Rossano Sala
(NPG 2016-07-6)
Tutti coloro che si occupano di pastorale giovanile, di animazione di adolescenti, di accompagnamento in genere conoscono certamente il testo di Romano Guardini, divenuto ormai un classico sullo sviluppo delle varie età della vita, che ha plasmato tanti educatori e pastori: Le età della vita. Loro significato educativo e morale [1].
Il pensatore italo-tedesco – filosofo, teologo, pedagogista ed educatore – con finezza e chiarezza delineava le varie età della vita, ponendo per ciascuna un compito proprio e una ricchezza da acquisire e integrare nelle età successive, tanto che «le stesse età della vita rappresentano forme fondamentali dell’esistenza umana, sono modi caratteristici della vita dell’uomo, del suo cammino dalla nascita alla morte. Sono modi di sentire, di comportarsi nei confronti del mondo» [2].
Se l’infanzia veniva caratterizzata dalla meraviglia e la fanciullezza dalla necessità di sperimentare il mondo; se l’adolescenza portava con sé il gusto della libertà e dalla reversibilità delle sue attuazioni, che assumevano la fisionomia di tentativi più o meno fallimentari; se la vita adulta era pensata come il tempo del servizio e della fedeltà e la vecchiaia quello della sapienza e del distacco, pareva strategico cogliere le particolarità della giovinezza come il tempo del coraggio della conquista e della fortezza dell’osare.
La nostra pastorale, a partire da queste sapienti e sicure pennellate, poteva in forma lineare essere pensata in ordine a caratterizzazioni abbastanza chiare dell’esistenza umana, che ponevano logicamente per ogni età un suo obiettivo proprio e il suo cammino specifico, scandendo così cammini logici e solidi.
Oggi però, in una società e in una cultura che perde sempre di più confini precisi e si caratterizza da uno stemperamento generalizzato, ci chiediamo radicalmente se è ancora sostenibile un pensiero che faccia forza sulla linearità progressiva delle varie età della vita così come le abbiamo pensate fino a qualche decennio fa, così come Romano Guardini le delineava con sicurezza. È una domanda che non possiamo eludere.
Il dossier che presentiamo in questo numero non ha altra finalità che mostrarci i cambiamenti in atto, cioè il dato socio-culturale così come realmente si presenta davanti ai nostri occhi. Più che di età della vita si parla volentieri, a livello evocativo e culturale, di “stili di vita” (cfr. il primo contributo di D. Barrilà, il quale mostra che lo stile è quell’insieme di trame fondamentali che sostengono la vita di un individuo lasciato molto a se stesso e alle sue intraprendenze personali); poi si sottolinea il dato omologante del nostro tempo su tutte le età della vita, attraversate da un vero e proprio “ethos infantilistico” (cfr. il secondo contributo, di M. Pollo, che dal punto di vista socio-culturale rileva la nuova recezione del fattore tempo nella vita degli uomini nella modernità avanzata che, da una parte segna una riduttiva concentrazione sul tempo presente, e dall’altra l’emergenza di ridare distensione alla nostra esistenza umana); infine, da un un punto di vista più psico-sociale, si rileva un cambio di paradigma (cfr. il terzo contributo di V. Lucarini, che attesta il passaggio dalla “psicologia dell’età evolutiva” alla “psicologia dello sviluppo”, dove cade la solidità della vita adulta come riferimento normativo, lasciando spazio a percorsi altamente dinamici e sempre aperti).
Non solo la letteratura sul tema delle età della vita, all’interno della cornice tardo moderna, rende conto di questi ritratti che emergono nel dossier [3], ma la nostra stessa esperienza educativo pastorale di questi ultimi anni ne dà ampiamente conto: quante volte ci siamo sorprendentemente trovati di fronte a molti adulti, padri e madri, che in realtà vivono ancora in una fase prettamente adolescenziale della loro vita; oppure davanti ad anziani che rincorrono continuamente il sogno di rimanere eternamente giovani; oppure di preadolescenti o fanciulli a cui si affidano responsabilità, gestione del tempo e di strumenti tecnologici impensabile solo fino a qualche decennio fa; o ancora di giovani che non hanno alcuna possibilità di dare stabilità socio-economica ad alcune scelte di vita che desidererebbero intraprendere con serietà; oppure ancora di educatori, ministri ordinati o consacrati/e che faticano a vivere con maturità affettiva e culturale il loro ruolo di responsabilità in seno alla comunità credente
Soprattutto, mi pare, il dato che emerge in maniera sempre più solida è quella della crisi e della assenza dell’adulto, inteso come figura portatrice di una pienezza e di un’autorità riconosciuta, rispettata e attesa: referente di una maturità raggiunta, di una solidità certificata, di una fedeltà provata e di una competenza attestata. La letteratura su questa “mancanza” epocale purtroppo non manca [4]. Ora, pienamente consapevoli che il modello teorico classico delle “età della vita” faceva perno intorno alla forma e alla forza della vita adulta come referente privilegiato della vita umana in quanto tale, si coglie il senso della crisi in atto.
Effettivamente, se non vi è un referente adulto culturalmente e socialmente riconosciuto, come possiamo agire pastoralmente? Come possiamo educare ad una “pienezza di vita” che non ci risulta più né socialmente condivisa né psicologicamente definibile? Non pare nemmeno possibile né giustificabile eludere la questione epocale andando semplicemente a rifugiarsi in categorie bibliche teoricamente valide, ma praticamente virtuali: la fede stessa ha sempre bisogno, in quanto fiamma inestinguibile, di alimentarsi dall’ossigeno di forme pratiche dell’esistenza sociale-storica che la incarnino in forma viva, vivace e vivibile.
Da un punto di vista prettamente epocale, sembra essere invece l’adolescenza il nuovo referente favorito e vincente dell’intera esistenza, proprio perché appare l’unica età perfettamente sovrapponibile alle dinamiche socio-culturali in atto nel nostro tempo tardo moderno: un contesto liquido, come l’esperienza emotiva di un adolescente; una cultura flessibile, come lo sono le preferenze di un adolescente; una serie di attività sperimentali, simili alle insicure prove di volo di un adolescente; una moltitudine di esperienze reversibili, simile alla non definitività delle predilezioni adolescenziali; un tempo indeterminato, come lo sono le dinamiche di un adolescente; una fase creativa, come lo sono i tentativi di costruzione di sé di un adolescente. Se per un adolescente, che vive nella fase dialettica e turbolenta della propria crescita, tutte queste forme di vita appaiono necessarie, sopportabili e giustificabili, in altri momenti della vita tutto ciò tende a diventare non solo problematico, ma perfino patologico.
Effettivamente, la tendenziale fissazione omologante sull’adolescenza di tutte le età della vita precedenti e successive ad essa è un carattere peculiare e insieme inquietante del nostro tempo, alla cui genesi
stanno ragioni complesse, legate ai tratti generali della vita: pensiamo alla complessità quasi ingovernabile dei rapporti sociali, alla necessità prolungata della scuola, ai lunghi tirocini imposti dallo stesso apprendimento della professione. Stanno però anche ragioni di carattere propriamente culturale, legate alla figura che la cultura pubblica propone della vita riuscita. Quella cultura propone infatti modelli di vita sperimentalistici assai simili a quelli che un tempo erano propri dell’adolescente. […] Per scelte irrevocabili, nel caso degli adolescenti manca la persuasione; nel caso degli adulti manca una giustificazione di principio. Perché mai dovrebbero essere fatte scelte irrevocabili? La risposta alla domanda dovrebbe apparire subito chiara: la vita è una sola, e finisce; per non perderla occorre che tu ne disponga prima che il tempo te la porti via. Questa risposta, per sé ovvia, non appare affatto tale nel nostro tempo. La vita è pensata, e poi anche vissuta, come una possibilità sempre aperta, senza scadenze e senza morte [5].
Tutto questa riflessione, che non ha altra pretesa di chiarire quale sia la posta in gioco del presente dossier, ci sollecita almeno in due direzioni.
La prima è quella di conoscere in maniera approfondita il clima culturale della nostra epoca, esattamente lì dove i nostri ragazzi, adolescenti e giovani vivono sono inseriti: mi pare che il presente dossier faccia il punto sull’immaginario sociale condiviso dei cambiamenti in atto.
La seconda è quella di riflettere in forma antropologicamente plausibile, teologicamente fondata e pedagogicamente adeguata sul tema delle età della vita: su questo la rivista si ripropone di riprendere il tema attraverso un ulteriore dossier, che davvero possa offrire luce e forza per motivare il nostro lavoro educativo-pastorale con sempre maggiore competenza e passione.
NOTE
[1] R. Guardini, Le età della vita. Loro significato educativo e morale, Vita e pensiero, Milano 21992.
[2] Ivi, 60.
[3] Cfr. per esempio: M. Aime - C. Pietropolli, La fatica di diventare grandi. La scomparsa dei riti di passaggio, Einaudi, Torino 2014; M. Augé, Il tempo senza età. La vecchiaia non esiste, Raffaello Cortina, Milano 2014; R. Bodei, Generazioni. Età della vita, età delle cose, Laterza, Bari 2014; A. Matteo, Tutti muoiono troppo giovani. Come la longevità sta cambiando la nostra vita e nostra fede, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2016.
[4] Cfr. almeno alcuni contributi utili in ordine alla pastorale giovanile: F. Bonazzi - D. Pusceddu, Giovani per sempre. La figura dell’adulto nella postmodernità, Franco Angeli, Milano 2008; F.M. Cataluccio, Immaturità. La malattia del nostro tempo, Einaudi, Torino 2014; M. Chiarapini, Dove sono gli adulti? Assenti ingiustificati, Milano, Paoline 2013; G. Cucci, La crisi dell’adulto. La sindrome di Peter Pan, Cittadella, Assisi (PG) 2012; Id., La scomparsa degli adulti, in «La Civiltà Cattolica» II (2012) 220-232; A. Fumagalli, La formazione fragile. Sulla crisi attuale delle scelte di vita, in «La Rivista del Clero Italiano» 4 (2014) 258-275; A. Matteo, L’adulto che ci manca. Perché è diventato così difficile educare e trasmettere la fede, Cittadella, Assisi 2014; Id., Tornino gli adulti! A proposito di dialogo tra le generazioni, in «La Rivista del Clero Italiano» 5 (2014) 341-355; G. Zagrebelsky, Senza adulti, Einaudi, Torino 2016.
[5] G. Angelini, Età della vita e pienezza del tempo, in G. Angelini - G. Como - V. Melchiorre - P. Rota Scalabrini, Le età della vita: accelerazione del tempo e identità sfuggente, Glossa, Milano 2009, 73-131, 117-118. «La cultura del nostro tempo – quella in specie espressa dai modelli di vita proposti dall’immaginario pubblico, dalle chiacchiere fatte sulle piazze, dai luoghi comuni futili, “democratici” e ammiccanti – alimenta una rappresentazione della vita che privilegia il modello realizzato nell’età dell’adolescenza: il soggetto sarebbe destinato a cercarsi attraverso un interminabile esperimento» (ivi, 130).