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    L’uso dei media nella pastorale. Una riflessione a partire dal video The Black Hole


    MEDIA E ANIMAZIONE PASTORALE

    Intervista a Fabio Pasqualetti /2

    (NPG 2016-03-72)

     

    Nella nostra programmazione dello scorso anno, abbiamo inserito una rubrica decisamente interessante e importante, i media e la pastorale giovanile.
    Per capire noi stessi come muoverci, avevamo incontrato il titolare del corso presso l'Università Salesiana, d. Fabio Pasqualetti, e dopo un piacevole colloquio avevamo raccolto in una pagina di "domande" quanto ci sembrava utile per i nostri operatori, domande presentate nella forma di una intervista, neanche troppo articolata e "logica", ma certamente ricca di quegli interrogativi che gli operatori pastorale si pongono, stretti tra l'uso acritico come eccellente strumento di comunicazione e anche di "evangelizzazione", o almeno di presenza in un mondo altrimenti non facilmente raggiungibile, e i timori di una virtualizzazione dell'incontro personale.
    D. Fabio ha preso sul serio ognuna di tali domande, e ha iniziato a dialogare con esse, senza voler rinchiudersi nella logica di una risposta precisa in mezza cartella. Ogni domanda diventa dunque lo spunto per una ripresa critica e propositiva degli interrogativi, palesi e nascosti, il tutto da una prospettiva non tecnica ma educativa, pastorale.
    La prima domanda era: «Incominciamo con una domanda che potrà sembrarti banale… Come vedi la possibilità e l’efficacia dell’utilizzo dei media nella pastorale giovanile, cioè in situazione educativa? Quali sono le condizioni per un loro corretto utilizzo, soprattutto negli incontri di gruppo o di comunità su specifici temi, per "far prendere coscienza", "aprire a un confronto", "imparare a valutare" e a "prendere decisioni motivate"?».
    La risposta è stata la prima puntata di questa rubrica, pubblicata nel n. 2 di NPG del 2015.
    Quella che segue è la seconda, Le altre lungo l'anno 2016, con l'impegno di portarla a termine entro dicembre. (GD)

    Domanda: Conosci qualche bella esperienza dell’uso dei media nella pastorale? Qualcuna che tu hai sperimentato e/o collaudato personalmente?

    Risposta. La parola media ha un ampio spettro di significati e quindi il senso in cui la si usa in un determinato contesto ha bisogno di essere definito. Per quanto riguarda l’ambito della pastorale ci sono almeno due significati a valenza diversa. Nel primo caso il termine indica i prodotti audiovisivi già confezionati, utilizzati nei vari incontri in cui si concretizza l’attività pastorale; nel secondo il riferimento può essere invece all’uso creativo di strumenti oggi facilmente accessibili come la videocamera, il registratore, lo smartphone, il tablet, strumenti con cui il singolo e il gruppo possono elaborare dei programmi, utili anzitutto a chi li fa, ma poi usufruibili anche dalla comunità. Sono ambedue modalità d’uso dei media valide, ma con esigenze diverse. Nelle pagine che seguono parleremo dell’uso dei programmi audiovisivi, non della loro possibile produzione.
    Perché mi soffermo solo sul primo tipo di esperienza? Innanzitutto perché è la modalità più diffusa ed è quella che richiede minori conoscenze tecniche. Sovente chi fa attività pastorale è alla ricerca di prodotti mediatici come: canzoni, video, brani di letteratura, spezzoni di film, drammatizzazione, e quant’altro possa servire a catturare l’attenzione, a veicolare un messaggio o a provocare un riflessione. Potremmo dire che l’uso del prodotto mediale viene impiegato nella funzione di catalizzatore, finalizzato cioè a creare sinergia all’interno di una attività di gruppo.
    Nella mia esperienza, però, ho costatato che non è facile trovare il prodotto specifico, quello giusto per ciò che si vuole fare; devo anche aggiungere che spesso i programmi fatti apposta per la catechesi o per la pastorale mi lasciano perplesso, perché anziché provocare la riflessione o il dibattito, tendono a fornire soluzioni prefabbricate. Non dico che nel processo educativo non si debbano dare anche delle risposte, so però che è meglio che le risposte scaturiscano dal lavoro del gruppo, piuttosto che dalla voce di un esperto o da un prodotto mediale.
    Qualcuno potrebbe chiedere a questo punto: “ma allora cosa si deve fare?”.
    Diciamo subito che oggi abbiamo un grandissimo vantaggio rispetto ad una ventina d’anni fa, perché la rete mette a disposizione un’infinita quantità di materiali, esempi, idee e prodotti, magari non sempre di altissima qualità, ma certamente interessanti. Poi c’è il mondo dell’industria che sforna film, canzoni, libri, foto in quantità enorme. La parte più faticosa sta nel setacciare quanto è disponibile, per cercare e trovare il prodotto che più si avvicina alle nostre esigenze.
    Proprio per questo, prima di proporre l’esempio chiesto dalla domanda iniziale, vorrei ricordare brevemente quali devono essere i criteri di scelta e di implementazione dei prodotti mediali. Ricordo che qualsiasi incontro che facciamo è il prodotto di tanti fattori che entrano in gioco: le persone, innanzitutto: è importante conoscerle bene, se si vuole scegliere il giusto medium da usare; l’ambiente: può fare la differenza, soprattutto se è accogliente e adatto all’attività che si deve condurre: il tempo, una variabile all’interno della quale si deve scandire la successione delle varie azioni da realizzare con il gruppo; la ragione, lo scopo dell’incontro, componente discriminante per fare le scelte opportune degli “ingredienti” da usare.
    Detto questo, presento un prodotto mediale che ho già usato in incontri dedicati al rapporto tra tecnologia, libertà e responsabilità. Forse potrà sembrare un tema poco pastorale; da un punto di vista educativo, però, le componenti libertà e responsabilità sono di vitale importanza.

    IL VIDEO The Black Hole

    Propongo di prendere in esame il video The Black Hole scritto e diretto da Napoleon Ryan e Phil & Olly e pubblicato dalla piattaforma Future Shorts. Postato su Youtube sette anni fa è stato visto (nel momento in cui sto scrivendo) da quasi venti milioni di persone; è disponibile al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=P5_Msrdg3Hk.
    Descrivo brevemente il video per coloro che non avessero accesso immediato alla rete, ma nello stesso tempo ricordo che la rielaborazione di un programma attraverso la scrittura è sempre utile per varie ragioni. La prima, perché aiuta a focalizzare i punti importanti della narrazione audiovisiva; la seconda, perché fa comprendere come il passaggio da un medium (ad es., il video) all’altro (la scrittura) cambia l’esperienza narrativa, evidenziando così l’originalità e la complementarietà dei linguaggi; infine perché quando si racconta una esperienza, questa diventa più nostra. Se poi quest’esercizio lo si chiede ad un gruppo di ragazzi, si noterà come ognuno aggiunge qualcosa di personale, sebbene tutti restituiscano la storia.

    La storia

    Il video inizia all’interno di un ufficio vuoto, con un lungo zoom che finisce sul primissimo piano di un impiegato dal volto stanco e annoiato, che sta facendo delle fotocopie. Come spesso capita, la fotocopiatrice non funziona bene e l’impiegato, indispettito, inizia a pigiare tasti e dare calci alla macchina. Ad un tratto questa riprende a lavorare ed espelle un grande foglio bianco con al centro un cerchio tutto nero. L’impiegato prende il foglio e lo osserva con uno sguardo misto tra l’incredulo e l’indispettito per l’inatteso risultato. Rassegnato lo appoggia sul ripiano della fotocopiatrice, controlla il documento che voleva fotocopiare (tutto è a posto) e tenta nuovamente di fare le sue fotocopie. Nell’attesa dà un’occhiata all’orologio, afferra un bicchiere e beve. Quando riappoggia il bicchiere sul piano dove aveva posto il foglio con il cerchio nero, con suo grande stupore vede il bicchiere sparire nel buco nero. Incredulo per ciò che ha appena visto, si china sulla macchina per capire cosa stia succedendo. Con mano tremante, tenta di toccare la macchia nera ma con spavento s’accorge che la mano penetra la superficie. La ritira immediatamente impaurito, forse anche eccitato per l’incredibile esperienza. Prende fiato, ripete l’operazione e affonda la mano dentro il buco nero fino a recuperare il bicchiere. Lo tiene in mano, osservandolo; quindi lo appoggia sul bordo della fotocopiatrice. A questo punto prende il foglio, lo pone in verticale davanti a sé e con la mano sinistra riprova: la mano penetra liberamente il foglio là dove c’è la macchia nera. Comprende di avere a disposizione uno strumento davvero interessante. Si guarda intorno e vede il distributore di snack. Dallo sguardo che si illumina si capisce che ha un’intuizione: si avvicina, appoggia il foglio al vetro, si guarda attorno per assicurarsi che nessuno lo veda, e affonda la mano destra nel cerchio nero fino ad impadronirsi di uno snack. Mentre se lo mangia con grande soddisfazione, pensa alla prossima mossa. Lo sguardo si posa su una porta chiusa dove campeggia la scritta Keep out (non entrare): lui sa cosa c’è al di là della porta e decide. Sfruttando le proprietà del foglio con il cerchio nero, affonda la mano nel vetro della porta e, dall’interno, agisce sulla maniglia: apre ed entra. Con l’eccitazione di chi sa che sta per realizzare una fortuna, si avvicina alla cassaforte, sul frontale attacca il foglio con un pezzo di scotch e attraverso il buco nero inizia ad estrarre a piene mani i pacchi di banconote depositati all’interno. Più soldi estrare più l’eccitazione sale. Ma la cassaforte è profonda e quindi non è sufficiente affondare le mani: vi infila tutto il braccio, poi anche la spalla, sempre di più, fino ad entrare completamente nella cassaforte. Ma nell’istante in cui l’uomo scompare nella cassaforte, il pezzo di scotch cede e il foglio dal buco nero si stacca, cadendo a terra.
    Sullo schermo rimane la scena con il grande mucchio di banconote, il foglio staccato, la cassaforte ermeticamente chiusa e l’impiegato che dall’interno bussa per chiamare aiuto.
    Come dicevo, la trascrizione del racconto The Black Hole non fa giustizia della forza narrativa del video, ma permette di ricordare i particolari delle scene principali, tant’è che anche il lettore intuisce il potenziale simbolico contenuto nel racconto e come questo si presti ad animare una discussione. L’assenza nel video di un testo parlato ne potenzia il valore simbolico e amplia le possibilità di usarlo con diverse categorie di persone: ragazzi, giovani e adulti. Ogni categoria di solito coglie sfumature diverse e lo interpreta a partire dal proprio background culturale ed esperienziale.

    Struttura e forza simbolica del racconto

    Il video segue lo schema classico che sta alla base di molte storie. Si parte da una situazione di vita ordinaria, nella quale molti di noi si possono identificare: un uomo che fa fotocopie. Ma accade l’imprevisto: il foglio con il cerchio nero, che rivelerà successivamente proprietà straordinarie. L’irruzione dell’inaspettato cambia di colpo la vita dell’impiegato e la apre a nuove possibilità. Si susseguono una serie di azioni e la storia da qui in poi potrà avere esiti diversi, con un finale buono o uno cattivo. Di fatto le azioni del nostro impiegato prendono una brutta piega. Non ci è dato sapere, perché il video non lo dice, se verrà salvato o si salverà dalla situazione nella quale si è messo.
    Il racconto è interessante perché condensa in pochi minuti la problematica del rapporto dell’uomo con la tecnologia; inoltre mette bene in evidenza il problema della libertà e della responsabilità dell’uso tecnologico.
    Un aspetto interessante, non sempre colto, è che nel racconto non è l’uomo che crea il foglio “magico”, ma è la fotocopiatrice, il che ci dovrebbe ricordare che spesso dalle nostre tecnologie nascono altre tecnologie con delle potenzialità d’uso non sempre previste da parte dell’uomo.
    Volendo quindi problematizzare il video all’interno di una discussione, potremmo chiederci: cosa succede quando una tecnologia entra nella vita dell’uomo? Quali tecnologie hanno contribuito a modificare in modo significativo le nostre abitudini, il modo con cui ci relazioniamo tra di noi, il nostro modo di pensare noi stessi? Quali tecnologie ci fanno crescere come persone e quali invece rischiano di farci regredire? Quali sono le conseguenze dell’uso di determinate tecnologie sulla nostra civiltà?

    Una tecnologia per superare i confini

    Torniamo alla nostra storia e cerchiamo di esplorarne il significato. Innanzitutto potremmo dire che il foglio con il cerchio nero ha la proprietà di varcare i confini. Il confine della superficie della fotocopiatrice, del vetro del distributore di snack, della porta e quello della parete della cassaforte. Se ci pensiamo un po’ non è forse ciò che in questi ultimi venti anni stiamo sperimentando con le tecnologie digitali e la rete? Non sono forse i nostri smartphone dei “portali” che ci permettono di oltrepassare confini di spazio e tempo e di raggiugere oggetti, persone e ogni sorta di contenuti presenti nella rete? È vero che non possiamo entrare con la nostra mano nello schermo per estrarre ciò che vogliamo, ma in un certo qual modo sì. Non è forse vero che dalla rete possiamo prenderci foto, articoli, immagini, scaricare film, musica, programmi e giochi. In un futuro prossimo, di fatto alcuni lo stanno già sperimentando, potremo materializzare gli stessi oggetti attraverso le stampanti tridimensionali. La tecnologia ha sempre rappresentato un “andare oltre il limite”. La scrittura ha abbattuto il limite della memoria affidata alla comunicazione orale; la stampa ha moltiplicato i libri, abbattendo il limite dell’accesso ad sapere; i media elettronici hanno abbattuto il limite delle pareti domestiche e ci hanno portato all’interno di una mondo globalizzato; internet sta potenziando la possibilità di trasformare l’umanità in un organismo di interconnessione globale dove tutti sono connessi con tutto e con tutti. In questo momento non riusciamo ancora a capire se questo processo ci stia facendo bene o male, ma non possiamo nemmeno fermare il mondo e scendere. Ecco perché, proprio a partire dalla nostra esperienza, è importante osservare e riflettere su come noi ci comportiamo con la tecnologia.
    Mentre la bomba atomica è una tecnologia che viene colta immediatamente nel suo potenziale distruttivo nei confronti di tutti, la rete si presenta invece come straordinaria possibilità di interscambio e di crescita per l’intera umanità. Certo, in buona parte sta concretizzando questo sogno: le possibilità offerte oggi dalla rete per la condivisione, per lo studio, per la collaborazione, per l’accesso a contenuti, per lo scambio di informazione, ecc. non trovano confronto con nessun periodo della storia umana precedente. C’è però anche il rovescio della medaglia. Sappiamo ad esempio che noi stessi stiamo diventando merce di consumo per la rete e target altamente selezionato e catalogato dal marketing delle multinazionali. Ma il lato più oscuro e serio l’abbiamo saputo dalle rivelazioni WikiLeaks e dal caso Edward Snowden sul ruolo della National Security Agency (NSA) e dei servizi segreti dei vari stati europei e non europei. Anche se spesso si tende ad immaginare la tecnologia come se fosse una entità autoproducente, che stabilisce automaticamente i suoi scopi, in realtà dietro alle tecnologie ci sono uomini, associazioni, lobby, governi, industrie, ecc. che decidono cosa fare e su cosa investire. Dobbiamo essere consapevoli che si può mantenere un approccio ingenuo nei confronti della tecnologia.

    Un uso della tecnologia al di sotto delle sue potenzialità

    Rimaniamo però aderenti alla narrazione del nostro video e vediamo cosa succede una volta che il nostro impiegato ha scoperto che il foglio con il cerchio nero gli permette di agire superando ostacoli fino ad allora impossibili da penetrare. La prima cosa che fa è prendersi uno snack dal distributore. Non so se era nell’intenzione di chi ha fatto il video, ma la scelta di rappresentare questa azione mette in evidenza come spesso noi usiamo la tecnologia non per le possibilità che offre ma per l’immediatezza con cui soddisfa i nostri desideri o i nostri bisogni primari. Lo constatiamo ripetutamente ogni giorno nella vita di molte persone. L’uso del computer o dello smartphone è spesso orientato alla ricerca del piacere immediato piuttosto che di ciò che è importante o utile. Il successo di Facebook e di Twitter non risiede nel fatto che sono piattaforme che potrebbero essere impiegate a costruire cultura, solidarietà, partecipazione politica, volontariato, ecc. La maggior parte della gente le usa per una socialità mediata, per mettersi più o meno in mostra, per fare gossip, per il voyerismo, la chiacchera, ecc. Comprendo che queste mie sono generalizzazioni che non fanno giustizia della complessità di presenze e di azioni che si fanno sulla rete. Ma proviamo a porci una semplice domanda: in questi 25 anni di rete la qualità umana delle nostre relazioni, con tutto il potenziale tecnologico di comunicazione che abbiamo a disposizione, è andata migliorando o peggiorando? Forse questa domanda è mal posta, perché mi si potrebbe accusare di tecno-determinismo, quasi che la rete fosse una bacchetta magica. La domanda allora va riformulata e allargata al tutto il contesto occidentale: questa nostra civiltà, che spesso si autodefinisce sviluppata, moderna e tecnologica, ci sta aiutando a costruire una umanità migliore? In questa sede non ho la possibilità nemmeno di tentare una risposta, anche perché sono convinto che non c’è una soluzione “chiavi in mano”. Mi permetto però di rilevare la crescente difficoltà che abbiamo nelle nostre città a stare insieme, faccia a faccia, con serenità, rispettandoci anche quando ci collochiamo su posizioni diverse. Temo che anche noi, come l’impiegato, stiamo usando il nostro potenziale tecnologico solo per prendere merendine e soddisfare così la nostra gola, pronti, se si offre l’occasione, ad impegnarci per cose più grosse come la cassaforte.
    Apro un’altra parentesi che può valere anche in sede di discussione. È importante saper aiutare le persone a connettere problemi apparentemente distanti o disconnessi, in modo da attrezzarle per capire la trama complessa delle vita. Perché l’incapacità di dialogare e di parlare insieme porta inevitabilmente alla violenza. Quando non si è più capaci di confrontarsi in modo rispettoso, subentra la forza. Lo vediamo un po’ a tutti i livelli. Sono cambiati i tempi rispetto agli anni ’60 e ’70, quando all’oratorio e a scuola si discuteva con tutti, su tutto, fino a sfinirci a volte con lunghissime riunioni. Oggi molti giovani si chiudono in se stessi, infilando le cuffie, con lo sguardo rapito dallo schermo. Poi, quando si incontrano, non sanno cosa dirsi perché si sono già detti tutto tramite WhatsApp o altre applicazioni di istant message. È come se vivessero in un regime di cronaca continua della loro vita, distruggendo così ogni forma di racconto e di narrazione. Ma noi viviamo di storie: l’uomo non è un registratore, ma un narratore. Se io pretendo di aggiornare in tempo reale amici e parenti di quello che sto facendo, finisco per privarmi della possibilità di costruire un mio racconto, che è sempre selezione, chiarificazione, intensificazione e energizzazione di parti scelte. Lo stesso video che abbiamo preso in considerazione è una potente narrazione simbolica fatta attraverso il montaggio di scene accuratamente selezionate: in 2’ e 20” comunica una storia e un messaggio. Se pretendessimo di girare questo video in tempo reale, secondo per secondo, cogliendo tutte le azioni e i movimenti, realizzeremmo un video lunghissimo, perdendo così ogni forza comunicativa.
    Comprendiamo quindi che la tecnologia si presenta come seducente e che dipende da noi non diventarne vittima. Se la comunicazione mediata facilita il controllo a distanza delle relazioni e ne semplifica il rapporto, non dimentichiamoci che permette anche il mascheramento e la bugia. Spetta a noi capire se siamo noi ad usare la tecnologia o è la tecnologia che ci usa.

    Se la tecnologia lo permette si deve fare?

    Volendo procedere con l’analisi del nostro video e problematizzare ulteriormente la storia, siamo arrivati al momento in cui lo sguardo del nostro impiegato si dirige verso la stanza dove sa che c’è la cassaforte. Avviene un salto di qualità: dal piccolo furtarello fatto alla macchinetta distributrice di snack si passa all’idea di appropriarsi del contenuto della cassaforte.
    La tecnologia digitale ha fra le sue proprietà quella di riprodurre oggetti digitali in modo perfettamente uguale all’originale. Se faccio copia di una foto digitale in effetti ho due “originali” e questo vale per i file musicali, per i video, per i documenti e per tutto ciò che è disponibile in rete. Come docente, una delle difficoltà che incontro con gli studenti è far loro comprendere che la possibilità di fare “copia e incolla” non equivale a legalizzare il furto di una proprietà. Torna in mente il vecchio proverbio che dice “l’occasione fa l’uomo ladro”; resta vero anche oggi che la tecnologia permette e facilita la riproduzione digitale e non fa distinzione tra fruitori e proprietari. Fra l’altro molte di queste azioni di appropriazione indebita avvengono stando comodamente seduti al proprio tavolo, al riparo del proprio schermo. La magia di avere in pochi secondi la canzone preferita, l’anteprima di un film, il gioco troppo costoso, ecc. rende il furto digitale una trasgressione appetibile per molti. La giustificazione di solito adottata è che “lo fanno tutti”. Ci sono certamente responsabilità a vari livelli. Faccio solo un esempio: l’industria discografica ha impiegato almeno vent’anni a capire che lo scambio di file musicali in rete non fa diminuire le vendite ma, al contrario, le fa aumentare. I file scaricati illegalmente potrebbero dunque essere tutti venduti legalmente, se l’industria, anziché pretendere di guadagnare avidamente sui CD e sui file musicali in breve tempo, facesse prezzi più ragionevoli, accessibili a tutti. Non è raro che un CD appena uscito costi anche 20 € e dopo pochi mesi sia deprezzato a 10-12 €. La gente di solito è disposta a pagare un giusto prezzo. Lo stesso vale per i film, per il libri e per molti oggetti digitali presenti in rete. Non si nega che il lavoro debba essere retribuito; è però vero che lo scopo si può raggiungere in modi diversi, offrendo la novità ad un prezzo alto, riservato a quei pochi che se lo possono permettere, oppure abbassandolo così da ampliare il numero di chi è disposto a pagare un giusto prezzo. Il problema sollevato è complesso e vasto, ma è importante affrontarlo per formare le persona ad una responsabilità etica e ad una coscienza critica.

    E se l’uso della tecnologia fosse una questione di cuore?

    Riflettiamo ora sulla parte finale del video, di fatto la più interessante perché non così scontata. Il nostro impiegato, preso ormai dall’eccitazione di poter entrare in possesso di una montagna di denaro, inizia a svuotare la cassaforte. Per accelerare l’operazione ha appeso il foglio alla cassaforte con un pezzetto di scotch e ha iniziato a estrarre i soldi con tutte e due le mani; non soddisfatto, si è infilato con tutto il corpo. Ma a questo punto succede l’imprevisto: lo scotch si stacca, il foglio cade e lui rimane chiuso nella cassaforte.
    La prima osservazione che di solito viene fatta a questo punto è che se il nostro impiegato avesse fissato meglio il foglio con più tratti di scotch, non sarebbe rimasto intrappolato. Osservazione giustissima, ma dimentica che spesso, quando siamo coinvolti in azioni che sappiamo essere illecite, l’agitazione è tale da farci perdere il controllo su alcuni particolari, che, come in questo caso, hanno poi conseguenze micidiali. Ritornando ancora alla mia esperienza di docente, mi capita spesso di individuare casi di plagio semplicemente perché, nella fretta di fare “copia e incolla”, i miei studenti non si accorgono che nelle righe copiate ci sono dei rimandi a paragrafi precedenti, oppure che c’è ancora la formattazione originale o sono rimaste parole linkate al sito di provenienza. Volendo ricorrere anche in questo caso al vecchio proverbio “il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”, possiamo dire che normalmente quando agiamo in modo scorretto c’è insita nell’azione stessa la mancanza di qualcosa che la rende corretta e a lungo andare se ne pagano le conseguenze. Un elaborato copiato accorcia certamente i tempi di consegna del lavoro, ma non supplisce alla mancata appropriazione personale del sapere: copio e finisco prigioniero della mia impreparazione. Anche se il professore può essere buggerato, il vero buggerato è colui che non ha fatto il proprio dovere. Questo vale anche per la vita, fare finta di essere ciò che in realtà non si è, a lungo andare rende incapaci di capire chi veramente siamo; si si finisce per passare di maschera in maschera.
    A questo punto è facile concludere dicendo che ognuno paga le conseguenze delle proprie azioni. Ma è una conclusione riduttiva. Perché non domandarci invece: ma anziché rubare uno snack e poi i soldi della cassaforte, cosa avrebbe potuto fare con quel foglio dalle magiche proprietà?
    Forse ci può aiutare a rispondere a questa domanda la frase del vangelo che dice: “Perché, dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.” (Mt 6,21). Il tesoro è la vita che sogniamo e immaginiamo, è la vita per la quale siamo disposti a giocarci tutto; sono i valori in cui crediamo, quelli non negoziabili. Il tesoro è anche l’immagine della nostra felicità, perché il cuore è alla ricerca di una felicità profonda. La cultura contemporanea, spesso condizionata dalle regole di consumo e di mercato, non ci aiuta a vedere nel “tesoro” i valori evangelici della gratuità, del servizio, della generosità, della donazione incondizionata, della misericordia, della carità. Ci spinge piuttosto a credere che la felicità consista in un accumulo di cose e di privilegi che alla fine diventano davvero delle gabbie dorate nelle quali rimaniamo prigionieri. Non abbiamo bisogno di fogli magici per entrarci, ma una volta entrati, purtroppo, siamo nella stessa situazione del nostro impiegato.
    Credo che da questo percorso emerga l’importanza di riflettere sull’uso della tecnologia nelle nostre pratiche personali e sociali. Dobbiamo farlo come cristiani, mettendoci in discussione con la Parola di Dio e i valori che diciamo di voler vivere.

    Nota didattica

    Ci sono alcuni siti cattolici che hanno linkato questo video titolandolo: Il peccato è come un buco nero e aggiungendo poi la citazione di Gv. 8,34 «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato.». Una presentazione del video fatta così elimina automaticamente ogni possibilità di discussione perché con una frase interpreta tutto il video e dà la risposta.
    Compito dell’educatore è aiutare i giovani a interrogarsi e interrogare la realtà. Se io educo un giovane a problematizzare ciò che gli viene proposto, imparerà un po’ alla volta a essere autonomamente critico. Se coniugo capacità critica a testimonianza di buone pratiche di vita allora il ciclo educativo si completa.

    NOTE

    The Black Hole
    https://www.youtube.com/watch?v=P5_Msrdg3Hk

    Media e animazione pastorale /1. Anzitutto, perché?
    http://notedipastoralegiovanile.it/index.php?option=com_content&view=article&id=10563:media-e-animazione-pastorale-1-anzitutto-perche&catid=475:npg-annata-2015&Itemid=209


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