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    Vicini a Dio, vicini agli uomini



    Paolo Sabatini *

    (NPG 2015-01-41)

    Sapeva osservare, senza giudicare

    Don Giovanni si alzava prestissimo ogni mattina per stare con il Signore. Io non l’avevo mai visto, ma questa cosa mi era stata raccontata e mi colpiva molto. Non parlava mai di sé, non metteva al centro le sue passioni e le cose che aveva fatto. Non faceva domande, ma proposte. Sapeva osservare, senza giudicare, con una vena di positività che permetteva sempre di ripartire. Era già anziano quando io ero adolescente, eppure la sua disponibilità mi edificava. Era disposto persino a dare una mano con lo studio e, in prima liceo un po’ di ore di latino da lui furono fondamentali! Per la confessione o per una chiacchierata era un punto di riferimento ed eravamo abituati ad andare e suonare senza problemi al suo campanello.

    Un esempio di fede

    Don Giovanni aveva intuito la mia vocazione molto prima di me. Non fu mai invadente, ma sempre presente e non solo con la preghiera. Tanti miei compagni si sono allontanati dalla fede in quegli anni, eppure il ricordo di questa figura austera e accogliente è ancora per molti motivo di crescita. Non è stato l’unico incontro che ho avuto con un prete “educatore”, ma ho voluto raccontare in modo diretto di questa figura proprio per l’importanza che anche in questi pochi anni di sacerdozio ha avuto il ricordo di don Giovanni.
    Vicino a Dio. Non è assolutamente scontato che la nostra azione educativa lasci trasparire questo. Le figure che più mi hanno aiutato a crescere e a cambiare negli anni di seminario sono sempre state quelle che più mi facevano avvicinare al Signore non con le parole ma con l’esempio della vita di fede e di preghiera. Ricordo le tante ore che mi ha dedicato padre Daniele, aiutandomi e insegnandomi a pregare, e a lasciarmi abbracciare dal Signore di fronte all’Eucaristia. E se anche di impegni ne aveva tantissimi non ho mai visto fatica nei suoi occhi, ma la gioia di servire il Dio che stava riempiendo il suo cuore anche con i sacrifici che anche io stavo chiedendo.

    Ma è Dio il vero educatore

    Il loro esempio mi ha insegnato che è Dio il vero educatore. Il sacerdote deve chiedersi quale sia il progetto di Dio, quali i passi e il cammino che lui sta chiedendo a chi ha di fronte. Questo richiede tempo, preghiera, ascolto, attenzione, e una buona dose di coraggio per riuscire ad andare oltre le fragilità e le incoerenze, e riconoscere gli alberi dai soli semi. Mi hanno insegnato inoltre che il sacerdote educa quando testimonia la sua vicinanza col Signore. Se non c’è questo potremmo essere dei buoni educatori atei, non ci sarebbero differenze.

    Il coraggio di fermarsi

    Vicino agli uomini. La relazione educativa è dunque una relazione, per la quale occorre che anche il sacerdote sia disponibile a crescere e interrogarsi. In questa relazione bisogna avere il coraggio di sostare, di fermarsi perché per accogliere c’è bisogno di tempo. I preti educatori che ho conosciuto mi hanno insegnato che la disponibilità e il sorriso testimoniano il nostro amore per Dio e per gli uomini. Nei nostri gruppi parrocchiali, negli oratori e in confessionale ci sono tanti giovani che da noi si attendono proprio che ci fermiamo per entrare in relazione con loro, che non li ignoriamo correndo via presi da mille cose.

    Per piacere a Dio

    I preti che più mi hanno aiutato sono stati quelli che inoltre hanno avuto il coraggio di riprendermi e di correggermi, ma di restare comunque nella relazione in modo positivo. Hanno evitato giudizi, ma allo stesso tempo mi hanno messo di fronte la mia necessità di crescita. Non hanno mai chiesto la mia approvazione, e anzi a volte sapevano che sarei andato via lamentandomi proprio perché era difficile ciò che mi era stato detto. Eppure ci sono stati, con coraggio ma anche con dolcezza. E a me giovane prete questo ricorda spesso che non devo piacere agli uomini, ma Dio soltanto. Gli uomini valgono tanto di più delle loro scelte, per cui abbiamo il dovere di valorizzare il bene di ciascuno anche di fronte a ciò che non possiamo condividere.
    E se da una parte è fondamentale proporre sempre un obiettivo alto, dall’altra il grande valore dell’accoglienza, della comprensione e dell’empatia sono stati nei modelli che ho ricevuto un punto fondamentale. Alcune delle cose di cui andavo a parlare da adolescente, sono agli occhi di un adulto delle sciocchezze. Nonostante la contraddizione e la proposta di crescita sapevo di essere stato compreso e che i miei piccoli problemi avevano un peso e un valore.

    E ascoltare gli uomini

    I preti educatori che ho incontrato mi hanno insegnato ad ascoltare calandomi nel mondo di chi parla per evitare inutili giudizi, e per crescere insieme partendo sempre dal positivo. I giovani hanno il diritto di poter contare sulla nostra vicinanza, sulla nostra capacità di ascolto, e anche sulla nostra trasparenza. Una guida cammina con te, di fianco ma anche un po’ avanti, e ti trasmette la sua passione mediante il sorriso, la preghiera, l’esempio e anche l’attesa. In questo momento in cui siamo sempre meno sacerdoti, e il carico di impegni a volte diventa preoccupante, credo che tornare all’essenziale della nostra figura sacerdotale significa proprio avere il coraggio di dedicarci ai giovani con passione, con la presenza e la disponibilità.

    * 34 anni, viceparroco nella diocesi di Ascoli Piceno, responsabile del Servizio Diocesano di Pastorale Giovanile e del Coordinamento Diocesano degli oratori.


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