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    Sotto la luce della Parola



    Nunzio Galantino *

    (NPG 2015-04-48)

    Il cantiere & le stelle. Mi è subito piaciuto il titolo che avete voluto dare a questo vostro convegno, titolo che attinge a un passaggio de Le città invisibili di Italo Calvino.
    L’immagine del cantiere rimanda al lavoro, all’operosità, a un ambiente nel quale non mancano punti di riferimento, direzioni, progettualità. Dice di un percorso possibile e, soprattutto, condiviso, quindi capace di generare uno stile e un metodo che abbiano punti in comune.
    Inutile dire che non c’è alternativa a questo modo di procedere. È davvero finito il tempo – ammesso che ci sia mai stato – in cui muoversi da soli, al di fuori di un orizzonte comune e di una progettualità. Quante volte un simile modo di operare ha portato a una pastorale di navigatori solitari, con le conseguenze che conosciamo bene: basta che se ne vada quel giovane sacerdote o quell’animatore e il gruppo giovanile si squama, rivelando che tante iniziative non poggiavano sulla roccia del Vangelo e dell’esperienza ecclesiale, ma sull’abilità del singolo, sulla sua intraprendenza, sul suo bisogno di costruire attorno a se stesso, derubando così i ragazzi della possibilità di un’appartenenza autentica, libera e solida…
    “Che senso ha il vostro costruire? Qual è il fine d’una città in costruzione? Dov’è il piano che seguite?”. A ragione le domande del testo di Calvino attraversano queste vostre giornate, dedicate al pensiero e alle pratiche della progettazione educativa. In questo momento, sul cantiere è scesa la notte, una notte stellata, che riconduce alla sorgente del progetto, di ogni progetto. Perché – lo sappiamo – “se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori” (Sal 126, 1), se il nostro lavoro, il nostro fare, non fosse sotto la luce della Parola, si rivolverebbe in un battere l’aria…

    In cammino

    “Maria si mise in viaggio verso la montagna…”. Non facciamo fatica a immaginare il cumulo di pensieri che pesano sul cuore di questa giovane. Porta un segreto chiuso nell’intimo, nelle profondità del suo essere; un segreto di vita – l’attesa di un figlio – ma tremendamente difficile da condividere anche con le persone più care. Come e a chi spiegare le parole dell’angelo? Il mistero abita la vita di ciascuno di noi. Ci ricorda che essa non si accontenta del pane delle cose, né basta a se stessa; è tensione, progetto da scoprire e curare; è grembo di un oltre.
    In Maria che raggiunge “in fretta” la cugina Elisabetta siamo stati giustamente abituati a riconoscere una spiritualità che non si risolve in contemplazione narcisistica di se stessi, ma si fa servizio premuroso verso la cugina anziana, a sua volta in attesa di un bambino. È uno sguardo quanto mai attuale, se solo ci fermiamo a pensare a quanti nostri ragazzi vivano ripiegati in analisi autoreferenziali, che non aprono ad alcun cammino: più che profonde, sono esasperanti ed esasperate; più che premessa e condizione di confronto e di incontri autentici, sono monologhi che soffocano la ricerca di Dio e non incrociano nemmeno il volto dell’altro.

    Lasciarsi fare

    All’interno di tale orizzonte credo ci stiano anche altre considerazioni, che nulla tolgono alla grandezza del gesto di “colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore”, ma contribuiscono semmai a farcela sentire ancora più vicina, ancora più nostra.
    Penso alla grande solitudine che ne accompagna i passi e che forse contribuisce a renderli ancora più frettolosi. Maria aveva i suoi progetti e la sua vita: fidarsi di Dio ha significato, innanzitutto, essere disposta a metterli in gioco in modo nuovo. Il suo fidarsi di Dio è risposta alla fiducia che Dio ha posto in lei; il suo “sì” è preceduto dal “sì” di Dio. È il mistero che accompagna ogni vocazione, al sacerdozio, alla vita consacrata come a quella coniugale: chi l’ha sperimentata sa la necessità di poterla condividere con qualcuno, che non giudichi, ma ascolti e accompagni. A maggior ragione Maria ha bisogno di trovarsi con qualcuno che capisca; intuisce che Elisabetta è la persona più indicata. Va quindi da lei, sì per offrirle un aiuto, ma anche per riceverlo: e quant’è bello pensare a questa disponibilità interiore a farselo dare per permettere che un altro, con la sua esperienza e il suo affetto, possa illuminare quanto accade in lei. Ritorna il discorso fatto poco fa: nessuno progredisce da solo, far spazio all’altro significa ricevere una luce nuova e diversa su ciò che siamo, sulle nostre intenzioni e sulle nostre disposizioni. Il cammino stesso, a quel punto, assume un altro ritmo e si trova anche la forza e la modalità per fermarsi (“Rimase con lei circa tre mesi…”).

    Esserci

    In questo cammino e in questa disponibilità a rimanere non stentiamo a ritrovare quella che vorremmo fosse la nostra fotografia.
    Siamo qui come sacerdoti e responsabili diocesani, animati dalla passione di individuare e di suscitare percorsi educativi sul territorio. Amici, il vero educatore è colui che accetta di fare un pezzo di strada insieme ai ragazzi che la vita gli ha affidato; un tratto così lungo da giungere a “restare” in maniera discreta nel loro cuore, nelle loro relazioni, nel loro tempo e in ciò che lo riempie. Quanta forza si libera quando l’adulto matura una simile disponibilità e accetta di far proprie – per quanto possibile – le domande degli altri, che non sempre richiedono risposte immediate: spesso, lo sappiamo per esperienza, sono sufficienti e addirittura decisivi il calore e l’affetto di una presenza, che richiama, sprona e sostiene.
    La tentazione più frequente che ammorba l’educatore sta nella pretesa che l’altro assuma prontamente le indicazioni e faccia subito secondo quanto desiderato dall’adulto. Come Maria, siamo piuttosto chiamati a portarci dentro i nostri timori, le nostre preoccupazioni e anche le nostre paure, senza che ci impediscano dal far strada insieme. Allora, viene il momento in cui ciò che turbava diventa motivo di gioia. Perché quando lasciamo che Dio abbia a che fare con i nostri progetti e a nostra volta ci rendiamo disponibili ai suoi, fiorisce la riconoscenza.

    Riconoscenza

    “Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo”.
    Maria ci insegna la disponibilità al primo passo, al saluto che è attenzione premurosa; e questo suo modo di agire non tarda a suscitare un effetto straordinario. L’esultanza di Elisabetta le consente, a sua volta, di accogliere Maria, rispettandone e valorizzandone il mistero: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!”.
    A questo punto, la fatica, il turbamento e la solitudine di Maria possono sciogliersi nello stupore e nella gioia di chi si sente compresa, riconosciuta e amata. Ne sgorga una lettura nuova della propria esistenza, incastonata nell’arco di una storia più grande, che è storia di salvezza: nato in uno spazio di affetti, il Magnificat canta la presenza operante di Dio nelle pieghe dell’umanità, la sua forza e la sua scelta di campo, a favore di tutti gli umili, i piccoli, gli affamati.
    E proprio la relazione, l’incontro – che non a caso è il desiderio più avvertito negli uomini e nelle donne di questo nostro tempo – svela l’identità profonda delle persone (“A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?”) e “restituisce”, se così possiamo dire, l’investimento fatto: Maria si era fidata della Parola, si era raccolta in un “si compia in me” in cui aveva racchiuso la propria vita: ora questo abbandono fiducioso, che ha generato in lei un modo di essere e di vivere, le viene riconosciuto.

    In conclusione

    Chiediamo, attraverso l’intercessione di Maria, la grazia di far nostra questa attitudine: sappiamo la responsabilità di cui siamo portatori, ne avvertiamo la grandezza e la ricchezza, ma – come tutti – siamo esposti allo scoraggiamento, alla tentazione di fermarci e di voltarci indietro, alla ricerca di prove che ci rassicurino della fecondità di quanto abbiamo seminato. Chiediamo la fiducia e insieme la pazienza, che permettono di orientare i passi secondo verità, a servizio degli altri, in una condivisione umile e ricca di senso. Per ciascuno e per tutti.

    * Nunzio Galantino, Vescovo di Cassano all’Jonio, Segretario generale della CEI

    XVI Convegno Nazionale di pastorale giovanile
    Il cantiere & le stelle. Pensiero e pratiche della progettazione educativa
    Cattedrale di Trani, 10 febbraio 2015


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