplice alternarsi di riferimenti e che rischi di avere per ciascuno di essi un codice di comportamento differente. La molteplicità che sperimentiamo attorno a noi ci attraversa, rischiando di renderci un puzzle sconnesso e insensato. Nando Pagnoncelli, acuto osservatore dei mutamenti della nostra società, rappresenta così l’esito di questa frammentazione: “Nel Nord Italia vi sono operai che votano Lega Nord, sono iscritti alla CGIL e vanno a messa la domenica. (…), dal momento che il singolo individuo non è consapevole del fatto che i tre ambiti esprimono valori non convergenti” [1].
Il contesto di oggi è come un grande supermercato di proposte, di opportunità, di beni, di idee, … e come accade al supermercato, tutto è esposto in vendita, ma non vi è alcuna coerenza tra un prodotto e l’altro, ciascuno messo solo per attirare l’attenzione del compratore e indurlo all’acquisto.
È la logica di una società plurale e senza baricentro, nella quale sono venuti meno indicatori, riferimenti, legami, elementi comuni.
Il moltiplicarsi delle opportunità che dà l’illusione di una maggiore libertà in effetti genera spesso malessere, confusione, incertezza. Come realizzare le proprie scelte? Come dare un orientamento alla propria vita in un contesto in cui ogni cosa sembra uguale all’altra? C’è chi risponde alla sottile percezione di disagio che attraversa la coscienza restando alla superficie di se stesso, là dove le domande di fondo non vengono percepite: si rischia così di scegliere portati dal “mercato”, in base agli orientamenti prevalenti. C’è chi non resiste alla percezione della propria fragilità e si cerca qualche punto di riferimento, qualche autorità di maggiore o minore prestigio ma sempre in grado di fare da ispiratore rassicurante delle proprie decisioni. E c’è chi coglie la grande opportunità rappresentata da questa situazione e decide di accoglierne la sfida: quella di radicare nella profondità di se stesso il centro della propria vita e delle scelte che nelle diverse stagioni di essa si presentano.
Il fare della coscienza il baricentro della propria vita è la grande e appassionante avventura di ogni persona, particolarmente decisiva per un laico la cui esistenza, collocata nel cuore della molteplicità di oggi, resterebbe senza consistenza e senza identità se priva di questo percorso interiore. La sfida per un vero rinnovamento dell’educazione e per una laicità matura oggi passa attraverso la formazione della coscienza.
Persone con la spina dorsale dritta
Vorrei ricordare a questo punto uno splendido passo della Gaudium et Spes: “Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire. Questa voce, che lo chiama sempre ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, al momento opportuno risuona nell'intimità del cuore: fa questo, evita quest'altro. L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità.” (GS 16).
Se dovessi riassumere in poche parole la finalità della formazione della coscienza direi che essa consiste nel formare persone con la spina dorsale dritta, capaci di stare in piedi da sole, senza puntelli; disposte alla solitudine; con il coraggio della libertà; responsabili di se stesse e delle proprie scelte; disponibili a far posto nella loro vita all’imprevedibile di Dio. Viene alla mente una famosa espressione di d. Mazzolari, che parlava di cristiani “obbedienti in piedi”; era l’atteggiamento auspicato di fronte alla Gerarchia, ma si potrebbe dire che l’essere in piedi è l’atteggiamento chiesto a tutte le persone che abbiano il senso adulto della loro dignità e della loro personalità.
Credo che questo chieda una solidità umana e cristiana che non può sortire dalle consuetudini, dal “si è sempre fatto così”, ma da una vita assunta come responsabilità personale, e da un’esistenza cristiana interpretata secondo la misura della santità.
Attenzioni per la formazione della coscienza
Educare all’interiorità
Guardini nel suo saggio su La coscienza parla della necessità dell’esercizio del raccoglimento, come impegno ad abitare la cella interiore “nella quale posso ritirarmi (...) e dove sono, da solo a solo, con me stesso: là dove vengono prese le decisioni vitali, dove mi trovo con Dio, alla Sua presenza, sotto il Suo sguardo.... questa cella esiste e può diventare più ampia, più profonda, più viva. Più tranquilla, più sicura” [2].
La formazione richiede quell’impegno ascetico che ci riporti al centro di noi stessi e che è fatto di ordine, di silenzio, di solitudine, di ascolto, di vigilanza su noi stessi, di attenzione al nostro mondo interiore. “Raccoglimento – scrive Guardini – vuol dire richiamare noi stessi a noi stessi; le nostre forze dalla dispersione all’unità. Superare la confusione e ristabilire una tranquilla semplicità. Sgombrare il guazzabuglio, per attenerci a pochi, forti e buoni pensieri, Semplificare i nostri desideri; imparare a riposare in noi stessi senza brame, a diventar tranquilli e sereni. Apprendere ad essere padroni di noi stessi” [3].
Educare alla solitudine
Se nel mondo si vive un’esperienza adulta di testimonianza e di responsabilità, essa colloca quasi naturalmente in una condizione di solitudine. Se si pensa alla quotidiana esperienza dei laici, ci si rende conto che la solitudine è la loro condizione ordinaria: non si tratta tanto di una solitudine in termini psicologici, quando dell’essere di fronte alla propria coscienza nel compiere le scelte concrete che mettono in relazione la storicità con il Vangelo. Lì si percepisce che le decisioni che vengono assunte sono nostre, che nessuno può prendere il nostro posto. E se tutto questo non è particolarmente faticoso nelle situazioni normali e semplici, diviene invece duro e pesante quando le scelte sono difficili, quando non tutto è chiaro, quando scegliere comporta conseguenze che possono essere gravi per sé e per gli altri. Sono i momenti in cui la vita e la testimonianza cristiana sono esperienza di libertà, che può anche assumere la forma del dramma. Ci sono momenti in cui si vorrebbe avere qualcuno che dicesse che cosa si deve fare, invece di trovarci a certi bivi che portano a strade diverse, spesso tutte ugualmente inquietanti e difficili. Sono i momenti in cui si percepisce non solo il carattere inquietante della libertà, ma anche la grandezza della coscienza umana. Saper vivere la solitudine vuol dire saper attingere al tesoro presente nella profondità nella nostra vita e che è il mistero della comunione con il Signore. Allora la solitudine è esperienza preziosa che rivela la nostra grandezza e la dignità che Dio ci dà attraverso il dono della libertà e della sua fiducia in essa.
Educare al rischio della libertà
Nelle scelte che avvengono nel profondo della nostra coscienza sperimentiamo che la libertà è rischio, e che vivere da donne e uomini, cristiani adulti, significa assumere il rischio della libertà. La parola rischio non fa parte del linguaggio imparato al catechismo, ma ogni laico sa quanto esso sia componente ineludibile dell'esperienza di chiunque voglia vivere in maniera non banale la sua fede e le sue responsabilità. La grandezza della visione della vita nella quale i cristiani credono e l'assolutezza dei valori cui si ispirano non possono stare interamente nella concretezza dell'esperienza. Giorno per giorno, i cristiani hanno la responsabilità di compiere scelte concrete che non sempre sono fra il bene e il male, ma più spesso tra ipotesi confuse, tra beni parziali: basti pensare alla professione, alla politica, alla famiglia. Non sempre si è sicuri di fare le scelte giuste, ma non si può non scegliere. Guardini, sempre nel libretto sulla coscienza, afferma che il bene non si fa per applicazione di una regola alla realtà concreta, ma solo per interpretazione creativa, dentro la situazione concreta [4].
Dunque occorre scegliere per non trincerarsi nella comoda posizione di chi proclama i valori solo a parole, limitandosi ad affermare il dover essere. Stare dentro la realtà storica vuol dire avere il senso della parzialità delle scelte concrete, accettando la drammaticità che questo esercizio della libertà talvolta comporta.
Educare a non temere l’inquietudine del cuore
Nicodemo va dal Signore di notte: noi a volte pensiamo che la notte serva a coprire le paure di questo uomo del Sinedrio che teme di mostrare il suo interesse per Gesù e il fascino che esercita su di lui. In effetti la notte sta anche a significare la discrezione in cui si custodisce il dubbio, che è sospensione, che è idea che deve ancora diventare matura prima di giungere alla luce del giorno. In questo senso allora possiamo pensare che la notte di Nicodemo sia il segno di domande che covano nel profondo, e lì debbono essere custodite. La formazione, soprattutto quella di un laico cristiano per questo tempo, deve insegnare a non temere l’inquietudine del cuore e a dare alla propria vita il carattere di una permanente ricerca. Soprattutto di Dio, come di un mistero che attrae e che è sempre oscuro, "oltre". Solo nella disponibilità a camminare continuamente verso questo "oltre" si può vivere veramente un'esperienza da cristiani, non censurando le ansie e le inquietudini connesse a questa ricerca, ma restando pronti per cogliere nella vita i segni della presenza di Dio che lo nascondono e, al tempo stesso, lo rivelano. La ricerca di Dio avvicina il laico ad ogni persona: non sono solo i credenti a cercare, ma anche chi non riesce ancora a dare un nome esplicito al mistero di Dio. Un atteggiamento di ricerca si sviluppa dentro la vita e si lega alla domanda di senso, che caratterizza il nostro tempo: i giovani cercano un senso alla vita; gli adulti hanno bisogno di dare un senso agli aspetti concreti e quotidiani dell'esistenza. La disponibilità a vivere sia la fede che la vita in un atteggiamento aperto permette di recuperare, giorno dopo giorno, la freschezza del quotidiano.
Educare al senso critico
Oggi occorre educare con decisione al senso critico. Le mode che caratterizzano l’abbigliamento, i consumi, i linguaggi fanno intuire la pressione cui anche il pensiero è sottoposto, sempre più povero di originalità e di criticità. Ragazzi e adulti rischiano di assorbire dal contesto stili di comportamento, atteggiamenti di fronte alla vita, modi di giudicare la realtà. Grande è la funzione della famiglia, della scuola e della comunità cristiana: quella di tener desta un’originale capacità di valutare le cose, a partire dai valori della persona e di una convivenza civile di alto profilo. E di far intravedere la forza della libertà, la suggestione di un’umanità impegnata, la bellezza di pensare la vita non come la pensano tutti, ma liberando desideri, sogni, utopie; assumendo fino in fondo, da credenti, il valore paradossale della croce, debolezza assunta per amore. L’educazione non è semplicemente introdurre i ragazzi alla società e alla cultura in cui vivono, ma aiutarli a conoscerla per cambiarla, per trasformarla a misura di un’umanità piena. Educazione, senso critico, responsabilità, impegno… maturano insieme; e chiedono la disciplina del pensiero, la spinta alla curiosità, l’ordine del ragionamento, la pazienza del cercare, mettendo in conto che tutto questo è fatica, passaggio necessario per aprirsi ai grandi orizzonti che l’educazione vera contribuisce a far intravedere.
NOTE
1 Pagnoncelli N., Le mutazioni del signor Rossi, EDB, 2016.
2 Guardini R., La coscienza, Morcelliana, 2009, p. 58
3 Id, p. 68
4 Cfr id, p. 21