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    Il discepolo che Gesù amava nei racconti pasquali (Gv 20, 1-10)



    Il percorso di fede/vocazionale del "discepolo amato" /4


    Giuseppe De Virgilio

    (NPG 2017-07-64)


    Il racconto giovanneo della passione culmina con la descrizione della sepoltura di Gesù (Gv 19,38-42). Giuseppe d’Arimatea discepolo di Gesù chiede di nascosto a Pilato di poter prendere il corpo del Signore per dargli degna sepoltura. Il governatore Pilato lo concede e Giuseppe insieme a Nicodemo prese il corpo, lo avvolse in bende insieme con oli aromatici e lo depose in un vicino sepolcro situato nel giardino. L’evangelista annota che il sepolcro era nuovo e che il corpo fu posto in quel luogo «a motivo della Preparazione dei Giudei» e perché era vicino al Golgota. Ad assistere alla scena devono esserci state anche le donne presenti[1], insieme a Maria, la madre di Gesù e al «discepolo amato». Sul dramma che si è appena consumato sopraggiunge la sera, scende il silenzio ma non si perde la memoria delle parole di Gesù: «distruggere questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2,19)[2]. Qualcosa di straordinario sta per avvenire, bisogna saper attendere il compimento della promessa. Dio è fedele alle sue promesse il cui esito è riassunto in Gv 20,1-29.

    Gv 20,1-29: tre modelli di fede

    Il racconto pasquale in Gv 20,1-29 si articola in quattro scene che culminano nella prima conclusione del Vangelo (vv. 30-31): a) Maria di Magdala, Simon Pietro e il «discepolo amato» trovano la tomba aperta e vuota (vv. 1-10); b) il Risorto si rivela a Maria di Magdala (vv. 11-18); c) il Risorto appare nl Cenacolo ai suoi discepoli mentre Tommaso non è presente (vv. 19-23); d) all’ottavo giorno il Risorto riappare nel Cenacolo dove c’è anche Tommaso insieme agli altri discepoli (vv. 25-29). Alcuni commentatori preferiscono dividere il brano in un grande dittico costituito dai vv. 1-18 e 19-29, motivando questa articolazione per il cambiamento dell’ambiente (sepolcro / cenacolo). Nella prima parte, la corsa di Pietro e Giovanni e l’apparizione di Gesù alla Maddalena i racconti sono contestualizzati al sepolcro; nella seconda parte, la doppia apparizione ai discepoli viene collocata nel cenacolo[3].
    Il racconto presenta alcune differenze rispetto alle narrazioni sinottiche. La sezione si apre con la figura di una donna «discepola», Maria di Magdala che cerca il corpo morto di Gesù e in seguito incontra il Signore (vv. 1-2.11-18) e si conclude con la figura di un uomo, il «discepolo» Tommaso, il quale dubbioso, pretende di verificare l’identità di Gesù e alla fine incontra il Risorto (vv. 24-29). Al centro dell’intera sezione si colloca l’esperienza di Simon Pietro insieme agli apostoli (vv. 19-23) e segnatamente dalla testimonianza di fede del «discepolo che Gesù amava» (20,8). Segnaliamo brevemente i «tre modelli» di fede per poi focalizzare il racconto di Gv 20,1-10.

    - Maria di Magdala, donna del desiderio
    Il primo personaggio in ordine di apparizione è Maria di Magdala[4] la donna «dalla quale erano usciti sette demoni» (Lc 8,2). Nel quarto vangelo la Maddalena va sola alla tomba di buon mattino, quando era ancora buio (Gv 20,1) [5]. Molte delle annotazioni psicologiche rimandano alla profondità del rapporto che la donna aveva instaurato con Gesù. La sua presenza solitaria alle prime luci dell’alba davanti al sepolcro ci fa capire lo stato emotivo in cui Maria ha vissuto quelle ore e il desiderio di cercare e prendersi cura del cadavere di Gesù. La scoperta della tomba vuota, la corsa da Simon Pietro e Giovanni, il ritorno con i discepoli e il pianto inconsolabile nel «giardino della morte» dicono il movimento interiore della donna e la sua profonda situazione di angoscia. Mentre Maria veglia nel pianto l’ultimo luogo dove il Maestro fu deposto, il Risorto si lascia trovare e si fa riconoscere (v. 16). In questo contesto la donna diventa «testimone e annunciatrice di speranza». Il Risorto le affida il compito di «andare ed annunciare ai fratelli la risurrezione di Gesù e la sua ascesa al Padre» (v. 17). Questa è l’ultima menzione che i vangeli riportano di Maria Maddalena.

    - Tommaso, uomo della razionalità
    Tommaso, menzionato nell’elenco degli apostoli[6], è citato in alcuni episodi del quarto vangelo. In Gv 11,16 egli esorta ironicamente i Dodici ad accompagnare Gesù in Giudea per «andare a morire» come Lazzaro; in Gv 14,5 egli chiede a Gesù «il luogo dove andrà e se sia possibile conoscere la via»; in Gv 21,2 fa parte del gruppo dei pescatori che incontrano il Risorto mentre sono nel lago di Genezaret. Tuttavia la figura di questo apostolo è contrassegnata dall’atteggiamento dell’incredulità, per via dall’episodio della «prova del Risorto» (Gv 20,26-29), che Tommaso rivendica nella sera di Pasqua, dopo la prima apparizione nel cenacolo (v. 24). Egli rappresenta la dimensione della razionalità nel credere non solo a livello personale, bensì a nome del gruppo degli apostoli e dei lettori del vangelo (v. 29).

    - Simon Pietro, cercatore della verità
    Simon Pietro in compagnia del discepolo che Gesù amava corre al sepolcro (Gv 20,3-5) e verifica l’assenza del corpo del Signore. Simon Pietro entra nel sepolcro ed osserva le bende e il sudario, mentre all’altro discepolo basta solo vedere per credere (v. 8). Anche in questo racconto Pietro è preceduto dal «discepolo amato», come nella scena iniziale della chiamata al discepolato (Gv 1,35-42), nel corso della Cena pasquale (Gv 13,21-30) e presso la casa di Anna (18,15-18). Anche nel lao di Genezaret il «discepolo amato» precederà la fede di Pietro (21,1-14). Insieme agli apostoli Simon Pietro sperimenta la fatica di credere e il bisogno di verità e mi misericordia (Gv 20,19-23; 21,15-18). In definitiva il racconto pasquale pone in evidenza tre modalità della fede: la ricerca affettiva di Maria di Magdala, la ricerca razionale di Tommaso e la ricerca condizionata e dubbiosa di Simon Pietro.

    Gv 20,1-10: con gli occhi del discepolo amato

    Nel quadro descritto spicca la figura del «discepolo amato» e la sua profondità contemplativa. Ripercorriamo Gv 20,1-10 focalizzando il profilo del discepolo amato e la sua forza testimoniale. Nel presentare l’episodio della tomba vuota l’evangelista concentra la sua attenzione non tanto sui dettagli del contesto, quanto sulla meraviglia di fronte alla «scoperta» che Maria fa dell’assenza del cadavere di Gesù[7].

    - La corsa notturna (vv. 1-2)
    Ella si reca al sepolcro mentre è ancora buio, al mattino presto, il «primo giorno» della settimana (v. 1). Il contrasto simbolico tra le tenebre e il «vedere» della donna, evidenzia lo stato interiore di Maria, provato dall’evento drammatico della passione del suo «maestro e Signore». Maria vede (blepei = scorge) la pietra ribaltata dal sepolcro. Si tratta di un vedere fisico, il semplice scorgere con gli occhi l’assenza del cadavere. Da questa constatazione inizia la ricerca affannosa ed angosciata del Signore (v. 2). La donna si muove ancora nel buio[8] e non si preoccupa di ispezionare l’interno del sepolcro aperto, ma si precipita ad avvertire i discepoli. La corsa notturna rivela il movimento intimo della Maddalena, la quale informa i discepoli: «hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove lo hanno posto» (v. 2). Ella sperimenta in quell’istante una «comunione interrotta» drammaticamente dalla privazione del Signore. È stato trafugato il corpo del Signore e non si sa «dove» è stato portato. Maria si sente perduta di fronte all’unica reliquia del Maestro che gli era stata sottratta per sempre: da ciò deriva la sua angoscia.

    - Credere per vedere (vv. 3-10)
    Il movimento della testimone notturna mette in moto anche gli altri discepoli ed accresce la tensione drammatica del racconto: Simon Pietro esce (v. 3) insieme all’altro discepolo e «corrono» verso il sepolcro. È la corsa ansiosa della ricerca, che esprime il bisogno di un incontro che cambia la storia. L’evangelista presenta i due testimoni dell’evento in modo simmetrico[9], così come aveva presentato Marta e Maria nel racconto della risurrezione di Lazzaro (Gv 11,20.29.31): l’altro discepolo arriva prima di Simon Pietro, vede le bende ma non entra subito perché attende l’arrivo del compagno. La tensione narrativa si placa quando Simon Pietro entra nel sepolcro e scorge le bende che erano servite per legare il corpo di Gesù con gli aromi (Gv 19,40) e il sudario «avvolto a parte in un altro posto» (v. 7).
    Le due figure rappresentative del cristianesimo delle origini[10] sono poste di fronte ad una domanda fondamentale del Vangelo: fermarsi solo al segno o credere all’evento che oltrepassa il segno della morte! Il binomio vedere-credere fa da filo conduttore dell’intera pagina giovannea: il discepolo «vide e credette» (v. 8: eîden kai epísteusen), la Maddalena riconosce il Risorto e crede (v. 16), i discepoli nel Cenacolo «videro Gesù e gioirono» nella fede (v. 20), a Tommaso incredulo il Risorto richiama la beatitudine della fede per coloro che «pur non avendo visto crederanno» (v. 29).
    Mentre si afferma che il discepolo che Gesù amava «vide e credette» (v. 8), l’evangelista annota subito dopo che entrambi «non avevano ancora compreso la Scrittura, che doveva risuscitare dai morti» (v. 9). Appare chiara la difficoltà di conciliare il v. 8 con il contenuto della successiva frase: «credette» ma «non avevano ancora compreso»[11]. Occorre interpretare questo testo nel più ampio contesto giovanneo: la Maddalena e Simon Pietro «osservano» il sepolcro vuoto, mentre l’altro discepolo «vede»[12] questo evento come un «segno» che apre alla fede pasquale[13]. L’evangelista ha voluto sottolineare che la fede in Cristo risorto è un processo graduale vissuto con esiti diversi dalla comunità cristiana, illuminata dall’ascolto della Sacra Scrittura.
    La fede pasquale non risponde ad un meccanismo automatico, frutto di un ragionamento umano, ma chiede a ciascun credente di «entrare» attraverso la morte di Gesù, nel mistero della vita! Così la «corsa fisica» non corrisponde alla rapidità dell’adesione del cuore. Il racconto evidenzia nei particolari il conflitto radicale tra morte e vita, ricerca di un cadavere ed incontro con un Vivente, esperienza paurosa della notte e gioia nella luce gloriosa, corsa affannosa verso il sepolcro ormai vuoto e missione universale che nasce dal Cenacolo di Gerusalemme e si schiude verso gli estremi confini della terra.
    Con «gli occhi» del discepolo amato è possibile vivere il discernimento della fede. Simon Pietro e l’altro discepolo tornano a casa (v. 10) senza lasciar trasparire reazioni o sentimenti circa l’accaduto. Solo Maria rimane presso la tomba ormai vuota. Sarà lei la protagonista di scena successiva nella quale il Risorto si rivelerà alla donna.

    Conclusione

    Il «discepolo amato» apre il racconto pasquale del Quarto Vangelo. Egli è associato alla figura autorevole di Simon Pietro, così come è stato accanto al dolore della Vergine Maria, presso la croce di Cristo. Il suo sguardo contemplativo diventa un modello di discernimento della fede. Le tappe che vanno dal racconto della Cena pasquale alla corsa verso il sepolcro sono scandite dalla presenza significativa del «discepolo amato».
    Possiamo sottolineare tre aspetti sintetici che rendono profondamente attuale la figura del discepolo amato nel giorno di Pasqua. In primo luogo egli condivide la ricerca del Risorto e vive l’attesa del suo incontro. In secondo luogo egli sa aspettare l’arrivo di Simon Pietro al sepolcro senza anticipare gli eventi. Infine il suo sguardo oltrepassa i segni della morte e si colloca ad un livello di fede superiore, che trasforma la logica puramente umana della prassi comune. È lo sguardo che deve caratterizzare l’incontro vocazionale anche con i giovani del nostro tempo. Annota il Documento preparatorio del Sinodo:
    «Quando i Vangeli narrano gli incontri di Gesù con gli uomini e le donne del suo tempo, evidenziano proprio la sua capacità di fermarsi insieme a loro e il fascino che percepisce chi ne incrocia lo sguardo. È questo lo sguardo di ogni autentico pastore, capace di vedere nella profondità del cuore senza risultare invadente o minaccioso; è il vero sguardo del discernimento, che non vuole impossessarsi della coscienza altrui né predeterminare il percorso della grazia di Dio a partire dai propri schemi» [14].
    La fede pasquale non consiste nella pretesa razionalistica di «vedere per credere», ma nella capacità vocazionale di uno sguardo che sa fidarsi, donarsi e dilatare il proprio cuore all’azione dello Spirito Santo. In virtù di questa potenza trasformate, il giovane discepolo amato affida a noi oggi il cammino di un’autentica fede pasquale che consiste del «credere per vedere» (Gv 11,40).


    NOTE

    [1] Cf. Mt 27,6; Mc 15,47; Lc 23,55-56.
    [2] Cf. Mt 26,61. Per la predizione della risurrezione al terzo giorno: cf. Mt 16,21; 17,23; 20,19; Gv 2,19-22.
    [3] Così R. E. Brown, Giovanni, Cittadella, Assisi 1979, 1225-1327; R. Fabris, Giovanni, Borla, Roma 2002, 1014.
    [4] Cf. R. Vignolo, Personaggi del Quarto Vangelo. Figure della fede in San Giovanni, Glossa, Milano 1998, 144-153; C. Ricci, Maria di Magdala e le molte altre. Donne sul cammino di Gesù, D’Auria, Napoli 1977,14-33; A. Guida, Nel mattino di Pasqua l’incontro con il Cristo risorto (Gv 20,1-18), «Parole di Vita» 6 (2004), 1-17; G. De Virgilio, Donna chi cerchi? Una lettura vocazionale di Gv 20,1-18, Rogate, Roma 2007.
    [5] Cf. Lc 24,1-10; Mt 28,1; Mc 16,1-2; cf. R. Vignolo, Le donne della Pasqua, «Parole di Vita» 5 (1994), 22-25.
    [6] Cf. Mt 10,3; Mc 3,18; Lc 6,15; cf. At 1,13.
    [7] Cf. Fabris, Giovanni, 1022.
    [8] Giovanni conferisce al tema della buio/notte significati molto densi: cf. Gv 3,2; 6,16-17; 9,4; 11,10; 13,30.
    [9] Il sistema giudaico che richiedeva almeno la testimonianza di due uomini; cf. Dt 17,6; 19,15; Gv 8,17.
    [10] Segnaliamo le diverse interpretazioni aneddotiche applicate ai vv. 8-9: secondo alcuni le figure di Pietro e Giovanni rappresenterebbero il binomio di istituzione e il carisma, fede e amore, razionalità e intuizione (ecc.). In altra prospettiva, autori come Loisy vedono in Pietro e Giovanni i rappresentanti delle due anime della comunità primitiva: il giudeo-cristianesimo e il mondo etnico-cristiano. Altri ancora ritengono che i vv. 8-9 sono da considerare come una «parentesi» voluta dall’evangelista, con una funzione didattico-parenetica rivolta alla sua comunità (cf. R. E. Brown, Giovanni, 1249-1261; R. Fabris, Giovanni, 1027-1029).
    [11] I. De la Potterie sottolinea come l’espressione indica come in Giovanni sia iniziata l’esperienza del credere: «cominciò a credere» (I. De la Potterie, Studi di cristologia giovannea, Marietti, Genova 1986, 197).
    [12] Il verbo eîden (= vedere, conoscere) indica una relazione interiore profonda e puntuale, che non è un semplice «scorgere» (blépein: cf. Gv 20,1) né un osservare (theōreín: cf. Gv 20,12.14).
    [13] L’espressione «vide e credette» in relazione al v. 9 è stata molto discussa tra gli esegeti. Fabris propone un collegamento tematico con l’episodio di Lazzaro in Gv 11,1-44, mostrando come il segno della risurrezione di Lazzaro costituisce un collegamento con la fede nella gloria di Dio a cui alcuni giudei hanno aderito (cf. Fabris, Giovanni, 1025-1027). In questo senso il «discepolo credente» rappresenta il prototipo di coloro che approdano alla fede anche senza vedere la realtà del corpo di Gesù risorto e verificarne l’identità come sarà per Tommaso.
    [14] Sinodo dei vescovi, xv assemblea generale ordinaria I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Documento preparatorio (17.01.2017), III, 1.
            


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