Carlotta Testa *
(NPG 2015-04-79)
È passata qualche settimana dal XVI convegno Nazionale di Pastorale Giovanile di Brindisi: abbiamo lasciato decantare i pensieri, gli incontri e i numerosi spunti portati a casa.
“Il cantiere e le stelle, pensiero e pratiche sulla progettazione educativa”. Il titolo ci ha garantito da subito giorni ricchi di input che non si sono fatti attendere.
Che cosa significa, oggi, progettare l’azione educativa? Perché farlo? Sono domande spontanee cui, sempre di più, siamo chiamati a rispondere in una quotidianità ricca di impegni, di affanni, di difficoltà: così tanti e tante che talvolta diveniamo solo ottimi esecutori. Ma fermarsi e riprendere in mano il bandolo della nostra matassa è essenziale per ritornare a casa e riformulare il nostro impegno educativo al servizio dei giovani delle nostre diocesi.
Il professor Raffaele Mantegazza ci ha detto: “Noi adulti non scegliamo di essere modello, lo siamo; così come siamo chiamati a consegnare il mondo ai giovani, a trasmettere loro una visione del mondo”.
In poche parole ecco sintetizzato il centro del nostro servizio, ecco riassunto il motivo che sempre di più ci invita a un’azione educativa capillare e strutturata. Le parole del professore sono un invito netto, quasi spaventoso. Le responsabilità di cui siamo investiti nel nostro servizio sono un abito che mai dovremmo togliere.
È forse questo il pensiero più interessante che mi lascia il convegno.
Siamo chiamati a fare molte cose: organizzare, strutturare, progettare, eppure nessuna di queste vale se dimentichiamo le solide fondamenta cui appoggiare tutto l’edificio.
“Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori”.
Non abbiamo molti modelli cui ispirarci se non il Suo; la nostra pastorale non avrà mai vita se non sarà fondata su questo sguardo che sempre di più deve diventare nostro.
La situazione in cui ci troviamo oggi chiede a me, a noi laici, di metterci seriamente in gioco, di farlo con criterio e metodo. Eppure proprio in un momento come questo dove tutto sembra complicato e lento.. non possiamo più desistere dal riconoscere le fondamenta del nostro Servizio.
Solo questo può essere il motore che muove, che tiene accesi e perseveranti. Non possiamo che curare ogni mattone di questo edificio tanto ampio quanto complesso, chiamato Chiesa.
Credo che essere Chiesa significhi comprendere (per un buon inizio) che siamo comunità: anche in un convegno con persone da ogni parte d’Italia, volti sconosciuti e apparentemente distanti, l’atmosfera è stata questa. Le difficoltà ci accomunano, i desideri e i sogni ci mettono voglia di condividere, i progetti ci legano e infine, non per ultima, la nostra appartenenza ci rende fratelli.
Essere Chiesa oggi significa costruire per il domani senza tralasciare alcun aspetto: ecco la piccola eredità di questo convegno; significa tenere a mente perché ci troviamo a spendere risorse e impegno nella formazione, nella progettazione, nella pianificazione. È per ogni giovane che incontreremo! Significa garantire, a questi e a noi, un quid che non è qualcosa in più, ma è IL più che ci caratterizza.
Siamo chiamati a “funzionare” come un’azienda grandissima... che esporta in ogni luogo, che commercia con l’esterno, che ricerca nuove strategie, che è impegnata in molteplici settori ma che funziona solo se il marchio di produzione rimane vivo e presente.
Anche la Chiesa può organizzare e produrre, ma è solo il frutto dell’impegno in un servizio di gratuità e amore, che non abbiamo imparato ma ereditato insieme a tutte le ricchezze di questa Creazione chiamata mondo.
* 28 anni, di Alessandria, dal 2009 nell’ équipe PG della Diocesi e dal 2013 nella commissione regionale. Laureata in Biotecnologie, insegna scienze nelle scuole private/professionali superiori.
Ha conseguito la laurea triennale e si sta addentrando in quella magistrale di Scienze religiose.
Da qualche anno accosta dunque scienza e fede insegnando (o perlomeno provandoci!) anche religione ai più piccoli.