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    Giovani e Chiesa. Credere senza appartenere?


    Pierpaolo Triani

    (NPG 2017-05-55)

    C’erano una volta i “lontani”, oggi, forse, sarebbe meglio chiamarli “indifferenti”. E’ infatti attraverso, innanzitutto, la categoria dell’indifferenza che possiamo leggere, il rapporto tra i giovani italiani, la Chiesa cattolica e la sua proposta. Non abbiamo più, da tempo, una maggioranza che si riconosce nel cattolicesimo e un numero più ristretto di cattolici ‘assidui’, ma una lenta e progressiva erosione sia di coloro che si dichiarano ‘praticanti’, sia di coloro che semplicemente affermano di riconoscersi nella fede espressa dalla religione cattolica. Attualmente, un giovane su due afferma di non aderire al cattolicesimo e in alcune zone del nord Italia la percentuale di dichiarazione di non cattolicesimo è ormai vicino al 60%[1]. Nonostante la maggior parte dei giovani abbia compiuto comunque il percorso ‘istituzionale’ di iniziazione cristiana, per molti di loro l’appartenenza alla vita della Chiesa sembrerebbe essere un fatto del passato che non riconoscono più come proprio, che non li tocca più. Mantengono in alcuni casi una propria vita di preghiera e una propria spiritualità, ma senza un collegamento con la realtà ecclesiale.
    All’indifferenza si somma un basso tasso di fiducia. Anche i dati raccolti alla fine del 2016 e pubblicati nel Rapporto sulla condizione giovanile in Italia 2017 sono chiari. Alla domanda “da una scala da 1 a 10 quanto tra le seguenti istituzioni è degna di fiducia?”, la Chiesa Cattolica ha ottenuto un voto medio di 4,2. Ben lontano dalla Ricerca scientifica (6,8), dal Volontariato (6,1), ma anche dagli Ospedali (5,9) e dalle istituzioni formative (5,3). Un altro Dato su cui riflettere maggiormente è che soltanto il 35% dei giovani, tra i 9000 coinvolti, ha assegnato alla Chiesa un voto sufficiente[2]. Unico dato ‘confortante’ è che negli ultimi anni la media del voto ottenuto dalla Chiesa è andato stabilizzandosi, forse anche per effetto delle aspettative e della fiducia che invece i giovani, anche coloro che non si dichiarano credenti, dichiarano nei confronti di Papa Francesco.
    I dati ci parlano dunque della prevalenza di uno scenario diffuso di “sfiduciata indifferenza” delle giovani generazioni nei confronti della Chiesa. Non dobbiamo, tuttavia, farci abbagliare troppo dai numeri; non solo perché ve ne sono anche altri (vi è infatti ancora più di un 30% che ha un atteggiamento fiducioso nei confronti della realtà ecclesiale e vi è più del 10% che dichiara di partecipare settimanalmente alla messa), ma soprattutto perché quando si vanno ad ascoltare i giovani in profondità si coglie un quadro molto più differenziato.
    In diversi giovani, all’indifferenza e all’allontanamento, si accompagna un giudizio sulla Chiesa influenzato moltissimo da ciò che viene messo in risalto dai mass-media. Così si è espresso un giovane nella ricerca “Dio a modo mio”.

    "Perché purtroppo come ben sappiamo, negli ultimi anni, spesso in televisione, sui giornali, sono uscite notizie poco piacevoli, riguardanti il mondo della Chiesa, e diciamo che queste cose un po’ mi fanno pensare"[3].
    Queste parole, giustamente, ci ricordano quanto siano di scandalo i comportamenti gravemente immorali che coinvolgono realtà e persone appartenenti alla Chiesa. Viene da chiedersi, però, come mai nei giovani (ma anche negli adulti) prevalga la forza delle notizie gravi e segno di scandalo piuttosto che l’esperienza che essi hanno potuto fare direttamente all’interno della comunità ecclesiale che hanno incontrato. Sorge il dubbio che ciò che hanno sperimentato sia stato per loro così evanescente, così passeggero, così poco significativo da essere presto dimenticato e sostituito da ciò che sentono costantemente dire sulla Chiesa.
    Accanto a color che hanno un giudizio generico, vi sono invece poi coloro dove piuttosto che indifferenza si trova invece un risentimento. È la storia di chi non ha trovato nella vita ecclesiale quell’accoglienza e quella coerenza che si aspettava.
    Ci sono poi coloro che non si sono posti particolari problemi. Hanno fatto quello che gli era stato chiesto (ossia andare a catechismo), e poi ‘basta’. Non sentono più di avere legami con la Chiesa perché semplicemente ora vivono altri interessi e altri contesti; hanno cambiato, gruppi di amici, attività, punti di riferimento. Non si ricordano della Chiesa se non in alcune occasioni, alla stregua delle scuole che hanno frequentato o delle attività sportive che hanno svolto.
    Tra i giovani però ci sono anche coloro che hanno nostalgia della vita ecclesiale che hanno vissuto quando erano più piccoli; soprattutto delle relazioni che si erano costruite, delle esperienze comunitarie che si vivevano. Ci sono poi i giovani che, pur con sfumature diverse, sentono la Chiesa come parte della loro vita, come una ‘famiglia’, come una comunità, dove si cammina tutti insieme nella fede.

    “Essere cattolico significa appartenere a una comunità, appartenere a una comunità che si chiama Chiesa, capire che questa comunità può sbagliare, può sbagliare tanto però capire anche che questa comunità è sempre in formazione, sempre in crescita e quindi noi stessi siamo, prima di tutto, membri attivi di questa comunità…”
    Tutti questi diversi volti del modo dei giovani di rapportarsi con la Chiesa hanno due punti in comune. Il primo è il fatto che il rapporto con la Chiesa, così come quello con la fede, non è un dato statico, ma è un processo che si modifica nel tempo e che anche quando va assumendo contorni più precisi può cambiare ancora in base agli eventi della vita. Ciò che si coglie bene ascoltando i giovani è che in tutti vi sono momenti di rielaborazione del legame con la vita ecclesiale; essi possono portare ad un distacco, ad una adesione più consapevole, ad una adesione di facciata, ad un ritorno, ad un allontanamento anche dopo una forte adesione ideale.
    Il secondo punto, che risulta essere quello decisivo, è che la Chiesa non è vissuta come un’istituzione necessaria per la propria spiritualità e la propria fede.

    “Quello che penso personalmente è che sì, ho fede, credo in Dio, però non credo più nelle istituzioni della Chiesa, penso che sì, la fede è una cosa buona, da seguire, un pensiero comunque da portare avanti, da tramandare ai figli, però ecco, non credo più nelle istituzioni”[4].
    Anche in coloro che si sentono pienamente partecipi alla vita della Chiesa, il riconoscimento della ‘necessità’ di una comunità non risulta sempre chiaro; la comprensione del carattere intrinsecamente comunitario della fede cattolica risulta essere il frutto di un progressivo cammino di maturazione e il rischio di una concezione individualistica dell’esperienza ecclesiale è sempre presente.
    Di fronte a questo quadro si aprono certamente diverse riflessioni di carattere educativo. Come in passato anche oggi si può appartenere alla Chiesa senza credere, ma è molto più frequente il caso di coloro che credono senza appartenere, con il rischio però che la loro vita cristiana perda il dono grande della comunità. Le storie dei giovani ci dicono che sono decisivi almeno tre aspetti: la capacità dei contesti ecclesiali nella loro concretezza di promuovere ‘attaccamento’ attraverso il coinvolgimento attivo dei ragazzi e dei giovani; la cura nel dare ragioni dell’importanza di una fede condivisa; l’attenzione della comunità ecclesiale di passare dal pensarsi come ‘istituzione scontata’ ad essere segno capace di mostrare la bellezza e la significatività di ciò che intende comunicare.

    NOTE

    [1] Cfr. Istituto G. Toniolo, La condizione giovanile in Italia. Rapporto Giovani 2016, Il Mulino, Bologna 2016.
    [2] Cfr. Istituto G. Toniolo, La condizione giovanile in Italia. Rapporto Giovani 2017, Il Mulino, Bologna 2017.
    [3] R. Bichi – P. Bignardi (a cura di), Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia, Vita e Pensiero 2015, p. 98.
    [4] Ibidem.


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