Attesi dal suo amore
    Proposta pastorale 2024-25 

    MGS 24 triennio

    Materiali di approfondimento


    Letti 
    & apprezzati


    Il numero di NPG
    luglio-agosto 2024
    600 cop 2024 2


    Il numero di NPG
    speciale sussidio 2024
    600 cop 2024 2


    Newsletter
    luglio-agosto 2024
    LUGLIO AGOSTO 2024


    Newsletter
    SPECIALE 2024
    SPECIALE SUSSIDIO 2024


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di LUGLIO-AGOSTO di NPG sul tema degli IRC, e quello SPECIALE con gli approfondimenti della proposta pastorale.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: luglio-agostospeciale.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2020 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2020: 118 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2024 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2024 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV


    NPG Facebook

    x 2024 400


    NPG X

    x 2024 400



    Note di pastorale giovanile
    via Giacomo Costamagna 6
    00181 Roma

    Telefono
    06 4940442

    Email

    Vivere le Beatitudini



    Severino Rondina

    (NPG 2015-08-41)

    1
    Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,3)

    Sulla mia pelle
    Una storia di vita, molte di esse vissute personalmente, altre tratte da biografie, che illustrano "sulla propria pelle", appunto, la situazione della beatitudine. Il più delle volte sono "al positivo", altre volte esprimono la stessa beatitudine (o mancanza di beatitudine) al negativo. L'animatore può trovare storie di diverso genere per iniziare a discutere sul tema.

    Agostino non era un povero. Non aveva una casa sua, un letto dove riposarsi, mangiava senza orari. Perché allora non era considerato povero? Semplice: perché lui non si considerava tale. Erano gli anni del seminario, anni di studio, di formazione, di impegno verso il sacerdozio. Agostino era (perché ora è certamente in paradiso) un vecchietto minuto, con il suo eskimo verde estate e inverno, accompagnato sempre da un bidone. Lì metteva quello che trovava. Più di una volta l'ho visto riporci il cibo che gli veniva dato.
    Agostino si metteva vicino al cancello del seminario regionale o vicino alla siepe. Sì, preferiva sempre spazi che non davano nell'occhio. Non veniva mai a suonare al campanello o a bussare alla porta. Attendeva che tu ti accorgessi di lui. E quando questo avveniva lui ti rispondeva con un sorriso e un cenno del capo. Mi avvicinavo a lui. "Buongiorno", era la risposta e mi porgeva il suo secchio.
    Agostino stava incarnando il "beati i poveri in spirito" perché era un uomo che si fidava, si abbandonava agli altri e dipendeva da ciò che gli veniva dato e detto. Ecco la beatitudine incarnata: fidarsi e basta. Tante altre volte lo vedevo rannicchiato in piedi nei pressi di chiese, centri commerciali, luoghi pubblici affollati, mai però in modo sfacciato con la mano tesa o cartelli indicanti la richiesta. Agostino se ne stava ai bordi, senza essere invadente, quasi come un monito - per chi lo vedeva - a riorientare la bussola personale. La fiducia in Dio è così: non è invadente, altrimenti non si ottiene; non è sfacciata, pena il venire ancora di più emarginati. La fiducia in Dio la insegna Agostino: essa è attesa, speranza, verità, abbandono sincero, totale, gratuito. La vita, poi, ha preso strade diverse per me e Agostino. Io sacerdote e lui non l'ho più visto. Dopo alcuni anni passando davanti ad una chiesa l'occhio mi cade sulla bacheca degli annunci funebri. In uno vi era scritto: Agostino, povero in Dio. La lezione di Agostino continua anche dopo la sua morte perché chi si fida e dona fiducia non muore mai.

    Fai parlare l’anima
    In questo settore trova spazio la poesia, più o meno conosciute, più o meno famose. A volte, altre al silenzio meditativo, questo linguaggio parla più di altri, rivela più di altri, permette di entrare in dimensioni che dal di dentro si avvertono come "vere", comprensive, financo universali.

    "Un povero è povero"

    Un povero è povero
    Ma è un povero e basta
    Per lui non c’è posto.
    Il povero guarda, ma nessuno lo vede.
    Perché non è nessuno.
    Il povero vede il ricco
    Circondarsi di persone perbene.
    E piange.
    Ma nessuno lo vede.
    Sente il benestante
    fare discorsi futili.
    E lui oggi cosa mangerà?
    Il povero è inutile
    Perché non ha i soldi
    Per pagare la tua amicizia.
    Il povero china il suo capo
    Quando è umiliato.
    Da chi pensa
    Di esser migliore.
    Il povero è povero.
    Ma non è più
    Un povero e basta;
    può dare il suo amore
    a chi come lui
    non può pagare
    per avere il un sorriso
    (Antonella Fadda)

    Chi vede lontano
    Le nostre riflessioni, anche le nostre sensazioni profonde come espresse nella poesia (o nella preghiera), possono mancare di quella profondità, di quell'humus che viene dall'esperienza e riflessioni di altri, che possono raddrizzare a noi lo sguardo o farci uscire dalla nostra a volte ristretta esperienza. Sono i "profeti", non necessariamente quelli di appartenenza religiosa.

    Le beatitudini oggi (Don Tonino Bello, Alle porte del regno)
    Il significato preciso della parola "beati", comunque, lasciamolo spiegare agli studiosi. Così pure lasciamo agli studiosi la fatica di spiegarci il significato dei destinatari delle beatitudini.
    Se i miti, i misericordiosi, i puri di cuore, gli oppressi, gli operatori di pace… siano categorie distinte di persone o variabili dell'unica categoria dei "poveri", ci interessa fino a un certo punto.
    E neppure ci interessa molto sapere se i poveri "in spirito" siano una sottospecie aristocratica di miserabili o coincidano con quei poveri banalissimi che ci troviamo ogni giorno tra i piedi.
    Tre cose, comunque, ci sembra di poter dire con sicurezza.
    Anzitutto, che il discorso delle beatitudini ha a che fare col discorso della felicità. Non solo perché sembra quasi che ci presenti le uniche porte attraverso le quali è possibile accedere nello stadio del regno.
    Sicché chi vuole entrare nella "gioia" per realizzare l'anelito più profondo che ha sepolto nel cuore, deve necessariamente passare per una di quelle nove porte: non ci sono altri ingressi consentiti nella dimora della felicità Ma anche perché la croce, la sofferenza umana, la sconfitta… vengono presentate come partecipazione all'esperienza pasquale di Cristo che, attraverso la morte, è entrato nella gloria.
    E allora, se il primo titolare delle beatitudini è lui, se è il Cristo l'archetipo sul quale si modellano tutti i suoi seguaci, è chiaro che il dolore dei discepoli, come quello del maestro, è già contagiato di gaudio, il limite racchiude in germe i sapori della pienezza, e la morte profuma di risurrezione!
    La seconda cosa che ci sembra di poter affermare è che, in fondo, queste porte, pur differenti per forma, sono strutturate sul medesimo telaio architettonico, che è il telaio della povertà biblica. A coloro che fanno affidamento nel Signore, e investono sulla sua volontà tutte le "chance" della loro realizzazione umana, viene garantita la felicità da una cerniera espressiva che non lascia dubbi interpretativi: "… perché di essi sarà…".
    Quel "…perché di essi sarà…" rappresenta il titolo giuridico di possesso incontestabile, che garantisce tutti i poveri nel diritto nativo di avere non solo la "legittima" ma l'intero asse patrimoniale del regno. È un passaggio indicatore di una disposizione testamentaria così chiara che nessuno può avere il coraggio di impugnare. È, insomma, il timbro a secco che autentica in modo indiscutibile il contenuto di uno straordinario rogito notarile.
    La terza cosa che possiamo dire è che, se vogliamo avere parte all'eredità del regno, o dobbiamo diventare poveri, o almeno i poveri dobbiamo tenerceli buoni, perché un giorno si ricordino di noi. Insomma, o ci meritiamo l'appellativo di "beati" facendoci poveri, o ci conquistiamo sul campo quello di "benedetti", amando e servendo i poveri. Ce lo suggerisce il capitolo venticinque di Matteo, con quel "Venite, benedetti dal Padre mio: ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo".
    È la scena del giudizio finale, pilastro simmetrico a quello delle beatitudini, che sorregge quell'arcata di impegno che ha la chiave di volta nell'opzione dei poveri.

    Domande "diverse"
    Quando il gruppo di amici, dei coetanei che si ritrovano al bar, a scuola, in oratorio non la pensano come te, ti senti una mosca bianca e ti viene da dire, forse: “Chi me lo fa fare?!”.

    Le domande diverse, allora, servono per andare in profondità, per non fuggire, per scegliere (da oggi) di crescere, maturare, vivere a 360° la parola adulto. Domande che ti porti dentro e che gli altri leggono nella tua coscienza. Dagli occasione di prendere vita. Ti farà bene!
    • I poveri? Non li sopporto, sempre lì a chiederti soldi, cibo. E poi così insistenti! E tu devi essere anche cortese e gentile con loro. Per carità. La smettano di fare questa vita e si cerchino un lavoro come tanti, dove si parte la mattina presto e si ritorna stanchi la sera.
    • La parola fiducia dal mio vocabolario mi si è cancellata giorno dopo giorno. Man mano che vedevo le malefatte della Chiesa, della politica, dei miei vicini di casa, del datore di lavoro verso mio padre e mia madre... Stop alla fiducia. Adesso mi prendo la rivincita e non guardo in faccia a nessuno.
    • Ma sarà mai possibile che devo essere beato se sono povero?! Ma dove sta scritto. Nel Vangelo? Beh, a me non interessa, perché vedo che la vita mi da tante possibilità per essere felice, ricco, avere ascendente senza per questo leggere il Vangelo. Goditi la vita amico mio!

    Fascia di traverso
    È la fascia tricolore che viene indossata da sindaci, amministratori, responsabili della vita di una città. Viene riportata una frase vissuta da uomini e donne che hanno creduto e vissuto per una politica dal sapore umano.

    “Auspico ancora la sollecita promozione, a tutti i livelli, dalle minime frazioni alle città, di comitati impegnati e organicamente collegati, per una difesa dei valori fondamentali espressi dalla nostra Costituzione” (Giuseppe Dossetti, 15 aprile 1994, uno dei principali artefici della Costituzione italiana, consapevole che la Costituzione stessa era sotto attacco del governo Berlusconi, ruppe il silenzio, che si era imposto per 40 anni dopo che si era fatto monaco).

    Il grande schermo
    Un film che aiuta ad approfondire il tema.

    FORREST GUMP
    Sceneggiatura: Eric Roth
    Durata: 142'
    Soggetto: seduto sulla panchina ad un bus-stop di Savannah, Forrest Gump ricorda la sua infanzia di bimbo con problemi mentali e fisici. Solo la mamma lo accetta per quello che è, e solo la piccola Jenny Curran lo fa sedere accanto a sé sull'autobus della scuola. Sarà lei a incitarlo, per sfuggire a tre compagnetti violenti, a correre, liberando così le gambe dalla protesi. Attraverso trent'anni di storia americana vista con gli occhi della semplicità e dell'innocenza, Forrest diventa un campione universitario di football, mentre è sempre più innamorato di Jenny che però lo considera un fratello. Assiste ai disordini razziali in Alabama e incontra Kennedy poco prima dell'assassinio. Si arruola quindi nell'esercito, dove fa amicizia con il nero Bubba, un pescatore di gamberi che gli comunica la sua passione. Dopo un fugace incontro con Jenny che canta a Memphis, Gump va a combattere in Vietnam. Qui Bubba muore e lui salva diversi compagni, compreso il suo comandante, Dan Taylor. Tornato in patria, apprende l'arte del ping-pong, viene decorato da Johnson e incontra ad una manifestazione pacifista Jenny che sparisce di nuovo. Scopertosi campione di ping-pong, partecipa alla storica tournée in Cina, e incontra Nixon poco prima del Watergate. Comprata una barca, si dà alla pesca dei gamberi con Taylor, e fa fortuna. Dopo la morte della madre, ormai miliardario, viene raggiunto da Jenny, che rifiuta di sposarlo, ma ha un rapporrto sessuale con lui per sparire di nuovo. Disperato, Forrest corre a piedi per l'America per tre anni, raccogliendo anche seguaci. Poi Jenny lo chiama da Savannah, dove lo informa di avere un figlio, Forrest junior. Tornati in Alabama, i due si sposano, ma Jenny, malata di aids, muore assistita amorosamente dal marito, che si dedicherà al figlio.

    Pennellata di preghiera
    È una preghiera con cui si può iniziare o terminare l'intera riflessione o inconro di gruppo. Ovviamente qui dentro possono entrare tutte le cose dette o scoperte nel lavoro precedente. Nella preghiera ogni riflessione elaborazione personale e di gruppo può trovare una apertura trascendente, un richiamo al mistero di cui le stesse beatitudini sono avvolte: un mistero di fede e di Dio.

    Signore, rendici poveri in spirito, facci divenire piccoli di fronte la tua Onnipotenza, che nessuno ambisca a sostituirsi a Te. Trasformaci in uno strumento nelle Tue mani, in una matita con cui scriverai carità e amore nelle pagine della nostra vita.


    2

    Beati quelli che piangono, perché saranno consolati (Mt 5,4)

    Sulla mia pelle

    Alessandra è una ragazza solare. Alle lacrime ha dato sempre un volto, un nome. Come a dire: non hai mai pianto per nulla, in modo banale. La sua mamma è riuscita a vedere Alessandra sposata, all'altare con il suo sposo. Il babbo invece è morto alcuni anni prima. La mamma poco dopo le nozze. Alessandra ha una sorella più grande e il rapporto tra loro è bello, intenso, vero, particolare. Un rapporto da sorelle con la "s" maiuscola! La perdita così ravvicinata del babbo e della mamma ha scatenato in Alessandra un mondo sommerso di relazioni sofferte nell'infanzia, adolescenza. La sorella maggiore ha lasciato casa molto presto e Alessandra si è ritrovata come figlia unica. Che cosa è accaduto? Tutto ciò che per anni aveva accumulato in lei ha iniziato a vomitarlo, a buttarlo fuori. Si chiama anoressia e si legge mistero. Si, perché se pensiamo che Dio sia un mistero non è vero; semmai è il cuore dell'uomo ad esserlo. Un cuore capace di amare tanto, di annullarsi pur di servire gli altri e farli contenti, felici, realizzati. Questo è il cuore di Alessandra. Questa è la sua verità sulla quale sta lavorando, consapevole che solo nell'umiltà della propria persona si vive e si impara ad essere consolati anche dalle ferite, dalle tenebre del proprio cuore fragile, da quei mostri che prendevano il sopravvento facendola divenire altro da lei.
    Alessandra sta comprendendo che "l'essere beati quando si piange" detto da Gesù è tutt'altro che masochismo. Significa assaporare nella lacrime amare il gusto della consolazione che vibra nella fede, nel rapporto personale con Dio, con le persone che si ama e dalle quali si riceve amore. La consolazione non è la pacca sulla spalla o il sentirsi dire "coraggio che è passata". La consolazione è qualcosa di serio, perché è la capacità per la persona di trovare e darsi stabilità nel profondo, nell'intimo dell'animo, nelle fondamenta. E allora beati quelli che piangono perché saranno consolati lo possiamo rileggere con: pieni di gratitudine sono coloro che vengono alla luce, fanno verità con se stessi passando per la via delle lacrime perché troveranno stabilita e doneranno forza.

    Fai parlare l’anima

    “Una vita stroncata” (Morire sulla strada con un incidente)

    Bella, giovane vita eretta,
    piena di gioia e virtù,
    Come un fiore in primavera
    stroncato dal vento
    ti innalzi verso il cielo
    con ancora l'esultanza di vivere
    Un trucco del destino,
    una fatale beffa,
    un furto furioso,
    per noi che restiamo a guardare.
    Lì sola, sotto i nostri sguardi
    increduli, arrabbiati,
    smarriti e gonfi di lacrime.
    Ti ho vista
    un telo bianco ti copriva dal freddo della notte
    una notte buia, cattiva.
    Insegnaci a capire,
    apri le nostre menti a non sbagliare
    affinché la tua separazione non sia vana.
    Resterai come una cicatrice
    e come tutte indelebile
    a ricordo della tua figura
    a ricordo dell'amore che hai donato
    a monito di un amore che non potrà far ritorno
    ma che saldo resterà nei nostri cuori.

    Chi vede lontano

    Icona della sofferenza amorosa (Gemma Galgani, giovane ragazza nel 1903)

    Dolore, sofferenza, morte: vivere o anche solo parlare di queste realtà così universali e così inevitabili, significa fare un’esperienza anzi l’esperienza umana per eccellenza di fronte alla quale non è più possibile eludere l’urgenza della serietà e della consistenza personale. Realtà universali: tutti, prima o poi, da giovani, meno giovani o da vecchi, ci passiamo.
    Anche se per qualcuno il dolore e la sofferenza sembrano essere il pane quotidiano della propria esistenza, a differenza di altri. È proprio vero però che davanti a questa realtà, e nel momento in cui bussa alla nostra porta siamo chiamati a dare il meglio di noi stessi. E a riflettere più profondamente. A interrogarci più spesso.
    A pregare di più. Perché il dolore è una realtà enigmatica, che angoscia e inquieta, che può portare alla solitudine esistenziale e alla disperazione, alla rivolta contro Dio e alla sua negazione.
    È soprattutto la presenza del dolore innocente che lascia perplessi e invita alla ribellione.
    Ha scritto Paul Claudel: “A questo terribile problema, il più antico dell’umanità e al quale Giobbe ha dato la sua forma ufficiale e liturgica, solo Dio, direttamente richiesto e sollecitato era in grado di rispondere. E l’interrogativo era così enorme che solo il Verbo poteva soddisfarlo dando non una spiegazione, ma una presenza...”.
    Dio davanti al dolore non ci ha inviato un bel volume, con i suoi aspetti filosofici o psicologici, non un trattato di sociologia della sofferenza ma una presenza, anzi la Presenza: Se Stesso, nella Persona del Figlio Gesù Cristo, l’Innocente per eccellenza. Egli affrontò il dolore e la morte nell’assoluta dedizione e affidamento al Padre e al suo disegno e mistero di amore.
    Per il Cristianesimo, il dolore e la sofferenza del giusto accettata per amore e vissuti nell’amore, hanno il valore di prova, di purificazione, di buon esempio per gli altri e di compartecipazione al dolore salvifico della Croce di Gesù Cristo.

    Domande "diverse"

    • Soffrire, mamma mia. Mi dà una rabbia nel cuore che divento il veleno in persona. Vedere mio cugino morire di un male stranissimo e rarissimo (dicono i medici) a soli 17 anni, io questo non lo sopporto. E il tuo Dio cosa mi dice?
    • Il vuoto genera rabbia. Un mio amico credente mi ha detto che nel vuoto ci vede rinascere la speranza. Io nel vuoto ci vedo solo la disperazione di chi non c’è più. Punto. Il dolore, la malattia, il piangere per poi non vedere cambiare le cose, anzi peggiorarle. Chiedo al mondo: perché non si può togliere il soffrire? C’è qualcuno che me lo dice senza essere smieloso o bigotto?

    Fascia di traverso

    "Cari amici, vedo in voi le "sentinelle del mattino" (cfr Is 21,11-12) in quest'alba del terzo millennio. Nel corso del secolo che muore, giovani come voi venivano convocati in adunate oceaniche per imparare ad odiare, venivano mandati a combattere gli uni contro gli altri. Oggi siete qui convenuti per affermare che nel nuovo secolo voi non vi presterete ad essere strumenti di violenza e distruzione; difenderete la pace, pagando anche di persona se necessario. Voi non vi rassegnerete ad un mondo in cui altri esseri umani muoiono di fame, restano analfabeti, mancano di lavoro. Voi difenderete la vita in ogni momento del suo sviluppo terreno, vi sforzerete con ogni vostra energia di rendere questa terra sempre più abitabile per tutti!" (Giovanni Paolo II ai giovani della GMG 2000).

    Il grande schermo

    GRAN TORINO
    Soggetto: Dave Johannson & Nick Schenk
    Durata: 116'
    Soggetto: Reduce della guerra di Corea e meccanico della Ford in pensione, Walt Kowalski, da poco vedovo, vive solo e mal sopporta di avere come vicini immigrati coreani e altri 'stranieri'. Una notte il più giovane di loro, Thao, cerca di rubargli la sua preziosa Ford modello Gran Torino. Il furto fallisce e il ragazzo, per decisione della famiglia si mette al suo servizio per una sorta di riparazione della colpa commessa. La burbera solitudine di Kowalski comincia a sciogliersi e, frequentando anche Sue, sorella di Thao, l'uomo capisce meglio le difficoltà di vita di quelle persone. In particolare il clima di violenza instaurato da una banda di altri immigrati, lo provoca più volte, fin quando decide di intervenire. Dopo aver letto le analisi mediche che certificano la sua malattia inguaribile, Walt affronta i teppisti che reagiscono sparando a raffica e lo uccidono. Subito dopo vengono arrestati. E nel quartiere torna la calma.

    Pennellata di preghiera

    Signore, ti prego affinché chi soffre, ti renda grazie ogni giorno; perché attraverso la propria sofferenza si senta ad un passo da Te e soffra con Te ai piedi della tua Croce.

    3
    Beati i miti, perché erediteranno la terra (Mt 5,5)

    Sulla mia pelle

    Un mondo a quadretti. È la storia di una rivista che nasce dentro il carcere di Fossombrone, nelle Marche. Pasquale (nome inventato) riassume tante esperienze che avvengono raramente, o meglio, non così frequentemente. Ricordo quelle speciali occasioni d'incontro con i detenuti. Viene da dire: la mitezza abita in un luogo come questo? Se la mitezza è la capacità e la forza di non rispondere al male con il male viene da dire che il luogo per eccellenza è il cuore dell'uomo. Non abita in un posto fisico, ma nella coscienza di ogni persona. In carcere si imparano tante cose nell'incontrare persone che hanno sbagliato, che hanno ucciso perché ferite dalla vita. Diceva don Oreste Benzi, a buon ragione, che nessuna persona nasce cattiva, semmai diviene infelice. Ecco: in carcere si assapora il gusto di un amore che è stato malato, vissuto in un contesto ammalato di paura, soprusi, ingiustizie, cattiverie. Non si nasce sbagliati. Si sbaglia perché lungo la vita sono mancate persone ed esperienze giuste e al momento giusto.
    Pasquale in carcere ha tatuato sul suo cuore cosa voglia dire essere miti, ovvero, far fiorire e germogliare dentro di se la vita buona, non è un privilegio per pochi, ma un dono dato a tutti. La differenza consiste nel saper coltivare questo dono, riconoscerlo, farlo venire alla luce, condividerlo, portarlo a fruttificare. E come si fa in carcere? Gesù dice in un passo: "Chi è fedele nel poco è fedele anche nel molto". Di qui l'insegnamento: il carcere diviene lo specchio per Pasquale e, per ciascuno di noi, quando nelle faccende di tutti i giorni impariamo a non essere superficiali, a non dare nulla per scontato, a non sottovalutare il perdono non dato e le scuse non accettate, il legare al dito la vendetta e il rancore. Una mia zia amava dire: odio e rancore è l'unico peccato. Vivere la mitezza significa, innanzitutto, educarsi a riconoscere la debolezza e la fragilità che si annida nelle pieghe quotidiane e, proprio perché ordinarie e di poco conto, non gli diamo peso. Ed invece la casa si costruisce mattone per mattone, così il male, così la pace: si costruiscono giorno per giorno, grazie a tutto e tutti.

    Fai parlare l’anima

    “Il mondo delle donne”

    Il mondo delle donne
    ha il fascino delle orchidee
    il trapuntato slancio dell'Alhambra,
    con che speciale riguardo
    abbiamo danzato con le vecchie fanciulle
    nel canto severissimo della neve
    con quanta delicatezza
    i fiori hanno perduto l’alone.
    I peggiori nemici della donna
    sono quelli di casa sua
    perché non danno spazio al sogno
    e guardano trasecolati
    i piedi che anelano
    al viaggio.
    Non rimane nulla dell’abbandono
    solo un tempo profondo
    un corpo sensuale pieno di solitudine
    un sospiro di quercia
    per la giovane donna uccisa
    perché voleva lasciare nell’aria
    la verità dei suoi versi:
    la femminile saggezza
    che brucia di grazia
    le origini assurde
    di ogni segregazione..
    Non esiste altro modo
    per queste donne lapidate
    non esiste altro velo
    al di fuori della parola
    il silenzio ha urtato dei piedi incredibili
    e allora fuori da dove non c’è rifugio
    fuori dal canto che diserta le camelie,
    non c’è altro spazio
    se non quello della solitudine.
    È stata cancellata la parola delle donne
    e Nadia Anyuman uccisa
    dal marito che aveva promesso di amarla,
    come si può sopravvivere
    se la tenerezza non raggiunge il rispetto
    se il rispetto non raggiunge la voce
    e la voce non raggiunge
    l’anima occulta delle rovine.
    (Giulia Perroni, 26 maggio 2009)

    Chi vede lontano

    Alexander Langer, Dieci tesi sul rapporto tra mitezza e nonviolenza

    I. Per resistere al male senza lasciarsene contaminare è bene esercitare la virtù della mitezza. Senza mitezza la resistenza è fragile, la violenza invade la persona.
    II. Per agire il conflitto senza esserne travolti è bene esercitare la virtù della mitezza. Senza mitezza il conflitto è lacerante, la violenza disgrega la persona.
    III. Solo la mitezza sa essere misericordiosa. E un'azione buona e giusta ma senza misericordia è già meno buona e meno giusta.
    IV. Solo nella mitezza si può istituire una convivenza tra persone libere ed eguali in dignità e diritti; una società non oppressiva, non autoritaria, non alienante; una comunità che non omologhi o peggio annienti
    le preziose diversità di cui ogni persona consiste ed è portatrice.
    V. La mitezza si fonda sulla coscienza della dimensione tragica della vita. Chi è frivolo, cosi' come chi è cinico, non è adeguato ai compiti dell'ora, non sa essere responsabile, non sa essere solidale.
    VI. Non si può essere persone amiche della nonviolenza se non ci si esercita nella virtù della mitezza. Proprio perché la nonviolenza è conflitto, a maggior ragione le persone che nella lotta nonviolenta si impegnano hanno il dovere di scegliere la mitezza. Promuovere il conflitto, resistere all'ingiustizia, contrastare il male, è inane senza mitezza. La mitezza è la virtù principe del combattente satyagrahi.
    VII. Virtù relazionale per eccellenza, la mitezza è terapeutica, socializzante, giuriscostituente. La persona mite mitiga le altre persone, disinquina le relazioni, dà sollievo agli attori coinvolti nel conflitto. Ma non solo: la mitezza è altresì virtù politica e può essere finanche principio di organizzazione giuridica.
    VIII. La mitezza s'impara, e s'impara passando attraverso le prove del dolore e dello smarrimento. Non si nasce miti, lo si diventa scegliendolo.
    IX. "Beati i miti, poiché erediteranno la terra" (Matteo, V, 4): interpreto così: solo la scelta della mitezza può salvare un mondo che va insieme trasformato e conservato, difeso e rovesciato, restituito e redento. Solo la nonviolenza nella sua pienezza (non solo insieme di scelte logiche, epistemologiche, assiologiche, esistenziali; non solo insieme di tecniche ermeneutiche, metodologiche, deliberative, operative; non solo azione e progetto politico e sociale: ma insieme di insiemi) può salvare l'umanità.
    X. È nel momento della lotta che si prefigura e quindi si decide l'esito di essa. Una lotta contro l'ingiustizia condotta senza mitezza non è una lotta contro l'ingiustizia, poiché ingiustizia riproduce; una lotta per la pace
    senza mitezza non è una lotta per la pace, poiché pace non costruisce. La mitezza è liberazione dall'oppressione. La nonviolenza è solo in cammino.

    Domande "diverse"

    • Con che cosa fa rima essere mite, buono, bravo? Con stupido, cretino, perdente. È questo quello che penso quando mi parlano, per esempio, di perdonare ad un male ricevuto. Rispondo con la stessa moneta e basta. Ricordo mio padre, quando giocavo a calcio nel gruppo di amici delle elementari, da bordo campo mi gridava: “Se ti danno un calcio, danne due. Ricordati di chi sei figlio!”.
    • Secondo me buoni ci si nasce e cattivi pure. Io ho visto mio nonno lavorare sempre come una macchina, non gioire mai per qualcosa e quando riceveva un torto o un sopruso legava una corda alla ringhiera di casa per ricordarsi di fargliela pagare. Io sono cresciuto con questo esempio. Forse a voi non piacerà, però se mi chiedete che cosa sia il porgere l’altra guancia io, ancora, non l’ho mai vissuto.

    Fascia di traverso

    “In Cile, ma ormai in larga parte del mondo, vi è un unico Potere che è una diabolica commistione di politica ed economia. Questo Potere, che con la globalizzazione è diventato il vero padrone del mondo, non si pone scrupoli, pur di aumentare il profitto, di devastare l’ambiente, impoverire ed escludere milioni di persone, provocare sconvolgimenti sociali e ambientali mai visti prima. E se i politici sono ormai comprati da questo Potere, talvolta anche pezzi della Chiesa invece che opporsi diventano complici e funzionali al sistema. Il liberismo è la massima negazione di Dio perché invece che riconoscere che la creazione è di Dio pretende di privatizzare e fare profitti coi beni comuni della creazione stessa. Il cancro della nostra epoca è il consumismo, che trasforma ogni cosa in merci, privatizza i beni comuni e riduce a cose anche le relazioni umane: la risposta cristiana a questo cancro è un diverso stile di vita e un forte impulso al cambiamento del modello di sviluppo” (Luis Infanti De La Mora, Vescovo cileno).

    Il grande schermo

    IL GIUDICE RAGAZZINO
    Sceneggiatura: Andrea Purgatori, Ugo Pirro, Alessandro Di Robilant
    Durata: 100'
    Soggetto: il giovane avvocato Rosario Livatino vince il concorso a magistrato e viene assegnato alla Procura della Repubblica di Agrigento. È un giovane schivo e discreto, figlio di genitori anziani, nato e cresciuto a Canicattì, grosso centro della provincia di Agrigento, che vive con disinvoltura la propria fede religiosa, la propria onestà quotidiana di figlio in famiglia, attento, senza sentimentalismi, ad evitare motivi di ansietà ai genitori e impegnato professionalmente con estremo rigore e serietà nel proprio non facile compito di giudice, in un contesto sociale incline ad evitare motivi di conflitto che ne disturbino la quiete. Si applica immediatamente al proprio compito con intransigenza tale che il Procuratore capo gli "impone" un periodo di ferie, perchè si distragga, viva qualche settimana di spensieratezza e sollievo: ma lui si porta a casa i fascicoli di un'indagine e rimane a Canicattì nell'afa estiva a studiare il caso a lui affidato, scoprendo gradatamente intrecci pericolosi tra mafia, pubblica amministrazione, criminalità organizzata, politica. Non tardano a raggiungerlo tentativi di corruzione, avvertimenti plateali, diffidenza di colleghi nei suoi confronti, benevole esortazioni a non prendersela più di tanto: ma Livatino non demorde. Neppure l'amore per la bella Angela Guarnera (incontrata come "avvocato d'ufficio" assegnato a un imputato che rifiuta di nominarne uno di propria scelta), lo distrae dalle indagini che sta conducendo. Poco a poco rimane isolato e senza amici, ad eccezione del maresciallo dei carabinieri Guazzelli, al quale dimostra fiducia. Scopre frattanto che Giuseppe Migliore, suo vicino di casa, è il presunto capo mafia di Canicattì. Mentre percorre sulla propria automobile il tragitto Canicattì-Agrigento, viene raggiunto da sicari prezzolati che lo assassinano ferocemente la mattina del 21 settembre 1990.

    Pennellata di preghiera

    Signore, insegnaci la tua gentilezza e la tua amabilità nei gesti e nelle parole, al fine di meritare la terra che ci hai promesso in eredità.
    Facci comprendere che la violenza porta solo distruzione e morte, saziaci del tuo Spirito perché riusciamo anche noi a vivere con la serenità nel cuore e ad amare tutti i nostri fratelli.

    4
    Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati (Mt 5, 6)
    Beati quelli che sono perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,10)

    Sulla mia pelle

    Quando si parla di giustizia si pensa alle storie di guerra, di mafia, di camorra, di violenza. Eppure anche tra i banchi di una chiesa si avverte sulla propria pelle l’ingiustizia. È la storia di Paolo, papà di due figli splendidi. Lui è separato. Sa bene che non può vivere a pieno il sacramento della confessione e non può ricevere l’eucaristia. Lo vedi nei banchi della chiesa starci con dignità e amarezza, determinazione e speranza. Spera in cosa? Non lo so di preciso, però Paolo è un uomo intelligente, onesto, pulito nel cuore dei ragionamenti. È consapevole che lo “sbandamento” del matrimonio andato a pezzi ora lo sconta così. Però Paolo vuole bene alla Chiesa che gli è madre, padre, sorella, sostegno, amica, confidente per i sorrisi e le lacrime. Vive un cammino di fede molto bello con i suoi figli che crescono, che diventano grandi, che vivono le prime cotte (il più grande!).
    Paolo ama la Chiesa. E come la Chiesa ama Paolo? Dicendogli che non può mettersi in fila al momento del ricevere la comunione come tutti gli altri? Basta andare in un’altra chiesa dove non ti conosce nessuno e il gioco è fatto. Ma Paolo non bara, Paolo fa sul serio e sa che la Chiesa ha una storia alle spalle che gli dice che non si gioca al baratto con il buon Padre Dio, che la sincerità vuol dire proprio cuore senza cera, che vede e si lascia vedere. Sono contento per i figli Paolo che hanno un padre così ed è bello vedere che lui addita sempre ai suoi figli la figura della mamma, perché è sempre mamma, pur con tutte le ferite e le fatiche.
    Quanti sono nella situazione di Paolo? Tanti. Che fare allora? Un cammino di conversione, di maturazione da ambo le parti: per queste coppie segnate nella vita matrimoniale e per la Chiesa che continui a rafforzare il suo volto di madre.

    Fai parlare l’anima

    “Ex deportato”

    Signore,
    quando ritornerai
    nella Tua gloria,
    non ricordarti solo
    degli uomini di buona volontà.
    Ricordati anche
    degli uomini
    di cattiva volontà.
    Ma, allora, non ricordarti
    delle loro sevizie e violenze.
    Ricordati piuttosto dei frutti
    che noi abbiamo
    prodotto a causa
    di quello che essi
    ci hanno fatto.
    Ricordati
    della pazienza degli uni,
    del coraggio
    degli altri, dell'umiltà,
    ricordati della grandezza d'animo,
    della fedeltà
    che essi hanno risvegliato in noi.
    E fà, Signore,
    che questi frutti
    da noi prodotti siano,
    un giorno,
    la loro redenzione.

    Chi vede lontano

    “La domanda di giustizia”, Gustavo Zagrebelsky e Carlo Maria Martini.
    Zagrebelsky è stato giudice della Corte Costituzionale e che ha insegnato Diritto Costituzionale e Giustizia Costituzionale all’Università di Torino

    “Sapete che il nostro cervello è diviso in due. Ci sono parti del cervello che controllano la ragione, le facoltà raziocinanti, e un’altra parte del cervello che controlla le facoltà emotive. Noi ci siamo formati sull’idea che la parte emozionale di noi stessi doveva essere compressa. C’è una lunga tradizione filosofica a partire da Aristotele e dagli stoici, soprattutto, che sostenevano che le emozioni erano delle perturbazioni della ragione. Oggi, per fortuna siamo in un’epoca in cui cerchiamo di costruire l’unità dell’essere umano: ragione ed emozione. E si mette in luce, da parte di scienziati che si occupano di neuroscienze, che probabilmente ciò che è più determinante nel nostro comportamento è la reazione emozionale. Dopo interviene la ragione a razionalizzare. Ma il primo impatto è emozionale. Ecco. Io credo che una strategia di formazione alla giustizia dovrebbe puntare alla sensibilità nei confronti delle ingiustizie, a una educazione delle emozioni.
    L’esempio più calzante di uomo giusto è il buon samaritano, cioè colui che incontra il reietto, colui che non ha nessuno che può aiutarlo e gli dà qualcosa di suo.
    Il samaritano avrebbe potuto dire: “Ma chissà che è costui? Se lo merita davvero che io l’aiuti? Avrà qualcosa da farsi perdonare?”. No. Il buon samaritano ha reagito non razionalmente, perché razionalmente ci si sarebbe potuti porre tutti quei problemi. E poi, ragionamento che spesso facciamo noi: “se io aiuto colui che mi chiede l’elemosina all’angolo, incremento questa pratica che obiettivamente non è socialmente apprezzabile, incremento il parassitismo sociale. Non è detto che questo mendicante sia davvero un mendicante. Potrebbe essere qualcuno che lavora per un’organizzazione”. Ecco! Razionalmente si può giustificare la nostra apatia nei confronti della sofferenza che vediamo. Il buon samaritano ha reagito, invece, emozionalmente. E questo è la giustizia, secondo il ragionamento che vi ho fatto. Ma attenzione! Il buon samaritano ci viene proposto non come l’esempio di giustizia nei Vangeli. Ma come esempio di Carità. E la conclusione è che forse la Giustizia coincide con la Carità, che non è necessariamente una virtù solo cristiana. La carità dovrebbe essere una caratteristica della nostra comune umanità. Essere uomini, esseri umani insieme ad altri esseri umani”.

    Domande "diverse"

    • La giustizia? Te la fai da solo! Non ci credo nel perdono, nel tendere la mano; perché dovrei farlo quando mettono le mani ai tuoi familiari, alle persone a te care?
    • Avere fame e sete di giustizia, dice la frase del Vangelo. Bel proposito: poi ti accorgi che i furbi la fanno sempre franca e coloro che perseguono la via della giustizia sono sempre più tartassati. Cosa ci si guadagna con tutto ciò?
    • Ti senti sconfitto: si, con le spalle al muro. In che cosa, vi viene da dire? Quando anche all’interno del tuo gruppo di amici (o che credevi tali) la giustizia non è uguale per tutti e si fanno preferenze di persone. Anche l’amicizia ha bisogno di una giustizia onesta, non è vero?

    Fascia di traverso

    “Se voi però avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliori di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto” (don Lorenzo Milani, risposta ai cappellani militari, in “L’obbedienza non è più una virtù).

    Il grande schermo

    LA ROSA BIANCA - SOPHIE SCHOLL
    Soggetto: tratto dalle vicende realmente accadute nel febbraio 1943
    Durata: 117'
    Soggetto: Monaco, 1943. Un gruppo di studenti bavaresi ha costituito in città la Rosa Bianca, movimento di opposizione al nazismo. Fra loro ci sono Hans Scholl, sua sorella Sophie, Alex Schmorell e Willi Graf. Il 18 febbraio, subito dopo avere distribuito volantini di propaganda all'università, Hans e Sophie vengono arrestati dalla Gestapo. Sophie, interrogata dall'investigatore Mohr, dapprima nega il coinvolgimento suo e del fratello e sta per essere rilasciata. Ma in un ulteriore interrogatorio la polizia ottiene la confessione di Hans così anche Sophia ammette la propria colpevolezza. Si attribuisce assieme al fratello tutte le azioni del gruppo per proteggere gli altri amici, ma poco dopo viene arrestato anche il coetaneo Christoph Probst, sposato e con tre figli piccoli. Il processo è sommario, Hans e Sophie denunciano i crimini del nazismo e il giudice Freisler li condanna a morte tutti e tre. Il 22 febbraio vengono giustiziati alla ghigliottina. Anche altri componenti del gruppo subirono in seguito la stessa sorte, ma i volantini della Rosa Bianca furono salvati e disseminati dagli aerei alleati su tutta la Germania.

    Pennellata di preghiera

    Ti prego per tutti i popoli affinché in essi non domini l’egoismo, ma che ogni persona agisca seriamente e concretamente per realizzare un cammino di giustizia arricchendosi della pace e della gioia fraterna.

    5
    Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia (Mt 5, 7)

    Sulla mia pelle

    Pare che sia scomparsa dal vocabolario la parola misericordia. Non solo: dal vocabolario delle persone. Ma per Franco non è così. Egli fa il tecnico informatico e due volte al mese, quando esce dal lavoro, si reca a Casa Betlem. Due serate e nottate lontano dalla famiglia e vicino ai senza fissa dimora. Casa Betlem è aperta tutti i giorni dalle 18.30 alle 7 del mattino. Vi sono sette posti letto, la possibilità di farsi una doccia, di cambiare abiti, di mangiare, dormire e la mattina dopo in cerca di un lavoro o di nuovo in strada. Franco, tra questa quattro mura, come volontario ha capito che cosa sia la misericordia. Grazie a quel papà di famiglia, separato da sue moglie e dai due bambini, che una sera a cena lo aiutava a capire che non bisogna portare rancore. Oppure quella mattina, a colazione, quando un giovane mussulmano (a Casa Betlem si accoglie chi ha fame e sete, senza distinzione alcuna) gli raccontava della sua numerosa famiglia, dei suoi fratelli e dei suoi genitori che educavano i loro figli alla tenerezza verso tutti, nessuno escluso.
    Franco ritornava a casa, dalla sua famiglia sempre più riflessivo e cosciente che ogni volta che viveva il suo turno da volontario riceveva veramente tanto. Riceveva in dono il segreto della misericordia di Dio che vuol dire avere la tenerezza nelle parole e nei gesti verso tutti; quella tenerezza che ti fa capire che Dio fa scendere il suo amore su di te con una parola, un gesto, un volto. È la misericordia, questa.

    Fai parlare l’anima

    Questa notte ho fatto un sogno,
    ho sognato che ho camminato sulla sabbia
    accompagnato dal Signore
    e sullo schermo della notte erano proiettati
    tutti i giorni della mia vita.
    Ho guardato indietro e ho visto che
    ad ogni giorno della mia vita,
    apparivano due orme sulla sabbia:
    una mia e una del Signore.
    Così sono andato avanti, finché
    tutti i miei giorni si esaurirono.
    Allora mi fermai guardando indietro,
    notando che in certi punti
    c’era solo un’orma...
    Questi posti coincidevano con i giorni
    più difficili della mia vita;
    i giorni di maggior angustia,
    di maggiore paura e di maggior dolore.
    Ho domandato, allora:
    “Signore, Tu avevi detto che saresti stato con me
    in tutti i giorni della mia vita,
    e io ho accettato di vivere con te,
    perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti
    più difficili?”.
    Ed il Signore rispose:
    “Figlio mio, Io ti amo e ti dissi che sarei stato
    con te e che non ti avrei lasciato solo
    neppure per un attimo:
    i giorni in cui tu hai visto solo un’orma
    sulla sabbia,
    sono stati i giorni in cui ti ho portato in braccio”.
    (Margaret Fishback Powers)

    Chi vede lontano

    “Una Chiesa ricca in misericordia” (P. Raniero Cantalamessa)
    In un suo messaggio per la Quaresima il Papa scriveva: “La Quaresima sia per ogni cristiano una rinnovata esperienza dell’amore di Dio donatoci in Cristo, amore che ogni giorno dobbiamo, a nostra volta, ridonare al prossimo”. Così è della misericordia, la forma che l’amore di Dio prende nei confronti dell’uomo peccatore: dopo averne fatto l’esperienza dobbiamo, a nostra volta, mostrarla con i fratelli. Questo sia a livello di comunità ecclesiale, sia a livello personale.
    Predicando gli esercizi spirituali alla Curia Romana nell’anno giubilare del 2000, il Cardinal Francesco Saverio Van Thuan, alludendo al rito dell’apertura della Porta santa, disse in una meditazione: “Sogno una Chiesa che sia una ‘Porta Santa', aperta, che accoglie tutti, piena di compassione e di comprensione per le pene e le sofferenze dell’umanità, tutta protesa a consolarla”.
    La Chiesa del Dio “ricco di misericordia”, dives in misericordia, non può non essere essa stessa dives in misericordia. Dall’atteggiamento di Cristo verso i peccatori deduciamo alcuni criteri. Egli non banalizza il peccato, ma trova il modo di non alienarsi mai i peccatori, piuttosto di attirarli a sé. Non vede in essi solo quello che sono, ma quello che possono divenire, se raggiunti dalla misericordia divina nel profondo della loro miseria e disperazione. Non aspetta che vengano da lui; spesso è lui che va a cercarli.
    Oggi gli esegeti sono abbastanza d’accordo nell’ammettere che Gesù non aveva un atteggiamento ostile verso la legge mosaica, che osservava lui stesso scrupolosamente. Quello che lo poneva in contrasto con l’élite religiosa del suo tempo era una certa maniera rigida e a volte disumana di costoro di interpretare la legge. “Il sabato, diceva, è per l’uomo, non l’uomo per il sabato” (Mc 2,27), e quello che dice del riposo sabbatico, una delle leggi più sacre in Israele, vale per ogni altra legge.
    Gesù è fermo e rigoroso nei principi, ma sa quando un principio deve cedere il passo a un principio superiore che è quello della misericordia di Dio e la salvezza dell’uomo. Come questi criteri desunti dall’agire di Cristo possano essere applicati concretamente ai problemi nuovi che si pongono nella società, dipende dalla paziente ricerca e in definitiva dal discernimento del magistero. Anche nella vita della Chiesa, come in quella di Gesù, devono risplendere insieme la misericordia delle mani e quella del cuore, le opere di misericordia e “le viscere di misericordia”.

    Domande "diverse"

    • Tenerezza? Non so cosa sia. In casa sono cresciuta con i sensi di colpa, i doveri da assolvere, le attese che tutti gli altri (mondo compreso) avevano su di me. Mi dite che cosa sia per favore…?
    • Ad essere sempre buoni ci si rimette? Ad abbassare sempre il capo è giusto?
    • A te, giovane cristiano, che cerchi di essere misericordioso, mi dici che cosa ti sta insegnando (sempre che lo sai!)?

    Fascia di traverso

    "Sogno una politica intesa come maniera esigente di vivere l'impegno umano e cristiano al servizio degli altri. Una politica sottratta alla lussuria del dominio. Preservata dall'adulterio con i corrotti. Inossidabile alle esposizioni lusingatrici del denaro. Restituita finalmente alla simpatia della gente" (Don Tonino Bello, Vescovo di Molfetta).

    Il grande schermo

    CANTANDO DIETRO I PARAVENTI
    Soggetto e scenegg.: Ermanno Olmi
    Durata: 100’
    Soggetto: In una Cina anni Trenta del secolo scorso, un giovane studente occidentale, a causa di un malinteso, viene condotto in un teatrino-bordello. Varcata la soglia, però, realtà e magia del teatro si confondono: un attore, nelle vesti di un Vecchio Capitano di marina dall’accento spagnoleggiante, si presenta sul palcoscenico, che riproduce la tolda di una giunca cinese, e narra la storia di una celebre donna pirata, Ching, vedova dell’Ammiraglio di una potente flotta piratesca armata da una società di Anonimi Azionisti nella Cina del 1700. Corteggiato dall’Imperatore per debellare la diffusa ladroneria, l’Ammiraglio è stato poi eliminato su richiesta proprio degli Azionisti. Ora la vedova giura vendetta e convince l’equipaggio fedele all’Ammiraglio a dedicarsi ad abbordaggi e saccheggi. Cruente battaglie si profilano all’orizzonte. Quando all’improvviso fruscianti e lievi aquiloni di carta calano dal cielo. La vedova Ching li fa raccogliere, mette in ordine i frammenti e legge frasi di sapienza antica, l’antica fiaba del drago e della farfalla. Ora i pericoli di una guerra sanguinosa sono scongiurati.

    Pennellata di preghiera

    Signore, in quest’epoca di progresso e di sviluppo, dove ognuno pensa solo al proprio tornaconto, dove si pensa solo in termini di ascesa sociale e di guadagno, dove esiste l’“IO” e non il “NOI”; rendici misericordiosi, capaci di accogliere e condividere le sofferenze dei nostri fratelli. Prima dell’ “IO” ci sia l’ “ALTRO” che con il tuo sostegno riusciremo ad abbracciare.

    6
    Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio (Mt 5,8)

    Sulla mia pelle

    Giorgia è una ragazza, una donna oramai, che a sue spese ha capito che la purezza non consiste solo ed esclusivamente nel rimanere ed essere vergini. Perché senza una purezza del cuore, nemmeno quella del corpo potrà esserci. Dopo sette anni di fidanzamento perde la testa per un altro ragazzo. Va nel pallone più pieno, gli ormoni a mille. È un vulcano di novità e gioia ritrovata. Nella storia con il suo fidanzato la parola abitudine aveva messo le radici, si era accasata.
    Arrivò, però, il giorno del confronto schietto e nudo con il suo fidanzato su questa storia parallela. All’inizio lei negò; poi cedette e raccontò tutto. La cosa sorprendete che venne fuori non era il tradimento messo in atto, ma perdita di amore sincero e onesto verso di lui. Un amore che nel tempo era diventato altro. La purezza, Giorgia, l’aveva persa da tempo con il suo fidanzato perché il suo cuore era abitato da un surrogato dell’amore, un accessorio, un sostitutivo. Come è andata a finire? Il perdono da parte del suo fidanzato è stato totale, con una esemplarità grande. I cocci e le ferite che Giorgia aveva causato su se stessa stavano divenendo la sua stessa salvezza. Le sue ferite si sono trasformate in feritoie, per vedere oltre, per vedere altro, per riscoprirsi nuova, vera, pura.

    Fai parlare l’anima

    “Udii una voce”

    Non per me il pulito verso.
    Uno scabro sasso la parola
    nelle mie mani.
    Intanto che gli effetti dissepolti
    marciscono come foglie staccate
    dalla pianta..
    Questi i miei giorni vuoti di pudore,
    i miei canti senza note
    la verità senza amore.
    Parole, inerti macerie,
    brandelli d’esistenze
    disamorate, panorama
    del mio paese
    ove neppure il gesto
    sacrificale più rompe
    la immota somiglianza dei giorni,
    né le vesti sante coprono
    la nudità degli istinti.
    E i poeti non hanno più canti
    Non un messaggio di gioia,
    nessuno una speranza.
    David Maria Turoldo

    Chi vede lontano

    Beati i puri di cuore (Chiara Lubich)

    La Parola vissuta ci rende liberi e puri perché è amore. È l'amore che purifica, con il suo fuoco divino, le nostre intenzioni e tutto il nostro intimo, perché il "cuore" secondo la Bibbia è la sede più profonda dell'intelligenza e della volontà.
    Ma c'è un amore che Gesù ci comanda e che ci permette di vivere questa beatitudine. È l'amore reciproco, di chi è pronto a dare la vita per gli altri, sull'esempio di Gesù. Esso crea una corrente, uno scambio, un'atmosfera la cui nota dominante è proprio la trasparenza, la purezza, per la presenza di Dio che, solo, può creare in noi un cuore puro. È vivendo l'amore scambievole che la Parola agisce con i suoi effetti di purificazione e di santificazione.
    L'individuo isolato è incapace di resistere a lungo alle sollecitazioni del mondo, mentre nell'amore vicendevole trova l'ambiente sano, capace di proteggere la sua purezza e tutta la sua autentica esistenza cristiana.
    Ed ecco il frutto di questa purezza, sempre riconquistata: si può "vedere" Dio, cioè capire la sua azione nella nostra vita e nella storia, sentire la sua voce nel cuore, cogliere la sua presenza là dove è: nei poveri, nell'Eucaristia, nella sua Parola, nella comunione fraterna, nella Chiesa.
    È un pregustare la presenza di Dio che comincia già da questa vita "camminando nella fede e non ancora in visione" fino a quando "vedremo faccia a faccia" eternamente.

    Domande "diverse"

    • Parlare di purezza in una società dell’immagine formato sesso-a-go-go! Voi, ragazzi della parrocchia, mi sapete dire che cosa sia la purezza e come la vivete nella vostra vita?
    • Il datore di lavoro di mio padre, in fabbrica, ha fatto una scelta poco simpatica: in un incidente sul lavoro un giovane operaio si è fratturato una gamba. Il datore di lavoro gli ha chiesto di far figurare che era accaduto a casa sua. Ma la purezza non è soprattutto onestà, trasparenza?

    Fascia di traverso

    "La politica è l'attività religiosa più alta dopo quella dell'unione intima con Dio" (Giorgio La Pira, sindaco di Firenze negli anni ’50).

    Il grande schermo

    IL MIRACOLO
    Soggetto: Giorgia Cecere
    Durata: 92’
    Soggetto: A Taranto Tonio, 12 anni, un giorno viene investito da una macchina. Cinzia, la ragazza al volante, scende, lo vede in terra e scappa spaventata senza prestargli soccorso. In ospedale durante la notte Tonio si risveglia dal coma, cammina, entra in un’altra stanza, vede un uomo il cui elettrocardiogramma lascia poche speranze. Gli si avvicina, lo tocca, il cuore del malato riprende a battere. Nei giorni successivi Tonio dice ai genitori di aver avvertito come una strana luce dentro di sé, difficile da spiegare. Cinzia (che ha cercato di andarlo a visitare in ospedale) é una ragazza dal carattere difficile: lavora in un bar per mantenersi, vive da un ‘amica che però la caccia dopo l’ennesima lite, é costretta a tornare dalla madre, separata dal marito e tornata in città dopo essere stata a sua volta lasciata da uno spasimante. La madre cerca di recuperare il rapporto con la figlia, ma la ragazza non riesce ad ascoltarla. La notizia della ‘guarigione’ ben presto si diffonde, seguita da quella della buona salute riacquistata da parte del nonno malato di un amichetto di Tonio. A questo punto un giornalista locale avanza ai genitori la richiesta di un’intervista da realizzare per RAI2. Pietro, il padre, in un momento di difficoltà economiche, accetta dietro un compenso. Intanto Tonio, dopo aver detto di non riconoscere Cinzia in un gruppo di persone arrestate per l’incidente, la cerca e fa con lei qualche passeggiata sul mare. Cinzia ha lasciato il lavoro, ha rubato dei soldi, é sola e disperata. Quando arriva il giorno dell’intervista, i genitori di Tonio litigano, e tutto viene annullato. Cinzia torna a casa e la mamma le dice che il suo amico è tornato e che lei riparte con lui per il nord. Poco distante il nonno del coetaneo di Tonio ha una ricaduta e muore. Ora, placati finalmente i clamori, Tonio vuole vedere ancora una volta Cinzia. Raggiunge il palazzo, entra nell’appartamento al buio. In un angolo Cinzia, piangente, sta per avvicinarsi al gas. Tonio la guarda e lei si ferma.

    Pennellata di preghiera

    Signore, donaci l’immagine e la presenza dell’uomo celeste, affinché sia purificato il nostro cuore e affinché riceviamo la salvezza dell’uomo assunto, redento, rinnovato e purificato in Cristo (dall’Omelia sulla Pasqua di un antico autore).

    7
    Beati gli operatori di pace,
    perché saranno chiamati figli di Dio (Mt 5, 9)

    Sulla mia pelle

    Davide ha vissuto tre mesi in Burundi. E altri tre li vuole vivere a breve. Ha scelto il Burundi perché il direttore del centro missionario della sua diocesi gli ha detto: “Qui capirai la pace e la guerra”. È stato a contatto con alcuni sacerdoti, seminaristi, famiglie. Ha condiviso il cibo, la stanza, la mensa, la strada, la preghiera, la polvere rossa della terra, la pioggia abbondante. Davide era partito per il Burundi con una idea sua di pace. È tornato con uno stile vita che gli sta permettendo di ripensare sia il concetto di pace, sia tanti stili di vita che dava per scontato. E non lo erano.
    Operare la pace, per Davide, è significato comprendere il suo egoismo, accoglierlo, amarlo e trasformarlo in servizio. La pace che Davide si portava nel cuore era figlia della società moderna; in Burundi ha conosciuto una pace figlia di un popolo.

    Fai parlare l’anima

    Io accarezzo un sogno: che i miei quattro figlioletti possano vivere un giorno in una nazione dove non saranno giudicati per il colore della pelle, ma per la qualità della loro indole.
    Io oggi accarezzo un sogno: che un giorno lo stato dell'Alabama, dove attualmente le labbra del governatore gocciolano parole d'intervento e annullamento, si trasformi in modo da consentire ai bambini neri e alle bambine nere di unire le loro mani a quelle dei bambini e delle bambine bianchi per camminare tutti insieme come fratelli e sorelle.
    Io accarezzo un sogno oggi: che un giorno ogni valle venga innalzata, ogni collina e ogni montagna abbassata, che i luoghi impervi vengano spianati e quelli contorti raddrizzati e la gloria del Signore sia rivelata e possano vederla tutti insieme allo stesso modo.
    Questa è la nostra speranza. Questa è la fede con cui faccio ritorno al Sud. Questa è la fede mediante la quale potremo ritagliarci dalla montagna della disperazione una pietra di speranza. Questa è la fede mediante la quale saremo in grado di trasformare le stridenti dissonanze della nostra nazione in una stupenda sinfonia di fratellanza. Con questa fede saremo capaci di lavorare insieme, pregare insieme, lottare insieme, andare in prigione insieme, difendere la libertà insieme, certi che saremo liberi un giorno.
    (Martin Luther King jr)

    Chi vede lontano

    La pace è la strada (Don Albino Bizzotto)

    Beati i Costruttori di Pace è un'associazione nazionale di volontariato fondata a Padova nel 1985 dal prete diocesano Albino Bizzotto. L'associazione ha come obiettivo la sensibilizzazione della società moderna circa la necessità del disarmo e il rifiuto della guerra.
    Qui il resoconto di un incontro-meditazione con lui.
    “La sintesi totale della vita è la fede che abbiamo nel Signore e l’unico modo per scoprire Dio è attraverso l’umanità di Gesù. E Gesù ha affrontato la storia dalla parte di chi ne portava il peso”.
    Ad un certo punto il don ci chiede cos’è la pace… silenzio tombale, così riprende “San Paolo ci dice che la pace è Gesù Cristo. Ecco, per noi cristiani la pace non deve essere solo l’obbiettivo ma anche il punto di partenza”.
    Tra un passaggio e l’altro il don ci racconta alcune delle sue esperienze vissute: sembra quasi un reduce dalla guerra che racconta la sua meravigliosa vita con nostalgia. A differenza che don Albino è anche oggi completamente dentro la sua vita.
    Ci ripete spesso: “Io vi racconto le mie esperienze, ma voi ascoltatele si, ma trovate il vostro modo di fare pace, e magari di fare meglio”.
    Il don si propone con estrema semplicità e per noi anche con estrema simpatia.
    Inutile dire che in aula durante la testimonianza non vola una mosca.
    Il don ci racconta di Comiso (Sicilia) dove negli anni ottanta si è svolta la prima azione di non violenza in Italia. «Mamma mia, quante botte abbiamo preso!!» Ci dice sorridendo.
    Poi inizia a parlare di Sarajevo ’92 e allora ritorna serio: «A Sarajevo la guerra è iniziata con una manifestazione per la pace.
    Ricordo la nostra marcia, la marcia dei 500. Una delle nostre regole era che chi non se la sentiva di proseguire, si sarebbe fermato e avrebbe aspettato il ritorno degli altri.
    La guerra non erano solo le armi di qualcuno contro qualcun altro. La guerra significava anche 300.000 persone senza luce, acqua e vetri per via delle detonazioni. E stare senza finestre a -20° non è bello.
    La nostra attività come sempre, è stata quella di entrare dentro la guerra per fermarla. Ora tanti hanno paura di prendere posizione contro il sistema armato e sono pochi quelli che credono che le armi si possano eliminare. Non posso scavalcare le cose brutte, devo combatterci.
    Non si può solo pregare per la pace.
    E quando poi c’è la religione di mezzo, trovo che sia proprio brutto: la religione è la parte più profonda dell’identità di una persona.
    […] Oggi in tutte le guerre, c’è sempre una presenza costante di civili, e credo che questo sia un bel segno.
    Credo che sia possibile in tutte le situazioni più violente mettere qualcosa che scombina questa violenza, quindi essere creativi e creatori di pace.
    Gesù ha fatto affidamento sulla non violenza. […]
    Oggi la pace è fare la scelta di ciò che gli altri rifiutano! Dobbiamo farci trovare nella parte più precaria della società. Lì dove la gente non vuole stare!».
    E continua: «È bellissimo se riconosciamo Dio dentro una carne, una storia e questo poi ci permette di fare del mondo una culla e non una discarica.
    Pensiamo a Gesù! Tutte le persone che incontra sono persone che per la società del tempo erano negate a Dio e quindi la pace parte dalla periferia della nostra umanità!
    Sempre di più, la chiave del rapporto con Gesù è l’umanità di Gesù! E quello che facciamo sarà sempre meno di quello che dovremo fare».
    Il don conclude con un esempio emblematico e ci chiede «Chi era Pietro di Bernardone?»… e finalmente qualcuno sussurra “il papà di Francesco!”.
    «Bene. Ecco, Pietro era un commerciante e oggi è la rappresentazione della nostra società se vogliamo. Ma suo figlio, che ha rinunciato a tutto, è ciò che Dio ha scelto. E la pace di Gesù funziona sempre come Francesco. È creativa e può sconvolgere i piani di qualcuno».
    Come se il don si ridestasse dai suoi pensieri, ci guarda, poi si appoggia allo schienale della sedia e con uno sguardo felice ci dice: «Sapete però, è bello avere l’amicizia dei più poveri!».
    Per provocarci realmente don Albino ci avvisa di essere ora attenti ai temi dell’acqua, aria e terra. Temi per cui già ci sono molti conflitti. E ci mette in guardia dal nucleare e ci chiede di informarci a dovere al riguardo. I mezzi di comunicazione di massa non sono "la verità", possono mentire, anzi, essi rispecchiano sempre un punto di vita, quello dei potenti di turno.

    Domande "diverse"

    • La guerra nasce nel cuore, poi sfoga all’esterno. Ho visto tanti miei amici diventare cattivi perché in casa venivano amati male, poco.
    • Un giovane del mio paese si è offerto volontario in Iraq perché si prende molti soldi. Mi chi dice, adesso, che la pace non ha prezzo?

    Fascia di traverso

    “Dovrebbe ormai essere chiaro a tutti che la guerra come strumento di risoluzione delle contese fra gli Stati è stata ripudiata, prima ancora che dalla Carta delle Nazioni Unite, dalla coscienza di gran parte dell'umanità. Il vasto movimento contemporaneo a favore della pace traduce questa convinzione di uomini di ogni continente e di ogni cultura.
    A tutti viene ora chiesto l'impegno di lavorare e pregare affinché le guerre scompaiano dall'orizzonte dell'umanità."
    Ho vissuto la seconda guerra mondiale e sono sopravvissuto alla seconda guerra, per questo ho il dovere di ricordare a tutti i più giovani, a tutti quelli che non hanno avuto questa esperienza, ho il dovere di dire, ”mai più la guerra” (Giovanni Paolo II sulla guerra in Iraq, marzo 2003).

    Il grande schermo

    UOMINI DI DIO
    Soggetto: Agathe Grau
    Durata: 120'
    Soggetto: Algeria, 1996. Otto monaci cistercensi francesi vivono da tempo in un monastero a Tibhirine, tra i monti del Maghreb. Circondati dalla popolazione musulmana, trascorrono una esistenza serena, dividendo la giornata tra la preghiera, il lavoro nei campi, l'aiuto offerto con medicinali e generi di vestiario ai più bisognosi che arrivano anche da luoghi lontani. Tuttavia la conferma di un clima di tensione e di incertezza arriva alla notizia dell'uccisione di un gruppo di operai stranieri. Da quel momento le minacce provenienti da un gruppo integralista si fanno veramente serie. Più volte i monaci si riuniscono per valutare se restare o andare via. La decisione finale é quella di rimanere laddove la loro missione li ha chiamati. Fino al giorno in cui i terroristi non li prendono e li portano via sotto la neve. Due riescono a rimanere al monastero. Gli altri non sono più tornati.

    Pennellata di preghiera

    Signore, ti prego affinché gli operatori di pace abbiano sempre la forza e il coraggio di portare avanti la propria missione, che è anche la missione del tuo unico figlio Gesù, portare la pace tra gli essere della terra.

    8
    Beati quelli che,
    pur non avendo visto, crederanno (Gv 20,29)

    Sulla mia pelle

    Ogni sabato sera, alle 19, nella parrocchia c’è la Messa prefestiva. Ma il suo tono è un po' particolare perché l’omelia del parroco viene vissuta in forma dialogata, partecipata. A partire dal Vangelo e dalle letture ascoltate il sacerdote offre alcuni spunti di riflessione e poi apre alle domande, alla condivisione di alcuni brevi commenti personali, di chiarimenti. Chi vuole ricominciare a credere ha una celebrazione che lo può aiutare. Credere senza vedere è l’abisso della fede. Credere per la testimonianza di altri è il fascino del cristianesimo.
    Uscendo di chiesa, dopo la celebrazione di questa Messa, si portano nel cuore quelle domande che continuano a inquietare cuore e mente. Domande della fede che incrociano interrogativi della vita. Dall’altare alla strada, dalla casa alla chiesa.
    Cinzia e Giulio sono una coppia di giovani sposi che da alcuni anni vivono con fedeltà la Messa delle 19. Questa li sta aiutando a ripensare anche il cammino di coppia, la crescita del piccolo Marco, la voglia di capire come essere testimoni nel posto di lavoro senza essere bigotti.
    Cinzia e Giulio continuano l’omelia anche quando rientrano a casa: essa diventa oggetto di confronto e dialogo mentre si pranza. La fede intreccia la vita, le trame dello Spirito trasudano nell’ordito dell’umanità di questa giovane coppia. E tramite loro in coloro che essi incontrano. A partire dai vicini nel palazzo di casa, dove il rischio di divenire anonimi è sempre in agguato.

    Fai parlare l’anima

    Poesia di Dino Buzzati

    - Dio che non esisti ti prego
    che almeno su questa grande nave
    che mi porta via
    le cabine siano ben areate
    - Ma se non esiste perché lo preghi?
    - Non esiste fintantoché io non ci credo
    finché continuo a vivere come viviamo tutti
    desiderando desiderando
    ma se io lo chiamo…
    - Troppo tardi
    - Per la forza terribile dell’anima mia,
    forse vile, trascurabile in sé
    però anima nella piena portata del termine,
    se io lo chiamo verrà

    Chi vede lontano

    La confusione dialogica (intervista a Massimo Cacciari, di Laura Tussi)
    È evidente che il mondo non è più semplicemente suddivisibile in civiltà, in classi sociali, ma il pianeta è sempre più un insieme confuso o apparentemente confuso di elementi, per cui occorre cercare di rendere questa confusione “dialogica”, perché altrimenti, prima o poi, catastrofizza e scade nel conflitto, così occorre che queste distinzioni di cultura, di linguaggio, di civiltà, di religione diventino elementi di un rapporto dialogico. Per ottenere questi risultati è necessario intendersi, comprendere le rispettive diversità di linguaggi, saper tradurre una lingua in un’altra, saper costruire analogie: il problema si affronta davvero con una vera cultura dialogica, altrimenti si ottiene o la guerra o l’omologazione universale, ed entrambe le soluzioni non sono adeguate.

    Domande "diverse"

    • Quanti dubbi porto nel cuore. Spesso mi soffocano, mi impediscono anche di cercare con gioia e verità. Amici che credete: mi aiutate ad accogliere la mia fatica a credere?
    • Cerco spazi di dialogo, di confronto, di conoscenza. Non di critica o etichettatura! No. Dove li trovo? In parrocchia?

    Fascia di traverso

    Ai laici spettano propriamente, anche se non esclusivamente, gli impegni e le attività temporali. Quando essi, dunque, agiscono quali cittadini del mondo, sia individualmente sia associati, non solo rispetteranno le leggi proprie di ciascuna disciplina, ma si sforzeranno di acquistare una vera perizia in quei campi. Daranno volentieri la loro cooperazione a quanti mirano a identiche finalità. Nel rispetto delle esigenze della fede e ripieni della sua forza, escogitino senza tregua nuove iniziative, ove occorra, e ne assicurino la realizzazione.
    Spetta alla loro coscienza, già convenientemente formata, di inscrivere la legge divina nella vita della città terrena. Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza spirituale.
    Non pensino però che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che, ad ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta, o che proprio a questo li chiami la loro missione; assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del Magistero (97).
    Per lo più sarà la stessa visione cristiana della realtà che li orienterà, in certe circostanze, a una determinata soluzione. Tuttavia, altri fedeli altrettanto sinceramente potranno esprimere un giudizio diverso sulla medesima questione, come succede abbastanza spesso e legittimamente.
    Ché se le soluzioni proposte da un lato o dall'altro, anche oltre le intenzioni delle parti, vengono facilmente da molti collegate con il messaggio evangelico, in tali casi ricordino essi che nessuno ha il diritto di rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l'autorità della Chiesa.
    Invece cerchino sempre di illuminarsi vicendevolmente attraverso un dialogo sincero, mantenendo sempre la mutua carità e avendo cura in primo luogo del bene comune.
    I laici, che hanno responsabilità attive dentro tutta la vita della Chiesa, non solo son tenuti a procurare l'animazione del mondo con lo spirito cristiano, ma sono chiamati anche ad essere testimoni di Cristo in ogni circostanza e anche in mezzo alla comunità umana”.
    (Gaudium et Spes, n. 43).

    Il grande schermo

    BASTA GUARDARE IL CIELO
    Soggetto : tratto dal romanzo "Freak the mighty" di Rodman Philbrick
    Durata : 100'
    Soggetto: A Cincinnati il giovane Kevin Dillon, affetto da una rara sindrome, e sua madre Gwen si trasferiscono nella casa accanto a quella dove Maxwell Kane abita con gli anziani nonni. Max ha 13 anni e l'aspetto di un gigante, é lento a scuola, ha poco coraggio e non riesce ad adattarsi. Max e Kevin sono degli esclusi che, incontrandosi, si costruiscono una nuova vita. Insieme partono alla ricerca della grandezza e del Bene guidati dal nobile spirito di Re Artù e dei suoi Cavalieri della Tavola Rotonda. In un bar difendono una donna picchiata da un uomo, di notte recuperano una borsa rubata ad un'altra donna. Alla mensa della scuola, Kevin si sente male: in ospedale gli viene diagnosticato ancora un anno di vita. Il padre di Max esce dalla prigione in libertà vigilata, va a trovare il figlio e ricomincia a picchiarlo. Max lo accusa di aver ucciso la mamma, lui si infuria e di nuovo viene messo dentro. Arriva Natale e, dopo essere stati allegramente insieme ai vicini per il cenone, Kevin e la madre tornano a casa. Nella notte Kevin ha un altro attacco, e stavolta muore. Colpito nel profondo, Max comincia a pensare, scrive sulle pagine bianche del libro lasciatogli da Kevin che finisce con l'indicazione della tomba di Re Artù non ancora morto.

    Pennellata di preghiera

    Beati coloro che credono senza vedere: è l’abisso della fede. Beati coloro che credono per la testimonianza di altri: è il fascino del cristianesimo.


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

    Main Menu