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    Media e animazione pastorale /1. Anzitutto, perché?


     

    Media e animazione pastorale /1

    Intervista a Fabio Pasqualetti

    (NPG 2015-02-72)

    Anzitutto, perché?

    Nella nuova programmazione 2015 di NPG intendiamo offrire al lettore materiali (e prospettive) provenienti dai media classici e moderni (cinema, musica, letteratura, riviste, siti internet, teatri-musical...) che diano spunti di analisi sul mondo giovanile e strumentazioni di riflessione e azione per il lavoro dell'animatore con i ragazzi e i giovani.
    Abbiamo già fatto qualcosa del genere nel passato, soprattutto con Note's graffiti (anche se più vicini ai sussidi classici). E ci sono varie esperienze riuscite nel campo della pastorale "scritta", come il Cuaderno Joven della rivista "Misión Joven", con schede (film, canzoni, immagini, brani da romanzi o saggi, citazioni, inchieste, articoli di giornale, ecc.) su varie tematiche culturali o esistenziali.
    Ma... è proprio questo che si aspettano i lettori? E' proprio questo che attendono gli operatori pastorali? Non ne siamo del tutto sicuri, perché materiali vari si possono trovare a iosa su internet o dalle proprie letture, studi, interessi. E in ogni caso questi possono risultare utili se si sa cosa farne, come utilizzarli, in quale prospettiva e con quale finalità. E se è scontata quella educativa... non sempre si sa come coniugarla con l'uso di materiali che vengono dalla comunicazione dei media (le cui logiche non sempre sono combacianti con quelle che l'educatore – affascinato dalla ricchezza ed evocatività dei linguaggi - si propone).
    La nostra intervista a Fabio Pasqualetti, docente di scienze della comunicazione sociale all'Università Salesiana di Roma, e nostro collaboratore di antica data sui temi della musica giovanile, verte sul senso e sulle condizioni dell'utilizzo di questi materiali per la pastorale giovanile. E' dunque una specie di "propedeutica", di introduzione alla "filosofia e pratica" della comunicazione che intenda presentarsi come educativa, dunque a reale servizio dei giovani.


    Domanda. Incominciamo con una domanda che potrà sembrarti banale… Come vedi la possibilità e l’efficacia dell’utilizzo dei media nella pastorale giovanile, cioè in situazione educativa?
    Quali sono le condizioni per un loro corretto utilizzo, soprattutto negli incontri di gruppo o di comunità su specifici temi, per "far prendere coscienza", "aprire a un confronto", "imparare a valutare" e a "prendere decisioni motivate"?

    Risposta. La domanda non è banale a patto di ricordarci che i “media” principali che entrano in gioco nell’azione della pastorale giovanile sono le persone. Ogni persona è multimediale e multisensoriale e l’incontro interpersonale è certamente il più ricco e il più complesso da gestire, soprattutto se non sappiamo sfruttare tutte le capacità comunicative umane.

    Le domane cruciali preliminari

    Se da una parte è comprensibile la preoccupazione pressante – da parte di animatori pastorali, catechisti, educatori e genitori – di “come” parlare di Dio ai giovani d’oggi, dall’altra non si deve dimenticare che il vero problema è il “perché” parlare loro di Dio. A che cosa serve Dio? Perché un giovane dovrebbe credere in Dio? Cosa cambia nella sua vita per il fatto che egli crede? Il mondo si spiega e si vive senza Dio. Il grido di Nietzsche “Dio è morto” è quanto mai attuale oggi in una società ipertecnologica che promette un futuro nel quale ogni problema sarà risolto. L’inutilità di Dio è un problema che riguarda tutta la comunità cristiana, in particolare quella occidentale, e non sfugge alla problematica nemmeno la parte istituzionale della Chiesa composta da vescovi, preti e religiosi/e.
    Le scelte di molti cristiani a livello economico, tecnologico, politico, sociale e culturale non si distinguono per nulla da quelle del modello economico consumista e liberista che sta imperando e omogeneizzando qualsiasi realtà e ambiente. Assorbita da queste logiche, la comunità cristiana (non tutta, ci sono gruppi e comunità che cercano di vivere coerentemente con i loro valori) ha stemperato e vaporizzato la forza rivoluzionaria dell’annuncio del Vangelo che mette al centro il prossimo, il bene comune e la scelta privilegiata di Dio per i più poveri. Individualismo, perbenismo e comodità hanno eroso dall’interno il senso del vivere in comune e la stessa comunità cristiana si è ridotta ad una comunità sacramentale.
    Da questa situazione esperienziale di impotenza davanti alla complessità del mondo, nasce nei cristiani la percezione di inefficienza dell’annuncio. Credo però che la mancanza di presa di coscienza delle cause, che ci hanno condotto a questa situazione, abbia spinto molti a ritenere che il problema consista in un deficit di abilità e di tecniche comunicative, alla mancanza di saper creare “novità” piuttosto che al mettere in discussione l’intero sistema mondo. Con una discreta dose di umorismo Fabrice Hadjadj afferma che oggi: «Molti pensano che il punto cruciale della «nuova evangelizzazione» (quello che la rende davvero «nuova») consista nell'adottare le «novità», nel migliorare i metodi di comunicazione, nel padroneggiare meglio le tecnologie più recenti. Il Vangelo in sé non funziona abbastanza: ciò che serve è il Vangelo più il multimediale, la Faccia di Dio più Facebook, lo Spirito Santo più Twitter... La Buona Notizia era in attesa delle News. I nostri giorni corrono su queste rotaie. Moltiplichiamo i mezzi, ma siccome non ne conosciamo più la finalità, questi mezzi diventano dei fini» (Fabrice Hadjadj, Come parlare di Dio oggi? Anti-manuale di evangelizzazione, Padova, Edizioni Messaggero, 2012, 18-19).
    Dopo questa riflessione, che meriterebbe un maggiore approfondimento e un’analisi più articolata dei vari problemi a cui ho accennato, riconosco che per chi si trova sul fronte educativo dell’animazione pastorale, dove è sfidato ogni giorno nel rapporto comunicativo con i giovani, c’è una reale necessità di saper stabilire relazioni significative, di saper gestire incontri costruttivi e capisco che saper usare i media e i loro prodotti può essere anche di aiuto. Propongo quindi alcune riflessioni che spero possano essere utili per chi lavora sul campo partendo da un principio molto semplice che dice: la scelta di un medium o di un suo prodotto, è determinata dal “perché” si fa una cosa (progetto educativo); dal per “chi” (pubblico a cui ci si rivolge); che cosa si vuole ottenere (scopi e obiettivi); sostenibilità del progetto (risorse ed economia).

    Il progetto come presupposto

    Supponiamo di avere come progetto educativo quello di educare alla collaborazione un gruppo di adolescenti tra i 15 e 17 anni. Lo scopo è di far comprendere valori come: l’accoglienza dell’altro, il bene comune, il servizio agli altri, ecc. proprio attraverso la pratica e l’esperienza del collaborare insieme a far qualcosa. Un obiettivo come questo esclude a priori un approccio esclusivamente cognitivo, perché non raggiungerebbe lo scopo. Il tempo a disposizione per incontrare i giovani a lavorare con loro è di due-tre ore settimanali. Non escludiamo a priori l’utilizzo di film, canzoni, fiction o quant’altro per aiutare a riflettere sul tema della collaborazione, ma riducendo l’incontro ad un semplice visionare e discutere, farebbe mancare l’elemento discriminante che è l’esercizio pratico del collaborare insieme. Più utile allo scopo potrebbe essere la scelta, per esempio, di realizzare un teatro, un gruppo di danza, un musical o attività orientate al volontariato come il doposcuola, l’assistenza agli ammalati o la cura dell’ambiente. Questi tipi attività sono più consone all’obiettivo, perché mettono in atto una serie di situazioni e strategie di lavoro che necessariamente obbligano i giovani non solo all’incontro, al confronto, al saper prendere decisioni, alla discussione, alla valutazione, ma soprattutto a mettersi in gioco con le proprie doti personali, i propri talenti, la propria personalità. Se poi il progetto non è finalizzato a se stesso, ma collocato all’interno di un progetto più ampio, quello della comunità cristiana parrocchiale, i giovani non sono più un’entità separata si sentono parte di un cammino che coinvolge tutti i componenti della comunità cristiana.
    Un animatore attento sa che ogni incontro è un’occasione per motivare, verificare, far riflettere, e stimolare il gruppo dei giovani a crescere. Ho accennato anche alla sostenibilità delle risorse personali ed economiche. Riflettere su questi aspetti con i giovani è importante perché, per esempio, nell’ipotesi che si sia scelto di realizzare uno spettacolo, questo avrà dei costi di realizzazione. L’immaginario dei giovani, purtroppo, fa riferimento a standard di spettacoli che vedono alla televisione o a cui hanno partecipato, dove gli investimenti in personale, tecnologia hanno costi enormi e con i quali nessuna realtà parrocchiale, oratoriana, o territoriale può competere. La sfida educativa consisterà proprio nel produrre qualcosa di valore che dipenda più dalla creatività delle persone piuttosto che da strumenti tecnologici che si possono usare, più dalla ricchezza espressiva e comunicativa dei suoi attori che da costose strutture sceniche. Il fattore economico può essere una occasione di riflessione e crescita personale nel sapere orientare valori e scelte secondo principi cristiani di sobrietà.
    Infine, il percorso educativo dei giovani ha bisogno di momenti di verifica e di momenti di preghiera (non bisogna avere timore di proporli, ma bisogna preparali bene) mirati a consolidare il legame fraterno e le ragioni del vivere e lavorare insieme. Una scelta di questo tipo ha bisogno però di un animatore o più animatori che sappiano pianificare, sostenere, catalizzare e accompagnare i giovani con professionalità e determinazione. Personalmente preferisco questo tipo di approccio educativo perché obbliga animatori e giovani a mettersi in gioco e buona parte del processo educativo avviene tramite reciproca testimonianza.
    La genialità dell’oratorio salesiano è sempre consistita nel fatto che è stato concepito come laboratorio educativo dove gli agenti primari sono proprio le persone e dove le attività erano mirate a sviluppare pratiche di vita finalizzate alla costruzione del buon cristiano e onesto cittadino. Se devo competere con un ambiente culturale che ci spinge ogni giorno a pensare a noi stessi e non agli altri, non mi basta dire che è importante collaborare con gli altri, devo essere in grado di fare sperimentare la bontà dell’azione che mi cambia dal di dentro. Non posso non prendere atto di come il clima culturale sia cambiato e di come i giovani oggi non girino attorno ad ambienti oratoriani e parrocchiali, ma ritengo che la forza educativa non può essere relegata ad agenti esterni (prodotti mediatici), agisce ed è efficace quanto si stabiliscono relazioni significative.
    Certamente fra le diverse attività che si possono fare in parrocchia o in un oratorio ci sono anche quelle più mirate alla formazione come per esempio gli incontri di catechismo o quelli in preparazione ai sacramenti. In questo caso l’utilizzo di un video, una canzone, un brano letterario, uno spezzone di un film, ecc. può servire come agente catalizzatore per suscitare una reazione, una riflessione o una discussione. Tuttavia bisogna ricordare che stupire, provocare, far riflettere, impressionare e quant’altro un prodotto mediatico può fare, non necessariamente conduce ad un cambio di abitudini nelle persone. Basterebbe ricordare che sui pacchetti di sigarette è esplicitamente scritto che il “fumo fa male” ma questo non impedisce al fumatore di comprare le sigarette e tanto meno lo spinge a smettere di fumare. La forza dell’azione mediatica infatti non sta nel singolo prodotto, ma in un clima culturale che giorno dopo giorno colonizza i nostri immaginari e ci educa attraverso pratiche di consumo.

    Un prodotto mediatico "congruente"

    Tornando però al nostro problema, e, quindi, al nostro percorso formativo, anche in questo caso è necessario che il prodotto mediatico scelto per l’incontro sia inserito in un contesto di lavoro pianificato, organizzato e finalizzato a qualcosa che si possa verificare. Il prodotto mediatico non è una polverina magica, il suo effetto dipende da tutti gli altri ingredienti che entrano in gioco nell’incontro.
    Supponiamo che il tema che si vuole affrontare sia il problema della povertà. Prima di tutto bisognerà definire quale tipo di povertà si vuole affrontare: quella che si sceglie nella vita consacrata? Quella di circa due miliardi di persone che vivono nel sud del mondo con poco più di un dollaro al giorno? Quella presente nelle nostre città? Quella provocata dalla crisi economia? Più si è capaci di circoscrivere il soggetto, più sarà facile stabilire obiettivi e cercare materiale in merito. Per esempio, nel caso di povertà come scelta di vita, ci possono essere film come quello della Cavani su Francesco d’Assisi che ha dei momenti di riflessione molto interessanti e provocatori. Per quanto riguarda invece la povertà nel sud del mondo, ci sono alcuni documentari come Tempo di scelte delle edizioni EMI che ci aiutano a capire le cause della povertà. Per la povertà che aumenta nelle nostre città, potrebbe essere interessante incaricare i giovani di fare delle interviste a persone che vivono in strada e anche a coloro che ogni giorno lavorano a contatto con loro, come i volontari dei centri Caritas. Infine, sulla crisi economica che genera nuove forme di povertà c’è solo l’imbarazzo della scelta tra documentari, talk show e servizi televisivi. Ma cosa succede dopo che è stato proposto il video o un film? Dopo che sono state raccolte le interviste? Come si procede? Si apre il dibattito e ognuno dice quello che vuole? Ci sono delle domande guida? Prima della visione del video è stato dato del materiale per preparare la discussione o si agisce sull’onda dell’emotività? È evidente che se non ci sono degli obiettivi chiari non si riesce a strutturare l’incontro e anche il miglior prodotto mediatico non serve.
    Ipotizziamo che il tema scelto dal gruppo sia stato quello della povertà nel sud del mondo. La scelta è stata fatta probabilmente perché l’educatore e i giovani sono sensibili alle problematiche sociali, in particolare al tema dei più poveri. L’obiettivo del percorso di formazione però non può essere solo la conoscenza dello stato della questione, ma sarà anche quello di suscitare nei giovani un ideale di volontariato missionario che, si spera, possa portare qualcuno a lasciarsi coinvolgere nella pratica del servizio ai più poveri.
    Ci dovrà essere una pianificazione degli incontri e ogni incontro dovrà avere un obiettivo preciso. Per esempio nel primo incontro ci si prefigge di avere un quadro generale del problema, nel secondo di capirne le cause, nel terzo di approfondire un caso specifico, nel quarto incontrare un testimone, nel quinto fare un’esperienza diretta, e così via. Avendo l’obiettivo, pianifico come raggiungerlo. Per il primo, per esempio, si possono far entrare in gioco le tecnologie della rete e incaricare i giovani di fare un ricerca con reperimento di documenti, sarà importante dare delle indicazioni e direzioni su come fare la ricerca. Per il secondo si può invitare un esperto sul tema o avere delle letture significative calibrate sulla loro età. Utilizzare uno spezzone di film per aprire la discussione. Invitare dei missionari religiosi e laici, gente che si gioca la vita in zone di povertà assoluta. Ci sono enti come il VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo) che mettono a disposizione la loro esperienza di formazione e accompagnamento per esperienze di tipo missionario. Si possono leggere documenti come quello del discorso che Papa Francesco ha pronunciato con i movimenti popolari che ha una forza profetica incredibile (Discorso del Santo Padre Francesco ai partecipanti all'incontro mondiale dei movimenti popolari, 28 ottobre 2014 reperibile nel sito w2.vatican.va/)
    I materiali non mancano, la vera sfida, però, è passare da un interesse generato dalla buona volontà o più semplicemente dalla curiosità, ad un coinvolgimento personale ed esistenziale tale da produrre un cambio nello stile di vita e negli atteggiamenti di questi giovani. Non si tratta di fare un corso di sociologia della povertà, e per questo non si deve dimenticare il ruolo centrale della Parola di Dio. Deve essere una parola incarnata, testimoniata, capace di far detonare un impegno personale.
    In questo processo educativo i media e i loro prodotti mediatici non vanno pensati come fini, ma come mezzi. Nel rapporto educativo cristiano, non bastano tecniche di comunicazione, l’educatore deve essere un testimone che ha un responsabilità morale nei confronti di chi gli è affidato. C’è un principio della comunicazione che non può essere alienato e che consiste nel fatto che non possiamo comunicare ad altri ciò che non abbiamo e che comunque la verità del messaggio dipende dall’elaborazione di chi lo riceve. L’educatore che tenta di supplire al suo vuoto esistenziale usando contenuti di prodotti mediatici rischia il fallimento proprio nel rapporto educativo, se invece è una persona ricca di esperienza, carica di passione, che crede veramente in quello che fa, allora tutto “fa brodo” anche i prodotti mediatici.


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