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    Invito alla lettura dei “Lineamenta”


    Il “Documento preparatorio”: una mappa di navigazione durante la prima fase del Sinodo [1]

    Rossano Sala

    (NPG 2017-02-6)


    Prima di lasciare la parola all’ascolto delle riflessioni dei “protagonisti”, il presente Dossier prende avvio con questa sostanziosa introduzione, che ha il compito specifico di offrire alcune chiavi di lettura per avvicinarsi adeguatamente ai “Lineamenta” o “Documento preparatorio”. Esso è consegnato a tutti gli organismi ecclesiali per l’avvio della consultazione in vista dell’assise sinodale, che si terrà nel novembre del 2018.
    Superfluo ricordare che ogni operatore ha il dovere non solo di leggere, ma di studiare adeguatamente questo documento rilevante che orienta la Chiesa nel suo percorso sinodale.

    Ad una prima lettura, il documento preparatorio offre uno sguardo d’insieme non superficiale delle tematiche del Sinodo: in tre parti distinte e comunicanti, secondo un metodo triadico tipicamente pastorale (ascolto attento della realtà, proposta di una criteriologia adeguata, orientamenti pastorali strategici) si aiuta il lettore ad affrontare in forma ordinata l’argomento sinodale: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Il documento appare lineare e ben compaginato nel suo insieme tripartito, che si conclude con un breve e incisivo questionario, che sarà riportato nella parte finale del presente Dossier.
    La prima positività del documento risiede nel fatto che esso ci offre un metodo di ricerca e di riflessione che trova nelle scienze pastorali attuali la conferma della sua bontà e fecondità. È il metodo tipico della teologia pastorale e della riflessione sulla pastorale giovanile ad essere messo in campo, che può aiutare ogni operatore a riflettere con intelligenza teologica e profondità pastorale.
    È importante ricordare fin da subito che ogni realtà interpellata – Sinodi dei Vescovi e ai Consigli dei Gerarchi delle Chiese Orientali Cattoliche, alle Conferenze Episcopali, ai Dicasteri della Curia Romana e all’Unione dei Superiori Generali – sarà chiamata ad offrire le risposte al questionario proposto entro la fine dell’anno 2017. Tali risposte saranno rielaborate e genereranno una prima sintesi nell’Instrumentum laboris, strumento principe per l’assemblea sinodale dei Vescovi.
    Il documento preparatorio va quindi letto, valutato e utilizzato in base alla sua finalità propria e specifica, quella di rendere possibile un lavoro omogeneo e mirato in ogni realtà in vista di una raccolta di dati e di riflessioni specifiche sul tema in oggetto.
    Non sarebbe metodologicamente corretto chiedere ai Lineamenta altro da questo. Per esempio, risulta chiaro che questo documento non è direttamente indirizzato ai giovani, per i quali si dice con precisione nell’introduzione: «È prevista inoltre una consultazione di tutti i giovani attraverso un sito internet, con un questionario sulle loro aspettative e sulla loro vita». Il documento, per essere più precisi, chiede alle Conferenze Episcopali e alle Chiese locali – soprattutto attraverso il questionario – di interpellare e dialogare con i giovani: in questo senso la Chiesa universale non pecca di centralismo, in quanto desidera non sostituirsi al compito ineludibile di ogni Chiesa radicata nel proprio territorio.

    Introduzione e icona biblica

    Fin dalle prime righe si chiarisce prima di tutto il senso del documento stesso, che ha il compito peculiare di «dare avvio alla fase della consultazione di tutto il Popolo di Dio». Non si tratta di offrire soluzioni pastorali o rispondere a domande che vengono dalle Chiese di tutto il mondo: il documento è invece pensato nella direzione opposta: è un invito e una sollecitazione per la riflessione, un aiuto che spinge a verificarsi nel proprio contesto, una mappa che orienta ogni Conferenza Episcopale e ogni Chiesa locale nella navigazione di questi prossimi anni di preparazione all’assemblea sinodale.
    Toccherà quindi ad ogni realtà pastorale coinvolgere, riflettere, analizzare, verificare, discernere e proporre. Il documento ha il solo scopo dichiarato di “attivare” e non di “sostituire” il pensiero delle singole Chiese.
    La centralità dei temi della gioia e dell’amore rimandano senza dubbio ai due documenti più importanti del pontificato di Francesco, che stanno sottotraccia in tutto il documento: Evangelii gaudium e Amoris laetitia, senza però dimenticare l’enciclica Laudato sI', varie volte ripresa nel testo.
    Prima del testo vero e proprio viene proposta una icona biblica di riferimento: tutti i giovani sono invitati a seguire le «orme del discepolo amato». Tra le classiche figure bibliche disponibili (tra le più frequenti in pastorale giovanile ricordiamo quella dei discepoli di Emmaus, oppure quella del giovane ricco, oppure ancora quella del buon pastore), viene individuata la figura del discepolo amato, scelta perché «ci aiuta a cogliere l’esperienza vocazionale come un processo progressivo di discernimento interiore e di maturazione di fede». Effettivamente l’itinerario di fede crescente e completo dell’apostolo Giovanni si presta a questo scopo: dalla prima chiamata alla lavanda dei piedi, passando dall’orto degli ulivi alla presenza sotto la croce, arrivando alla corsa verso il sepolcro vuoto, si giunge al riconoscimento presso il lago di Tiberiade e al conseguente impegno di testimonianza fino alla fine di colui che ha visto, udito, toccato, e contemplato il Verbo della vita.
    Al termine del documento, prima del questionario, viene anche presentata la figura di Maria, che con Giovanni intrattiene un rapporto di particolare vicinanza e amicizia spirituale. Facendo perno intorno ai titoli delle prossime tre Giornate Mondiali della Gioventù, si pone la figura di Maria come referente esemplare di ogni percorso di discernimento vocazionale, perché «nei suoi occhi ogni giovane può riscoprire la bellezza del discernimento, nel suo cuore può sperimentare la tenerezza dell’intimità e il coraggio della testimonianza e della missione».

    Fase contestuale e kairologica: «I giovani nel mondo di oggi»

    Il primo capitolo, intitolato “I giovani nel mondo di oggi”, corrisponde alla fase kairologico-contestuale, che ha lo scopo di contestualizzare il mondo giovanile nel mondo odierno, avendo cura di segnalare alcune istanze “kairologiche”, ovvero esperienze e segni di presenza e di chiamata di Dio.
    Il capitolo non offre «un’analisi completa della società e del mondo giovanile, ma presenta alcuni risultati delle ricerche in ambito sociale utili per affrontare il tema del discernimento vocazionale». Viene chiarito fin da subito che non esistono i giovani in forma astratta e uniforme, ma che «esiste una pluralità di mondi giovanili» davvero diversi a seconda dei diversi contesti.
    Sappiamo che la stessa categorizzazione dell’età giovanile è molto diversa: la scelta generale si riferisce all’età compresa tra i 16 e i 29 anni, «nella consapevolezza che anche questo elemento richiede di essere adattato alle circostanze locali». È noto, per esempio, che nelle società ad avanzata modernizzazione, dove le aspettative di vita oltrepassano gli ottant’anni, avere intorno ai trent’anni significa essere ancora giovani, mentre in contesti sociali di evidente povertà, già a vent’anni si è considerati adulti a tutti gli effetti. La scelta di escludere in linea di principio i trentenni e di concentrarsi sulla fascia dei ventenni, senza disdegnare la fascia alta dei teenager (16-19 anni) appare comunque condivisibile e sensata, soprattutto pensando ad un contesto globale.
    La sottolineatura generale del contesto in cui i giovani crescono opta per termini come «complessità», «mobilità», «fluidità», «incertezza», «vulnerabilità», «flessibilità», «precarietà», facendo perno intorno alla situazione di «multiculturalità» e di «multireligiosità», che «rappresentano una sfida e un’opportunità». Le nuove generazioni vivono davvero in un ambiente non semplice, tanto che molti giovani non hanno il tempo di fare esperienza della loro giovinezza, come tempo di gioia, amore, spensieratezza e progettualità: «Troppi sono nel mondo coloro che passano direttamente dall’infanzia all’età adulta».
    Ancora si parla del divario giovanile che si allarga a forbice: c’è chi partecipa e agisce in prima persona, scegliendo e progettando, ma c’è chi si lascia portare verso la rinuncia «a desiderare, sognare e progettare, come dimostra il fenomeno dei NEET (not in education, employment or training, cioè giovani non impegnati in un’attività di studio né di lavoro né di formazione professionale)».
    Un altro dato comune a livello globale è «il bisogno di figure di riferimento vicine, credibili, coerenti e oneste»: genitori, adulti, pari. Così come è un tratto comune il fatto che «i giovani nutrono spesso sfiducia, indifferenza o indignazione verso le istituzioni», Chiesa compresa.
    Nel documento, sia nel primo che nel terzo capitolo si dedica un intero paragrafo alla questione del rapporto tra i giovani e le nuove tecnologie: la Chiesa è chiamata a comprendere con attenzione quanto «l’esperienza di relazioni tecnologicamente mediate strutturi la concezione del mondo, della realtà e dei rapporti interpersonali».
    L’ultima sezione è dedicata al tema specifico della scelta, dove emerge sempre di più un percorso «riflessivo» da parte dei giovani, dove si affacciano delle difficoltà legate alle precarietà tipiche del nostro tempo: «La fatica a trovare lavoro o la sua drammatica mancanza; gli ostacoli nel costruirsi un’autonomia economica; l’impossibilità di stabilizzare il proprio percorso professionale». In questo percorso di ricerca di stabilità, non viene meno l’anelito spirituale e religioso: «Nella ricerca di percorsi capaci di ridestare il coraggio e gli slanci del cuore non si può non tenere in conto che la persona di Gesù e la Buona Notizia da Lui proclamata continuano ad affascinare molti giovani». Proprio per questa naturale apertura, la Chiesa è chiamata a mettersi in gioco con attenzione e disponibilità: «Se nella società o nella comunità cristiana vogliamo far succedere qualcosa di nuovo, dobbiamo lasciare spazio perché persone nuove possano agire. In altri termini, progettare il cambiamento secondo i principi della sostenibilità richiede di consentire alle nuove generazioni di sperimentare un nuovo modello di sviluppo».

    Fase criteriologica e fondante: «Fede, discernimento, vocazione»

    Il secondo capitolo del documento, intitolato “Fede, discernimento, vocazione” è quello più impegnativo e profondo, perché propone una criteriologia fondante sul tema specifico del Sinodo, quello del discernimento vocazionale dei giovani alla luce della fede: significa che qui possiamo trovare alcune riflessioni fondanti sul tema in oggetto.
    Riconoscendo che la povertà tipica delle giovani generazioni risiede oggettivamente nel fatto che le loro libertà «si stanno ancora costituendo», nasce l’esigenza della custodia, dell’accompagnamento e del discernimento. Se «venire al mondo significa incontrare la promessa di una vita buona», ciò non significa che tale promessa originaria venga onorata nella forma di un automatismo scontato, ma che il tutto passa attraverso l’istanza della libertà stessa, che trova nella cura educativo-pastorale la sua attuazione ecclesiale ordinaria.
    Per comprendere il tema vocazionale il documento fa perno intorno alla fede, chiaramente riconosciuta come «fonte del discernimento vocazionale, perché ne offre i contenuti fondamentali, le articolazioni specifiche, lo stile singolare e la pedagogia propria». Il riferimento biblico di Gv 15,16-17 chiarisce che si tratta di una fede certamente non passiva né passivizzante, ma che chiede intraprendenza e progettualità, fecondità e fruttuosità: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga». Un versetto certamente entusiasmante, perché alla libera scelta di Gesù segue un’attivazione della libertà per il dono.
    È anche chiarito che il dialogo vocazionale decisivo avviene nella coscienza, dove ciascuno incontra l’appello di Dio: in questo senso l’aiuto di altre persone nel discernimento non possono sostituire questo dialogo intimo, perché «lo possono accompagnare e confermare, ma mai sostituire».
    La parte centrale del capitolo è dedicata al «dono del discernimento». In particolare ci si sofferma su quello vocazionale, che non è semplicemente sovrapponibile al discernimento dei segni dei tempi, a quello morale o a quello spirituale: il discernimento vocazionale è quel «processo con cui la persona arriva a compiere, in dialogo con il Signore e in ascolto della voce dello Spirito, le scelte fondamentali, a partire da quella sullo stato di vita»: «Come vivere la buona notizia del Vangelo e rispondere alla chiamata che il Signore rivolge a tutti coloro a cui si fa incontro: attraverso il matrimonio, il ministero ordinato, la vita consacrata? E qual è il campo in cui si possono mettere a frutto i propri talenti: la vita professionale, il volontariato, il servizio agli ultimi, l’impegno in politica?».
    Per compiere il discernimento vocazionale si propongono tre tappe, lasciandosi ispirare dai tre verbi utilizzati in Evangelii gaudium n. 51: riconoscere, interpretare, decidere. Si parte dalla necessità di cogliere il gusto lasciato dagli avvenimenti, con la necessità di imparare a «riconoscere» in profondità le proprie emozioni, mettendosi in ascolto della Parola di Dio; si passa alla necessità di «interpretare», cioè di «cogliere l’origine e il senso dei desideri», cosa non facile né scontata; si arriva infine alla necessità di «decidere», dove «l’atto di decidere diventa autentico esercizio di libertà umana e di responsabilità personale».
    Il processo di discernimento non è puntuale, ma si distende nel tempo come forma di un processo dove l’unica vocazione rimanda a diversi momenti di appelli personali aperti e disponibili ad una missione specifica. In questo percorso, che è certo un itinerario di accoglienza e donazione, sempre «occorre verificare quanto le scelte siano dettate dalla ricerca della propria autorealizzazione narcisistica e quanto invece includano la disponibilità a vivere la propria esistenza nella logica del generoso dono di sé».
    Conclude il capitolo una parte dedicata all’accompagnamento, da intendersi sempre come un lavoro artigianale, mai standardizzato né ripetibile, dove «si tratta di favorire la relazione tra la persona e il Signore, collaborando a rimuovere ciò che la ostacola», perché «la guida spirituale rinvia la persona al Signore e prepara il terreno all’incontro con Lui».

    Fase strategica e progettuale: «L’azione pastorale»

    Il terzo capitolo, intitolato “L’azione pastorale”, che si riferisce ad una fase strategica e progettuale, è indirizzato ad offrire orientamenti e suggerimenti per la verifica circa lo stile di Chiesa, i soggetti interessati, i luoghi specifici e gli strumenti adeguati per realizzare la «pastorale giovanile vocazionale». Fin dall’inizio, e questo risulta un orientamento decisivo, vi è un’opzione chiara: «riconosciamo una inclusione reciproca tra pastorale giovanile e pastorale vocazionale». Ogni operatore sa molto bene che una pastorale giovanile senza attenzione vocazionale rischia il giovanilismo, tanto quanto una pastorale vocazionale al di fuori di una pastorale giovanile rischia di divenire una “pastorale del bonsai”, cioè di una piccola minoranza esclusiva ed escludente.
    La prima parte del capitolo è dedicata a tratteggiare uno stile di Chiesa capace di essere significativo e attrattivo per i giovani: attraverso i verbi «uscire, vedere, chiamare» si invita ogni Chiesa locale a verificare la propria capacità missionaria e testimoniale.
    Nella parte rivolta ai soggetti si conferma che l’impegno della Chiesa è a favore di «tutti i giovani, nessuno escluso». Questa attenzione al «nessuno escluso» emerge per ben quattro volte nell’intero documento, segnale della volontà di raggiungere tutti i giovani da parte della Chiesa, e di non richiudersi a riccio verso “i nostri”, verso “quelli che ci stanno”, ma offrendo a tutti il proprio servizio per la vita e la speranza.
    I giovani sono immediatamente riconosciuti come “soggetti”, tanto che «la Chiesa stessa è chiamata ad imparare dai giovani» e il Sinodo stesso desidera «chiedere ai giovani stessi di aiutarla a identificare le modalità oggi più efficaci per annunciare la Buona Notizia».
    Sempre a riguardo dei soggetti, la comunità dei credenti è riconosciuta come responsabile prima e principale dell’azione educativo-pastorale: uscire dall’improvvisazione e dall’incompetenza, «prendendo sempre più sul serio il compito di pensare, concretizzare, coordinare e realizzare la pastorale giovanile in modo corretto, coerente ed efficace» è sempre un traguardo da verificare e a cui tendere.
    Poi le figure di riferimento vengono così delineate, prima ancora di distinguerle in categorie specifiche (genitori, pastori, consacrati, insegnanti e altre figure educative): «Servono credenti autorevoli, con una chiara identità umana, una solida appartenenza ecclesiale, una visibile qualità spirituale, una vigorosa passione educativa e una profonda capacità di discernimento».
    A proposito poi dei luoghi è fatta una triplice distinzione: si parte dalla vita quotidiana, perché «quanto più è autentica, tanto più la fede interpella la vita quotidiana e se ne lascia interpellare»; si passa attraverso gli «ambienti specifici della pastorale», dove la Chiesa si fa protagonista di servizi specifici per i giovani (si va dalla GMG agli eventi diocesani, dalle Parrocchie agli oratori, dalle università alle scuole cattoliche, dalle attività sociali a quelle di volontariato, dai luoghi di spiritualità alle esperienze missionarie, dalla riscoperta del pellegrinaggio alla pietà popolare); si conclude poi con un affondo nel «mondo digitale», portatore sia di opportunità inedite e promettenti, sia di rischi subdoli e viscidi.
    Si conclude il capitolo con una riflessione sugli “strumenti” per fare pastorale. Si incomincia riflettendo sui linguaggi, dove è chiesta la valorizzazione del mondo espressivo dei giovani, che ha nello sport e nella musica dei canali privilegiati. Ci si concentra poi sul riconoscimento che «tra evangelizzazione ed educazione si rintraccia un legame genetico» da valorizzare attraverso l’inclusione reciproca tra cura educativa e percorsi di evangelizzazione. Ultimo, ma non ultimo, uno strumento privilegiato per fare pastorale giovanile vocazionale è quello del silenzio, della contemplazione e della preghiera: viene ancora una volta indicata la Lectio Divina come «metodo prezioso che la tradizione della Chiesa ci consegna».

    Il questionario

    In un certo senso la parte più importante e impegnativa del “Documento preparatorio” è il questionario, cruccio per chi lo deve predisporre e fatica per chi lo deve compilare.
    Lo scopo dichiarato «è aiutare gli organismi aventi diritto a esprimere la loro comprensione del mondo giovanile e a leggere la loro esperienza di accompagnamento vocazionale, in vista della raccolta di elementi per la redazione del Documento di lavoro o Instrumentum laboris».
    La struttura, diversamente da questionari passati, appare positivamente agevole e mirata.
    Si incomincia con una prima parte dove si chiede di «raccogliere i dati» del proprio territorio.
    Segue il corpo centrale, che chiede di «leggere la situazione», con quindici domande distinte in tre momenti: “Giovani, chiesa e società”, “La pastorale giovanile vocazionale”, “Gli accompagnatori”, che si conclude con altre tre domande specifiche per ogni diverso continente (quelle proprie per l’Europa vertono sulla ricchezza della memoria cristiana dell’Europa, sull’accompagnamento delle proteste dei giovani in proposte positive, sulla riattivazione del rapporto intergenerazionale). È da segnalare che alcune domande destinate ad uno specifico continente appaiono molto utili anche per gli altri.
    Infine il tutto è concluso con la richiesta di «condividere le pratiche»: l’invito a sceglierne tre che si distinguano per interesse e pertinenza, da descrivere e analizzare, con l’intento di porle all’attenzione della Chiesa universale, appare una buona scelta, che permetterà all’Instrumentum laboris di raggiungere un certo grado di concretezza.
    Una clausola importante è contenuta nella richiesta di invio del Dossier finale alla Segreteria del Sinodo, perché si chiede un lavoro di sintesi di non più di dodici pagine: «Indicativamente una pagina per i dati, sette-otto pagine per la lettura della situazione, una pagina per ciascuna delle tre esperienze da condividere».
    L’ampia consultazione deve arrivare ad una sintesi estremamente snella: la strategia pensata dalla Segreteria del Sinodo è molto interessante, perché costringe ogni organismo non solo a raccogliere dati, ma a rielaborarli con intelligenza e saggezza, offrendo così un lavoro ricapitolativo di qualità.
    Certamente è anche detto che si potrà allegare altro materiale di complemento e di approfondimento, ma questa richiesta è una vera novità: in Sinodi precedenti vi è stata sempre la tentazione di accumulare risposte senza alcun discernimento in vista di una sintesi, inviando alla Segreteria del Sinodo materiali abbondanti e poco selezionati a dovere, né analizzati con cura. Qui invece si richiede un lavoro diverso, certamente più faticoso, ma anche più prezioso e fecondo per le singole realtà locali e per chi dovrà lavorare all’estensione dell’Instrumentum laboris.


    NOTA

    1 Si avverte il lettore che ogni volta che si troveranno affermazioni tra virgolette « », esse si riferiscono ad una citazione diretta del Documento preparatorio o Lineamenta.


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