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    L’enciclica di papa Francesco sull'ambiente /2


    ECOLOGICA

    Mario Toso

    (NPG 2016-03-51)

    Il «Vangelo della creazione», ovvero la genesi e la criteriologia del discernimento

    Come detto nell'articolo scorso, nei capitoli centrali della Laudato si' papa Francesco enuclea principi di riflessione e criteri di giudizio, in vista del necessario discernimento. Ai fini della costruzione di un’ecologia integrale, in grado di riparare tutto ciò che abbiamo distrutto, è fondamentale anche l’apporto delle convinzioni di fede. Con la loro ampia prospettiva, esse integrano quelle offerte da altri saperi, non esclusa la tecnoscienza, prodotto meraviglioso della creatività umana, ma da ridimensionare e ricondurre alla sua giusta valenza rispetto all’attuale assolutizzazione. Lo sguardo della fede consente un approccio più completo alla complessità della crisi ecologica. Ne consegue una conoscenza più esaustiva delle sue cause e delle terapie necessarie. Le soluzioni non possono derivare da un unico modello interpretativo e trasformativo della realtà. Nessuna forma di saggezza può essere trascurata. Proprio per questo, papa Francesco, nel capitolo secondo, raccoglie alcuni nuclei essenziali della sapienza biblica, tratti dai racconti della creazione e dalla tradizione giudeo-cristiana. Tali nuclei costituiscono punti imprescindibili di riferimento per il discernimento:
    - la natura è un pre-dato: ci precede e ci è donata da Dio come ambiente di vita. Essa porta in scritta in sé una «grammatica», che l’uomo deve saper leggere senza stravolgerla, per apprendere l’uso corretto delle risorse nel suo compito di sviluppo della creazione;
    - tutto il creato, e così la Terra, appartiene a Dio (Dt 10,14). È stato affidato all’umanità, non in proprietà esclusiva, bensì come realtà destinata alle generazioni di ogni tempo. Il creato e l’ambiente sono un prestito che ognuno di noi riceve e deve conservare al meglio, per poi consegnarlo agli uomini a venire. Infatti, nella creazione e nella Terra è inscritta una destinazione universale, che costituisce la «regola d’oro» da rispettare nell’uso dei beni (Cf LS n. 93);
    - dal fatto di essere creati ad immagine di Dio e dal mandato di dominare la Terra non si può dedurre la facoltà di asservire le creature (Cf LS n. 67);
    - ogni comunità può prendere dalla bontà della Terra ciò di cui ha bisogno, ma ha anche il dovere di tutelarla e di garantire la continuità della sua fertilità per le generazioni future;
    - la libertà dell’essere umano non è senza limiti o indifferente nei confronti del bene, del vero e di Dio: essa è per la verità, per il dono e per Dio;
    - essendo stati creati dallo stesso Padre, noi, esseri dell’universo, siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione. È per questo che la desertificazione del suolo, ad esempio, colpisce come una malattia ciascun uomo;
    - il traguardo del cammino dell’universo è nella pienezza di Dio, già raggiunta da Cristo risorto, fulcro del compimento universale. Noi non costituiamo lo scopo finale delle altre creature. Ognuna di esse ha un valore proprio nel loro esodo verso Dio;
    - all’interno dell’universo materiale, la persona rappresenta una novità qualitativa, un soggetto che non può mai essere ridotto ad «oggetto», perché è titolare di una dignità superiore rispetto a tutte le altre creature terrene;
    - non può essere autentico un sentimento di intima unione, di fraternità con gli altri esseri della natura, se nello stesso tempo non c’è tenerezza e preoccupazione per gli esseri umani. È evidente l’incoerenza di chi lotta contro il traffico degli animali a rischio di estinzione, ma rimane del tutto indifferente davanti alle migrazioni, alla tratta delle persone, alla vita dei più deboli e indifesi. Ciò mette a rischio il senso della lotta per la conservazione dell’ambiente (Cf LS n. 91).
    Merita che ci si fermi qui per almeno due considerazioni. La prima: i contenuti di fede, oltre ad offrire uno sguardo più ampio sulla realtà, rispetto ad esempio a quello della tecnoscienza, propongono una precisa ermeneutica del rapporto tra Dio, creato e persona. Aiutano a leggerlo e ad interpretarlo, movendo dall’esperienza del «ricevere», dell’accogliere, del condividere, in un approccio non aprioristico o idealista. Indicano come fondamentale ciò che papa Francesco, nella Evangelii Gaudium (=EG), chiama il criterio di realtà.[1] La realtà è sempre superiore alle idee, ai concetti, alle costruzioni teoriche, ai nominalismi. La prospettiva teologica delle convinzioni di fede, in concreto, aiuta a risvegliare una conoscenza di tipo «realista», che non dà adito a divagazioni astratte, bensì immette in un’esperienza gnoseologica aperta al fondamento, la quale va oltre la semplice fenomenologia e si apre al metafisico e all’etico.
    La seconda considerazione si collega alla prima. L’approccio al creato, con un metodo conoscitivo di tipo realista, consente di cogliere l’emergenza dell’originalità dell’uomo sulla natura. È su questa trascendenza che si costruisce l’etica ecologica. Il mancato riconoscimento dell’eccedenza dell’uomo – come avviene, ad esempio, nelle teorie che lo disperdono nella comunità biotica – inficia ogni discorso morale. Se si perdessero i parametri antropologici del rapporto con l’ambiente, assorbendo l’uomo in un tutto vitalistico, sarebbe impossibile parlare di etica ecologica e, per conseguenza, di etica ambientale. D’altra parte, la preminenza dell’uomo sulla natura non implica assolutamente il misconoscimento della dimensione creaturale di questa, e quindi non può giustificare atteggiamenti predatori di dominio dispotico. La natura è espressione di un disegno d’amore e di verità. Essa reca in sé ordinamenti che non sono invenzioni dell’uomo, ma costituiscono un ordine morale già abbozzato dall’azione creatrice di Dio. Per questo, non possono essere arbitrariamente scavalcati. Ecco perché si è sollecitati a superate un’etica utilitaristica, che ignora i legittimi bisogni dell’umanità, gli equilibri intrinseci al creato stesso, nonché i limiti delle risorse disponibili.
    Quanto sin qui detto mette in risalto il fatto che, con la Laudato si’, viene messo a punto un tipo di discernimento, che va valorizzato in modo particolare dai credenti. Essi vengono di fatto sollecitati ad accettare prospettive omogenee con la loro fede. Papa Francesco evidenzia i capisaldi di una cultura ambientale loro specifica, con la quale i credenti entrano nel dialogo universale, apportando un contributo originale. Non sono meno idonei al confronto ‒ come alcuni sembrano ritenere ‒, ma divengono portatori di visioni e di motivazioni, che supportano quelle addotte da una ragione retta.

    La radice umana della crisi: un’antropologia deviata e un uso indiscriminato della tecnoscienza

    In vista di una conoscenza più esaustiva delle cause della crisi ecologica e, quindi, dei possibili rimedi, nel terzo capitolo della sua enciclica, intitolato La radice umana della crisi, papa Francesco segnala come fattore determinante l’antropocentrismo moderno e il connesso paradigma tecnocratico. All’origine della crisi ecologica, si avrebbe dunque un causa umana, in particolare, un antropocentrismo deviato, che assolutizza il punto di vista dei singoli e la ragione tecnica, al punto da far ritenere l’uomo, e la tecnica che ne esprime il genio, creatori dell’essere e del senso delle cose. Da qui, l’ideologia tecnocratica che esalta l’autosufficienza della tecnica.
    La tecnoscienza, che è il complesso delle conoscenze scientifiche applicate alla tecnologia, è un prodotto meraviglioso della creatività umana, che può rimediare ad innumerevoli mali, ed è un elemento importante del progresso, in quanto consente di dominare la materia, di ridurre i rischi, di risparmiare fatica, di migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi, le condizioni di vita. E tuttavia, quando sia utilizzata male, può dar luogo a tragedie immani. Non possiamo ignorare che l’energia nucleare, la biotecnologia, l’informatica, la conoscenza del nostro stesso DNA e altre potenzialità che abbiamo acquisito ci offrono un tremendo potere. Basti pensare alle bombe atomiche del XX secolo (Cf LS n. 104). Occorre prendere coscienza della positività della tecnica in sé, ma anche della sua possibile ambiguità. Nata dal genio umano quale strumento a servizio della persona, essa può essere fraintesa come elemento di libertà assoluta, quella libertà che prescinde dai limiti e dagli ordinamenti che le cose portano in sé (Cf CIV n. 70). Dà origine, così, a quel paradigma tecnocratico che è oramai globalizzato. Dietro ad esso si cela un’ideologia di dominio e di potenza illimitati. Presuppone anche una disponibilità infinita dei beni del pianeta, nonché l’idea della possibilità di una crescita senza limiti (Cf LS n. 106).
    Il paradigma tecnocratico tende per natura ad esercitare la propria egemonia sull’economia e sulla politica. In tal maniera, l’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza curarsi delle ricadute negative sulle persone e sull’ambiente. La finanza, sempre più schiava della logica del paradigma tecnocratico, soffoca l’economia reale e soggioga i Parlamenti, dettando gli Ordini del giorno. Nel frattempo, si assiste ad una sorta di supersviluppo dissipatore e consumistico, senza che si mettano a punto istituzioni economiche e programmi sociali, che consentano ai più poveri di accedere a beni sufficienti per una vita dignitosa.
    La tecnica e i mercati, da soli, non sono in grado di garantire uno sviluppo integrale e l’inclusione sociale di tutti e, quindi, di risolvere i problemi della fame e della miseria. Per rallentare l’avanzata del paradigma tecnocratico con le sue devastazioni e le sue ingiustizie, occorre far leva su una cultura e un’etica ecologiche, commisurate al senso delle cose e ai loro fini. Occorre prestare attenzione alla realtà, «ascoltarla», e considerare l’essere umano non tanto come signore dell’universo, totalmente autonomo rispetto ad esso, bensì come un amministratore che sa riconoscerne e rispettarne gli ordinamenti intrinseci.
    Detto diversamente, non ci sarà mai una nuova relazione con il creato, un’autentica ecologia, se non ci sarà un uomo nuovo, una nuova antropologia (Cf LS n. 118). Ciò non significa abbracciare né un biocentrismo, che annienta la preminenza dell’essere umano, né un antropocentrismo individualistico e asociale, che enfatizza un arbitrio utilitaristico. Si sarebbe vittime di un relativismo pratico, la cui logica spinge ad ignorare l’altro, a sfruttarlo, a trattarlo come un oggetto. Secondo il relativismo pratico, non esisterebbero né verità oggettive né principi stabili, al di fuori di quelli che portano alla soddisfazione delle proprie aspirazioni e delle necessità immediate. E, allora, perché porre limiti al ricorso all’aborto, alla tratta degli esseri umani, alla criminalità organizzata, al narcotraffico, al commercio di diamanti insanguinati? (Cf LS n. 123)
    Occorre reagire decisamente alla logica utilitarististica, insita sia nel paradigma tecnocratico che nel relativismo pratico. È necessario cambiare le relazioni con l’ambiente, con le persone e con Dio. In ultima analisi, è urgente ripristinare un umanesimo trascendente, pregiudiziale per le applicazioni del progresso tecnologico nel mondo del lavoro e in quello vegetale e animale.
    Solo sulla base di un tale umanesimo sarà possibile riabilitare il lavoro che, nell’odierno contesto socio-culturale dominato dal capitalismo finanziario, è considerato attività funzionale soltanto al profitto o come variabile dipendente dai mercati monetari e finanziari.
    In vista di un’ecologia integrale, che non escluda l’essere umano, occorre recuperare un nuovo umanesimo del lavoro, concependolo come attività di custodia e di coltivazione del creato e strumento indispensabile per farne emergere tutte le potenzialità positive. Non si tratta solo del lavoro manuale o della terra, bensì di qualsiasi attività che implichi qualche trasformazione dell’esistente, dall’elaborazione di uno studio sociale fino al progetto di uno sviluppo tecnologico. Nell’attuale clima capitalistico-finanziario, che tende a sottovalutare il lavoro manuale e artigianale, considerandolo sempre più funzionale ai mercati finanziari e monetari, occorre recuperare la visione del lavoro come bene e, quindi, come diritto fondamentale dell’uomo. Il che esige che si continui a perseguire, quale priorità, l’obiettivo dell’accesso al lavoro per tutti (Cf LS n. 127).
    «Non si deve cercare – ecco un’affermazione di papa Francesco carica di conseguenze per l’organizzazione odierna del mondo del lavoro – di sostituire sempre più il lavoro con il progresso tecnologico: così facendo l’umanità danneggerebbe se stessa» (LS n. 128). Se il lavoro ha il primato sul capitale, se è antidoto alla povertà e titolo di partecipazione alla gestione di una società democratica, non può prevalere il paradigma tecnocratico. Il progresso tecnologico non può essere pensato solo in funzione della riduzione dei costi e della diminuzione dei posti di lavoro. Se così fosse, si avrebbe un impatto negativo sulla stessa economia, sul cosiddetto «capitale sociale», e anche sulle famiglie. Privilegiare il paradigma tecnocratico significherebbe giustificare quanto sta avvenendo in tanti nostri Paesi, ove multinazionali e cordate finanziarie straniere si impossessano delle migliori aziende, e poi, per ristrutturarle o cambiarne le tecnologie, procedono senza la necessaria gradualità a licenziamenti collettivi o alla messa in cassa integrazione, trascurando spesso la prospettiva di una riqualificazione o di un reinserimento dei lavoratori. Il ridimensionamento dell’occupazione va realizzato per gradi, non bruscamente. Va controllato socialmente, e integrato dalla creazione di altre opportunità di inserimento. La sollecitudine per il bene comune impone il compito di ripensare le modalità di esercizio delle varie professioni, come anche di considerare i nuovi settori che si possono dischiudere. Se, da una parte, il progresso tecnologico può condurre al ridimensionamento dei posti di lavoro, dall’altra, l’esigenza non solo di un’economia ecologica, ma anche di un’ecologia culturale della vita quotidiana nei vari ambienti, conduce a nuovi sbocchi lavorativi e professionali.
    Ma che fare, più concretamente, per aumentare l’occupazione? Papa Francesco indica alcune vie. Si tratta di realizzare o conservare un’economia «che favorisca la diversificazione produttiva e la creatività imprenditoriale» (Cf LS n. 129). In primo luogo, bisognerebbe evitare di privilegiare le economie di scala. Queste, specie nel settore agricolo, finiscono per costringere i piccoli coltivatori a vendere le loro terre o ad abbandonare le colture tradizionali ricche di biodiversità. «I tentativi di alcuni di essi di sviluppare altre forme di produzione, più diversificate, risultano inutili a causa della difficoltà di accedere ai mercati regionali e globali o perché l’infrastruttura di vendita e di trasporto è al servizio delle grandi imprese» (Cf LS n. 129). In secondo luogo, le autorità dovrebbero fornire il loro appoggio ai piccoli produttori, considerando che nel mondo sussiste ancora oggi una grande varietà di sistemi alimentari agricoli di piccola scala. Sono loro che continuano a nutrire la maggior parte della popolazione mondiale, utilizzando una porzione ridotta del territorio e poca acqua, e producendo meno rifiuti, sia in piccoli appezzamenti agricoli e orti, sia nella caccia e nella raccolta di prodotti boschivi, sia nella pesca artigianale. In terzo luogo, potrà essere necessario porre dei limiti a coloro che detengono più grandi risorse e potere finanziario. «La semplice proclamazione della libertà economica, quando però le condizioni reali impediscono che molti possano accedervi realmente, e quando si riduce l’accesso al lavoro, diventa un discorso contraddittorio che disonora la politica» (Cf LS n. 129).
    Papa Francesco considera un secondo campo di applicazione della tecnoscienza, quello del mondo vegetale e animale in vista di fini medici o della produzione di cibo sano per tutti. Qual è la posizione del pontefice in questo ambito così delicato? Non certamente quella di un «sì» incondizionato, come avrebbero desiderato alcuni, e nemmeno quella di un «no» categorico, che preclude qualsiasi mutazione genetica. Il pontefice dichiara di voler recepire la posizione equilibrata di san Giovanni Paolo II, il quale, da una parte, metteva in risalto i benefici dei progressi scientifici e tecnologici e, dall’altra, ricordava che è necessario considerare le conseguenze, che ogni intervento in un’area dell’ecosistema può comportare anche in altre aree. La sua posizione potrebbe essere così riassunta: no ad una manipolazione genetica indiscriminata, sì ad una manipolazione controllata, sperimentata e verificata, non strumentale al profitto. A proposito degli organismi geneticamente modificati (OGM), a conferma della sua prudenza, asserisce che, se da un lato va riconosciuto che i cereali transgenici hanno prodotto una crescita economica e hanno contribuito a risolvere alcuni problemi, dall’altro va detto che non si dispone di prove definitive circa il danno che potrebbero causare (Cf LS n. 134).
    Proprio per questo, sia pure indirettamente, papa Francesco intende offrire una criteriologia – peraltro già adombrata nella Caritas in veritate di Benedetto XVI (Cf CIV n. 27) – relativamente all’impiego della tecnologia in agricoltura. Essa ha, infatti, alcuni importanti limiti di applicazione: a) diminuzione della biodiversità; b) ulteriore impoverimento e scomparsa dei piccoli produttori; c) formazione di oligopoli nella produzione di sementi sterili e di altri prodotti necessari per la coltivazione, con la conseguente dipendenza dei contadini dalle grandi imprese produttrici (Cf CIV n. 27).
    Data la complessità della materia, papa Francesco sollecita quanto segue:
    - considerazione di tutti gli aspetti etici implicati;
    - promozione di dibattiti scientifici e sociali, responsabili e ampi, in grado di considerare tutta l’informazione disponibile;
    - rispetto del principio che non tutto ciò che è tecnicamente fattibile è eticamente lecito. È preoccupante il fatto, annota papa Francesco, che molti di coloro che riconoscono limiti alla ricerca scientifica con riferimento all’integrità dell’ambiente non li riconoscano nei confronti della vita umana (Cf LS n.).

    (continua)


    NOTE

    [1] Cf Francesco, Evangelii gaudium, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2014, n. 233.

     

    L’enciclica di papa Francesco sull'ambiente
    Mario Toso

    Un dialogo universale per un movimento ecologico globale sulla base di un fondamentale ottimismo
    Il metodo del discernimento: vedere, giudicare, agire, celebrare
    Continuità e discontinuità con il precedente magistero sociale
    Il «Vangelo della creazione», ovvero la genesi e la criteriologia del discernimento
    La radice umana della crisi: un’antropologia deviata e un uso indiscriminato della tecnoscienza
    L’ecologia integrale: un nuovo principio morale?
    L’«agire», ovvero alcune linee di orientamento e di azione
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