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    Modelli di pastorale giovanile


    Gustavo Cavagnari

    (NPG 2017-07-5)



    1. Prospettive fondanti

    Se vogliamo vedere che la chiesa sopravviva, dobbiamo ripensare la pastorale giovanile. Che cosa significa questo? Non ne ho idea. Ma la mia impressione è che se vogliamo che i giovani abbiano una fede duratura, dobbiamo cambiare completamente il modo con cui noi facciamo pastorale giovanile[1].

    Può capitare che qualcuno agisca senza poter spiegare perché fa quello che fa o perché lo fa così come lo fa. Ma ciò non significa che non ci sia un motivo che spieghi tale azione. Quando si agisce, si agisce per una ragione, per quanto inconscia essa possa essere. E quando si procede in una certa maniera, anche in questo caso c’è una causa che spiega il perché lo si fa così e non in un altro modo. Perciò, ci potrà essere una pratica inconsapevole, ma mai una pratica priva di un motivo che in qualche modo la sostenga. Le pratiche, infatti, intese come un complesso di azioni, sono sempre vincolate a un principio, a un modo di comprendere le cose, a una riflessione propria o altrui, a uno schema che uno si è creato da sé o che ha preso da altri. Di conseguenza, c’è sempre un riferimento teorico che spiega il perché delle pratiche. E quanto più lo si rende consapevole, tanto più consci saranno anche i motivi e le dinamiche che giustificano tale azioni.

    Il concetto di modello

    Con un linguaggio specialistico, gli schemi concettuali che spiegano il perché e il come vengono attuate determinate pratiche individuali o collettive, o che sono proposti come figura di riferimento per delle azioni da realizzare, vengono denominati “modelli”[2]. In altri termini, un modello potrebbe essere definito come una rappresentazione generale e semplice che indica gli elementi più rilevanti di una determinata pratica attuata nel presente o da attuare in futuro[3].
    I modelli possono riguardare diversi campi o settori. Ci sono modelli di gestione scolastica, modelli di management imprenditoriale, modelli di attività sportiva... e, in modo simile, ci sono pure modelli di pratica ecclesiale. Per quanto riguarda, però, questi modelli, essi hanno la particolarità di essere antropologici – assumono come riferimento una figura di uomo e di donna –, socioeducativi – esprimono diverse valenze della qualità comunitaria dell’essere e dell’agire ecclesiale – e anzitutto teologici – rispondono a un modo di comprendere Dio, la salvezza e la chiesa [4].
    Siccome questi riferimenti teorici sono in grado di orientare o condizionare tanto le concrete pratiche ecclesiali quanto la loro valutazione, essi sono decisivi. E in una stagione di pluralismo come quella presente, sembra necessario farli emergere per attivarne un ragionato confronto[5].

    L’uso dei modelli in pastorale giovanile

    Nell’ambito della pastorale giovanile si è cominciato a usare la categoria di modello sulla fine degli anni Settanta del secolo scorso. Tale fatto è legato all’utilizzazione che il concetto aveva iniziato ad avere all’interno della riflessione teologico-pastorale. Col passare degli anni e col trasformarsi delle generazioni dei giovani e dei contesti socioculturali ed ecclesiali, i modelli vennero progressivamente rivisti e aggiornati. Lontani però dallo scomparire, essi continuano ad essere presenti nelle comunità ecclesiali.
    Oggi, comunque, si è consapevoli più che mai che non esiste un modello di pastorale giovanile «che possa in qualche modo valere come normativo o anche solo come paradigmatico»[6] per ogni contesto. Lo conferma il fatto che, nel modo di fare pastorale giovanile, gli stili, le scelte, le prospettive sono assai diverse.

    La diversità e la problematicità dei modelli

    Siccome ogni modello tende a orientare, a livello teorico e pratico, a compiere determinate scelte, a privilegiare alcuni interventi, a sottolineare certi aspetti, occorre affermare che i modelli sono sempre parziali. L’uno mette in risalto una componente; l’altro ne rimarca un’altra. In questo senso, conoscere diversi modelli potrebbe essere un aiuto non solo per comprendere il pluralismo pastorale sopra menzionato, ma e soprattutto per arricchire le proprie pratiche. Con un’immagine molto eloquente, il teologo americano Avery Dulles diceva che «con la destrezza di un giocoliere, noi dovremmo saper mantenere simultaneamente in aria diversi modelli»[7]. Inoltre, tale conoscenza potrebbe essere una risorsa perché le persone vadano oltre le limitazioni della propria mentalità e siano in grado di stabilire una fruttuosa conversazione con coloro che, fondamentalmente, hanno una diversa visione[8].
    Ammessa l’inevitabilità del pluralismo dei modelli, non va disatteso il problema della riflessione teorica che tende a ridurre al minimo la molteplicità. La mente umana, infatti, tarda sovente ad affrontare la fatica della diversità e ancor meno a correre il rischio della incompatibilità, per cui è tentata dal ricorso all’uniformità o alla semplificazione. Una tale tendenza emerge, ad esempio, nella ricorrente presunzione di chi ritiene che “l’unico modo di fare pastorale giovanile sia... quello che faccio io”.
    Un modello, poi, porta con sé una quantità d’immagini preferite, una propria retorica, valori tipici, convinzioni specifiche, scopi determinati e priorità. Ognuno ha perfino un set particolare di problemi e di antagonisti preferiti. Proprio per questo motivo, stabilire un’interazione tra i modelli è operazione sempre delicata. Non dovrebbe sorprendere, perciò, se l’adesione a un modello piuttosto che ad un altro provoca polarizzazioni, incomprensioni, solipsismi, frustrazioni o scoraggiamenti[9]. È il problema che si riflette nella domanda: “Come è possibile che loro facciano pastorale giovanile in quel modo?”.
    Infine, occorre far notare il problema pastorale attinente la perpetuazione dei modelli e il conseguente rischio di operare sempre nello stesso modo, quasi non avvertendo che, come ha rilevato papa Francesco, «la pastorale giovanile, così come eravamo abituati a svilupparla, ha sofferto l’urto dei cambiamenti sociali»[10]. Se prevalesse, infatti, «la logica del perpetuare i modelli pastorali di sempre… la comunità cristiana e la sua pastorale andrebbero perdendo significatività»; da qui sorge la necessità di attivare meccanismi «che favoriscano l’agire pensando»[11] e facilitino una creatività riflessa.
    In ogni modo, si deve affermare che non tutti i modelli sono ugualmente validi. Alcuni di loro sono troppo integristi, o troppo riduttivi, o troppo sbilanciati. Essi, perciò, devono essere verificati alla luce di riferimenti criteriologici di tipo, appunto, antropologico, socioeducativo e teologico.

    Alcune premesse

    Fatta questa sintetica introduzione, ci avviamo ora a prendere in considerazione diversi modelli di pastorale giovanile. Prima di affrontarli, però, si dovrà aver presente che:
    - La categoria “giovani” è utilizzata in modo largo, per cui viene chiamata pastorale “dei giovani” quella che in alcuni casi converrebbe denominare pastorale “degli adolescenti”.
    - Per quanto possa essere ampia, la considerazione dei modelli non sarà mai esaustiva. Oltre a quelle che si menzioneranno, certamente ci sono numerose altre prospettive e impostazioni.
    - I modelli che verranno presentati, così come vengono teorizzati dai rispetti autori, sono diversi per contesto, contenuto, scelte, sottolineature. Talvolta descrivono più o meno dettagliatamente la base teologica della pastorale giovanile, talaltra i loro elementi strategici. Alcuni hanno un orientamento più marcatamente confessionale, altri privilegiano un approccio più generico.
    - L’operazione di selezione dei modelli è ovviamente condizionata dalla sensibilità dello scrivente e dalle sue possibilità. Infatti, a proposito della bibliografia, la scelta è legata a quanto è attualmente disponibile e accessibile. E pareri o orientamenti personali sono da mettere in bilancio all’atto di proporre un’interpretazione, di tentare una sintesi, di offrire alcune chiavi di lettura o di mostrare esiti possibili o auspicabili.

    Una sosta per domandarci
    - Di fronte alla domanda su che cosa sia la pastorale giovanile o che cosa essa cerchi, quali sono gli elementi che ci vengono in mente? Abbiamo mai pensato che questi elementi conformano, inconsciamente o consciamente, il nostro modello di pastorale giovanile? Se ci fosse chiesto di esplicitarli: che cosa diremmo?
    - In una stagione come la nostra, in cui tante pratiche pastorali una volta pacifiche non lo sono più: dove verificare la solidità della nostra proposta? Oltre le logiche del consenso, dell’esito, dei numeri, del mandato: quali sono i criteri teologici, antropologici, educativi, che guidano le nostre pratiche pastorali?
    - Riconosciamo che un modello di pastorale giovanile non è – e non può essere mai – completo?


    2. Incominciando da casa: riflessioni nell’area italiana

    Sono convinto che la via giusta [della pastorale giovanile] … sta, secondo me, nell’inventare modelli, teologicamente radicati, capaci di recuperare il ricco vissuto che ci ha preceduto e lo sguardo al futuro (anche culturale) a cui ci sollecita la fede nel Crocifisso risorto[12].

    Una pastorale giovanile per la vita e la speranza

    1. Per la prima volta, Riccardo Tonelli affrontò il tema dei modelli di pastorale giovanile in Italia nel 1977[13]. Di questa prima riflessione e della sistemazione da lui offerta si fece ecco la nostra Rivista[14]. Prendendo coscienza dell’esistenza di una larga pluralità di modelli, e del fatto che spesso e volentieri essi erano adoperati in maniera del tutto irriflessa, Tonelli documentava tre forme paradigmatiche di pastorale giovanile, definite secondo i casi: modello storico-oggettivo, modello esistenziale, e modello esperienziale-comunitario. Benché tutti e tre avessero quale medesimo scopo la piena integrazione nel giovane della fede con la vita, Tonelli costatava, in ogni modo, come essi differivano nella formula di attuazione. Considerato che questa riflessione è la più remota, non è consigliabile aggiungere ulteriori considerazioni.

    2. Procedendo negli anni, egli tornò sulla questione dei modelli nella voce corrispondente del Dizionario di pastorale giovanile pubblicato nel 1989[15]. In quella opportunità, la descrizione elaborata in precedenza venne sottoposta a revisione, allargando l’orizzonte da tre a cinque modelli. Essi, più che a realizzazioni concrete e documentabili, facevano piuttosto riferimento a linee di tendenza, diffuse e non sempre attuate in modo esclusivo, e riscontrabili all’epoca nelle comunità ecclesiali. Ed ecco come vengono configurati dal Tonelli tali modelli.
    - Il cosiddetto modello delle forti proposte si contraddistingue per l’esigenza di testimoniare l’esperienza cristiana in tutta la sua provocante radicalità. Per far divenire il giovane un cristiano forte nella sua identità, e capace di prendere le distanze da tutto quello che si coglie come diverso rispetto alle proprie scelte, gli adulti dotati di autorità (genitori, insegnanti, religiosi, sacerdoti) hanno la funzione di tramandare principi e valori. Lo spazio distintivo dove si realizza tale consegna è una comunità prode delle proprie convinzioni di fede, alla quale è affidato un compito centrale: far possibile l’incontro tra le generazioni e l’esperienza della salvezza.
    Questo modello, che ha il pregio di presentarsi come una proposta alternativa e critica, tende a creare un confronto con la cultura dominante mediante l’attivazione di processi che assicurino la capacità di “prendere le distanze”.
    - Il modello dell’oggettività si caratterizza per due elementi. 1) Il rilievo della dimensione veritativa dell’esperienza cristiana, a detrimento degli aspetti soggettivi della azione pastorale. Tale risalto è caratterizzato dall’importanza data all’apprendimento del “contenuto” della fede, inteso quasi sempre nella sua forma di espressione dottrinale. 2) L’affermazione dell’efficacia immediata e diretta della salvezza di Dio e dei suoi “mezzi”, a detrimento di un’educazione alla fede all’insegna della gradualità che rischia di sfociare nell’inefficienza e nell’accondiscendenza.
    Questo modello, che ha il pregio della chiarezza e della coerenza, non bada sufficientemente agli aspetti maturanti dei giovani e accentua le esigenze del dover-essere senza troppi aggiustamenti.
    - Più sviluppato nell’America Latina, come vedremo in seguito, il modello della pastorale di liberazione è impegnato a umanizzare e personalizzare l’uomo. Le proposte che si ascrivono in questo schema hanno il compito di restituire la coscienza della dignità personale e promuovere l’esercizio della responsabilità sociale. La dimensione esplicitamente religiosa e cristiana non viene né rifiutata né vanificata, solo che essa richiama piuttosto i fatti quotidiani e i processi di trasformazione della esistenza concreta. Esso crea una gerarchia di preoccupazioni e di esigenze diversa da quella tradizionale.
    Questo modello, che possiede una intensa carica di coinvolgimento sociopolitico, colloca però molti aspetti religiosi in un secondo piano davanti ad altri problemi vissuti come più urgenti.
    Per certi versi, queste prime tre forme di pastorale giovanile possono rimandare ancora alla prima classificazione dell’autore. La novità di questa seconda versione è rilevabile tuttavia nell’aver voluto affrontare la questione dei modelli a partire del rapporto tra educazione e annuncio. Ed è prestando particolare attenzione a tale rapporto che il Tonelli descrive altri due modelli.
    - I modelli a prevalenza educativa. Essi sottolineano che il servizio alla persona, essenziale per la costruzione del Regno di Dio e il consolidamento della sua salvezza, passa attraverso una intensa attività di promozione umana. L’aiuto educativo che offre la pastorale giovanile non è quindi mediato dalla trasmissione di messaggi o di verità astratte quanto dalla proposta di esperienze concrete per crescere in autonomia e responsabilità. La condizione indispensabile per assicurare tale scopo è il rapporto tra l’educatore e il giovane, da cui nasce il bisogno di una presenza, adulta e testimoniante, capace di sostenere e orientare la crescita, non però mediante discorsi e ideali troppo elevati, bensì mediante proposte che rispettino il primato dell’esperienza.
    Lo stesso autore riconosceva, comunque, che i modelli di questo tipo, nella misura in cui sono realistici e graduali, possono «aprire a molti e pericolosi rischi. Ci si può dimenticare del peccato e della grazia, dell’urgenza di fare proposte forti e chiare, dei modelli di spiritualità e di vita sacramentale che ci sono stati consegnati»[16].
    - I modelli a prevalenza kerigmatica. Al contrario dei precedenti, questi modelli accentuano decisamente la dimensione spirituale dell’esistenza cristiana e insistono praticamente sulla sua radicale alterità rispetto ai ritmi e ai processi della quotidiana esistenza. In essi, la comunità, segnata intensamente dalla fede professata e vissuta, costituisce lo spazio di vita identitario a partire dal quale reagire al clima di relativismo culturale. Sono collocati in questa prospettiva, per esempio, le proposte dei gruppi carismatici o le esperienze a forte risonanza monastica.
    Se in questi modelli le cose da fare sono poche e semplici – moltiplicare i contatti tra il dono irruente di Dio e la vita dell’uomo –, essi sono privi di ogni esplicita attenzione e preoccupazione educativa.

    3. Finalmente, in uno dei suoi ultimi contributi, Tonelli riprese il tema del rapporto tra educazione e annuncio e propose quattro modelli del vissuto pastorale recente[17]. Tali forme si distinguono tra loro a seconda che privilegino o direttamente assolutizzino l’una o l’altra dimensione.
    - Quando la priorità o la esclusività è data all’atto di fede, la pastorale giovanile insiste sulla dimensione veritativa e spirituale dell’esperienza cristiana. Alcune indicazioni pratiche che in qualche modo si ispirano a questa prospettiva sono: la sollecitazione ad apprendere i contenuti della fede nella loro oggettività; l’insistenza sui momenti di preghiera, liturgici e sacramentali; l’enfasi sulla comunità di fede e di vita ecclesiale.
    - Quando la priorità o la esclusività è data all’umano, la coscienza di quanto sia stretto il rapporto tra le dimensioni antropologiche e teologiche porta a concludere che i compiti della pastorale sono già assolti quando si realizza un’azione in favore dell’uomo. La pastorale giovanile parte quindi da una gerarchia di preoccupazioni umane e sociali più che religiose.
    In conclusione, Tonelli distingue fondamentalmente due direzioni in cui raccogliere la pluralità delle pratiche di pastorale giovanile: i modelli prevalentemente centrati sulla specificità cristiana della proposta e quelli incentrati sulla persona dei giovani e la loro vita[18]. A suo avviso, tale diversità si spiega tanto a partire dalla comprensione dell’evento della fede e della salvezza cristiana, quanto dalla pluralità di approcci ermeneutici, comunicativi, strategici[19].

    Una pastorale che sposa l’educazione

    In un simile sforzo di riflessione, un altro nome noto alla nostra Rivista e alla pastorale giovanile italiana, Domenico Sigalini, identificò alcuni modelli – o meglio, atteggiamenti di fondo – della pastorale giovanile, a partire dall’analisi di scelte diversificate ma non necessariamente antitetiche. Sono state sintetizzati e riproposti in una sua pubblicazione, alquanto recente, che nelle seguenti righe seguiamo quasi letteralmente[20].

    1. Per quanto riguarda la convocazione e selettività dei membri, l’autore distingue due modelli.
    - Nella cosiddetta pastorale “del bonsai”, le iniziative sono legate al piccolo gruppo, in quanto unità di vita e di azione. Con qualche semplificazione, si potrebbe dire che tutto quello che importa ai suoi membri è stabilire buone relazioni, stare assieme e tornarci tutte le volte che sia possibile. La figura di riferimento è l’animatore di gruppo, ma spesso il prete assume questo ruolo.
    Se il modello ha offerto e continua ad offrire alla comunità cristiana molti giovani preparati, in certi casi, come finalità inespressa, ma decisiva nella pratica, si è proposto solo di retroagire sul sistema stesso.
    - Una pastorale della convocazione, invece, punta sui grandi eventi, emotivi e coinvolgenti (pellegrinaggi, meetings, feste, raduni). In essa, quello che conta è poter offrire ai giovani occasioni di incontro oltre le appartenenze sociali o territoriali, celebrare coralmente la fede nei valori comuni e sperimentare la dimensione viandante della vita.
    Con questo modello la pastorale ha il pregio di uscire incontro ai giovani che magari non intercetta la pastorale ordinaria; essa va però pensata all’interno di una progettualità a volte trascurata.

    2. Prendendo in considerazione lo sboccio naturalmente vocazionale che dovrebbe avere la pastorale giovanile, l’autore si riferisce a due approcci.
    - Una pastorale della proposta globale ritiene di offrire ai giovani qualche cosa in grado di tenerli occupati. È rivolta anzitutto agli studenti, che hanno molto tempo libero a disposizione. Le attività, generiche, si rivolgono indistintamente a tutti, senza aspettarsi molto in cambio.
    In questo modello la pastorale giovanile è fortemente aggregativa e “occupazionale”, ma quando si tratta di prendere decisioni di vita essa, purtroppo, non accompagna né offre risposte.
    - A differenza della precedente, una pastorale dei percorsi offre ai giovani cammini di fede che li aiutano a prendere decisioni di vita (matrimonio, presbiterato, consacrazione, volontariato, impegno politico esplicito...) entro una prospettiva cristiana.
    La prima esigenza di questa impostazione pastorale è quella di far collaborare tra loro operatori e agenzie diverse. Tuttavia, non tutti sono in grado di offrire progetti né di disporre di persone qualificate.

    3. Per quanto riguarda la responsabilità dell’animazione pastorale, anche in questo caso ci sono due atteggiamenti diversi.
    - In certi casi, c’è la tendenza a trovare qualcuno o alcuni che si preoccupino dei giovani, si adattino ai loro tempi e linguaggi, e li seguano. La pastorale con loro è affidata così a un leader o a un team che, magari con una certa specializzazione, agisce direttamente sui giovani con metodi adatti. È la cosiddetta pastorale di équipe.
    Con questo modello, la azione pastorale può contare sulla presenza di persone preparate, anche a livello professionale, ma corre il rischio di isolare le nuove generazioni dal resto della comunità cristiana.
    - Una pastorale a responsabilità comunitaria, invece, si appoggia a una équipe, ma lavora con un altro stile. Il compito di chi sta con i giovani non è solo di portarli in chiesa, ma anche di portare la chiesa a loro.
    Questo modello suppone che l’intera comunità cristiana si senta inviata ai giovani, ma come è facile prevedere, tale compito è senz’altro arduo in contesti segnati, ad esempio, da una massiccia presenza di anziani.

    4. Considerando il grado d’implicazione di diversi agenti nel perseguire le finalità educative del lavoro con i giovani, occorre prevedere due esiti possibili.
    - Una pastorale autosufficiente poggia molto sulla vita di gruppo, ma trascura i collegamenti con altre realtà extra-ecclesiali (del quartiere, della città, della società). È una pastorale che si fa forte di una partecipazione metodica ai propri ambienti, ma debole nella sua proiezione socio-comunitaria.
    - Al contrario, una pastorale della collaborazione, oltre a offrire ai giovani spazi appositi per l’educazione cristiana, identifica delle figure educative in altri luoghi (comunali, sportivi, scolastici, sociali) e con essi dialoga e definisce progetti possibili, collaborazioni, mete educative. Aiutare i giovani a incontrare Gesù Cristo non significa affatto che altri agenti interessati ai giovani siano dei concorrenti. Per questo, la comunità cristiana si apre a tutte le possibili collaborazioni col territorio per stabilire le basi di una educazione diffusa.
    Per quanto riguarda la collaborazione e il coinvolgimento all’interno della comunità cristiana, potrebbe avvenire qualcosa di simile.
    - La pastorale “del cassetto” è quella che si preoccupa di tenere vive le esperienze giovanili nelle parrocchie (magari, proponendo itinerari di formazione, organizzando feste o offrendo occasioni di scambio) ma senza stabilire i necessari collegamenti con altre pastorali (catechetica, liturgica, scolastica...) di cui il giovane è unico e indiviso soggetto.
    - Una pastorale della sinergia è quella invece che sa anche dialogare. Comunque, non si tratta di orientare tutto quel che interessa i giovani alle offerte della pastorale giovanile – tra l’altro, insufficienti –, ma di fare in modo che le altre pastorali, associazioni, movimenti... diano un loro contributo.

    5. Infine, anche per quanto riguarda il rapporto tra educazione e annuncio, una speciale sintonia tra Tonelli e Sigalini emerge chiara quando quest’ultimo, per concludere le sue riflessione, presenta da una prospettiva progettuale due modelli.
    - Il modello dell’esperienza forte orienta tutta l’azione pastorale a proporre l’esperienza della fede in maniera diretta. Incontri con testimoni, predicazioni fatte di slogan, incontri poco razionali e molto emotivi… cercano di scuotere i giovani e portarli a pensare, ma ripromettendosi poi, che da questi interventi, automaticamente nascano conversioni, decisioni e vocazioni.
    Il giovane gradisce questo modello perché fa sentire la fede “viva”; ma avverte anche che, dopo l’esperienza coinvolgente, spesso non viene accompagnato nel lento processo che gli permette di maturare quanto ha ricevuto.
    - Una pastorale scandita educativamente si preoccupa invece di formare e di accompagnare il giovane per un cammino di crescita in cui assume la fede e riformula la propria vita in base al dono ricevuto. In questo modello, la comunità sceglie di andare oltre l’emotività con l’educazione.
    Siccome l’educazione è scambiata spesso con il gioco al ribasso, occorre ricordare che l’offerta di un cammino secondo i propri passi non impedisce affatto di lanciare il giovane verso orizzonti più vati e superiori[21].
    Per concludere, Sigalini avvia la riflessione verso la proposta di un suo modello di pastorale giovanile che egli qualifica come comunitaria, missionaria, di rete, progettuale, educativa, al servizio della globalità della figura del giovane e vocazionale.

    Una sosta per domandarci
    - Possono essere utili questi modelli per capire, discernere, valutare, migliorare e casomai modificare l’impostazione della nostra pastorale giovanile?
    - Le nostre pratiche di pastorale giovanile sono centrate prevalentemente sulla specificità cristiana della proposta o sulla persona dei giovani e la loro vita? Come integrare convenientemente entrambi i fuochi di attenzione?


    3. Oltre i confini: riflessioni nell’area latinoamericana

    La pastorale si mostra in azioni che toccano la vita di [persone,] gruppi e comunità. È precisamente in queste pratiche dove si scoprono una serie di modelli e opzioni[22].

    In modo diverso da quanto abbiamo presentato in precedenza a proposito dell’area italiana, e da quanto si potrebbe descrivere in riferimento ad altri paesi, per quanto riguarda l’America latina è possibile fare un accostamento alla realtà della pastorale giovanile dell’intero subcontinente. Il motivo principale è dovuto al fatto che, come risposta al documento sui giovani della Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano riunita a Medellín del 1968[23], sorge il desiderio di avviare un cammino d’insieme e, quindi, di pensare e attuare un modello di pastorale comune per tutta la regione a partire dall’esperienza di ogni paese e dalla riflessione sulla prassi esistente[24]. In tal modo, a partire dalla creazione della Sezione di Gioventù del Consiglio Episcopale Latinoamericano nel 1976, e dagli Incontri dei Responsabili degli Uffici nazionali di pastorale giovanile promossi dal 1983, si è giunti alla realizzazione di un’azione articolata e condivisa di cui la più recente espressione è il “Progetto di rivitalizzazione della pastorale giovanile” avviato nel 2008[25].
    Uno dei frutti più visibili di questo processo sinergico è il libro Civilización del amor. Nelle sue diverse edizioni[26], esso è divenuto un testo criteriologico e strategico indispensabile per il camminare delle Chiese locali, e il modello organico di pastorale giovanile proposto si è diffuso in tutti i paesi della “Patria grande”, anche se con rilievi diversi a seconda delle realtà.

    I principi teologici

    Il modello della pastorale giovanile latinoamericana assume una serie di principi teologico-pastorali che indicano il da dove fare pastorale giovanile[27]. Essi possono essere elencati in maniera diversa. Qui li presentiamo nel seguente modo.
    - Il principio dell’incarnazione. L’incarnazione è un evento centrale nella storia della salvezza. Se questo è stato il cammino che Dio ha scelto per manifestare e realizzare il suo disegno, la pastorale giovanile, ispirandosi nella pedagogia divina, segue la stessa strada: assume la realtà giovanile per illuminarla e trasformarla con la forza del Vangelo. Di conseguenza, tale principio si converte anche in una opzione normativa che decide una serie di esigenze: conoscere, comprendere e amare i giovani; essere presenti nei loro luoghi; scoprire e apprezzare i loro interessi, le loro preoccupazioni e i loro desideri vitali; integrare la fede alla vita; educare alla fede secondo la diversità delle loro situazioni e livelli di sviluppo.
    - Il principio dell’annuncio esplicito. Se l’incarnazione esige di essere fedeli al soggetto concreto, questo secondo principio chiede di essere fedeli anche alla missione ricevuta: annunciare Gesù Cristo e il suo Vangelo (cf. Mt 28, 19-20; Mc 16, 15; Lc 24, 4-7; At 1, 3). Esso si traduce in diversi obiettivi pastorali: la sequela di Cristo come risposta di fede, la conversione come accoglienza delle esigenze della sua proposta, la partecipazione nella Chiesa come comunità di discepoli missionari in cammino, la partecipazione nella trasformazione sociale come realizzazione e anticipo del Regno.
    - Il principio dell’impegno solidale. Se l’azione pastorale non apre alla responsabilità con gli altri, essa non è completa. Il servizio, come espressione di donazione personale e comunitaria, è essenziale. Perciò, la pastorale giovanile, orientata da questo principio, opta per la promozione personale e sociale. Anche questo criterio implica alcuni compiti: educare la coscienza sociale dei giovani; aiutarli a discernere la realtà; offrire loro chiavi di interpretazione cristiana; promuovere esperienze tra i poveri e gli emarginati; programmare iniziative di servizio.
    - Infine, il principio della celebrazione. I riti liturgici, sacramentali e non sacramentali, sono un elemento indispensabile dell’azione pastorale con i giovani. In essi si attualizza l’irrompente grazia salvifica di Dio nell’oggi della comunità cristiana. E in essi i giovani vengono aiutati a pregare e sono introdotti al mistero; scoprono la chiesa come comunità orante e celebrante; esprimono il loro gusto per il canto e il silenzio; si aprono al linguaggio simbolico.

    Le opzioni pedagogiche

    Oltre i principi teologici, sono previste determinate scelte, strategie, atteggiamenti o approcci educativi che qualificano il come dell’azione pastorale con i giovani.
    - La proposta di una esperienza gruppale. In modo immediato ciò si traduce nella creazione e animazione di gruppi o comunità giovanili. Infatti, i tratti distintivi della gioventù fanno di queste piccole comunità l’ambiente idoneo per stabilire vincoli affettivi ed effettivi, per condividere mete e iniziative in comune, per vivere e approfondire il processo di educazione alla fede, per fare delle scelte.
    - La considerazione dell’ambiente e delle realtà specifiche dei giovani. La promozione della pastorale giovanile nei diversi ambienti – la scuola, l’università, il mondo del lavoro, il quartiere, la strada… – porta a riconoscere i limiti della parrocchia come spazio esclusivo di pastorale con i giovani e sfida ad uscire “dalla sagrestia” per conoscere i loro spazi e la loro cultura. L’azione nei contesti specifici richiama quindi forme creative di presenza e d’evangelizzazione.
    - L’attenzione al processo integrale di educazione nella fede. I percorsi di educazione nella fede sono la colonna vertebrale della proposta. Tali itinerari riconoscono che la formazione che si offre: ha un carattere dinamico e processuale che implica la consapevolezza personale; ha differenti momenti ordinati in una sequenza progressiva che va crescendo in profondità e complessità; richiede il riconoscimento e la formazione di tutte le dimensioni della persona; sboccia in una scelta vocazionale; si sviluppa nelle tre tappe di convocazione, iniziazione e militanza.
    - La memoria della vita personale, comunitaria e sociale. Ogni azione pastorale con i giovani è chiamata a riconoscersi come parte di un cammino che non inizia dal nulla ma si colloca nella scia di quanto già è stato percorso dalla comunità parrocchiale, diocesana, nazionale, continentale.
    - L’organizzazione. La pastorale giovanile latinoamericana si organizza dalla base – i gruppi – e si struttura a livello locale, zonale, diocesano, nazionale, regionale, fino al livello continentale. Essa genera un processo di comunione e di partecipazione e promuove il protagonismo giovanile.
    - L’accompagnamento. Chi accompagna compie il compito di animare, motivare e seguire la vita del gruppo e il processo personale di educazione nella fede dei giovani. Tale compito suppone una chiamata e, inoltre, una formazione adeguata per compiere un ministero ecclesiale. La condizione è, tuttavia, che l’accompagnatore abbia elaborato il proprio progetto di vita e abbia una maturità umana adeguata.

    Alcuni cenni valutativi

    Nonostante continui ad essere vero che alcuni movimenti ecclesiali che lavorano con i giovani non conoscono «il modello organico di pastorale giovanile, il che li porta a chiudersi in se stessi e a generare una specie di concorrenza con gli altri movimenti e gruppi»[28], in generale si può affermare che esso è stato, nelle sue diverse fasi di elaborazione, un punto di riferimento per migliaia di operatori di pastorale giovanile nel continente[29], non soltanto in un periodo, ma nel corso di diversi decenni fino al presente.
    Comprensibilmente, questo modello non è esento da critiche. Antonio Santillán opina che, per quanto sia marcatamente orientato alla prassi, il che favorisce la sua flessibilità e trasferibilità, esso difetta di una descrizione più formale. Il suo carattere operativo e non concettuale rende difficile documentarlo in termini riflessivi e lo priva di categorie precise che possano essere usate come criteri di valutazione e classificazione. Inoltre, esso si basa su riferimenti teologici, antropologici e metodologici delle più diverse fonti[30].
    Le sfide provenienti dalle nuove realtà che vivono i giovani, e gli stessi presupposti sul quale è costruito, sollevano anche una seria e persistente domanda a proposito dei limiti di questo paradigma e della sua attualità. Ad esempio, a partire da alcune categorie come “giovani erranti” o “giovani mutanti”, Ariel Fresia sostiene che i nuovi modi di essere credenti che assumono i giovani e i nuovi loro modi di appartenere alla comunità ecclesiale sono alla base di un persistente “declino della pastorale”, che mette in crisi il modello tradizionale e sfida le pratiche concrete[31].
    Addirittura, non manca chi lo considera superato, giacché la pastorale giovanile, così come è oggi proposta in America latina, sarebbe destinata a finire. Con affermazioni critiche ma comunque da verificare, Secundino Movilla sostiene che l’attenzione data ai gruppi e all’organizzazione esterna dei processi si è vista a poco a poco diminuita per la supremazia che ha acquistato l’individuo e la stima dell’interiorità, il che richiederebbe un nuovo modello che, diversamente dall’attuale, favorisca l’intensità e la profondità dell’esperienza, i contenuti fluidi, le comunità “light” e l’appartenenza flessibile[32].

    Una sosta per domandarci
    - Quale è il nostro parere su questo modello? C’è qualche principio teologico che potrebbe essere aggiunto? C’è qualche altra opzione pedagogica che sarebbe da fare? C’è qualche elemento che ormai denuncia il passo del tempo e andrebbe modificato?
    - Alla luce del “modello organico”: come vediamo la nostra pastorale giovanile? Quali sono i suoi pregi e i suoi limiti? È una proposta magari forte nei processi di socializzazione ma debole nell’accompagnamento? O debole nell’attenzione alla diversità ma forte nella proposta di fede? O molto ben organizzata ma carente nel prendersi cura delle persone concrete? O altro ancora?
    - Siamo d’accordo con la proposta di un modello di pastorale giovanile light e fluida? Siamo forse anche noi tra quelli che desiderano una “chiesa liquida”[33]?


    4. Guardando verso nord: alcune riflessioni nell’area statunitense

    Solo vent'anni fa c'erano solo uno o due modelli significativi di pastorale giovanile. Ora ci sono così tanti che non è possibile tenerne le tracce[34].

    La pastorale giovanile riflette la diversità. Non c’è un solo modello di pastorale giovanile che si adatti ad ogni comunità. Se non c’è un unico modello, ci sono tuttavia alcune forme che ci permettono di identificare una pastorale giovanile effettiva[35].

    La pastorale giovanile nel protestantesimo statunitense

    Qualcuno potrebbe chiedersi perché cominciare questo titolo con una presentazione che riguarda il protestantesimo nordamericano[36]. Potrei giustificare tale scelta indicando tre motivi: 1) perché in tale ambiente si è sviluppata una riflessione molto più attiva e creativa di quella cattolica; 2) perché, malgrado tutte le differenze che sussistono tra le diverse comunità ecclesiali, trattandosi di questioni che riguardano la realtà degli “stessi” giovani ne deriva che le proposte e le riflessioni fatte nel mondo evangelico hanno molto in comune con quelle del mondo cattolico; 3) perché la formazione, la sensibilità o la intenzionalità “interdenominazionale” che caratterizza molti degli interventi non rendono facile stabilire divisioni nette.
    Tra altri autori, una presentazione dettagliata della storia della pastorale giovanile degli ultimi centocinquanta anni nel mondo evangelico statunitense è stata offerta dal professore e pastore Mark Senter[37]. Secondo lo studio, fino agli anni Sessanta l’unico tipo di pastorale giovanile esistente seguiva quello che si potrebbe chiamare un modello di educazione cristiana, dato che suo scopo prevalente era l’insegnamento della religione agli adolescenti da parte degli adulti. Negli anni Settanta si assiste invece a un cambio d’approccio e a una esplosione di attività associative e ricreative per i giovani cristiani, dentro e fuori i centri di culto, che conserveranno il loro vigore fino agli anni Novanta. Allora, anche questo modello centrato nelle attività sotto la guida di un “direttore di centro giovanile” comincia a manifestare serie debolezze e, di conseguenza, si entra in una nuova fase, non ancora conclusa. Infatti, dopo il “crollo” della presenza giovanile nelle comunità cristiane, nuove ricerche e riflessioni sono state dirette a ripensare e rinvigorire la pastorale giovanile. Ne sono testimone una varietà di pubblicazioni tra cui, a modo esemplificativo, si possono menzionare New directions for youth ministry[38], Purpose driven youth ministry[39] o Postmodern youth ministry[40]. Perfino organizzazioni come Youth specialities hanno creato tutta una linea editoriale dedicata alla discussione “accademica” della cultura e della pastorale giovanile.

    Un quadrifoglio di modelli di pastorale giovanile

    In questo contesto, una riflessione articolata sui modelli di pastorale giovanile si trova nel volume Quattro visioni di pastorale giovanile[41]. Il valore di questo contributo sta nel fatto di compendiare in un’unica opera diversi accostamenti al tema già approfonditi da scrittori in apposite opere.
    L’interesse degli autori è quello di presentare diversi modi di attuare una pastorale giovanile efficace, ovverossia, una pastorale capace di rispondere non solo alla cultura giovanile ma anche alla cultura ecclesiale. La loro preoccupazioni iniziale, infatti, non è solo dovuta al fatto che i giovani lasciano la chiesa subito dopo la cresima o che la comunità cristiana trascura i giovani disconoscendo la loro cultura, ma anche al fatto che quando si trovano “in chiesa”, i gruppi giovanili “sponsorizzati” dalla comunità cristiana sono incapaci di generare persone inserite in, e impegnate con, la vita ecclesiale. Una pastorale giovanile, quindi, carente in termini di “sostenibilità credente”, poiché pensata e articolata a partire da una ecclesiologia pre-teologica o meramente sociologica.
    - Avvertendo sin dall’inizio del suo contributo due problemi direttamente vincolati – da una parte, una comunità ecclesiale che tratta i giovani non come figli propri ma come figli affidatari; dal un’altra, una pastorale che ha isolato i giovani nei loro piccoli ghetti –, il pastore riformato Malan Nel propone quello che egli chiama un modello inclusivo di pastorale giovanile[42]. La pastorale giovanile – dirà – è una pastorale comprensiva in cui l’arrivo di Dio nella vita dei giovani si favorisce mediante differenti forme di ministero, sia quello verso i genitori (o i loro sostituti) in modo speciale, sia quello verso i giovani (come parte integrante della comunità) in modo differenziato, sia quello che con essi e da essi si orienta verso il mondo. Questa visione integrale, intergenerazionale e domestica: 1) ravvisa principalmente nella famiglia il focus della pastorale, poiché essa è la sfera ermeneutica in cui si comprende la vita e si impara la relazionalità; 2) vede i giovani non come una entità separata ma come parte integrante dell’intera comunità; 3) non pensa la pastorale giovanile come un servizio dicotomicamente separato dalla pastorale nel suo insieme; 4) ha nella catechesi una componente vitale.
    Nonostante i giovani possiedano caratteristiche distintive e richiedano e abbiamo bisogno di una attenzione specifica, l’autore è del parere che loro dovrebbero essere pastoralmente avvicinati quali parte di un insieme invece di essere appartati dal resto. Il modello inclusivo propone, perciò, non tanto una pastorale separata per i giovani quanto, piuttosto, un nuovo modo di essere comunità con i giovani.
    In modo positivo, la proposta sottolinea la dimensione intrinsecamente comunitaria della pastorale giovanile, vedendo nella comunità non solo lo spazio ma altresì l’operatore primario dell’azione ecclesiale. Esso presenta, però, diverse debolezze e, soprattutto, alcuni rischi: dissolvere la specificità della pastorale con i giovani; sorvolare i loro particolari bisogni maturativi; sovrastimare il contributo dei giovani e della stessa comunità ecclesiale.
    - Il modello preparatorio proposto dal docente battista Wesley Black riflette la pastorale giovanile come una pastorale specializzata che prepara i giovani a partecipare nella vita delle chiese come animatori, discepoli o evangelizzatori[43]. Questa visione si distingue dalla precedente perché riconosce che, se teologicamente non c’è divisione alcuna tra i giovani e gli altri membri della chiesa, evolutivamente, socialmente e culturalmente le differenze sono rilevanti, il che giustifica che la pastorale giovanile abbia e debba avere un programma proprio, separato da quello della pastorale generale.
    Secondo l’autore, quello che distingue una pastorale giovanile efficace è l’intenzionalità. C’è, infatti, uno schema di pastorale centrata sulle attività che non va oltre il fatto di convocare i giovani, favorirne l’intrattenimento e mantenerli occupati in un ambiente “sicuro”. Il rischio di tale approccio è quello di raggiungere un alto numero di giovani ma di fallire nel generare discepoli. Una pastorale giovanile, invece, centrata sul ministero, è quella che, magari facendo attività simili, ha in ogni caso uno scopo chiaro in tutto quello che attua: lo sviluppo di cristiani maturi, nella chiesa, oggi e nel futuro. La pastorale giovanile, pertanto, ha bisogno di essere costruita più che su una base relazionale, su una base educativa, poiché essa non cerca solo di convocare e riunire, ma anche di educare, con tutto quello che ciò suppone per gli educatori-ministri dei giovani. A tale scopo, gli animatori sono determinanti.
    Questo modello rimarca la dimensione intrinsecamente educativa della pastorale giovanile. Esso presenta, però, alcune debolezze, tra cui un approccio tendenzialmente “ammaestrativo” alla relazione educativa e la mancanza di ogni riferimento alla dimensione del servizio e dell’impegno.
    - Il modello missionario del pastore e docente presbiteriano Chap Clark parte dall’osservazione delle differenze culturali che separano i giovani dagli adulti e dal fatto che la pastorale giovanile sia diventata in tanti casi un “incubo” per le pratiche ecclesiali[44]. Secondo quest’autore, il problema risiede nel fatto che le comunità ecclesiali avvertono l’assenza dei giovani e “gridano” per essi, ma non sono convinte che Dio le chiami come chiesa a mobilitare le loro risorse per superare le distanze e le disgregazioni generazionali. Esse avrebbero perso l’impulso missionario. Di conseguenza, la pastorale giovanile dovrebbe essere ripensata anzitutto come l’azione di una comunità di fede corporativamente impegnata nel raggiungere e prendersi cura dei giovani al fine d’integrarli significativamente in essa.
    Questa visione accentua particolarmente il ruolo dei cristiani adulti. Per essi, la domanda permanente dovrebbe essere: Quale è il miglior modo di raggiungere i giovani? E poi: Quale è il “profilo di uscita” dei giovani che partecipano ai nostri gruppi? Dalle premesse che la chiesa che cura pastoralmente i giovani deve abbracciare la cultura in cui loro abitano, e che ogni operatore pastorale adulto deve essere un ponte tra la cultura ecclesiale e la cultura giovanile, questo modello sostiene una specie di acculturazione pastorale.
    La proposta accentua il fatto di andare verso, di avvicinare i giovani che si trovano dentro e fuori la chiesa. Anch’essa presenta, però, alcuni punti critici, quali il tono molto critico – e persino cinico – rispetto all’azione ecclesiale e, soprattutto, la mancanza di concretezza: Come farlo?
    - Infine, il modello strategico di Mark Senter punta a fare di ogni comunità giovanile una futura comunità ecclesiale e dei rispettivi animatori futuri pastori, in maniera che, dopo diversi anni di formazione e di discepolato, un gruppo diventi il nucleo fondazionale di una nuova chiesa. Per questo motivo, l’autore lo chiama anche modello di pastorale-giovanile-generatrice-di-chiese-da-impiantare.
    In teoria, questo modello potrebbe servire per lottare contro l’immobilismo e l’irrigidimento di alcune comunità così come le conosciamo; ma non sembra serio prenderlo in considerazione, né da un punto di vista ecclesiologico, né da un punto di vista pragmatico.

    “Dammi il cinque”: nuove riletture all’incirca della effettività

    Il volume curato da Chap Clark e intitolato Cinque visioni completa la proposta precedente con nuove prospettive per una pastorale giovanile effettiva nel XXI secolo[45]. Anche in questo caso, il valore del contributo sta nel fatto di compendiare in un’unica opera diverse visioni sviluppate altrove da ciascun scrittore. Questo volume però, a differenza del precedente libro, non intende presentare altri modi di fare pastorale giovanile, ma piuttosto modi diversi d’intendere che cosa essa sia. Il suo scopo è appunto offrire cinque voci su che cosa dovrebbe essere la pastorale giovanile.
    La premessa è che in un tempo in cui le chiese e i giovani affrontano non pochi problemi complessi, la pastorale giovanile non ha tanto bisogno di modelli generali coi quali discutere che cosa si fa o come lo si fa, quanto piuttosto di trovare basi teologiche più stabili dalle quali discernere perché lo si fa e dove si colloca tale azione nel piano di Dio per l’intera chiesa. L’urgenza di tale impegno si fonda sul fatto che mentre ci sono certamente numerosi servizi e iniziative che provocano un significativo impatto nella vita dei giovani, c’è anche un “bassofondo oscuro” che si esprime nella difficoltà di abilitare i giovani a vivere una vita di fede matura e duratura.
    - In primo luogo, il pastore evangelico Greg Stier offre il denominato modello evangelico, il quale trova nel discepolato la chiave di volta di tutta la struttura pastorale[46]. La sua diagnosi iniziale è criticamente dura: oggi, la pastorale giovanile comunica ai giovani che la vita cristiana consiste d’incontri, i quali si riducono a uno scambio d’informazione tra animatori e partecipanti. Benché l’autore non proponga di diminuire o di abbandonare programmi più o meno tipici di pastorale giovanile, tuttavia, riconosce che le solite dinamiche sono fallimentari nel formare seguaci di Cristo. Secondo l’autore, solo animatori centrati sul Vangelo sono capaci di generare discepoli il cui stile di vita sia anch’esso evangelico-centrico.
    Nella prospettiva in questione, una pastorale giovanile efficace ha sei componenti vitali: evangelismo relazionale (abilitare i giovani a condividere la propria testimonianza), narrazione (formare i giovani a saper raccontare le proprie storie di vita di fede), evangelismo gruppale (annunciare il Vangelo incessantemente negli incontri di gruppi), selezione (infuocare i giovani favorevoli all’annuncio perché essi, a loro volta, lo facciano con altri giovani), evangelismo onnipresente (approfittare di ogni cosa che si fa per diffondere il Vangelo), e preghiera (insegnare ai giovani a pregare e avere incontri regolari di preghiera). Ovviamente, nel processo si devono considerare le differenze di età e di stadi di sviluppo: come nello sport, anche nelle questioni di fede ci sono giovani amateurs, principianti e esperti. Infine, sono identificati tre operatori principali: gli adulti significativi, poiché il cuore del giovane è conquistato dall’autenticità dell’adulto che lo cura pastoralmente; i genitori, perché mediante il dialogo essi possono essere “allenatori” nel percorso di crescita umana e di fede dei figli; gli animatori, che oltre l’adesione all’annuncio ne devono avere il “carisma”.
    Nonostante il fervore di cui è pervaso, questo modello è sbilanciato, essendo privo di riferimenti ad altri aspetti fondamentali della vita dei giovani e della vita sociale, ed esageratamente enfatico in quanto centrato sul fatto che i giovani devono essere evangelisti radicali. Sembrerebbe che l’unico accompagnamento che essi dovrebbero ricevere nella vita è quello necessario per essere più efficaci banditori del Vangelo.
    - Il pastore presbiteriano Brian Cosby sviluppa quello che egli chiama il modello riformato[47]. A partire dalla costatazione della disaffezione ecclesiale dei giovani verso la fine della scuola media, l’autore identifica tra le cause di tale allontanamento la mancanza di una vita spirituale e una pastorale intrattenitrice preoccupata del numero, del successo e del trattenimento a scapito degli elementi sostanziali. In sintonia con la propria teologia della grazia, la proposta dell’autore è configurata come una pastorale fondata su cinque strumenti: 1) l’annuncio, l’insegnamento e la lettura della Bibbia; 2) la preghiera; 3) la partecipazione ai sacramenti; 4) il servizio agli altri, soprattutto i poveri, gli ammalati, gli emarginati e i peccatori; e 5) la partecipazione nella comunità.
    Come si vede, non si può non condividere che questi elementi devono essere presenti in una proposta di pastorale giovanile. In questa visione, però, come anche in quella precedente, i riferimenti agli aspetti maturativi dei giovani e alla qualità pedagogica degli interventi sono assenti. Inoltre, benché il modello sia spesso qualificato come “metodologico”, non è facile trovare in esso i riferimenti dovuti a questioni sul quando, il chi o il come.
    - A questo proposito, l’autore Chap Clark, già menzionato, propone il modello dell’adozione[48]. Egli parte dal presupposto che se la pastorale ecclesiale non riesce a “trattenere” i giovani dopo la scuola superiore, questo si deve al fatto che essa ha fallito nel procurar loro una comunità di fede oltre al gruppo dei pari[49]. Sempre più, i giovani più che la fede lasciano la comunità ecclesiale. Dove trovarne la causa? Magari in una pastorale giovanile dedita più a provocare la maturazione individuale del rapporto con Dio che a educare a essere parte di una comunità di fede; una pastorale giovanile che per anni non solo ha visto i giovani come una popolazione separata, ma che ha mantenuto e perfino rinforzato programmaticamente tale separazione; una pastorale giovanile che non ha creato un corpo ma una rete amichevole d’individui. Se la chiesa, però, intende sé stessa come una famiglia di famiglie, l’unico modo con cui può cominciare a realizzare questa sua vocazione è, letteralmente, “adottando” i giovani.
    Clark riconosce che una pastorale giovanile “di adozione” segue quattro principi fondamentali.
    1) Ammette con pragmatismo che in ogni comunità ecclesiale, per diversi motivi, ci sono insiders e outsiders, persone che sono al centro delle decisioni e altri che sono nei margini. I giovani si trovano normalmente nelle periferie. La dinamica è, perciò, far diventare “membri” i “forestieri”, prima di tutto accogliendoli, e poi responsabilizzandoli.
    2) Si inizia creando anzitutto un ambiente in cui si respira un ethos di mutualità familiare, nella convinzione che i giovani hanno qualcosa d’apportare agli adulti e viceversa.
    3) Riconosce che l’adozione non è semplicemente un principio teologico ma una pratica teologale che si rivolge specialmente ai periferici, la quale comporta che i responsabili della loro cura pastorale li includano, responsabilizzino e facciano crescere.
    4) Avverte che gli outsiders non sono solo quelli che si trovano ai margini della comunità, ma anche fuori di essa.
    Una pastorale giovanile d’adozione è, quindi, una pastorale che provvede un’autentica comunità e costruisce ponti.
    Questo modello è molto interessante e rimanda a numerosi spunti pastorali che si trovano, ad esempio, nella Evangelii gaudium. Esso suppone, però, che l’intera comunità cristiana sia tale e si senta in uscita verso i giovani, condizioni che sono difficili da trovare.
    - Il modello D6 focalizza la sua attenzione, sulla base di Deuteronomio 6, sulla relazione cooperativa tra la grande comunità ecclesiale e la piccola chiesa domestica nella formazione dei giovani. Secondo il pastore battista, scrittore ed editore Ron Hunter, il ruolo della pastorale giovanile dovrebbe essere, quindi, qualificare non solo gli operatori ecclesiali ma anche i genitori per saper formare i giovani come veri discepoli[50].
    Con la sua proposta, egli si colloca nella prospettiva del modello familiare di pastorale giovanile. Secondo gli aderenti a questa linea, i soliti programmi di pastorale giovanile – in cui i giovani sono visti come una popolazione separata, riunita in gruppi di pari con animatori giovani, e partecipanti a eventi fuori dal raggio d’azione degli adulti – non sono sostenibili nel tempo, poiché gli operatori di pastorale giovanile non possono mai rimpiazzare l’influenza educante (o diseducante) di quella struttura di socializzazione primaria del giovane che è la famiglia. Pertanto, la prima priorità della pastorale giovanile consisterebbe nel rafforzare il padre e la madre, il che significa sostenerli ed equipaggiarli per trasmettere la loro fede e i loro valori ai propri figli nella maniera più efficace possibile. Inoltre, la seconda priorità, collegata alla prima, è quella di predisporre la famiglia allargata della chiesa ad accogliere i singoli nuclei domestici[51].
    - Per ultimo, il docente evangelico Fernando Arzola costata che la pastorale giovanile odierna ha cancellato l’ecclesiologia del suo radar teologico e, nel suo modello ecclesiale, egli propone una riscoperta di questa disciplina e una maggiore sua presenza nella formazione spirituale.
    In questo contributo egli non va oltre tali considerazioni generali che non trovano ulteriore concretizzazione. Ha sviluppato invece queste sue idee in altre sedi, di cui ce ne occupiamo subito nel seguente titolo.

    Ulteriori descrizioni e caratterizzazioni

    In effetti, Arzola ha approfondito il tema dei modelli di pastorale giovanile in diverse occasioni[52]. L’autore sostiene che gli indirizzi di pastorale giovanile popolari fino a pochi anni fa si sono rivelati, all’inizio del nuovo millennio, arretrati, per cui è stato necessario adeguarli alle attuali situazioni. Pertanto, egli delinea inizialmente tre modelli che descrivono quello che in linee generali si starebbe facendo, e in seguito, indica un quarto modello in cui propone quello, che a suo giudizio, si dovrebbe fare.
    - Il modello tradizionale di pastorale giovanile è particolarmente interessato alla identità religiosa dei giovani. Il suo principio guida è il discepolato. Percepito come “programma-centrico”, in quanto centrato sull’indottrinamento e su proposte dirette all’irrobustimento spirituale mediante ritiri, incontri di formazione, percorsi di educazione religiosa, ecc. Questa prospettiva si pone la domanda: come portare avanti con efficacia una pastorale giovanile con scopi fortemente identitari?
    Basato su una concezione biologica, il modello tradizionale pensa la pastorale giovanile come un corpo istituzionale, ricco di proprie tradizioni da preservare. Proprio per questo, esso è poco duttile di fronte ai conflitti. I quesiti che gli vengono posti non riguardano, naturalmente, l’enfasi conferito alla sequela Christi, visto che questa deve essere necessariamente presente in qualsiasi paradigma cristiano di pastorale, ma piuttosto l’esclusività conferita a suoi aspetti personali e, nello stesso tempo, la minima considerazione data agli aspetti sociali.
    - Il modello liberale di pastorale giovanile è specialmente interessato alla sana maturazione dei giovani, e cioè al loro sviluppo cognitivo e benessere emozionale. Il principio che guida questo modello è la crescita. Caratterizzato come “bisogni-centrico”, esso vuole venire incontro alle esigenze psicoevolutive dei giovani, prediligendo iniziative di tipo relazionale quali gruppi di aiuto, programmi di mentoring, spazi artistici-musicali-sportivi, ecc. Questa pastorale dei giovani si domanda: come può la pastorale giovanile venir incontro ai bisogni attuali della gioventù?
    Basato su una concezione evolutiva, il modello liberale pensa la pastorale giovanile in un modo molto dinamico e mutevole, cercando permanentemente di adattarsi alle necessità e di gestire i conflitti. Essa tende, tuttavia, ad accentuare l’umanizzazione dei soggetti a scapito della loro “deificazione”.
    - Il modello attivista di pastorale giovanile è orientato soprattutto dal contesto. Il principio guida è la giustizia. Distinto come “problematiche-sociali-centrico”, esso cerca di identificare i problemi sociali che affliggono i giovani e di sviluppare programmi che possano contribuire alla loro soluzione, tali come offerte di formazione scolastica, di preparazione lavorativa, di partecipazione sociopolitica, ecc. Questa pastorale contestuale si domanda: come si può rispondere effettivamente ai problemi sociali che hanno un impatto diretto sui giovani?
    Basato su una concezione rivoluzionaria, il modello attivista crede che la pastorale giovanile debba essere permanentemente decostruita e ricostruita. Esso non solo si aspetta il conflitto, ma lo promuove come causa di cambio sociale. Impegnata per la giustizia, tale forma di pastorale giovanile è tuttavia oppositiva, decostruttiva e combattiva delle istituzioni, anche ecclesiali.
    - Il modello profetico di pastorale giovanile, infine, è definito dall’autore come il più olistico, poiché la sua preoccupazione è aiutare i giovani a crescere in modo integrale. Il suo principio guida è la trasformazione. Se il primo modello puntava sulle proposte, il secondo sui bisogni dei giovani, e il terzo sui problemi sociali, questo intende far coprire da Cristo tutti i precedenti aspetti. Per questo, esso è ritenuto “Cristo-centrico”. La pastorale giovanile, quindi, deve annunciare ai giovani il messaggio evangelico e aiutarli a crescere in Cristo; deve anche fornirli di formazione, stimolo personale e supporto emozionale; inoltre, deve agire per rispondere alle situazioni sociali di povertà, discriminazione o violenza che li affliggono.
    Basato su una concezione integrale di liberazione, questo modello si costruire su un triplice impegno: onorare la tradizione cristiana e l’istituzione ecclesiale, collaborare alla crescita spirituale, personale ed emozionale dei giovani, ed essere solidale con i problemi sociali, specialmente dei poveri e marginalizzati. Esso assume il conflitto ma lo porta verso la trasformazione.

    La pastorale giovanile nel cattolicesimo statunitense

    Per le considerazioni che seguono va chiarito che nel mondo cattolico statunitense si devono distinguere fondamentalmente due approcci alla pastorale giovanile: quello più diffuso, vincolato in maggior misura alla youth ministry tradizionale, e quello più recente e meno sviluppato, legato ad esempio alla hispanic youth ministry. Nel primo caso, la pastorale giovanile è intesa come un ministero degli adulti, volontari o rimunerati che siano, verso, con e per i giovani[53]. Nel secondo caso, invece, la pastorale giovanile è intesa come un ministero dei giovani verso i loro coetanei, sicuramente senza un leader pagato[54], e spesso senza neppure la presenza di un leader adulto[55].

    La pastorale giovanile tradizionale

    Per quanto riguarda la pastorale giovanile tradizionale, il docente e pastoralista cattolico Arthur Canales scopre in essa la presenza di otto modelli[56].
    - Secondo il modello amicale, la pastorale giovanile si propone fondamentalmente di favorire lo stabilirsi di rapporti significativi. Essi si concretizzano su tre fronti: vincoli di amicizia con Gesù, il “migliore amico”; vincoli di sana amicizia tra adulti e giovani; e vincoli tra gli stessi giovani. In questo schema, il ruolo dell’adulto è multifunzionale: oltre che come amico, egli serve come catechista, facilitatore, consulente, direttore spirituale e guida.
    - L’obiettivo del modello spirituale è promuovere una spiritualità profonda e stimolare il senso del sacro nei giovani mediante la consapevolezza e la scoperta personale. In questa prospettiva, la pastorale giovanile si propone di insegnare ai giovani a pregare, formando in essi buone abitudini e stili di orazione. A tale scopo, è fondamentale l’offerta di un ministero pastorale liturgico-orante e la creazione di una atmosfera adeguata, mediante esperienze di preghiera, liturgie stimolanti e ritiri di fine settimana.
    - Il modello del servitore-guida è centrato sulla figura dell’animatore come persona empatica con capacità di servizio[57]. Appellando a diverse teorie di leadership e organizzazione[58], l’autore sostiene che la pastorale giovanile se prende cura soprattutto degli animatori, perché solo un tipo di guida come quello descritto sopra sarà capace di portare avanti l’etica del prendersi cura, ossia, avrà la capacità di rispettare gli altri, servire gli altri, essere giusto, essere onesto e costruire comunità.
    - Il modello della liberazione pone l’enfasi sulla risposta umana all’invito di salvezza in Gesù Cristo e nella sua chiamata alla giustizia e alla pace. Secondo l’autore, una pastorale giovanile di liberazione si propone di formare giovani responsabili delle necessità altrui. Essa si realizza quando le nuove generazioni, evangelizzate e catechizzate mediante un processo di coscientizzazione, emancipazione e trasformazione[59], avvertono che la propria realtà non è l’unica esistente nel mondo ed escono incontro agli altri.
    - In modo simile, il modello della giustizia sociale porta la pastorale giovanile a nutrire nei giovani la coscienza sociale e l’impegno per una vita di giustizia e di servizio radicata nella fede in Gesù Cristo, nelle Scritture e negli insegnamenti sociali della chiesa; metterli in condizioni di lavorare concretamente per la giustizia e per il cambio; e infondere i concetti di giustizia, di pace e di dignità umana in ogni intervento pastorale.
    - Il modello biblico-ermeneutico suggerisce alla pastorale giovanile di seguire un processo di esegesi, critica e appropriazione[60]. A questo fine, essa si propone di adottare strategie che permettano ai giovani di accostarsi alla Bibbia, in modo tale che essa “parli” loro e alle loro preoccupazioni.
    - Il modello liturgico-iniziatico si basa sulla struttura del Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti. Secondo questo approccio, la pastorale giovanile si propone come un processo catecumenale in cui la conversione, la comunità, la catechesi e il servizio devono incontrarsi.
    - In modo simile, una pastorale giovanile che segue il modello del discepolato cristiano procura far crescere nei giovani, in modo integrato, otto dimensioni: la conversione, la fede, la moralità, la preghiera, la comunitarietà, la spiritualità, il servizio, e la leadership.
    Come spiega l’autore stesso, i primi sette “modelli” sono in realtà delle letture che rilevano orientamenti parziali presenti nell’azione della comunità ecclesiale verso i giovani. L’ottavo, invece, definito “fondamentale”, è quello che egli presenta come una configurazione completa[61]. Dalla sua proposta deriva che per far crescere nei giovani le sopradette dimensioni sono fondamentali le attività catechistiche. Anzi, una pastorale giovanile efficace si dovrebbe basare, secondo Canales, sulla catechesi giovanile, quasi identificando l’una con l’altra.

    La pastorale giovanile ispana

    Per quanto riguarda invece la pastorale giovanile ispana negli Stati Uniti, essa segue il modello organico della pastorale giovanile latinoamericana[62]. Documenti di riferimento sono Civilización del amor e le Conclusioni degli Incontri Nazionali di Pastorale Giovanile Ispana iniziati nel 2006 e oggi arrivati alla quinta edizione[63].
    Siccome il modello di riferimento è stato già considerato, non ci allunghiamo su di esso. Inoltre, sui pregi e sui limiti dell’attuazione di questo modello nello specifico contesto statunitense, c’è tutta una bibliografia di riferimento che può essere consultata[64].

    Una sosta per domandarci
    - Qual è il modello con cui ci sentiamo più identificati? Avvertiamo nella nostra pastorale giovanile eventuali sbilanciamenti verso proposte di tipo più che altro cherigmatico, spirituale, sociale, o meramente ricreativo?
    - È la nostra una pastorale giovanile capace di connettere la cultura giovanile con la cultura ecclesiale? È la nostra una pastorale giovanile capace di generare cristiani convinti della propria identità e impegnati responsabilmente nella propria comunità ecclesiale? È la nostra una pastorale giovanile efficace in termini di “sostenibilità credente” o piuttosto una pastorale “sponsorizzata” dalla chiesa ma infeconda di termini di discepolato-missionario?
    - In che modo la pastorale giovanile delle nostre comunità è connessa con l’intera comunità ecclesiale? Quali sono i ruoli che in essa giocano gli adulti (modelli di vita, guide spirituali, insegnanti, consiglieri, autorità, datori di permessi)? Quali sono i ruoli che giocano gli stessi giovani nella pastorale giovanile (guide, operatori corresponsabili, usufruttari di spazi)?
    - Verso quale dei modelli proposti ci si potrebbe avviare per migliorare la propria azione pastorale?


    5. Agli estremi confini: alcune riflessioni in ambito oceanico

    Non c’è un unico modello [di pastorale giovanile] che possa essere “applicato” a ogni comunità […] È importante avere, tuttavia, una visione chiara e una strategia per tradurla nella pratica[65].

    1. Seguendo la tipologia elaborata dal teologo americano Arthur Canales, prima presentata, e sulla base di una ricerca qualitativa interdenominazionale, alcuni autori della regione di Victoria, in Australia, hanno concluso che in quel contesto sono presenti in modo preminente quattro modelli di pastorale giovanile: il modello del discepolato cristiano, il modello amicale, il modello della giustizia sociale e il modello liturgico-iniziatico[66]. Come si avverte, costoro non hanno fatto una nuova proposta ma hanno utilizzato soltanto un elenco già esistente. D’accordo con le ricerche, il modello del discepolato è fondamentale nello sviluppo delle proposte di pastorale giovanile; da questa prospettiva, i giovani sono trattati come “studenti” che, negli incontri di gruppo, seguono le istruzioni di quelli più avanzati nella fede. Il modello amicale, più presente nelle comunità protestanti, fonda i rapporti tra i giovani e gli adulti nell’amicizia, a scapito però dell’autorità. Nel modello della giustizia sociale il centro delle proposte non si trova nella evangelizzazione né nella appartenenza ecclesiale ma nel lavoro tra gli svantaggiati, anche in collegamento con organizzazioni di volontariato. Il modello liturgico-iniziatico, infine, più noto negli ambienti cattolici e anglicani, è centrato sui sacramenti e sulla liturgia.
    Gli autori concludono che «i modelli che hanno avuto successo nella loro attualizzazione sono stati quelli utilizzati dinamicamente, piuttosto che in modo statico, secondo le circostanze in cui i giovani contemporanei si trovavano».

    2. Nella sua proposta di una pastorale giovanile evangelizzatrice[67], il sacerdote cattolico Christopher Ryan, seguendo le indicazioni di Consacrati e inviati[68], riconosce che la sfida della pastorale giovanile è preparare i giovani a vivere da discepoli di Gesù.
    Quando i giovani provengono da famiglie cattoliche praticanti, il cammino è agevolato. In questo caso, è anche possibile raggiungere e coinvolgere i genitori nella pastorale giovanile.
    Tale scenario diventa però sempre più raro. Per raggiungere gli scopi della pastorale giovanile, egli ipotizza perciò un itinerario che nella sua comprensione e nel suo sviluppo potrebbe essere definito catecumenale. In esso è fondamentale, in primo luogo, l’esistenza di comunità ospitali e inclusive, oltre che dotate di un ethos in cui la fede si esprime in modo vitale. Il motivo lo si trova nel fatto che l’appartenenza precede il credere: quando i giovani sentono che appartengono – da qui l’importanza dell’accoglienza –, allora possono giungere a credere in quel Signore che è il centro della fede della comunità ospitale – da qui l’importanza della qualità della fede dei suoi membri –. Quando il desiderio è già emerso, diventa indispensabile la proclamazione esplicita. Infatti, non si può presumere che i giovani abbiano udito la proclamazione iniziale del Vangelo, anche quando sono presenti nelle parrocchie o hanno frequentato una scuola cattolica. Infine, alla risposta di fede, subentreranno la catechesi, la cura pastorale e la missione.

    3. Anche la laica cattolica Teresa Pirola fa suo il modello familiare di pastorale giovanile, presentandolo tuttavia così come è stato concepito e sviluppato dal movimento Antiochia[69]. Questo modello, che «usa la prospettiva familiare e il carisma delle coppie sposate»[70], prevede la presenza normativa di una coppia genitoriale nella vita e nella leadership di ogni comunità giovanile. In questo modo, e senza svalutare il contributo di altri ministeri, esso vuole responsabilizzare espressamente nella sua visione e nelle sue strategie il carisma della coppia sposata e della chiesa domestica.
    I pregi del modello sono rilevanti: garantisce una migliore interconnessione tra la comunità parrocchiale e le case; il rapporto intergenerazionale aiuta a prevenire che il gruppo giovanile diventi un ghetto; i genitori si presentano come esempi concreti di vocazione matrimoniale compiuta; l’interconnessione tra la pastorale familiare e la pastorale giovanile viene favorita. Non si possono negare, tuttavia, alcuni limiti: anzitutto, l’emergenza di “coppie genitoriali” preparate; la morfogenesi attuale delle famiglie; i crescenti impegni lavorativi delle coppie, purché disponibili; i nuovi protocolli ufficiali per il lavoro con i minori nati in diversi paesi in seguito ai casi di abusi.

    Una sosta per domandarci
    - Quali sarebbero le implicanze, per le nostre comunità e per la nostra pastorale giovanile, di una proposta di tipo catecumenale? Como si potrebbero costituire queste comunità con una cultura in cui la fede si esprime in un modo vivo?
    - Che cosa si potrebbe guadagnare da un modello di pastorale giovanile familiare? Quali sarebbero gli ostacoli per metterla in atto? Che conversioni chiederebbero al nostro solito modo di procedere?


    6. Rilievi conclusivi

    La pastorale giovanile è un campo di pratica e di studio con molteplici orientamenti. Come abbiamo appena visto, le voci e le prospettive sui presupposti e le caratteristiche che essa possiede o dovrebbe avere sono abbondanti. Anche i modelli, perciò, sono molto vari e sempre in rielaborazione, offrendo ognuno di essi considerazioni che possono trovarci consenzienti o meno. Ancora una volta, i paragrafi precedenti hanno voluto offrire soltanto una visione generale di alcune delle principali letture presenti nell’attuale riflessione; “in giro” però ce ne sono molte altre, e sollecitano ogni lettore a continuare ad approfondire, discutere, valutare, in modo da essere in permanente conversione pastorale.

    NOTE

    [1] M. Yaconelli, The failure of youth ministry, in «Youthworker Journal» 20 (2003) 3, 11.
    [2] Certe volte, un modello è chiamato “paradigma”, la cui definizione è offerta da T. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino, Einaudi, 2009, 10. Entrambi i concetti si usano con una certa scambiabilità. Tuttavia, un modello si converte in un paradigma quando è utilizzato prevalentemente per spiegare una realtà o diviene normativo. Per una semplice rivisitazione del concetto con riferimento al “campo religioso”, cf. M. Olivera, Cambio de paradigma. Una relectura teológica de T. S. Kuhn, in «Misión joven» 37/243 (1997) 3, 25-48.
    [3] Cf. M. Midali, Una pastorale giovanile per comunicare oggi la fede, in «Note di pastorale giovanile» 40 (2006) 7, 14-28: 18-19.
    [4] Cf. R. Tonelli, Questioni aperte di pastorale giovanile, in «Note di pastorale giovanile» 42 (2008) 1, 22-28. Il tema è stato riproposto in R. Tonelli, El desafío de los modelos, in «Misión joven» 49/390-391 (2009) 6, 11-16.
    [5] Cf. R. Tonelli – S. Pinna, Una pastorale giovanile per la vita e la speranza. Radicati sul cammino percorso per guardare meglio verso il futuro, Roma, LAS, 2011, 47.
    [6] B. Seveso, Che cosa s’intende per pastorale giovanile?, in Istituto Redemptor Hominis (Ed.), Sei domande di pastorale giovanile, Città del Vaticano, LUP, 2012, 11-30: 29. I corsivi sono miei.
    [7] A. Dulles, Modelli di chiesa, Padova, Messaggero, 2005, 10.
    [8] Cf. Ibid., 12.
    [9] Cf. Ibid., 31.
    [10] Francesco, Evangelii gaudium. Esortazione apostolica sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, Roma, 24 novembre 2013, n. 105, in «AAS» 105 (2013) 12, 1019-1137: 1064.
    [11] S. Currò, Il giovane al centro. Prospettive di rinnovamento della pastorale giovanile, Milano, Paoline, 1999, 18.
    [12] R. Tonelli, Questioni aperte di pastorale giovanile, 23.
    [13] Cf. R. Tonelli, Pastorale giovanile oggi. Ricerca teologica e orientamenti metodologici, Roma, LAS, 1977. Nel 1979 è uscita una seconda edizione, completamente riveduta.
    [14] Cf. G. Gozzelino, Un progetto di pastorale giovanile per gli operatori del nostro tempo, in «Note di pastorale giovanile» 12 (1978) 5, 17-22.
    [15] R. Tonelli, Pastorale giovanile (modelli), in M. Midali – R. Tonelli (Edd.), Dizionario di pastorale giovanile, Leumann, LDC, 1989, 687-694.
    [16] R. Tonelli, Ripensando quarant’anni di servizio alla pastorale giovanile, in «Note di pastorale giovanile» 43 (2009) 5, 11-65: 39.
    [17] Cf. R. Tonelli – S. Pinna, Una pastorale giovanile per la vita e la speranza, 67-69.
    [18] Cf. J. L. Moral, Presente e futuro della pastorale giovanile, in «Salesianum» 77 (2015) 4, 633-672: 634, nota 4.
    [19] Cf. Benché non parli espressamente dei modelli, la proposta del suo modello la si trova meglio sviluppata in: R. Tonelli, Per la vita e la speranza. Un progetto di pastorale giovanile, Roma, LAS, 1996. Il tema è stato poi ripreso sinteticamente nell’intervista in occasione dei quarant’anni del suo servizio alla pastorale giovanile e precedentemente citata.
    [20] Cf. D. Sigalini, Il prete e i giovani, Assisi, Cittadella, 2009, 52-75.
    [21] Progredendo nella riflessione, Sigalini torna sui precedenti modelli intrecciandoli e riproponendoli ancora con diversi nomi.
    [22] O. Elizalde Prada, Opciones pedagógicas de la pastoral, in «Revista de la Universidad de La Salle» 54 (2011) 1, 213-227: 217.
    [23] Per la versione italiana, cf. P. Vanzan (Ed.), Enchiridion dei documenti della chiesa latinoamericana, Bologna, EMI, 1995, 177-183.
    [24] Cf. C. Pastore, Il cammino della pastorale giovanile latinoamericana, in C. Bissoli – C. Pastore (Edd.), Fare pastorale giovanile oggi, Miscellanea in onore di don Riccardo Tonelli, Roma, LAS, 2014, 297-323.
    [25] Cf. H. Dick, Resgate histórico da pastoral juvenil latino-americana. Visão sintética, in “Medellín” 36/144 (2010) 4, 451-462.
    [26] Del testo si devono individuare tre successive versioni: SEJ – CELAM, Pastoral juvenil, sí a la Civilización del amor, Bogotá, CELAM, 1987; SEJ – CELAM, Civilización del amor. Tarea y esperanza. Orientaciones para una pastoral juvenil latinoamericana, Bogotá, CELAM, 1995; SEJ – CELAM, Civilización del amor. Proyecto y misión. Orientaciones para una pastoral juvenil latinoamericana, Bogotá, CELAM, 22013.
    [27] Cf. J. González Ramírez, La pastoral juvenil: principios teológico-pastorales y orientaciones metodológicas, in «Medellín» 24/94 (1998) 2, 247-266; P. Castilleja de León, El modelo de la pastoral juvenil latinoamericana, in «Medellín» 36/144 (2010) 4, 463-486.
    [28] J. A. Vela, La Iglesia latinoamericana y la pastoral juvenil, in P. Hünermann – M Eckholt (Edd.), La juventud latinoamericana en los procesos de globalización. Opción por los jóvenes, Buenos Aires, FLACSO – Eudeba, 1998, 297-321: 315.
    [29] Cf. I. Giraldo Pérez, Un modelo de pastoral juvenil para América Latina, in «Cuestiones teológicas» 15/41 (1988), 49-111.
    [30] Cf. A. Santillán, Los modelos de pastoral juvenil: un mapa para acertar con el asesor, citato da M. Garriga González, El principio misericordia y la pastoral juvenil en la posmodernidad, in «Revista iberoamericana de teología» 5 (2009) 8, 59-85: 69.
    [31] Cf. I. A. Fresia, Jóvenes errantes y declive de la pastoral. Hacia nuevas perspectivas de pastoral con jóvenes, Buenos Aires, Parmenia, 2016. Tuttavia, come si spiega nella introduzione, «questo contributo non è un libro di teologia pastorale; è un avvicinamento alle sfide pastorali dalle scienze social e gli studi sulle gioventù» (13).
    [32] S. Movilla López, Nuevas formas y estilos de los procesos de pastoral con jóvenes, in «Todos uno» 167 (2006) 3, 21-33. In modo simile sembra esprimersi J. Vela, El paradigma de la acción pastoral en el trabajo con los jóvenes, in «Concilium» 323 (2007) 5, 103-114. Per un riscontro critico: V. Zueco, Discípulos y misioneros. Desafíos de la pastoral juvenil y vocacional ante la V Conferencia General del Episcopado Latinoamericano, in «Seminarios» 53/184 (2007) 2, 157-179: 162-163.
    [33] Cf. P. Ward, Liquid church, Eugene, Wipf and Stock Publishers, 2013.
    [34] Cf. T. Neufeld, Postmodern models of youth ministry, in «Direction» 31 (2002) 2, 194-205: 204.
    [35] T. East, Models for effective youth ministry, in T. East (Ed.), Leadership for Catholic youth ministry. A comprehensive resource, New London, Twenty-Third Publications, 2009, 99-121: 99.
    [36] Il termine “protestante” include in questo caso le comunità cristiane storiche, gli evangelici, i pentecostali e anche i cristiani che non si identificano con alcuna denominazione.
    [37] M. Senter, The coming revolution in youth ministry, Wheaton, Victor, 1992, 83-152. Un aggiornamento del tema è stato offerto successivamente in: M. Senter, A historical framework for doing youth ministry, in R. Dunn – M. Senter (Edd.), Reaching a generation for Christ. A comprehensive guide to youth ministry, Chicago, Moody Publishers, 1997, 105-117; M. Senter, When God shows up. A history of Protestant youth ministry in America, Grand Rapids, Baker Academic, 2010.
    [38] A. Simpson (Ed.), New directions for youth ministry, Loveland, Group, 1998.
    [39] D. Fields, Purpose-driven youth ministry. 9 essential foundations for healthy growth, Grand Rapids, Zondervan, 1998.
    [40] T. Jones, Postmodern youth ministry. Exploring cultural shift. Cultivating authentic community. Creating holistic connections, Grand Rapids, Zondervan, 2001.
    [41] M. Senter (Ed.), Four views of youth ministry and the church. Inclusive congregational, preparatory, missional, strategic, Grand Rapids, Baker Academic, 2001.
    [42] L’autore riprende le idee già espresse in: M. Nel, Youth ministry: An inclusive congregational approach, Pretoria, Malan Nel, 2000.
    [43] Tra altri libri dell’autore si può vedere: W. Black, Introduction to youth ministry, Nashville, Broadman & Holman, 1998.
    [44] Su questo autore torneremo più avanti. Tra altri suoi libri, si possono consultare: C. Clark – K. Powell, Deep ministry in a shallow world. Not-so-secret findings about youth ministry, Grand Rapids, Zondervan, 2006; C. Clark, Hurt 2.0. Inside the world of today’s teenagers, Grand Rapids, Baker Academic, 2011.
    [45] Cf. C. Clark (Ed.), Youth ministry in the 21st century. Five views, Grand Rapids, Baker Academic, 2015.
    [46] Tra altri libri dell’autore si possono consultare: G. Stier, Outbreak! Creating a contagious youth ministry through viral evangelism, Chicago, Moody Press, 2006; G. Stier, Gospelize your youth ministry. A spicy “new” philosophy of ministry (that’s 2000 years old), Arvada, D2S Publishing, 2015.
    [47] Il nome indica che questa visione si fonda sulla dottrina teologica esposta dai riformatori protestanti, e da quelli che vennero dopo, nei secoli XVI e XVII. La proposta dell’autore si trova sviluppata in: B. Cosby, Giving up gimmicks. Reclaiming youth ministry from an entertainment culture, Phillipsburg, P & R Publishing, 2012.
    [48] La prospettiva e la proposta sono state ampiamente sviluppate nell’opera in collaborazione: C. Clark (Ed.), Adoptive youth ministry. Integrating emerging generations into the family of faith, Grand Rapids, Baker Academic, 2016.
    [49] Per questo si può vedere anche D. Kinnaman, You lost me. Why young Christians are leaving Church. And rethinking faith, Grand Rapids, Baker Academic, 2011.
    [50] Queste idee si trovano sviluppate in: R. Hunter, The DNA of D6. Building blocks of generational discipleship, Nashville, Randall House, 2015.
    [51] Per approfondire questo tema: M. DeVries, Family-based youth ministry, Downers Grove, IVP, 22004; M. Strommen – D. Hardel, Passing on the faith. A radical model for youth and family ministry, Winona, Saint Mary’s Press, 2008.
    [52] La presentazione più ampia e articolata della proposta dell’autore si trova in: F. Arzola, Toward a prophetic youth ministry. Theory and praxis in urban context, Downers Grove, IVP, 2008.
    [53] Benché si parla di youth ministry, il soggetto di riferimento è l’adolescente: cf. National Conference of Catholic Bishops – Bishops’ Committee on the Laity, Renewing the vision. A framework for Catholic youth ministry, Washington, USCCB Publishing, 1997. Quando ci si riferisce invece ai giovani veri e propri, si usa piuttosto il termine youth adult ministry. Per queste differenziazioni, cf. K. Johnson-Mondragón, Pastoral juvenil hispana, youth ministry, and youth adult ministry. An updated perspective on three different pastoral realities, Stockton, Instituto Fe y Vida, 2007, 1.
    [54] Si deve riconoscere comunque l’emergere di una tendenza alla remunerazione. Cf. Ch. McCorquodale, The emergency of lay ecclesial youth ministry as a profession within the Roman Catholic Church, Baton Rouge, Louisiana State University, 2001.
    [55] Cf. K. Johnson-Mondragón, La pastoral juvenil hispana en EUA. Forjando una iglesia renovada en el siglo XXI al construir puentes entre el ministerio hispano y la cultura dominante, Stockton, Instituto Fe y Vida, 2010, 6. Anche in questo caso, destinatari della Hispanic youth ministry sono gli adolescenti; altrimenti, si parla di Hispanic young adult ministry.
    [56] Una presentazione sintetica della sua visione la si trova in: A. Canales, Models for adolescent ministry. Exploring eight ecumenical examples, in «Religious education» 101 (2006) 1, 204-232. L’autore chiarisce tuttavia che ogni approccio può essere rintracciato nella prassi delle varie comunità ecclesiali, a prescindere dal fatto di essere cattoliche o protestanti.
    [57] Questa lettura in particolare è approfondita dall’autore in: A. Canales, Models of Christian leadership in youth ministry, in «Religious education» 109 (2014) 1, 24-44; A. Canales, Servant-leadership: A model for youth ministry, in «Journal of youth and theology» 13 (2015) 1, 42-62. Come riferimento generale, si può vedere anche: R. Greenleaf, The servant-leader within. A transformative path, edito da H. Beazley, J. Beggs e L. Spears, New York, Paulist Press, 2003.
    [58] Cf. P. G. Northouse, Leadership. Theory and practice, Thousand Oaks, Sage, 72016.
    [59] Per questa lettura in particolare, cf. A. Canales, Reaping what we sow. Addressing Catholic Hispanic youth ministry in the United States of America (Part 2), in «Apuntes» 25 (2005) 2, 44-74: specie 66-67.
    [60] Questo approccio è studiato dall’autore in: A. Canales, The biblical-hermeneutical model for youth ministry: Four scriptural and pedagogical approaches for youth workers, in «The Bible today» 51 (2013) 4, 237-247
    [61] Esso è approfondito in: A. Canales, Christian discipleship: The primordial model for comprehensive Catholic youth ministry, in «Journal of religious education» 60 (2012) 3, 35-45.
    [62] Cf. C. Cervantes – K. Johnson-Mondragón, Pastoral juvenil hispana, youth ministry y young adult ministry, Stockton, Instituto Fe y Vida, 2008, 3.
    [63] Cf. National Catholic Network de Pastoral Juvenil Hispana, First National encounter for Hispanic youth and young adult ministry (PENPJH): Conclusions, Washington, La Red, 2007.
    [64] Cf. ad esempio K. Johnson-Mondragón, The status of Hispanic youth and young adult ministry in the United States. Vol 1: A preliminary study, Stockton, Instituto Fe y Vida, 2002; A. Canales, A reality check. Addressing Catholic Hispanic youth ministry in the United States of America (Part 1), in «Apuntes» 25 (2005) 1, 4-23; A. Canales, Reaping what we sow. Addressing Catholic Hispanic youth ministry in the United States of America (Part 2), in «Apuntes» 25 (2005) 2, 44-74; A. Aguilera-Titus, Ministry with youth in a cultural diverse Church, in T. East (Ed.), Leadership for Catholic youth ministry. A comprehensive resource, 71-98.
    [65] Cf. C. Fini, Empowering young people. A vision for Catholic youth ministry, Mulgrave, Garratt Publishing, 2012, 23.
    [66] R. Webber et al., Models of youth ministry in action. The dynamics of Christian youth ministry in an Australian city, in «Religious education» 105 (2010) 2, 204-215: 213.
    [67] C. Ryan, Towards an evangelising youth ministry, in C. Fini – C. Ryan (Edd.), Australian Catholic youth ministry. Theological and pastoral foundations for faithful ministry, Mulgrave, Garratt Publishing, 2014, 53-75.
    [68] Bishops Commission for Pastoral Life of the Australian Catholic Bishops Conference, Anointed and sent. An Australian vision for Catholic youth ministry, Canberra, ACBC, 2009.
    [69] Movimento giovanile cattolico nato nel 1974 tra gli universitari di Sydney, dalla iniziativa di un matrimonio appartenente ai Cursillos. Antiochia è presente in Australia, Papua Nuova Guinea, le isole Figi, Zimbabwe, Sudafrica, Malesia, Singapore, Indonesia, Nuova Zelanda, Filippine, Ungheria, Slovacchia. Esiste anche una versione anglicana denominata Emmaus.
    [70] T. Pirola, Insights from the Antioch youth movement in Australia, in C. Fini – C. Ryan (Edd.), Australian Catholic youth ministry. Theological and pastoral foundations for faithful ministry, 289-307: 290.


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