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    Settembre, andiamo!


    Orizzonte giovani /14

    Domenico Cravero

    (NPG 2014-06-4)


    Si ricomincia! Settembre è il mese della partenza, della ripresa, della fiducia.
    Ogni avvio presuppone una programmazione: il lavoro dei campi estivi, l’approfondimento dei responsabili, il rilancio della pastorale. Si vuole ritornare ai fondamenti di un’evangelizzazione convinta e motivata, capace di reagire all’incertezza e di rimediare alla stanchezza. Il disorientamento, lo scoraggiamento e la fatica della pastorale giovanile sono determinati soprattutto dall’avanzare della secolarizzazione. In pochi decenni si è passati da una società in cui la fede in Dio era incontestata, a una cultura in cui essa è considerata, se va bene, una scelta tra le altre, uno tra i tanti modi possibili di affrontare la vita e spesso non il più ovvio né il più facile. In certi ambienti frequentati dai ragazzi, come la scuola, lo sport e il divertimento, ci vuole coraggio a conservare e professare la fede. L’incredulità è diventata l’opzione prevalente in un numero sempre crescente di ambienti. I giovani vedono che senza fede si vive lo stesso. Credere in Dio nel 2014 non è quindi la stessa cosa di un secolo fa. In passato la presenza di Dio appariva come incontestabile, naturale. Era necessaria all’esistenza stessa della società. La vita della gente era intrecciata ai riti e agli atti della devozione.
    Nel momento in cui non esiste più un’iniziazione sociologica alla fede, la proposta religiosa richiede una pastorale e una catechesi della sorpresa e della meraviglia.
    Credere o non credere non sono semplici teorie alternative ma generi diversi di esperienza vissuta. La fede è presa in considerazione se stabilisce una differenza: una vita più piena, più ricca, più profonda, più degna, più bella. S’impone un criterio estetico. L’adesione di fede è preparata da momenti di realizzazione e di gioia, in cui il giovane si sente raggiunto da un flusso emozionale di pienezza. La pastorale è efficace se comporta esperienze concrete che irrompono inaspettate e sconvolgono il modo consueto di abitare il mondo, facendo coincidere le aspirazioni più elevate dei giovani con le loro energie vitali. I luoghi dove si annuncia e s’incontra la fede (la “bella storia” del vangelo) non possono essere “luoghi neutri”, ma spazi che orientiamo spiritualmente, che toccano in profondità, che stupiscono e danno da pensare (e da vivere). Negligenza, noia, consuetudine vanno creativamente contrastate, perché la nostalgia della pienezza abbia modo di farsi avvertire e la differenza delle esperienze vissute possa essere chiaramente percepita.
    Che cosa rende una vita davvero degna di essere vissuta?
    I cristiani affrontano la domanda interrogando il vangelo. Scoprono così che gran parte delle azioni compiute da Cristo hanno l’obiettivo di rendere migliore la vita delle persone incontrate (in particolare gli ammalati, i sofferenti, gli emarginate, i maltrattati, o semplicemente la gente stanca e disorientata). L’invito a passare per una porta stretta e a prendere la croce non nega il valore del “ben-essere”, è piuttosto un avvertimento a evitare la delusione della vita facile. È una sollecitazione a fare di Dio il centro di tutto, come chi vende tutto perché ha trovato il tesoro o si è invaghito di una perla d’incalcolabile valore.
    L’epoca della secolarizzazione è una fase storica dell’evoluzione sociale in cui il benessere è concepito in senso totalmente materiale, oscurando i fini che lo trascendono. La domanda di senso e la trascendenza del mistero, tuttavia, non possono essere taciute. Anche in un mondo disincantato e in una società secolarizzata si continua a sperimentare la pienezza come un dono divino.
    È sufficiente entrare in rapporto profondo con la verità di se stessi. Lo Spirito, infatti, ha guidato la chiesa di oggi a comprendere che non c’è nulla di cristiano che non sia anche autenticamente umano, e nulla di veramente umano che non sia cristiano: “Chi segue Cristo, uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo” (GS 41). Chi si umanizza, si avvicina al tempo stesso alla possibilità di incontrare il dono della fede. L’evangelizzazione è quindi l’annuncio e la realizzazione della pienezza dell’umano, poiché “Tutto è stato fatto per mezzo di lui e in vista di lui.” (Col. 1,16). E fin dall’inizio Dio vide che l’opera compiuta dalle sue mani “era molto buona” (Gen. 1,4. 31). Il Vangelo è già quindi contenuto nelle forme immediate della vita (piena), il buono è implicato nella quotidianità. Tuttavia è anche nascosto, contraddetto. Morte, peccato e imperfezione colpiscono irreparabilmente la bontà originaria. Il dono della Grazia, offerta da Cristo, è indispensabile perché redime e salva.
    La pastorale è l’annuncio operativo di questa speranza.
    I tre verbi del Vaticano II: “Assumere, purificare, elevare” (GS 4, 9, 11,34) delineano un metodo preciso per l’evangelizzazione e la pastorale giovanile, in condizioni di secolarizzazione. Non separano dal mondo, non lo condannano, ma motivano a mettersi in gioco, a fianco di ogni giovane. “Assumere” è il verbo del discernimento dei segni dei tempi. “Purificare” invita all’ammissione della vulnerabilità e all’umile confessione del peccato. “Elevare” indica la missione della Chiesa, che guarda di là da se stessa e si mette al servizio di tutti i giovani, contribuendo a migliorarne la condizione.
    Il primo servizio da rendere alle giovani generazioni consiste nell’accogliere e valorizzare la domanda di vita che la giovinezza porta naturalmente con sé, le sue enormi potenzialità, la creatività legata alla giovane età.
    La catechesi della sorpresa e della meraviglia propone le esperienze di pienezza e cerca le parole performative che danno significato alla crescita adolescenziale nell’attuale stagione, caratterizzata dalle passioni tristi, dalla caduta della speranza e dal sorpasso, ormai realizzato, dell’esperienza virtuale su quella reale.
    Come non si dà nell’orizzonte cristiano un criterio di verità separato dalla fede rivelata, così non si dà neppure una verità della fede dissociata dalla concreta esperienza delle persone. L’oratorio, che ne è convinto, accetta di trasformarsi, di uscire da sé, di aprirsi ai diversi mondi giovanili, di avviare percorsi di umanizzazione, rinnovando pratiche anche consolidate ma divenute inefficaci. Offre nel pluralismo delle proposte culturali di oggi l’eccellenza di uno stile di vita, affascinante almeno al pari della sovrabbondanza della vitalità giovanile, capace delle sfide più imprevedibili e sempre pronta a rigenerarsi.


    T e r z a
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