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    La voce ai protagonisti (al Sinodo dei giovani)



    (NPG 2017-02-16)

    Una "rivoluzione" gentile
    Gioele Anni *

    Se il rapporto tra la Chiesa e i giovani di oggi fosse una canzone, potrebbe essere un brano recente di Jovanotti: Pieno di vita. Un pezzo vivace che parla di contraddizioni e sorrisi, di gioia che brilla anche tra le difficoltà. In questo tempo di grazia, in cui Papa Francesco ha deciso di regalare al mondo un Sinodo sui giovani, noi che oggi abbiamo tra i 20 e i 30 anni ci sentiamo immersi in un fermento che genera interesse e speranza. Certo, nella relazione tra Chiesa e giovani ci sono anche fatiche e incomprensioni. E magari qualcuno, d’istinto, può sentire che le ombre oscurano la luce delle cose belle. Ma guardandoci intorno, si vedono i segni di una novità che sta germogliando. Negli ultimi anni la Chiesa si sta interrogando profondamente, e i giovani lo percepiscono. È in atto una “rivoluzione gentile” che, in contrasto con un mondo scosso da fatti traumatici, passa invece da gesti semplici e parole buone. L’Anno santo della Misericordia è stato un segno evidente di questo processo: in ogni angolo del pianeta le opere del Giubileo hanno toccato le vite di tante ragazze e ragazzi, mostrando che sempre più la trasmissione della fede passa per esperienze di vera e profonda umanità. E poi, le parole. Se scorriamo per esempio i titoli dei documenti di papa Francesco, oltre al testo scritto in continuità con Benedetto sulla “luminosità” della fede (Lumen fidei), troviamo sempre in primo piano termini positivi che comunicano entusiasmo: la “gioia” del Vangelo (Evangelii Gaudium), la “lode” per il creato (Laudato si’), la “felicità” dell’amore (Amoris laetitia). Insomma la Chiesa riesce ancora, e con rinnovata forza, a “benedire”: a “dire bene”, appunto, della vita, a far risuonare una gioia a volte un po’ nascosta nella vita delle nostre comunità. Una Chiesa che benedice, che vive e mette al primo posto le esperienze della misericordia e della gioia, è una Chiesa che dialoga coi giovani.

    Una riduzione del "pregiudizio"

    Così, in questo contesto, sembra possibile superare quella sorta di pregiudizio verso la Chiesa che ultimamente ha tenuto molti giovani lontani dagli ambienti ecclesiali. Sarebbe interessante ragionare su come questo pregiudizio si sia formato nel tempo: eventi fortemente minoritari come scandali o casi di mala gestione dei beni, spesso cavalcati ad arte dai media, hanno contribuito a “danneggiare” l’immagine della Chiesa tra i giovani. Oltre a questo, in generale, uno spostamento culturale del mondo occidentale ha contribuito a creare distanza. Ma ora la barriera del pregiudizio si sta riducendo, anche grazie ai gesti e alle parole di cui dicevamo prima. Ed è qui che si crea lo spazio d’interesse e speranza, che avvicina anche i cosiddetti “lontani”. Uno spazio possibile grazie alla combinazione di due fattori, uno strutturale dell’esperienza umana e l’altro specifico di questo tempo. Il primo: la distanza di molti giovani dalla Chiesa, intesa come istituzione, non equivale a una lontananza dalla fede. La domanda di senso è viva nei giovani di oggi, come nelle donne e negli uomini di ogni tempo. Cambiano le forme d’inculturazione della fede, vengono meno (soprattutto nelle città) alcuni spazi di ritrovo comunitario, e per questo si parla di generazione del “Dio a modo mio”. Ma non viene meno quel percorso che in fondo accomuna tutti, anche chi ha un cammino di fede più solido alle spalle: la ricerca dell’Infinito nelle nostre vite, e il tentativo di trovare e lasciare impronte di bene nella quotidianità. E poi, il secondo fattore: la condizione dei giovani oggi è segnata da un tempo di crisi, dalla precarietà lavorativa e abitativa che diventa esistenziale. In un mondo che ci sembra andare troppo veloce, sentiamo il bisogno di recuperare tempi e occasioni di vita spirituale. Immersi in logiche ipercompetitive, riscopriamo l’importanza di valori positivi come l’incontro, la condivisione, la solidarietà. Per tutto questo sentiamo che la Chiesa, con la proposta di un Sinodo su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, intercetta e genera fermento. Per tutto questo, la stagione che si apre è “piena di vita”.

    Un'esigenza, una paura, un desiderio

    Che cosa incontra, dunque, la Chiesa che apre le sue porte ai giovani nel cammino verso il Sinodo? Cosa portano nel cuore le ragazze e i ragazzi che accettano di mettersi in dialogo? Potremmo provare a riassumere individuando tre istanze profonde: i giovani portano alla Chiesa un’esigenza, una paura e un desiderio. Ciascuna di queste istanze va letta e accompagnata, perché le risposte non siano superficiali ma ben radicate.
    L’esigenza dei giovani nei confronti della Chiesa (tutta la Chiesa! sacerdoti e religiosi, ma anche laici e persone impegnate a vario titolo) è quella di coerenza e autenticità. A tutti coloro che si propongono come guide, i giovani chiedono rispetto, ascolto e trasparenza. Nei confronti della Chiesa la domanda di coerenza è ancora più forte, perché accompagnata dalla motivazione di fede che anima chi ne fa parte. Chiedere coerenza non significa che non siano ammessi errori. I giovani sono disposti a perdonare, nel momento in cui chi sbaglia ha agito nella verità e sa ammettere i propri passi falsi. Un rapporto coerente mette in pratica quella “gioia del Vangelo” che la Chiesa annuncia, e non si nasconde dietro maschere di tristezza. Un rapporto coerente riconosce le fragilità di ogni uomo e donna, per condividerle nel percorso comune della vita.
    La paura che i giovani consegnano alla riflessione della Chiesa, oggi, è quella del fallimento. L’età giovanile vibra di entusiasmo, che non viene meno. Ma oggi, soprattutto per noi occidentali, la prospettiva di non riuscire a realizzarsi è uno spettro incombente. Ce lo dicono i dati di un sistema economico in crisi. Ma lo vediamo soprattutto nelle storie di tanti di noi, costretti a partire per la mancanza di opportunità, o fermi nel limbo tra lavori precari e percorsi di studio senza sbocchi. Questa insicurezza fa parte del bagaglio che i giovani portano con sé, è normale. Chi si vuole porre in ascolto dei giovani ha il compito di accoglierla, senza giudicarla. Spesso i percorsi personali non realizzati nascondono ferite profonde, con cui è difficile fare pace. La Chiesa oggi può prima di tutto accompagnare queste fragilità dei giovani, e offrire uno sguardo nuovo, che non è imposto ma condiviso, e aiuta a crescere.
    Infine, il desiderio che anima molti giovani è quello del servizio. L’Anno della Misericordia, come si diceva, ha fatto emergere molte disponibilità al volontariato. Ma ormai da tempo i giovani sono attivi nel sociale: i progetti di accoglienza e inclusione dei migranti, per esempio, vedono il coinvolgimento fondamentale di tanti ragazzi, credenti o laici; così come spazi di attività sono l’aiuto alle povertà e alle disabilità, o l’impegno educativo negli oratori e nei centri estivi. Il servizio nasce magari da una generica intenzione di mettersi a disposizione degli altri per quello che ciascuno può dare. E molte volte, le esperienze di servizio hanno un impatto inatteso sulla vita dei giovani. Perché il contatto con le fragilità e le fatiche degli altri aiuta a dare un nome alle proprie fragilità. Nel servizio scopri chi sei, senti il peso delle tue debolezze e la bellezza di quello, poco o tanto che sia, che metti in gioco. L’esperienza del servizio aiuta a vincere anche la paura del fallimento, perché ci si scopre in profondità e s’impara ad accettarsi. Molti giovani stanno sperimentando la gioia del servizio: su questo desiderio, la Chiesa può contare.
    Aspettativa di coerenza, paura di fallimento, desiderio di servizio. È solo un tentativo di sintesi: nel mondo giovanile c’è tanto altro. Il bello di questo percorso verso il Sinodo sarà proprio far emergere tutta questa ricchezza. Il punto di partenza è quello maturato dalla Pastorale giovanile, ma anche dalle associazioni e dai movimenti, ormai da tempo: non proporre esperienze PER giovani, ma vivere CON loro, anzi con noi, questo tempo, i suoi interrogativi e le sue opportunità. E sarà un percorso “pieno di vita”.

    * Segretario nazionale del Movimento studenti di Azione Cattolica


    Attese e speranze
    Margherita Anselmi *

    “Scrivo a voi giovani perché siete forti e la parola di Dio rimane in voi e avete vinto il Maligno” (1Gv 2,14).
    In questo difficile momento storico, il Santo Padre, così come l’Evangelista Giovanni, vuole porre al centro della riflessione della Chiesa i giovani, indicendo un Sinodo dal tema: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Papa Francesco, in questo modo, vuol farci riflettere su come scoprire il progetto di Dio nella vita di ciascuno e sull’accompagnamento spirituale dei giovani. Tale argomento, tuttavia, vuole interrogare non solo la Chiesa, ma la società tutta, svegliando in particolare le coscienze degli adulti, perché si pongano in modo critico nei confronti delle prospettive dei giovani e delle loro scelte, interpellando “i padri” sul futuro dei “figli”.
    Il Sinodo, per rispondere a questa esigenza intende cambiare la prospettiva tradizionale, rendendo i giovani protagonisti di una riflessione che ci riguarda.

    «Mi prendo cura di te»

    In tal senso, la Chiesa invia al giovane il messaggio: “mi voglio prendere cura di te perché sei importante”! E la sua attenzione non si limita ai giovani delle nostre parrocchie, ma anche ai giovani lontani e di altre confessioni e religioni.
    Il senso della vocazione è ampio, è legato al progetto di Dio su ogni uomo, alla lettura della vita come sacra, unica e vocata alla santità. Pertanto, ogni giovane, nella sua complessità, è valorizzato come unico e indispensabile al progresso e alla crescita dell’umanità tutta.
    È arduo definire oggi chi siano i giovani: la loro condizione infatti varia da Paese a Paese e ciò solleva molteplici questioni: dall’orientamento scolastico al lavoro, dall’affettività all’amore, dal sacerdozio alla vita consacrata, alla famiglia.
    Al centro della riflessione sono i giovani, protagonisti nei vari ambiti della vita: l’attenzione si concentra su di loro, sul loro ruolo e sul ruolo della Comunità nel loro accompagnamento, nell’indirizzo di crescita e nell’orientamento delle scelte. Sarà estremamente importante porre l’accento soprattutto sulla cura degli adulti nei confronti dei ragazzi in difficoltà: quelli che affrontano le prime delusioni, che si assumono le prime vere responsabilità. Sarà dunque importante riscoprire il ruolo degli adulti nella relazione educativa e di testimonianza: la Chiesa tutta dovrà interrogarsi su come essere esempio!
    In un’ottica educativa, sia nella relazione tra pari, sia nella prospettiva della comunità educante, è fondamentale far riscoprire la Chiesa come unico corpo universale, dove tutti siano responsabili di tutti, oltre gli stessi confini nazionali. Una Chiesa autenticamente cattolica, nella quale i giovani trovino spazio e respiro, dove possano imparare a crescere e, sentendosi amati, amino. Oggi, la “crisi” è termine abusato, il motto diffuso sembra essere “mai una gioia”, occorre quindi aprire le porte alla speranza! I giovani sofferenti, i nuovi ultimi, silenziosi e invisibili, non fanno rumore, non riempiono le pagine dei quotidiani e con difficoltà vanno avanti: il papa è attento e in ascolto della loro voce nel deserto, del grido sommesso di chi chiede aiuto e talvolta, anche inconsapevolmente, fa fatica a trovare il suo spazio nel mondo.
    La difficoltà di molti giovani a trovare il proprio posto spesso li lascia relegati in un angolo a guardare, trasformati il più delle volte in neet: non studiano, non lavorano e non si attivano; accanto a questi molti altri vanno avanti a fatica e spesso sono costretti a emigrare verso Paesi dove sembra intravedersi un futuro migliore.
    Questi giovani in particolare, espropriati della loro gioventù, sono posti dalla Chiesa al centro della propria attenzione, come protagonisti per una riflessione di ampio respiro, perché ugualmente importante è il tema del discernimento, della vocazione, della comprensione del progetto di Dio per l’uomo per la sua realizzazione.
    Il Sinodo sarà l’occasione in cui la Chiesa parlerà di giovani, perciò sarà determinante spogliarsi dei luoghi comuni per ascoltare la loro realtà e le loro storie. La vera sinodalità sarà nel raccogliere dal basso le loro esigenze e vedere la realtà nelle sue mille sfaccettature. I giovani potranno essere realmente protagonisti se tutti faranno lo sforzo di porsi in ascolto e in dialogo con loro senza presunzioni. Altro importante passaggio è perciò far conoscere la riflessione sinodale della Chiesa ai giovani, affinché si sentano interpellati, ascoltati e realmente protagonisti.
    I molti giovani che quotidianamente si impegnano nell’annuncio del Vangelo dovranno trovare in questa attenzione della Chiesa un sostegno e una spinta propulsiva.
    Chi già si adopera nelle Chiese particolari dovrà intravedere in questo Sinodo la valorizzazione della propria attività e la cura nell’accompagnamento. I giovani dovranno accrescere la loro fede ed essere sostenuti nel loro percorso.

    L'attenzione alla giovane donna

    Molto importante sarà anche il riconoscimento e la valorizzazione del servizio e del ruolo della donna giovane nella Chiesa, come evangelizzatrice e come testimone per la costruzione e la tutela della famiglia nella società. Un ruolo discreto, ma estremamente rilevante, un’evangelizzazione, come quella di Maria, che passa anche attraverso il silenzio e la quotidianità. Un protagonismo femminile ispirato a una fede docile ma coraggiosa, creativa e portatrice di allegria e di rinascita.
    Durante le Giornate Mondiali della Gioventù i giovani, provenienti da tutto il mondo e riuniti insieme per incontrare Cristo, sono stati protagonisti di un evento straordinario; il Sinodo, invece, vuole porre i giovani come protagonisti anche nella quotidianità della Chiesa. Con grande trepidazione i giovani attendono che la Parola del Papa sia parola di vicinanza e di conforto; è importante non disattendere tali aspettative di ascolto e presa in carico che la Chiesa ha assunto come impegno in un Sinodo che vuole parlare ai giovani di fede e discernimento.
    Tutti i giovani, nessuno escluso, dovranno essere “accuditi”, soprattutto le giovani donne, alle quali la riflessione sinodale dovrà riservare maggiore attenzione e fiducia, un maggiore interesse per incontrarle e conoscerle nella loro specificità e ricchezza. In tal senso, credo sia assolutamente importante riscoprire il valore della maternità spirituale, il significato del ruolo educativo svolto dalla donna nell’ambito della famiglia e della società. Ritengo che il reale protagonismo delle giovani donne debba essere interpretato dalla Chiesa in termini di conciliazione tra lavoro-famiglia, promuovendo una cultura di reale libertà evangelica dove il sì della donna alla sua vocazione sia veramente condiviso e accolto.
    Un Dio che si fa uomo per incontrarci insegna che la relazione è alla base di ogni rapporto e che l’amore si può sviluppare conoscendo e stando accanto. Occorre riscoprire questi valori, far comprendere ai giovani che la loro vita è cara alla Chiesa di Dio e che la loro felicità è obiettivo di chi li ama. “Sentinelle del mattino” ci ha definito san Giovanni Paolo II durante la Veglia della GMG di Roma, giovani impegnati, attivi, entusiasti, amanti della vita nonostante le difficoltà; ma per sostenere tutto questo è non importante, ma necessario che la Chiesa tutta sia vicina alle “Sentinelle”, che riempia le sacche vuote non sostituendosi, ma camminando accanto.
    Comprendere il ruolo di adulti e giovani nel percorso di discernimento, evangelizzazione e fede è comprendere come far crescere la Chiesa di Dio in termini di carità e servizio.
    Cosa è doveroso attendersi da un Sinodo così illuminato? Che la riflessione sia una rivoluzione che svegli ogni angolo del mondo e chiami tutti a confrontarsi, a dialogare su un tema troppo spesso ignorato e banalizzato, un risvegliarsi anche dei giovani perché si riconoscano protagonisti indiscussi della storia futura.

    * Incaricata laica della pastorale giovanile della regione Marche


    Il doppio termometro della PG diocesana
    Paolo Arienti

    La vita del Vangelo, si sa, è legata strettamente ad un evento, che si propone nella sua straordinarietà proprio in quanto fatto concreto, tangibile. Non è un caso che il cristianesimo contempli al suo cuore più che una norma, più che una adesione formale. Il Vangelo si offre nella forma della vita: ricevuta e offerta; si dà nella condizione del “figlio” e in quella del “padre”, ovvero nel respiro della generatività, perché è promessa di esistenza benedetta. Qui sta la ragione antropologica dell’enorme interesse – capace di innescare dedizione e passione – che la Chiesa nei secoli ha espresso per i più giovani. Forse perché in loro si scorge un anelito e un sapore di futuro; forse perché in loro si intravvede un “oggi” di pienezza ancora in termini embrionali, mentre pensieri, capacità e talenti si plasmano appena prima di divenire responsabilità adulte.

    Questione di sguardi

    La pastorale giovanile si nutre di quel veloce e pesante inciso con cui Marco stigmatizza lo sguardo di Gesù su quel tale che in Matteo per ben due volte è definito giovane: “fissatolo, lo amò”. Gesù lo ha amato per la sua condizione, per la sostanza della sua esistenza, prima di farne “uno dei suoi” e prima di verificarne la fedeltà. Uno stile che si potrebbe definire quasi “antisociale”, poiché disinteressato a ciò che in buona sostanza costruisce per molti società: appartenenze, schieramenti, risoluzioni.
    Questo è lo sguardo normativo della pastorale giovanile, che ripropone l’attitudine benedicente e liberante del Signore. Suo contenuto è il “se vuoi”: appello ad una libertà non fine a sé stessa, ma orientata alla salvezza/pienezza del vivere, alla sua radicalità; sino al punto di essere esposta alla possibilità del rifiuto: chi ama come il Signore, comprende anche il figlio della paura o il figlio dell’attaccamento ad altro. Il suo è un mandato all’umano, percepito e creduto come fraterno. Questi sono gli estremi in gioco nella pastorale giovanile; nulla di più e nulla di meno. E se questa pur sommaria analisi regge, si aprono per la pastorale giovanile questioni pesanti, nell’ambivalenza delle possibilità: qualità o quantità? Normalizzazione o vocazione? Rassicurazione o rischio? Alternative variabili che interpellano la sostanza del vivere giovanile, la forma della comunità cristiana, il senso e la profondità degli investimenti educativi, ma soprattutto il tenore della fede di chi con i giovani intende sperimentare un cammino. Sia nel “micro”, nella località di un cammino parrocchiale, sia nel “macro” di un respiro diocesano. La pastorale giovanile è in tutto e per tutto questione di sguardi!

    Sguardi che sanno

    Non è un caso che la titolazione del sinodo 2018 abbia a che fare con respiri quali il discernimento e la vocazione: si è da subito collocati nella realtà vera dei giovani, oltre schemi cuciti a tavolino, fossero anche espressi con raffinate terminologie progettuali. Discernimento ha a che fare con l’oggi, con la concretezza del vivere, proprio come insegna lo sguardo gesuitico. E vocazione ha a che fare con il futuro, sempre più sorprendente della semplice legge causa-effetto. Qui, dentro la qualità pesante di questi due fuochi, stanno la responsabilità e la sensatezza della pastorale giovanile che assomiglia molto ad un genitore che genera, fa crescere, saluta, incontra di nuovo e coltiva stupore. Aiutare a discernere è più che costringere ad entrare. Proporre un’idea di vita come risposta è più che ripetere percorsi precostituiti. In entrambi i casi si muovono la fede dell’educatore (e di una Chiesa che desidera educare davvero) e la sete di vita dei giovani. Sempre più spesso su rotte non convergenti e oltre scatole formative date. La pastorale giovanile deve allora inventarsi e reinventarsi, tentare e ritentare, svecchiarsi sempre, non nonostante le condizioni giovanili mutate o le distanze tra le generazioni, ma dentro sfide che sono veri e propri fattori di crescita. Pena il mito dell’eterna adolescenza, per certi versi “gioco comodo” anche agli ambienti educativi cristiani.
    La pastorale giovanile va in cerca non della sete di vita dei giovani, quasi fosse un presupposto smarrito da reinfondere, ma delle forme che essa assume: quella entusiasmante della cultura e del viaggio, quella motivante del progetto di vita e delle scelte formative, quella drammatica dell’isolamento e della chiusura rispetto alla società e al suo bisogno di energie nuove. E cerca di intercettarle e di servirle.

    Ma dove guarda la Chiesa?

    Ovviamente solo in astratto si può circoscrivere la riflessione alla pastorale giovanile o peggio ai suoi sparuti operatori, quasi che tutto il resto possa restare nella penombra. La pastorale giovanile è espressione di una Chiesa che sa e può vivere con i giovani, solo se verifica costantemente la propria “condizione giovanile”; solo se non rinuncia alla sfida del tempo, alla sete di futuro, al desiderio dell’umano autentico. Solo se fa posto alla condizione giovanile non in termini paternalistici o nella sola forma dell’arruolamento educativo, ma nella “intuizione benedettina” che richiede all’abate di ascoltare anche il più giovane, poiché anche a lui lo Spirito può parlare. La pastorale giovanile in una diocesi funge così da doppio termometro: delle energie più missionarie, culturali, educative spese per i più giovani; e dello stato di salute, della capacità generativa di una comunità che desidera essere accogliente, dinamica, mai statica. Una Chiesa che desidera educare, deve porsi la domanda sul come, sul se e sul quanto stia investendo sul complesso e ampio ventaglio della relazione con le nuove generazioni.

    Sguardi di casa nostra

    L’evento del 2018 non può non avere il sapore della provocazione; materialmente la stessa che papa Francesco ha rivolto direttamente ai giovani a Cracovia, spingendoli giù dall’ormai celebre divano. Ora quell’invito non si rivolge più ad una categoria sociologia né è consolazione per gli addetti ai lavori. “Sinodo” è evento di chiesa, è assunzione di responsabilità, è dinamica di domanda e risposta, lettura e proposta. Un altro frutto del tenore inquieto e positivo della Evangelii gaudium. Perché, se si tratta di osservare i propri figli, parlare di loro, discutere delle chances sociali e spirituali che resistono sul piatto della vita, si tratterà anche di parlare dei padri e delle madri. Ma si tratterà di parlare anche della madre-Chiesa che non si nutre solo di sociologia né passivamente può accettare la neutralizzazione delle coscienze rispetto all’annuncio della fede.
    Una diocesi come quella di Cremona, in bilico tra esperienze formative solide e forti (come i percorsi di volontariato, gli Oratori, i campi scuola..) e nuove crisi (calo demografico e rarefazione del clero, territori da ripensare, ritiro di molte comunità sul solo versante celebrativo, fatica di un rilancio culturale della proposta evangelica..), salpa per una esperienza singolare: quella del sinodo dei giovani, immaginato come un processo di nuovo coinvolgimento della presenza e dello spirito dei giovani, e ora reinterpretato come concreta mediazione dell’itinerario di preparazione al sinodo universale del 2018. Pur tra le tante incertezze e titubanze, un’idea in terra cremonese è forse assodata: nella vita ecclesiale va riascoltato il tono dei giovani, per quello che è e per la sua verità vera, dentro numeri e appartenenze reali. Un percorso come questo (che inizia con il gennaio 2017 e procederà per almeno un biennio) non avrà il tono immediatamente operativo di una “missione-giovani”, bensì la passione per l’ascolto propria di chi desidera dare spazio e uscire da una dialettica docens/discens per certi versi assolutamente preziosa, ma per altri esposta alla sclerosi della predica. La pratica sinodale richiederà il prezzo bello della fiducia e del realismo, l’investimento caloroso delle porte aperte, il disincanto rispetto ad un modello di cristianesimo sociologico che immagina ancora che tutti siano sul carro, il rifiuto dell’idea massimalista dei duri e puri rimasti a custodia di un’ortodossia forse esangue. La provocazione della Evangelii gaudium è posta e non sopporta dilazioni infinite, nel travaglio di una chiesa che sta anche in Italia, anche al Nord, modificando la sua forma storica, e senza potersi affidare ad un progetto cristallino che la garantisca. Forse il progetto in realtà c’è ed è quello sguardo di amore che Marco testimonia ancora. Forse il progetto è già dato, nella passione evangelica per la vita, leggibile solo se assume la forma della benedizione, dello slancio, della fiducia. Come viene creduto possibile nella passione educativa di tanti.

    * Incaricato per la pastorale giovanile della diocesi di Cremona


    Chiesa e giovani, parola di vescovo
    Erio Castellucci *

    Nonostante la mia presenza fisica tutt’altro che imponente, appena giunto a Modena-Nonantola come vescovo, nel settembre 2015, mi sono sentito “come un elefante in un negozio di cristalli”. Se io ero l’elefante, la cristalleria era la pastorale giovanile. Per una tradizione ventennale, in diocesi si è strutturata quella che la CEI, nel piano decennale del 1990, aveva auspicato come “organica, intelligente e coraggiosa pastorale giovanile” (Evangelizzazione e testimonianza della carità, n. 45). I vescovi modenesi che si sono succeduti a partire da quegli anni, i compianti Santo Quadri, Benito Cocchi e Antonio Lanfranchi, presero sul serio quell’auspicio e, con l’aiuto di validissimi collaboratori presbiteri, laici e religiosi, impostarono una pastorale giovanile vivace, sistematica e bene articolata.

    Cristalli e elefanti

    Gli ingredienti principali, variamente dosati nei diversi anni pastorali, sono: il Centro diocesano formato da un’équipe dinamica e agile; gli incontri per i giovani detti “martedì del vescovo”, in tutte le settimane di Avvento e Quaresima; la lectio divina per i giovani più grandi; le tappe di preparazione e celebrazione delle GMG, diocesane e mondiali; il coordinamento, ad opera del CPG, delle diverse realtà giovanili – gruppi, associazioni, movimenti – e degli altri ambiti pastorali, specialmente quello vocazionale, scolastico, universitario, familiare e missionario; la disponibilità all’accompagnamento spirituale dei giovani da parte di presbiteri e religiosi. Queste e altre proposte di pastorale giovanile hanno una buona presa in diocesi: ecco perché la mia prima paura è stata quella di potervi arrecare danno.
    Descritta per sommi capi la cristalleria, ora dovrei parlare dell’elefante: ma è meglio soprassedere. Dirò solo che, pur avendo alle spalle diversi anni di impegno in pastorale giovanile nella mia diocesi di provenienza, Forlì-Bertinoro, arrivato a Modena mi sono sentito piuttosto intimorito e in occasione del primo incontro con loro non fui in grado di fare dichiarazioni programmatiche e incisive, ma riuscii solo a promettere che avrei tenuto delle prediche corte. Sono stati poi i giovani stessi a mettermi a poco a poco a mio agio, nei diversi incontri diocesani, parrocchiali, comunitari e personali. E mi sono reso conto ancora meglio di quanto siano ancora attuali le parole che papa Benedetto XVI rivolse ai vescovi italiani il 30 maggio 2005: i giovani sono, «come ha ripetutamente affermato Giovanni Paolo II, la speranza della Chiesa, ma sono anche, nel mondo di oggi, particolarmente esposti al pericolo di essere “sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina” (Ef 4,14). Hanno dunque bisogno di essere aiutati a crescere e a maturare nella fede: è questo il primo servizio che essi devono ricevere dalla Chiesa, e specialmente da noi vescovi e dai nostri sacerdoti. Sappiamo bene che molti di loro non sono in grado di comprendere e di accogliere subito tutto l'insegnamento della Chiesa ma proprio per questo è importante risvegliare in loro l’intenzione di credere con la Chiesa (…). Affinché ciò possa avvenire, i giovani devono sentirsi amati dalla Chiesa, amati in concreto da noi vescovi e sacerdoti (…). Questo è oggi, cari fratelli vescovi italiani, il punto centrale della grande sfida della trasmissione della fede alle giovani generazioni». Papa Ratzinger vede dunque nella prossimità ai giovani, da parte delle comunità e specialmente dei pastori, “il punto centrale” della pastorale giovanile. Il fatto di “sentirsi amati” è la porta per una loro riscoperta della bellezza di appartenere alla Chiesa e a Cristo.

    La sfida della prossimità

    Papa Francesco concretizza ulteriormente questa prossimità: «I giovani, nelle strutture abituali, spesso non trovano risposte alle loro inquietudini, necessità, problematiche e ferite. A noi adulti costa ascoltarli con pazienza, comprendere le loro inquietudini o le loro richieste, e imparare a parlare con loro nel linguaggio che essi comprendono. Per questa ragione le proposte educative non producono i frutti sperati» (Evangelii Gaudium, n. 105).
    Il timore che spesso aleggia da parte della Chiesa verso i giovani è dovuto, in buona parte, alle etichette che vengono loro applicate. Le indagini sociologiche sono piene di sostantivi problematici, ai quali viene annesso l’aggettivo “giovanile”: disagio, crisi, riflusso, emarginazione, frammentazione, trasgressione, delinquenza; è meno frequente, in queste letture, imbattersi nell’abbinamento positivo con termini quali speranze, risorse, valori, generosità, desideri, sogni. Non che la sociologia abbia torto: non è neppure necessario dimostrare che l’universo giovanile comporta innumerevoli criticità. Però l’approccio pastorale non si può racchiudere nell’analisi dei giovani dal punto di vista delle scienze sociali; come fanno capire gli ultimi due Papi, il primo “ponte” – quello fondamentale – per un rapporto sano tra la Chiesa e i giovani è farli sentire amati, attraverso un ascolto paziente, una “empatia” che entri nelle loro domande e usi il loro linguaggio. Senza questo sforzo, una Chiesa locale può elaborare dei percorsi perfetti dal punto di vista teorico, dei pacchetti bene infiocchettati, che però rimarranno in magazzino, perché non susciteranno l’interesse dei loro “destinatari”.

    Tentazioni pastorali

    Se vogliamo, come Chiesa, arrivare ai giovani, occorre allora che vinciamo due tentazioni pastorali: la delega agli addetti ai lavori, i quali dovrebbero possedere la “ricetta”, quando non addirittura la “pozione magica”; e la considerazione dei giovani come semplici destinatari di iniziative pensate ai tavoli degli adulti. Papa Francesco, nel seguito dello stesso documento, afferma che “si sono fatti progressi in due ambiti: la consapevolezza che tutta la comunità li evangelizza e li educa, e l’urgenza che essi abbiano un maggiore protagonismo” (n. 106). Nonostante questi innegabili progressi, le nostre comunità locali faticano ancora ad avvertirsi corresponsabili dell’evangelizzazione dei giovani e a vedere in essi non dei semplici destinatari, ma dei veri e propri protagonisti nella Chiesa. Contrastare la prima tentazione, quella della delega, significa richiamare di frequente la realtà dei giovani in una comunità cristiana, anche a costo di essere accusati di “giovanilismo”: nella liturgia, nei momenti di incontro, nei mezzi di comunicazione, nelle diverse le occasioni disponibili, è importante ricordare il fatto che ragazzi e giovani sono il futuro della società e della Chiesa e quindi richiedono al presente le maggiori attenzioni da parte di tutti. Saranno poi soprattutto i giovani più grandi ad educare gli altri giovani più piccoli; ma intanto la comunità è consapevole di portare tutta insieme la responsabilità per il proprio futuro.
    Più difficile ancora è contrastare la seconda tentazione, quella di fare dei giovani i semplici destinatari della pastorale. Favorire il loro “protagonismo”, come auspica papa Francesco, significa accordare loro maggiore fiducia – anche a costo di qualche sbavatura – nelle proposte di animazione, festa, servizio, volontariato, testimonianza, preghiera… e anche nella celebrazione eucaristica. Alcuni giovani praticanti lamentano liturgie troppo “vecchie”: canti ormai datati, omelie piuttosto lunghe e scontate, gesti ripetuti stancamente. Non si tratta di tornare alla Messa beat degli anni ’60, ma di utilizzare meglio il ventaglio delle possibilità offerte dal Messale di Paolo VI e lasciare spazio, almeno in alcune occasioni, alla capacità simbolica dei giovani anche dentro la liturgia. E anche di tenere prediche più brevi.

    Uno stile non rinunciatario

    In conclusione, vincendo l’eccessivo timore da “elefante in un negozio di cristalli”, che può cogliere anche altri oltre al sottoscritto, ho incontrato nella Chiesa locale, e so che è diffuso in molte altre Chiese, uno stile tutt’altro che rinunciatario nella pastorale giovanile, i cui ingredienti fondamentali – come è emerso specialmente dal magistero degli ultimi Papi – e che valgono per tutti, ma specialmente per i pastori, sono: la prossimità ai giovani, che implica tempo per “stare” con loro; l’ascolto delle loro difficoltà e dei loro desideri, che può diventare accompagnamento spirituale anche in chiave vocazionale; la sensibilizzazione delle comunità alla presenza e alle risorse del mondo giovanile; la formazione sistematica di giovani grandi come educatori dei giovani più piccoli; la fiducia data alle nuove generazioni nei diversi ambiti pastorali della comunità: servizio, animazione, catechesi, liturgia. Saranno pure una piccola minoranza i giovani che si accostano alla Chiesa: ma se sono – per usare un’espressione cara a Benedetto XVI – una “minoranza creativa” e non rassegnata, rinunciataria, impaurita o aggressiva, avranno la funzione del sale, della luce e del lievito, dando sapore, colore e spessore all’esperienza cristiana delle nostre comunità e diventando attraenti per gli altri giovani.

    * vescovo di Modena-Nonantola


    Vedere, seguire e lasciare un’impronta
    Un’Ispettoria Salesiana “in movimento” a partire dai giovani, con i giovani, per i giovani
    a cura di Domenico Luvarà*

    Giovedì 6 ottobre 2016. Rimbalza in tutto il mondo, e anche nella nostra Ispettoria di Sicilia e Tunisia, la notizia di un Sinodo speciale su: “Giovani, fede e discernimento vocazionale”. Tra i tanti possibili, è questo il tema che ha scelto Papa Francesco, come frutto maturo di un percorso ecclesiale di sensibilità verso la PG e preludio di nuove prospettive.
    Non come un affare scontato e di routine o che si sviluppa da sé, quasi per inerzia, il Sinodo va preparato, vissuto e reso operativo nella vita dei ragazzi in crescita e nella vita di tutti e di ciascuno, nella Chiesa, in ogni comunità cristiana e salesiana. Il Sinodo, letteralmente “strada da fare insieme” – prima, durante e dopo – consiste nell’“accompagnare i giovani nel loro cammino esistenziale verso la maturità affinché, attraverso un processo di discernimento, possano scoprire il loro progetto di vita e realizzarlo con gioia, aprendosi all’incontro con Dio e con gli uomini e partecipando attivamente all’edificazione della Chiesa e della società” – così recita la Nota d’indizione.
    Salesiani e giovani “insieme” potranno vivere questo processo, questo cammino condiviso (più che un evento o una serie di eventi) nella logica della predilezione (cfr. Mc 10,21) e dell’amore, a partire dallo stile di Gesù (cfr. Mc 10,14) e dalla passione educativa di Don Bosco, che nella rinomata lettera scritta da Roma, indirizzata a salesiani e giovani insieme, il 10 maggio 1884, scriveva: «Chi sa di essere amato, ama; e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani». «Non basta amare i giovani: occorre che loro si accorgano di essere amati».
    Iniziamo, dunque, a “tirare fuori” qualcosa che scaturisce non solo dai nostri cervelli, ma anche dal nostro cuore, dalla nostra esperienza umana, cristiana e salesiana.

    Guardare le impronte - A partire dai giovani e non a prescindere da loro

    «La Chiesa oggi vi guarda – direi di più: il mondo oggi vi guarda – e vuole imparare da voi» (Papa Francesco, Discorso al Parco Jordan a Błonia, Cracovia, 28 luglio 2016).
    Un primo grappolo di input si catalizza nell’ascolto dei giovani, a ciò che hanno da dire in questo tempo che li vede più consumatori che soggetti impavidi di un futuro su loro misura e secondo grandi ideali. Si vorrebbe mettere in secondo piano il riferimento a studi sulla condizione giovanile e sui loro percorsi di fede o di dubbio (anche se importanti e a cui bisognerà riservare comunque attenzione), per mettersi in ascolto dei giovani vivi, concreti, con le loro domande e le loro convinzioni, le loro perplessità e le loro speranze. Significa mettersi in connessione non solo con le loro idee, ma anche le loro emozioni e le loro aspirazioni più profonde. Si vorrebbero creare dei punti di ascolto in ogni casa salesiana. Ogni ambito e luogo della Comunità educativo-pastorale (CEP), dovrebbe avere il tempo di ascoltare i giovani, preferibilmente mediante gli stessi giovani, perché ripartendo dalla loro freschezza, ci si confronti sul vero “tabù” di oggi, la fede, approfondendo temi spesso nascosti, che non contengono gioie effimere, bensì Eterne.
    A partire da questi punti di risonanza, si potrebbe convergere verso un “Sinodo ispettoriale dei giovani” con l’intento fondamentale di raccogliere gli appelli registrati nei nostri ambienti. In particolare, questo evento dovrebbe essere il punto di arrivo e di partenza per intercettare la voglia di cambiamento degli stessi giovani, convincendo gli adulti educatori che, oltre ad ascoltare i giovani hanno (abbiamo) qualcosa da imparare da loro – come esplicitamente ha affermato Papa Francesco. In una società che tenta in tutti i modi di spegnere ogni fiamma e sopprimere il lucignolo fumigante (cfr. Mt 12,20), si vuol dare voce al cuore e alle viscere dei giovani per accendere o riaccendere i loro sogni.

    Seguire le impronte - Insieme ai giovani

    «Io vi domando, voi rispondete: le cose si possono cambiare? [Sì!] Non si sente! [Sì!] Ecco. È un dono del cielo poter vedere molti di voi che, con i vostri interrogativi, cercate di fare in modo che le cose siano diverse. È bello, e mi conforta il cuore, vedervi così esuberanti» (Papa Francesco, Discorso al Parco Jordan a Błonia, Cracovia, 28 luglio 2016).

    Il Papa, in occasione del Bicentenario della nascita di Don Bosco (1815-2015), ha inviato al Rettor Maggiore dei Salesiani, don Ángel Fernández Artime, una lettera nella quale si afferma: “Don Bosco insegna anzitutto a non stare a guardare, ma a porsi in prima linea per offrire ai giovani un’esperienza educativa integrale” che coinvolga tutta la persona umana. Un invito a stare al concreto, ad aderire alla vita con le sue occupazioni e preoccupazioni, vocazioni e provocazioni. Si tratta di cogliere l’ordinario e lo straordinario della vita e dell’esperienza di fede.
    L’Oratorio-Centro Giovanile inteso come ambiente educativo e di crescita integrale dei giovani sintetizzato da Don Bosco in tre parole (salute, scienza, santità) può essere oggi ridisegnato a partire dagli interessi umani, culturali e spirituali, armonicamente composti nella persona del giovane. Ogni ambiente educativo dovrebbe essere rivisitato con questo criterio oratoriano. La partecipazione al Convegno Nazionale sulla CEP (Roma, 16-19 febbraio 2017) da parte di tutte le Ispettorie d’Italia si muove su questo orizzonte.
    Cum panis: potrebbe essere questo lo slogan di una grande convocazione per vivere una esperienza condivisa tra giovani e adulti, per riscoprirsi prossimi e mai distanti, compagni di viaggio, attraverso percorsi e itinerari condivisi di spiritualità e di maturazione vocazionale. Non si tratta di fare cose in più, ma vivere i percorsi in atto con questo nuovo stile di cristianesimo indicato, in parole e gesti, da Papa Francesco e che troviamo in perfetta sintonia con il carisma salesiano.
    Gli incontri/esperienze, miranti a coinvolgere la Famiglia Salesiana e il Movimento Giovanile Salesiano (ad esempio il Forum Educatori, il Meeting Adolescenti, il Confronto Giovani, il Convegno di Famiglia Salesiana e l’Assemblea dei Salesiani) a partire dal tema del Sinodo possono diventare occasioni di crescita insieme. Non è escluso che da essi possano scaturire contributi da convogliare al Sinodo, tramite le diocesi o i canali salesiani che sono stati già richiesti e attivati nella preparazione di questo processo ecclesiale di grande portata.
    È anche possibile invitare i giovani a esprimere meglio e mettere a fuoco l’idea di comunità cristiana, di “chiesa” maggiormente corrispondente ai valori evangelici, dando voce ai loro desideri più belli e ai loro sogni più veri sul futuro della Chiesa e dell’Umanità. Nei siti web e nelle pagine di Facebook ufficiali e informali ci può essere uno spazio adeguato per questa iniziativa di forum.
    Su questa linea, può risultare occasione opportuna il Confronto Giovani 2018 organizzato “ad hoc” sul tema del Sinodo. La Consulta Regionale del MGS, dopo un’attenta riflessione sul tema, potrebbe proporre un video (oppure un concorso o altra iniziativa) che possa rappresentare i bisogni e le speranze dei giovani, l’invito ad un’esperienza di confronto tra giovani e adulti o di spiritualità condivisa, l’elaborazione di un manifesto o di un annuncio di speranza alla Diocesi o alla città (o al paese) dove si vive.

    Lasciare le impronte - I giovani per i giovani

    «Cari giovani, non siamo venuti al mondo per “vegetare”, per passarcela comodamente, per fare della vita un divano che ci addormenti; al contrario, siamo venuti per un’altra cosa, per lasciare un’impronta» (Papa Francesco, Discorso al Campus misericordiae, Cracovia, 30 luglio 2016).
    Le cose possono cambiare se i giovani saranno in grado di responsabilità - letteralmente - se saranno capaci di dare una risposta alla vita e al Signore della vita. Discernere e decidersi sono le due operazioni fondamentali dell’esistenza. In questo orizzonte, nessuno se la cava da solo, non esiste una procedura del “fai da te”. Si tratta di un itinerario fatto insieme che sfocia nel dono di sé. Il passaggio dal “con” al “per” è fondamentale.
    Può essere di grande utilità per adulti e giovani stilare l’identikit di un giovane “riuscito” e di un adulto “maturo”, in riferimento agli impegni personali, sociali e religiosi, per cogliere somiglianze e differenze.
    Oltre ad alcuni eventi particolari che si potranno attuare, importante risulta la riflessione sull’Animazione Vocazionale nei progetti “Darei la vita” e “Messis multa”, attivata in tutte le Ispettorie d’Italia, l’esperienza dell’Animazione Vocazionale con i vari percorsi (GR Leader, Ado, Discernimento, Scelta), l’esperienza del Discernimento Vocazionale soprattutto nelle relazioni quotidiane. Il Seminario sull’accompagnamento spirituale a servizio del discernimento vocazionale (Zafferana Etnea, 27-29 dicembre 2016) oltre ad essere stato la “ricaduta” del Seminario nazionale (Roma Pisana, 16-18 febbraio 2016), costituisce già un momento preparatorio al Sinodo.
    Un altro suggerimento per l’animazione potrebbe essere il seguente: l’Ispettore inviti i Direttori delle CEP ad organizzare le tradizionali “buone notti” o i più recenti “buongiorno” con delle testimonianze da parte di salesiani e laici sul tema: “Come sono stato accompagnato e come ho accompagnato i giovani nel discernimento vocazionale?”. Il risultato potrebbe essere la raccolta delle varie testimonianze e la realizzazione in un sussidio da diffondere in Ispettoria e da inviare, eventualmente, al Sinodo.
    Lo sbocco dell’impegno trova nei tempi e dei luoghi del Volontariato, delle Missioni, del Servizio Civile Nazionale, una possibilità di investire le proprie energie da parte dei giovani non solo come aiuto, non solo ai fini occupazionali, ma come responsabilità attiva di fronte alle emergenze sociali e alle urgenze politiche del territorio.

    Per concludere, meglio per iniziare o per continuare

    Ogni Ispettoria salesiana, compresa la nostra, non si limiterà a vivere il Sinodo nel proprio ambito, ma parteciperà alle convocazioni e iniziative della Chiesa locale. Si impegnerà anche attraverso una significativa rappresentanza, ad essere parte attiva presso le istituzioni civili che elaborano politiche a favore dei giovani.
    Non possiamo perdere quest’opportunità per ripensare, rilanciare e riesprimere la PG nel territorio. Vorremmo che il Sinodo lasciasse nella nostra Ispettoria almeno un’impronta, un segno indelebile, un frutto significativo e duraturo che adesso è prematuro pronosticare.
    Ci si augura che questa riflessione, sbocciata dal confronto tra salesiani e giovani, sia un piccolo seme che possa germogliare in questi due anni di preparazione al Sinodo e, lo speriamo tanto, possa dare il suo frutto nel tempo e per l’eternità.

    * Delegato di Pastorale Giovanile - Ispettoria Salesiana Sicula ISI (Catania)


    Giovani, fede, vocazione: una questione di “futuro”
    Giuseppe Mari *

    Il tema giovani-fede-vocazione rimanda a quello dell’educazione perché alla fede si è iniziati e – all’interno della iniziazione cristiana – il tema della vocazione è essenziale per il fatto che – per i credenti – l’intera esistenza è vocazione. In questo breve intervento non intendo confrontarmi con l’educazione cristiana odierna, bensì con il presupposto non solo di questa, ma di ogni pratica educativa, che riconduco all’apertura sul futuro. Mi sembra che questo riferimento oggi sia tutt’altro che scontato.

    Come viene vissuto oggi il futuro?

    Qualche anno fa, un testo breve ma incisivo – L’epoca delle passioni tristi – formulava una diagnosi su come viene oggi vissuto il rapporto con il futuro, che reputo azzeccata: negli ultimi tempi, siamo passati dal “futuro promessa” al “futuro minaccia”. Com’è potuto accadere? Ci sono fenomeni di lungo corso che ne affiancano altri di portata più limitata, ma non meno rilevante. Sullo sfondo possiamo riconoscere l’effetto della crisi delle ideologie. Con l’espressione identifico le visioni del mondo totalitarie e intolleranti che hanno attraversato il XX secolo, rappresentando tuttavia – per chi vi ha aderito – una forte motivazione all’impegno nel presente in vista di un futuro che si è poi rivelato ingannevole. La loro crisi ha certamente liberato energie forzatamente represse, ma ha anche condotto alla dissipazione aprogettuale nel presente.
    Questo è avvenuto perché l’ideologia rimasta in piedi (almeno fino allo scoppio della crisi economica, vedremo quale sarà l’evoluzione futura) – quella consumistica – ha spinto nella direzione di confondere la libertà con una vita appiattita sul presente. I messaggi che oggi ricevono i più giovani, sono tendenzialmente disconfermanti sull’avvenire: gli si dice che devono studiare anni per approdare ad un’occupazione incerta (flessibile per chi apprezza l’attuale congiuntura, precaria per gli altri); sul piano affettivo, che la metà dei matrimoni finisca in separazione o divorzio non può certo far guardare con fiducia al futuro… come stupirsi della diffusa tendenza a vivere l’attimo? Tanto più che i genitori – anche per compensare il poco tempo che passano con i figli – finiscono per assecondarli più che guidarli.
    L’incertezza sul futuro – resa evidente dal fenomeno dei “neet” (cioè dei giovani che non lavorano né studiano, in quanto hanno concluso gli studi ma hanno anche rinunciato a trovarsi un’occupazione) – ha un drammatico risvolto sul piano morale perché – come dicevano gli antichi – è il fine che unifica l’azione. Traduco sul piano esistenziale: è il futuro che custodisce il presente. La diffusione del disagio e della devianza è collegata a questo. Infatti, se non si riconosce un futuro in vista del quale orientare i comportamenti del presente, perché ci si dovrebbe custodire rispetto a opportunità che offrono soddisfazione e piacere, ma con gravi danni sul piano dell’integrità psicofisica? Di fronte al consumo di sostanze stupefacenti o all’abuso alcoolico, non si può certo dire che si sconti l’ignoranza circa gli effetti; piuttosto, si verifica la noncuranza degli stessi per il fatto che non si riconosce alcun futuro in vista di cui ci si debba custodire.
    Il quadro è oggi problematico, ma – in realtà – lo è sempre stato. Quando Agostino pone in stretta correlazione l’anima e il tempo, forse rivisita la sua adolescenza disordinata, com’è quella di molti dei nostri ragazzi, avendo finalmente capito che il rapporto con il tempo è specchio di come si vive la propria spiritualità ossia l’anima intesa come l’espressione immateriale dell’esistenza, correlata alla libertà che identifica l’essere umano. Torna alla mente il passo evangelico: “Che giova all’uomo conquistare il mondo se perde la sua anima?” (Mc 8,36). Eppure la sfida è sempre davanti a noi, mai risolta definitivamente: l’educazione è la chiave per raccoglierla oggi come ieri.

    Educazione e vocazione

    Quello che stupisce, di fronte allo “spreco di giovinezza” di oggi, non è che accada (perché non è mai stato facile diventare adulti), ma è che accada nonostante le opportunità del presente. Istruzione, informazione, benessere… dovrebbero orientare a guardare con fiducia al futuro, mentre sembrano condurre molti a rinunciare rispetto ai progetti tipici della giovinezza. Lo stato di vita – collegato alla scelta matrimoniale oppure a quella consacrata – dovrebbe rappresentare l’approdo di una giovinezza vissuta bene, quindi la vocazione è immediatamente coinvolta nel tema che sto sommariamente trattando. Invece è difficile decidersi, la diffusione della convivenza lo rende manifesto, ma perché? Forse per il fatto che la nostra educazione è sbilanciata in senso analitico e cognitivo. Le giovani generazioni maturano una consistente capacità di analizzare la situazione, possono avvalersi di un solido allestimento cognitivo, ma questo permette la scelta definitiva? Sembra di no. Del resto, la decisione è sintetica e non si può ricavare dalla competenza analitica; inoltre, impegna tutta la persona: non solo l’intelligenza ma anche la volontà, l’affettività insieme alla razionalità… La nostra pratica educativa è unilaterale, avvitata sulla “testa”, con il rischio che il “cuore” venga trascurato o – peggio – frainteso come sinonimo di irrazionalità, mentre costituisce un originale canale conoscitivo.
    Alla connotazione astratta della nostra attuale pratica educativa non è estranea la crisi di fede che stiamo attraversando, di fede cristiana intendo. Il cristianesimo è fede nell’Incarnazione, quindi nella Verità fatta carne, realtà concreta, persona storica. L’avanzata della prospettiva illuministica ha determinato l’ascesa di un approccio astratto all’educazione che ha trovato – come propria espressione concreta – l’imporsi della dimensione descrittiva e funzionale. Da questa dipende l’analiticità a cui mi sono prima riferito, che ha comportato sicuramente delle opportunità, ma al prezzo dell’allontanamento dalla realtà, oggi reso ancora più evidente dalla virtualità. I nostri ragazzi ne subiscono il fascino, a cui non è estranea la tendenza a trattare questi strumenti come dispositivi che si deve imparare a utilizzare correttamente. Il problema è che, operando in tal senso, si dà per scontato che siano indispensabili per crescere mentre questo non è vero. La vera sfida educativa è promuovere l’incontro con la realtà, non regolare – che significa incoraggiare – l’approccio virtuale ad essa.
    Il richiamo della vocazione diventa – a questo punto – l’elemento essenziale per affrontare la crisi in cui ci troviamo. Infatti, la fatica di affrontare il futuro, prendendo decisioni capaci di custodire il presente, è collegata all’attitudine al “controllo totale”. La società mediatica e virtuale alimenta l’aspirazione alla “trasparenza” intesa come la capacità di prevedere gli eventi, quindi di pianificare le traiettorie esistenziali. In effetti, questo rischia di accadere a chi non si lascia sedurre dalla circostanza momentanea e – avendo capito che ci troviamo in un mondo competitivo – vuole attrezzarsi per affrontarlo nel modo migliore. Si profilano così percorsi esistenziali progettuali, ma artificiosi perché egemonizzati dal criterio dell’utilità che soffoca la congenita aspirazione alla libertà che abita il cuore umano. La definizione che Agostino dà dei suoi 16 anni nelle Confessioni (“Non c’era altro allora che desiderassi più che amare ed essere amato”) a me pare che sia la più bella definizione che si può dare dell’essere umano ad ogni età, ma – per diventare concreta – domanda il ridimensionamento della dimensione strumentale. In altre parole, si tratta di relativizzare anche la progettualità ricordandosi che – a progettare sulla nostra vita – siamo in due: noi e Dio.
    La vera parola cristiana sul futuro non è “progetto”, ma “vocazione” perché la nostra vita si decide non in chiave autoreferenziale, ma nell’incontro con Colui che ci chiama. L’educazione cristiana deve tenerlo ben presente se non vuole trasformarsi in banale e generico intrattenimento. Le esistenze dei nostri ragazzi, che oscillano fra l’aprogettualità nichilista e la progettualità funzionale, ce lo chiedono perché – in entrambi i casi – viene meno la capacità di amare e farsi amare che – alla fine – è quello che conta.

    * Ordinario di Pedagogia generale, Università Cattolica del Sacro Cuore


    L’essere naturalmente vocazionale della pastorale giovanile
    Gustavo Cavagnari *

    In una visione ampia e articolata, la pastorale giovanile può essere definitiva come quell’azione della comunità cristiana che, attenta alle situazioni dei giovani concreti, si mostra capace di promuovere la loro umanità e riabilitare la loro dignità; annunciare esplicitamente a loro il messaggio evangelico e accompagnare il loro discepolato di Cristo nella Chiesa; formare la loro coscienza morale perché siano in grado di discernere le scelte concrete in verità e rettitudine; abilitarli e coinvolgerli nella missione in modo corresponsabile; e accompagnare il loro discernimento vocazionale in ordine alla costruzione personale e comunitaria del proprio progetto di vita[1].

    Una pastorale giovanile multitask

    Questi compiti sono inscindibili. La pastorale giovanile non solo non potrebbe rinunciare a nessuno di essi ma, volendo essere completa, dovrebbe misurarsi piuttosto con tutti e cinque e da essi prendere le misure per la programmazione della sua azione. Averli uniti entro un unico sguardo d’insieme significa quindi possedere degli elementi preziosi per un’azione ecclesiale che, oltre a tener conto delle reali condizioni dei giovani, riconosce anche le reali esigenze dell’evangelizzazione e della cura pastorale.
    Dal presupposto della loro inseparabilità, si potrebbe dire che il prossimo Sinodo ha fatto la scelta specifica di porre l’accento, nella sua riflessione, sull’ultimo compito, perché la vocazione si presenta come destinazione naturale, punto d’approdo e prospettiva unificante della pastorale giovanile[2]. Per quanto riguarda l’opzione e la maturazione vocazionale, la pastorale giovanile si colloca così, in modo dinamico, accanto ad altre pastorali «sorelle», quali quelle familiare, scolastica o parrocchiale, tra cui si evidenziano collegamenti necessari e provvidenziali[3].

    Una pastorale giovanile a carattere vocazionale

    Accompagnare pastoralmente il processo di discernimento, scelta e progettazione vocazionale è stato diverse volte indicato come un elemento interno e sostanziale dell’azione pastorale con i giovani. Se essa si impegna al loro servizio, è per accompagnarli nel pieno sviluppo della loro esistenza in conformità con il progetto che Dio riserva a ciascuno di loro. «La dimensione vocazionale, pertanto, è parte integrante della pastorale giovanile», la quale «diventa completa ed efficace quando si apre alla dimensione vocazionale»[4].
    Tale collocazione si può comprendere bene a partire dal fatto che i giovani sono particolarmente «sensibili a scoprire la loro vocazione»[5]. La giovinezza è l’epoca in cui le intuizioni e le aspirazioni vocazionali si fanno esplicite, si confrontano a livello critico ed esperienziale, si assumono e traducono in un progetto di vita, si compiono con impegno responsabile[6]. Questo non significa, però, che la gioventù sia l’unico periodo pertinente all’orientamento vocazionale. Infatti, esso ha bisogno di un’attenzione presente in tutte l’età della vita e in tutte le tappe del cammino di fede[7].
    Prima ancora però che possano orientarsi e definirsi per un percorso vocazionale specifico – secondo gli stati di vita “classici”: sacerdozio, vita consacrata o laicale –, i giovani sono chiamati ad operare una scelta comune che sta a monte e giustifica qualsiasi successiva determinazione: quella di seguire Cristo nella Chiesa. La prima vocazione è, appunto, quella a rendere testimonianza a Cristo come membro di una comunità ecclesiale secondo un progetto personale e irripetibile. In questo senso, per l’animazione pastorale, una visione ampia della vocazione è criteriologicamente fondante. Eppure, è precisamente qui che si scopre una specie di debolezza congenita della pastorale giovanile, la quale generosamente mette a disposizione percorsi, strutture e attività, ma non poche volte è incapace di generare cristiani inseriti in, e impegnati con, la vita ecclesiale[8]. In altre parole: la pastorale giovanile si rivela carente in termini di «sostenibilità credente».

    Alcune necessarie conversioni

    Prendendo spunto da quanto papa Francesco dice in Evangelii gaudium, per arrivare ad una pastorale giovanile solidamente vocazionale si dovrebbero attuare alcuni passaggi.

    - Assegnare priorità al tempo piuttosto che allo spazio. Sempre di più, i giovani crescono in famiglie affettive, in contesti di consolidata secolarizzazione, in culture in cui la vocazione si riferisce a una realtà che scaturisce immediatamente dai propri interessi. Secondo i tratti della mentalità postmoderna, le nostre sono società costituite per lo più da soggetti autocentrati, il che comporta una radicale difficoltà a immaginare la vita come donazione; la mentalità comune non va più «verso», per cui il nostro tempo è estremamente povero di capacità progettuale; la visione di futuro è poi compromessa da impedimenti oggettivi e disillusioni soggettive. L’accompagnamento vocazionale non può ridursi perciò a delle occasioni. La odierna caratterizzazione epocale determina delle scelte educative, tra cui quella di lavorare per tempi lunghi. «Senza l’ossessione dei risultati immediati»[9], nel lavoro ecclesiale con i giovani si avverte il bisogno di muoversi da una pastorale di solo svago o di soli eventi a una pastorale di processi, «favorendo itinerari formativi mediante i quali il giovane costruisca un suo progetto di vita»[10].
    - Passare dall’individualismo sterile alla relazionalità feconda. Un’altra condizione per una pastorale giovanile vocazionalmente efficace è l’esistenza di una comunità capace di generare «alla vita di Dio e alla fede cristiana»[11]. Questa generatività sarà possibile a condizione però che ogni comunità faccia perno sulla dimensione relazionale della sua vita e missione, offrendo così ai giovani la possibilità di superare le situazioni di estraneità in cui vivono grazie precisamente alle modalità concrete di comunicazione, di rapporto, di implicazione che vengono maturate dai membri della Chiesa[12].
    - Rinunciare alle urgenze per accompagnare. Se nella comunità ecclesiale tutti dovrebbero avere un ruolo nei confronti dei giovani, è necessario sottolineare l’importanza di poter contare almeno su alcune figure credibili a cui un giovane possa fare riferimento[13]. Ovvero, adulti maturi in grado di essere testimoni di un vissuto e propositori di modalità di vita umana e cristiana[14]. Benché un giovane sia invitato a comunicare con trasparenza quanto riguarda la propria vita, al di là della paura di essere giudicato, questa onestà non sarebbe sufficiente se egli non trovasse una guida capace di essergli accanto, ascoltandolo, intravedendo i punti di forza e di debolezza, e offrendogli consigli ponderati in vista dell’avvio di un itinerario di vita.

    La fede come elemento qualificante

    Chiaramente, tutti questi orientamenti sarebbero superflui se, innanzitutto, le chiese non fossero e si presentassero come vere comunità di credenti. Infatti, è la fede quella che fa scoprire la chiamata[15], si traduce in sequela Christi[16], e marca l’originalità del profilo vocazionale. In questo senso, il tema del Sinodo ha ben individuato quale sia la condizione fondamentale perché i giovani attuino il loro personale discernimento e la loro scelta.


    NOTE

    [1] Cf. R. Sala, La proposta di un’esistenza felice. Per una buona pastorale giovanile, in «La rivista del clero italiano» 97 (2015) 9, 635-648.
    [2] Cf. Congregazioni per l’Educazione Cattolica, le Chiese Orientali e gli Istituti di Vita Consacrata e Società di Vita Apostolica (edd.), Nuove vocazioni per una nuova Europa. Documento finale del Congresso sul tema: «Vocazioni al Sacerdozio e alla Vita Consacrata in Europa», 8 dicembre 1997, Città del Vaticano, LEV 1998, n. 26.
    [3] Cf. A. Cencini, Famiglia, giovani e parrocchia. La scommessa della pastorale unitaria, Milano, Paoline 2004, 3.
    [4] Giovanni Paolo II, Pastorale giovanile e pastorale vocazionale sono complementari. Messaggio per la XXXII Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, 18 ottobre 1994, n. 3, in Insegnamenti XVII/2 (1994), Città del Vaticano, LEV 1996, 505-510: 508.
    [5] V Conferencia General del Episcopado Latinoamericano y del Caribe, Discípulos y misioneros de Jesucristo para que nuestros pueblos en Él tengan vida. Documento conclusivo, 29 junio 2007, Bogotá, CELAM 32008, n. 443.
    [6] Cf. M. Spreafico, La dimensione vocazione nella vita del cristiano, in Istituto di Teologia pastorale della Facoltà di Teologia dell’Università Pontificia Salesiana (ed.), Pastorale giovanile. Sfide, prospettive ed esperienze, Leumann, LDC 2003, 287-300: 296.
    [7] Cf. S. De Pieri, Orientamento vocazionale, in Centro Internazionale Vocazionale Rogate (ed.), Dizionario di pastorale vocazionale, Roma, Rogate 2002, 889-892.
    [8] Cf.r. M. Senter, Of Churches, Youth Groups, and Spiritual Readiness: The Context of the Debate, in M. Senter (ed.), Four Views of Youth Ministry and the Church, Grand Rapids, Youth Specialties 2001, ix-xix: xi.
    [9] Francesco, Evangelii gaudium. Esortazione apostolica sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, 24 novembre 2013, Bologna, Dehoniane 2013, n. 223.
    [10] Consejo Episcopal Latinoamericano – Sección de Juventud, Civilización del Amor. Proyecto y misión. Orientaciones para una Pastoral Juvenil Latinoamericana, Bogotá, CELAM 22013, 10.
    [11] Conferenza Episcopale Italiana, Incontriamo Gesù. Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia, 29 giugno 2014, Bologna, Dehoniane 2014, n. 47.
    [12] S. Lanza, Famiglia e giovani in un mondo che cambia: quali provocazioni dalla e alla pastorale vocazionale? Testo ricavato dalla registrazione della Relazione fatta dall’Autore al Convegno sul tema: «Favorire un maggiore coordinamento tra la pastorale giovanile, familiare e vocazionale», 2 gennaio 2003.
    [13] Cf. Arcidiocesi di Milano, Progetto di Pastorale Giovanile «Camminava con loro», vol. 2: La comunità cristiana, Milano, Centro Ambrosiano 2011, n. 51.
    [14] Cf. M. Semeraro, Il ministero generativo. Per una pastorale delle relazioni, Bologna, Dehoniane 2016, 104-111.
    [15] Cf. Francesco, Lumen fidei. Lettera enciclica sulla fede, 29 giugno 2013, Bologna, Dehoniane 2013, n. 53.
    [16] Cf. Conferenza Episcopale Italiana, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali per il primo decennio del 2000, 29 giugno 2001, Bologna, Dehoniane 2001, n. 51.

    * Docente aggiunto della facoltà di Teologia, Pontificia Università Salesiana


    Sui sentieri del discernimento vocazionale…
    Nico Dal Molin *

    L’annuncio della tematica del Sinodo 2018, “Giovani, fede e discernimento vocazionale”, fa riandare con la memoria e con il cuore ad alcuni passaggi della riflessione di Papa Francesco, nella Veglia della GMG di Cracovia (30 luglio 2016):
    «Cari giovani, non siamo venuti al mondo per “vegetare”, per passarcela comodamente, per fare della vita un divano che ci addormenti; al contrario, siamo venuti per lasciare un’impronta (…) Amici, Gesù è il Signore del rischio, è il Signore del sempre “oltre”».
    Il contesto attuale della vita è simile ad un grande bazar, dove gli innumerevoli prodotti sono affastellati sugli scaffali; non è facile trovare qualcuno che dia indicazioni utili per capire dove andare e come orientarsi. Ognuno è drammaticamente chiamato a scegliere da solo; ciò è profondamente diverso dall’imparare a scegliere in maniera autonoma e responsabile.
    La grande sfida per la pastorale giovanile e vocazionale è di aiutare i giovani a identificare una realistica “road map” per la propria esistenza.
    Questo richiede un cammino di verità che tocca il nucleo personale, intimo e profondo, e ne fa emergere fatiche e risorse, sogni e resistenze, per educare a scelte e decisioni rispettose e coerenti.
    «Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo» (Evangelii Gaudium, n. 273).
    Gesù invia in missione chi ha condiviso con lui sogni e realtà, forza e debolezza, bellezza e gratitudine. Egli affida questo compito a chi gli ha consegnato, senza riserve, la propria vita; prima di avere il Vangelo sulle labbra, i discepoli sono chiamati a custodirlo nel cuore. Stare con Gesù, vivere con Lui e per Lui, per poi andare ad annunciare la bellezza e la gioia del Vangelo. Essere una missione permanente richiede coraggio, audacia, fantasia e voglia di “andare più in là”.
    La proposta della pastorale vocazionale nella Chiesa italiana, in questi anni, ha avuto come obiettivo di rimotivare e rilanciare i cammini di accompagnamento e discernimento vocazionale per aiutare i giovani a non lasciarsi espropriare delle proprie scelte di vita; con due “focus” prioritari:
    - passare da una pastorale organizzativa ad una pastorale generativa;
    - entrare nell’ottica di un sogno di Chiesa proposto da “Evangelii gaudium”, per declinarlo in chiave vocazionale.

    Il discernimento nasce in una pastorale generativa e di comunione

    La priorità della formazione
    Occorre essere persone innamorate della propria Vocazione per cogliere in profondità la bellezza e l’originalità di tutte le Vocazioni che, come in un caleidoscopio di colori, formano insieme il patrimonio di ricchezza della Chiesa.
    Tutto ciò richiede una formazione alla
    - Umiltà, come consapevolezza della povertà e del limite che possono divenire risorsa di accoglienza.
    - Gratuità, per fare costantemente memoria che “tutto è grazia”; sono le ultime parole che lo scrittore Georges Bernanos fa dire al piccolo curato di Ambricourt che, morente, rilegge la propria esistenza.
    - Passione, come totale “full immersion” nella promessa che “non la forza ma la bellezza, quella vera, salverà il mondo” (Fëdor M. Dostoevskij).

    L’annuncio del Vangelo della Vocazione
    Ci sono di aiuto le lucide parole di Papa Benedetto XVI: «Siate seminatori di fiducia e di speranza. È infatti profondo il senso di smarrimento che spesso vive la gioventù di oggi. Non di rado le parole umane sono prive di futuro e di prospettiva, prive anche di senso e di sapienza. Eppure, questa può essere l’ora di Dio!».
    Per essere credibili ed entrare in sintonia con la sensibilità delle persone e soprattutto dei giovani, occorre privilegiare la via dell’ascolto, il “saper perdere tempo” nell’ascoltare i loro problemi. La testimonianza sarà tanto più persuasiva se, con gioia e verità, saprà raccontare la bellezza, lo stupore e la meraviglia dell’essere innamorati di Dio.

    La prospettiva vocazionale di “Evangelii gaudium”

    Per declinare “Evangelii gaudium” in chiave vocazionale, un aiuto significativo ci viene dal Convegno ecclesiale di Firenze (2015) che ha evidenziato e attualizzato l’esperienza dell’umanesimo cristiano.

    - Una pastorale vocazionale “in ascolto”
    La dimensione costitutiva di ogni relazione umana e di una incisiva pastorale vocazionale è l’ascolto delicato e rispettoso del vissuto di ogni persona. Questa è la strada maestra per riconoscere la bellezza della propria umanità, senza ignorarne i limiti. La via dell’ascolto è consapevole dell’inadeguatezza delle forze: «Abbiamo solo cinque pani e due pesci».

    - Una pastorale vocazionale “concreta”
    È essenziale recuperare il primato di una proposta che sa entrare nel nucleo profondo della vita e del cuore delle persone: è la logica della “Incarnazione”.
    «La realtà è superiore all’idea» (Evangelii Gaudium, 233); basterebbe questo a liberarci da tante proposte elaborate a tavolino e quindi evanescenti. Concretezza significa parlare della vita e con la vita, trovando la sintesi dinamica tra verità e vissuto, seguendo il cammino tracciato da Gesù. È uno stile pastorale e vocazionale che sa guardare oltre l’attimo fuggente, suscita processi, mobilita risorse e combatte l’indifferenza (Evangelii Gaudium, 224).

    - Una pastorale vocazionale “al plurale”
    La proposta vocazionale è chiamata a declinarsi al plurale, cogliendo la ricchezza della vita che, per sua natura, è ricca di sfumature come le tante facce luminose di un prisma, dove solo dall’insieme dei volti concreti, di adolescenti e di giovani, di bambini e anziani, di famiglie o di singoli, di persone serene o segnate dalla sofferenza, emerge la bellezza del volto di Gesù.

    - Una pastorale vocazionale intrisa di “interiorità e trascendenza”
    Le coordinate essenziali di ogni esistenza, afferma Romano Guardini, sono «il da dove e il verso dove»; esse indicano la traiettoria di una vita vissuta come Vocazione e aprono delle feritoie per intravvedere Colui che è all’origine della vita e di ogni scelta di Amore.
    «Eccomi esistere grazie alla tua bontà, che prevenne tutto ciò che mi hai dato di essere e da cui hai tratto il mio essere... Da Te dipende la mia felicità» (S. Agostino, Confessioni 13, 1,1).

    La dimensione vocazionale come “specifico” della pastorale giovanile

    Oggi, più che in passato, la parola “vocazione” evoca sentimenti di paura, diffidenza e ostilità. Ci accompagna il retaggio di un uso socio-culturale di questa espressione, legato ad una prassi che richiama forme di reclutamento più che di aiuto disinteressato nella ricerca.
    C’è bisogno di una nuova cultura vocazionale per ritrovare la consapevolezza perduta che «la vita è vocazione e la vocazione è vita».
    Per questo la pastorale giovanile e quella vocazionale sono chiamate ad interfacciarsi tra loro in una osmosi dinamica e creativa, per aiutare la ricerca della personale Beatitudine di ciascuno. La ricerca del senso della vita non è una questione di età; essa rimane sempre attuale: «Là dove finisci, di lì ricomincia!» (Thomas Eliot, Quartets).

    In questa logica di cammino condiviso ci sono dei punti di non ritorno:
    - un giovane ha il diritto di essere aiutato a vivere la fede come risposta “umanamente sensata” a una chiamata, sciogliendo i lacci che imbrigliano la libertà di scelta.
    - ogni scelta di vita totalizzante e definitiva comporta una educazione alla “responsabilità” nel suo significato più profondo: rispondere a Qualcuno che chiama.
    - l’esperienza vocazionale nasce, cresce e matura nell’alveo di un tessuto relazionale che chiede di essere riletto e ricompreso.
    - l’annuncio e l’accompagnamento vocazionale, per essere parte integrante del progetto di pastorale giovanile, richiedono una sincronia e sintonia di passi lungo alcuni sentieri condivisi:
    - nella ricerca della verità di sé stessi e della propria identità;
    - nell’esperienza di relazioni profonde di intimità e amore;
    - nell’immersione in un clima di fiducia e positività attraverso la “via della Bellezza”;
    - nell’esodo da sé stessi, oltre il proprio narcisismo, per vivere la vita come dono.
    Tutto ciò può sintetizzarsi nelle parole che Giovanni Vannucci amava ripetere nell'Eremo di San Pietro a Le Stinche: “Non vi trasmetto conoscenze certe… vi do solo delle tracce per sognare”.

    * Direttore Ufficio Nazionale per la Pastorale Vocazionale CEI

     


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