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    Don Bosco uomo di Chiesa


    Francesco Motto

    (NPG 2017-05-61)


    Dire “don Bosco” è indicare subito un “amico dei giovani”, soprattutto poveri e abbandonati; ma è anche dire un “uomo di Chiesa”. Se la nera veste talare ne è l’inequivocabile segno, con il termine “sac[erdote]” egli ha sottoscritto migliaia di lettere e centinaia di scritti a stampa; come tale si è presentato ed è stato accolto in tutti gli ambienti, anche ostili alla Chiesa, d’Italia, Francia, Spagna. Ma ciò non basta per comprendere lo spessore ecclesiale con cui ha vissuto il suo sacerdozio. Vediamo allora brevemente alcune forme del suo “essere e operare” come uomo di Chiesa che, una volta liberate dalle incrostazioni del tempo, possono ancora oggi ispirare educatori e giovani.

    Don Bosco scrittore “sacro”

    Sono oltre 150 gli scritti a stampa di don Bosco, quasi tutti a carattere religioso e per buona parte inserite nella collana Letture Cattoliche da lui avviata nel 1853. Ad operette a sfondo storico, come le vite di S. Pietro di S. Paolo e di numerosi papi dei primi secoli, vanno aggiunti numerosi libri ed opuscoli di semplice catechesi, di preghiere ed anche di circostanza, come quelli devozionali collegate al culto di Maria Ausiliatrice e quelli di istruzione religiosa editi in occasione del Concilio Vaticano I. Per la scuola poi ha composto una Storia ecclesiastica, una Storia sacra e anche La storia d'Italia, tutte con esplicite finalità educative ed edificanti. Ma pagine spronanti ad una vita cristiana devota sono anche quelle di scritti giocosi come Fatti ameni della vita di Pio IX (1871) e di testi biografici come Le Vite di Luigi Comollo, Domenico Savio, Michele Magone, Giuseppe Cafasso, Francesco Besucco. Dunque siamo di fronte ad una ricca letteratura di divulgazione, dove, in qualche modo, tutto ruota attorno alla fede della Chiesa e alle sue espressioni storiche, teologiche, liturgiche e spirituali: una Chiesa che il catechismo dell’epoca definiva “congregazione di tutti i fedeli che professano la fede e legge di Gesù Cristo sotto il governo dei legittimi pastori”[1], una Chiesa che don Bosco definiva “Santa, perché Santo è il Capo di lei, Gesù Cristo […], perché tiene i mezzi più efficaci per santificare le anime […], perché in ogni tempo e in tutti i luoghi ebbe sempre una gran numero di santi, che risplendono di virtù e miracoli”[2].

    Strenuo difensore della fede cattolica

    Molte di tali opere hanno una forte connotazione apologetica, dovuta alla situazione venutasi a creare all’indomani della concessione in Piemonte della libertà di culto (1848), con i protestanti di varie denominazioni che iniziavano il loro proselitismo. Data la secolarizzazione avanzante in una Italia in pieno disaccordo con la Santa Sede, era facile diventare nemici della Chiesa quasi senza avvedersene. Un’apologetica semplice quella di don Bosco, adatta al grande pubblico, ma non per questo superficiale o parziale; anzi con notevole dose di coraggio egli trattava tutti i temi, compresi quelli più controversi nella sua epoca. Ha lasciato scritto nel suo testamento spirituale:

    “Nelle mie prediche, nei discorsi e libri stampati ho sempre fatto quanto poteva (sic) per sostenere, difendere e propagare principii cattolici. Tuttavia se in essi fosse trovata qualche frase, qualche parola che contenesse anche solo un dubbio o non fosse abbastanza spiegata la verità, io intendo di rivocare, rettificare ogni pensiero, o sentimento non esatto. In generale poi io sottometto ogni detto, scritto, o stampa a qualsiasi decisione, correzione, o semplice consiglio della santa madre Chiesa cattolica”[3].

    Educato ad un rigida interpretazione dell’Extra ecclesiam nulla salus che vedeva nella Chiesa cattolica la sola Chiesa di Cristo, don Bosco non aveva dubbi che ad essa e ai suoi ministri, papa e vescovi anzitutto, si dovesse obbedienza in quanto depositari di verità rivelate, testimoni dell’autenticità delle Scritture, maestri infallibili di vita.
    La posizione di don Bosco, che si esprimeva in forma alternativa di vero e di falso, in termini di integrismo al limite dell’equivoco, in chiave polemica ai fini di rilevare contrasti e opposizioni, non era facile da sostenere. Ma non ebbe alcun timore a lanciare il grido d’allarme, a “scendere in campo” in prima persona con i libri, con la predicazione, con l’esercizio di una pastorale fatta di catechesi e sacramenti, con la sincera condivisione con Pio IX delle sofferenze per le legislazioni laiciste, le gazzarre anticlericali, i violenti attacchi sferrati alla Chiesa, alla sua dottrina, ai suoi ministri. Il suo forte attaccamento alla Chiesa, unico strumento di salvezza per tutti gli uomini, era tale che non si esimeva dal prevedere castighi in vita e in morte per quanti l’abbandonavano o l’osteggiavano. Chiaro e intransigente nei principi, don Bosco era però caritatevole e comprensivo nella pratica. La corrispondenza con i protestanti, con cui ha ingaggiato una lotta senza quartiere ricevendone il contraccambio fino a rischiare la pelle, ne è la prova.

    Membro attivo della Chiesa

    Per due decenni, fino agli anni Sessanta, mise tutto se stesso a totale servizio della chiesa torinese, in cui era cresciuto (Castelnuovo), in cui si era formato come seminarista (Chieri) e in cui aveva “imparato a fare il prete” (Torino). Immerso nella pastorale di strada, di bottega e di cantiere – quanto sarebbe piaciuto a papa Francesco! – avviò l’oratorio cittadino di Valdocco (1846) e presto divenne l’anima anche di altri oratori torinesi, dei quali venne formalmente nominato Direttore dall’arcivescovo Fransoni (1852). Dagli anni Sessanta, senza mai trascurare la città di adozione, allargò gli spazi della sua azione apostolica con fondazioni in diocesi e in Piemonte. Negli anni Settanta ne lanciò altre sulla riviera ligure, luogo di passaggio dal 1875 per radicarsi immediatamente in Francia, Spagna e soprattutto in America Latina. Ormai il suo sguardo era “cattolico”, globale, in sintonia con il rilancio delle missioni da parte della Chiesa di Roma: sognava così la plantatio ecclesiae fra gli indios della Patagonia e della Terra del Fuoco, a costo di intraprendere lunghe e sofferte vertenze con l’arcivescovo di Torino e con le autorità pontificie che non percepivano la sua vocazione universale. Alle difficoltà rispondeva con i fatti: “Tutte le volte che ci frappongono imbarazzi, io rispondo sempre coll’apertura di una casa. Ora sto vedendo quale sarà”[4]. Alla gerarchia ecclesiastica chiedeva sola una cosa: non essere ostacolato nel suo apostolato. Ed invece “scritti, tempo, scoraggiamenti occupano le ore che si vorrebbero occupate al bene delle anime e della religione. Io non ho mai dimandato e non dimando altro che lasciarmi lavorare in questo tempo di gran bisogno”[5].

    Fondatore di Istituti educativi a servizio della Chiesa

    La passione per la salvezza delle anime dei giovani e delle classi popolari lo portò a far evolvere il suo iniziale oratorio in scuole diurne e serali, in laboratori di “arti e mestieri”, in orfanotrofi e collegi, in chiese e ambienti di formazione cristiana, in pubblicazioni di collane educative e religiose, in opere di assistenza agli emigrati e di evangelizzazione e civilizzazione missionaria. Per tutto ciò nel 1859 fondò la società salesiana, e nel 1872 l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, cui fece seguire nel 1876 l’Associazione dei Cooperatori. Tutti i loro membri si mettevano a servizio della Chiesa secondo le singole Costituzioni e Regolamenti approvati ufficialmente dalla Santa Sede.

    Promotore di vocazioni

    L’educazione salesiana, fondata sul famoso trinomio Ragione, Religione e Amorevolezza, mirava essenzialmente a fare di ogni ragazzo non solo un “onesto cittadino”, ma anche un “buon cristiano”, secondo ovviamente la concezione teologica dell’epoca. Ma una comunità educativa, come pure una comunità ecclesiale, non poteva fare a meno di sacerdoti che la presiedessero. Ecco allora don Bosco negli anni Cinquanta prendere in casa e far studiare decine di seminaristi piemontesi, per varie ragioni impossibilitati a frequentare i loro seminari. Eccolo allora nei decenni seguenti accogliere e accompagnare vocazionalmente ragazzi che, a conclusione degli studi ginnasiali, potessero entrare nei seminari diocesani o in istituti religiosi. Ai salesiani poi lasciava questo appello testamentario:

    “Dio chiamò la povera congregazione salesiana a promuovere le vocazioni ecclesiastiche fra la gioventù povera e di bassa condizione […] ricordiamoci che noi regaliamo un gran tesoro alla Chiesa quando noi procuriamo una buona vocazione; che questa vocazione o queste prete vada in diocesi, nelle missioni o in una casa religiosa non importa. È sempre un gran tesoro che si regala alla chiesa di Gesù Cristo”[6].

    Mediatore “politico” fra Stato e Chiesa

    Figlio della teologia del suo tempo, appresa nel modesto e periferico seminario di Chieri, don Bosco professò totale ossequio alla Chiesa e al papa in persona, anche nelle questioni, sempre discutibili, come la risposta da dare alla politica ecclesiastica portata avanti dal Regno d’Italia lungo il tormentato Risorgimento. Don Bosco, per il bene dei fedeli, che vedeva in pericolo di perdere la fede per l’eccessivo numero di sedi vescovili vacanti su tutto il territorio nazionale a causa del perdurante attrito Chiesa-Stato, negli anni Sessanta e Settanta mise le sue “entrature” presso il governo italiano e la Santa Sede perché potessero giungere ad un accordo in merito alla nomina di nuovi vescovi e al godimento dei loro diritti, residenziali e patrimoniali. E così alcune sedi episcopali, specialmente piemontesi, si videro assegnare personalità segnalate da don Bosco e altre poterono entrare in possesso delle “temporalità”, grazie alla mediazione “politica”, anche se privata, dell’educatore piemontese. Tutti gliene furono grati[7].

    Sempre con il papa

    Anche sul piano prettamente culturale, don Bosco stette sempre dalla parte del papa, successore di Pietro e vicario visibile di Cristo in terra. Limitiamoci ad un esempio. Allorché all’inizio degli anni Ottanta fu accusato dall’arcivescovo Gastaldi di non condividere la sua posizione nei confronti della dibattuta e rovente “questione rosminiana”, anzi di aver scritto o promosso libelli a lui ostili, don Bosco si difese prontamente dichiarandosi totalmente estraneo al fatto, non interessato alla dottrina teologica e filosofica del Rosmini – aveva ben altro da fare che disquisire su di essa – e comunque sempre “pronto a condannare e disapprovare qualunque cosa contenuta in quei libri, giudicata condannabile o disapprovevole dalla Santa Sede”[8]. Ed ancor più esplicitamente rivolgendosi direttamente al papa, scriveva:

    “Parlate e noi Vi ascolteremo. Non solo ci atterremo ai Vostri comandi, ma ai Vostri desideri; non solo Vi seguiremo come Dottore Universale, ma eziandio come Dottore privato; saremo devoti alla vostra augusta Persona non solamente noi Salesiani, ma ci adopreremo ad ispirare, nutrire e crescere nei medesimi sentimenti gli 80.000 e più giovanetti, che la Divina Provvidenza tiene oggi raccolti nelle nostre case nell'Europa e nell'America”[9].

    Come si vede, non gli bastava essere personalmente ossequiente al papa in tutto e per tutto; intendeva educare a tale atteggiamento i suoi giovani. Per Pio IX, autoesiliatosi a Gaeta nel 1849, fece una colletta fra loro; allo stesso papa nel 1866 faceva pervenire un esemplare della sua Storia d’Italia stampata e rilegata dagli stessi giovani di Valdocco che – scriveva – avrebbero “tripudiato di gioia riflettendo che un’opera delle loro mani andasse sotto gli occhi” del pontefice[10]. Ad ogni udienza che il papa gli concedeva, don Bosco chiedeva favori spirituali e speciale benedizione per i giovani ed essi ne gioivano al venirlo a sapere dalle affettuosissime lettere loro inviate da Roma o direttamente dalle sue labbra al suo ritorno a Torino.
    Non per nulla papa Francesco, nel discorso preparato per la sua visita alla Basilica di Maria Ausiliatrice a Valdocco il 21 giugno 2015 – in occasione del bicentenario della nascita di don Bosco –, ha indicato, fra i tre principali “lineamenti” della figura del santo, la sua fedeltà alla chiesa: “Don Bosco è sempre stato “docile e fedele alla Chiesa e al Papa” seguendone i suggerimenti e le indicazioni pastorali”.

    I tre amori bianchi

    Ora se alla fedeltà al papa, centro di unità della Chiesa, aggiungiamo l’amore verso Gesù Cristo, presente principalmente nell’Eucaristia, che è l’azione centrale della Chiesa, e la devozione a Maria, Madre e modello della Chiesa, noi abbiamo i famosi “tre amori bianchi” di don Bosco. Un secolo e mezzo fa egli era in sintonia con la Chiesa, che con S. Ambrogio aveva sentenziato Ubi Petrus, ibi Ecclesia, con la Tradizione, che affermava Ecclesia facit eucharistiam et eucharistia facit ecclesiam, ma anche con il moderno Catechismo della chiesa cattolica che definisce Maria mater ecclesiae[11].
    A tutti è noto come nel suo secolo don Bosco sia stato uno dei grandi apostoli della Messa quotidiana, della Comunione frequente (preceduta se necessario dalla confessione sacramentale), della visita al Santissimo Sacramento. Non c’è quasi lettera, fra le migliaia che ha scritto, in cui non ci sia almeno un accenno a Gesù sacramentato. Don Bosco viveva di Eucaristia, trasmetteva l’amore all’Eucarestia, a Valdocco si respirava aria eucaristica. L’estasi post eucaristica di Domenico Savio ne è il segno, ma a giudizio di don Bosco vi erano altri ragazzi come lui.
    Il terzo amore (o anche la seconda colonna del noto sogno di don Bosco) è la Madonna. Il senso ecclesiale, espresso appunto nel trinomio, si presenta in modo ammirevole nella fusione del titolo di Ausiliatrice con quello di Madre della Chiesa. Si può legittimamente pensare che quando nel 1865 intraprese la costruzione della chiesa volesse fare proprio questo per i suoi ragazzi dell’Oratorio, per i suoi collaboratori e benefattori di Torino: far sentire la maternità della Chiesa attraverso la maternità di Maria e far amare la Chiesa attraverso la devozione a Maria Ausiliatrice. A fronte degli eventi epocali che scuotevano l’Italia risorgimentale, l’Europa e il mondo, ma anche la Chiesa universale – non per nulla venne convocato un Concilio Ecumenico – davanti alla rivoluzione culturale del liberalismo, del secolarismo e della massoneria trionfante, don Bosco si sentì chiamato a promuovere l’integrità della fede e dell’esperienza cristiana. Il titolo di Ausiliatrice dei Cristiani scelto per l’immagine della chiesa di Valdocco e l’Associazione dei Devoti di Maria Ausiliatrice, eretta colà nel 1868, ne sono l’espressione più lampante.

    Costruttore di Chiese

    Infine una parola sulla Chiesa come luogo di culto e di devozione, di spazi celebrativi, di catechesi. Agli edifici sacri don Bosco ha prestato tanta attenzione da farsi lui stesso costruttore di uno ogni decennio. In Torino dopo la piccola chiesa del santo patrono Francesco di Sales degli anni Cinquanta costruì negli anni Sessanta quella grande di Maria Ausiliatrice e nel decennio successivo quella, pure ampia, dedicata a San Giovanni Evangelista, uno dei dodici apostoli, colonne e fondamento della Chiesa. E se la cristianità di fine Ottocento riscopriva la devozione al Sacro Cuore, don Bosco negli anni Ottanta accettò da papa Leone XIII la proposta di portare a termine il progetto arenatosi di una Chiesa con tale titolo in Roma. Tali costruzioni furono delle autentiche imprese, considerate le immani fatiche per avviarle e portarle a compimento sotto il profilo edilizio, urbanistico, artistico, ecclesiale e soprattutto economico. Per loro don Bosco non diede solo l’anima, si giocò pure la salute. Ma la gioventù e le classi popolari, minacciate nella fede in Cristo, non potevano aspettare.

    Fino alla fine

    Don Bosco, giunto alla soglia dei settant’anni, dopo aver speso tutta la vita a servizio della missione affidatagli dalla Chiesa con l’approvazione delle Costituzioni salesiane, scriveva: “io intendo di vivere e di morire nella cattolica religione che ha per capo il romano pontefice, vicario di Gesù Cristo sopra la terra. Credo e professo tutte le verità della fede che Dio ha rivelato alla Santa Chiesa”[12]. Era un’autentica dichiarazione di fedeltà alla Chiesa che aveva sempre amato e difeso, e per la quale aveva operato e sofferto.
    Ed i successori?
    Il “testamento” di don Bosco fu fedelmente seguito dai suoi successori. Il beato don M. Rua, che ha lanciato la Congregazione salesiana in decine di paesi, l’ha consacrata al S. Cuore di Gesù ed ha incoronato la statua di Maria Ausiliatrice in Torino; don P. Albera si è impegnato a fare dei Salesiani degli uomini di preghiera, di pietà, di chiesa; il beato don F. Rinaldi rilanciò l’azione missionaria e poté assistere nel 1929 alla Conciliazione Stato-Chiesa in Italia con don Bosco beato visto come icona di tale conciliazione. Dopo di loro don P. Ricaldone rilanciò gli oratori, eresse Ufficio Catechistico Centrale Salesiano, promosse la rivista Catechesi e la Corona Patrum salesiana, fondò l’editrice LDC e l’Ateneo Salesiano, tutte realtà al servizio della Chiesa. Seguì don R. Ziggiotti che dopo le fratture nazionali della seconda guerra mondiale, visitò tutte le case salesiane del mondo, stringendole in unità attorno a don Bosco e alla Chiesa. A sua volta don L. Ricceri si impegnò a tradurre nei fatti gli orientamenti della chiesa nei difficili momenti del dopo Concilio Vaticano II: ne è prova la nascita nel 1967 della rivista Note di Pastorale Giovanile. Ne seguì le orme don E. Viganò che, da teologo-perito dello stesso Concilio ed autorevole membro di molte assisi ecclesiali, portò avanti l’arduo compito di confermare e consolidare l’opera conciliare attraverso una grande apertura della Famiglia Salesiana alla Chiesa universale. La nomina di molti vescovi e vari cardinali salesiani vennero a sancire la matura ecclesialità della Congregazione salesiana, di cui siamo testimoni tutti per quanto riguarda i tempi degli ultimi due Rettori maggiori, don E. Vecchi e don P. Chávez e quello in carica, don A. Artime.


    NOTE

    [1] Compendio della dottrina cristiana ad uso della diocesi di Torino, Torino, Paravia 1884, p. 72.
    [2] Il cattolico istruito nella sua religione. Trattenimenti di un padre di famiglia co’ suoi figliuoli secondo i bisogni del suo tempo epilogati dal sac. Bosco Giovanni, Torino, tip. De-Agostini 1853, p. 99.
    [3] P. Braido (ed.), Don Bosco educatore. Scritti e testimonianze, Roma, Las 1997, p. 422.
    [4] G. Bosco, Epistolario. Introduzione, testi critici note a cura di F. Motto, vol VII, Roma, Las 2016, p. 170.
    [5] Ib. pp. 478-479.
    [6] P. Braido (ed.), Don Bosco educatore…, pp. 415-416.
    [7] Cf F. Motto, La mediazione di don Bosco fra Santa Sede e governo per la concessione degli “exequatur” ai vescovi d’Italia (1872-1874), Roma, Las 1987; Id., L’azione mediatrice di don Bosco nella questione delle sedi vescovili vacanti in Italia, Roma, Las 1988.
    [8] G. Bosco, Epistolario… vol VII…, p. 459.
    [9] Ib., p. 477.
    [10] G. Bosco, Epistolario. Introduzione, testi critici note a cura di F. Motto, vol. II, Roma, Las 2016, p. 233,
    [11] Il card. J. Ratzinger, futuro papa Benedetto XVI, definirà Maria come “typus Ecclesiae”, e “Ecclesia in persona”.
    [12] P. Braido (ed.), Don Bosco educatore…, pp. 436-437.


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