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    Gioia Quattrini

    (Newsletter NPG novembre 2014)


    NERO
    Decine di zainetti colorati corrono da una parte all'altra, lungo le scale, entrano ed escono dalle stanze. A volte si fermano, fisso lo sguardo su una scritta, una qualunque: CORAGGIO MAMMA, oppure: LIBERTÀ, oppure la denuncia di un traditore. Fisso lo sguardo, la bocca un po' aperta, davanti la camicia insanguinata o la divisa stracciata di un martire. Li ospita il carcere-museo di Via Tasso, dove durante la Seconda Guerra Mondiale i tedeschi torturarono e uccisero oltre duemila antifascisti. E tutti loro, vocianti e ridenti, sono i ragazzi giusti al posto giusto. Perché loro, proprio loro, ben nutriti e chiassosi, erano il sogno. Il sogno degli uomini che in quelle celle trovarono la forza di tacere, di conservare la loro dignità, di non rivelare nascondigli, obiettivi, nomi, difendendo così la possibilità di liberare il proprio paese, la possibilità che a questo paese restasse un po' di orgoglio.
    Loro erano il sogno. Il futuro meraviglioso e colorato che sarebbe nato da quel baratro nero in cui il mondo era precipitato. Loro che avrebbero studiato tutti i libri e letto tutti i giornali, liberi di dissentire e di cercare ovunque la propria strada. Liberi anche di negare e offendere il sogno che li aveva generati. La loro visione tenne ancorati alla realtà uomini ridotti a larve, che facilmente avrebbero potuto lasciarsi sedurre dal buco nero della disperazione e dell'annientamento. Al male oscuro e cosmico della tortura e dell'assassinio, rispondono da sempre i figli giovani della verità.

    GRIGIO
    Emanuela sorride: “Così parleremo del grigio?”. “Non sarà facile”- mi dice e continua a sorridere. “Il grigio è una nebbia viscida che ti si appiccica addosso e toglie il respiro. Ti avvolge, imprigionando il tuo sguardo e impedendoti di vedere oltre. Accade così tutte le volte che alzi la testa per guardare lontano, al tuo futuro. Non incerto come sarebbe naturale, ma impossibile da mettere a fuoco e per questo spaventoso ed estraneo. Senti che la tua vita ti spetta da qualche parte, ma non riesci a vedere dove, e il senso di assoluta inadeguatezza ti opprime. E allora? Allora, un bel giorno qualcuno ti sventola davanti un rimedio magico per trovare un po' di coraggio: polvere bianca da abbacinare e pastiglie come cristalli. Le guardi sul palmo della tua mano, così inoffensive, così innocenti..e la polvere... un po' farina, un po' zucchero, un po' il talco soffice della tua infanzia. E allora mandi giù, in gola o nelle vene, a cercare una vita finalmente tanto intensa da poter essere mangiata. All'inizio è così: un'esplosione, di colori e suoni, tutti all'ennesima potenza. Una percezione tale come se ogni poro della tua pelle fosse spalancato sul mondo. Ma non è vero. Niente di tutto questo è vero. Ad attenderti, alla fine di ogni viaggio, c'è la nebbia di sempre. Sempre più viscida. Sempre più densa. Come uscirne? Non sono ancora certa che si possa fare, ma lo spero con tutte le mie forze. Ho cercato nella nebbia gli occhi azzurri di mia sorella, il sorriso di mio padre, le carezze di mia madre. Mi sono aggrappata e ho stretto forte. E lentamente sento che ne uscirò".

    GIALLO
    Alessio vuole chiacchierare e si vede. Un bimbo pieno di energia, un'energia che non sa dove indirizzare. Abbandona subito il videogioco fiammante al quale sembrava incollato. “Come vorrei la scuola? Divertente” – mi dice, senza pensarci un attimo. “Invece è soltanto faticosa”. Fa strane smorfie come se cercasse di fare chiarezza. Mi racconta di lezioni su argomenti “importanti”, così li chiama, di test di verifica, di lezioni di chitarra e tornei di calcio. Mi racconta delle sue vacanze in montagna e delle lezioni di sci... Possiede informazioni che io alla sua età neanche sognavo ed abilità che ancora non possiedom eppure a guardarlo sembra un bimbo solo, solo in mezzo a un flusso continuo di sollecitazioni. Mi distraggo a pensare alla mia generazione: lo sport si praticava per strada tirando palle contro il muro, a scuola si scrivevano migliaia di pensierini sulla mamma e il papà. Che banalità. In compenso ricordo la nonna che mi insegnava a comprendere la vita delle formiche con amore e garbo mentre papà armeggiava con i motori dicendo che avrebbe potuto essermi utile anche se ero una “femmina” e mamma si dedicava alla mia educazione musicale con i vecchi dischi di musica classica del nonno. Mi ricordo le giornate piene di gioco, a costruire mondi ogni volta diversi e a scoprire con curiosità i segreti che mi circondavano. “Mio nonno è il mio eroe”- mi dice Alessio come se seguisse il filo dei miei pensieri. “Mi spiega tantissime cose divertenti e mi insegna a farle come fa lui. Cose da grandi, eh!”. Già cose da grandi, non come sciare o sapere tutto sugli ultimi acquisti del calciomercato della tua squadra. Cose da grandi, non come suonare la chitarra al conservatorio. Cose da grandi, come studiare il mondo complesso e incredibile di un formicaio.

    BLU
    Luca arriva defilato con il suo inseparabile motorino. “Scusami se non potrò trattenermi a lungo. Ho giusto mezz'ora da passare con te poi devo scappare. Ho un appuntamento”. Gli occhi si chiudono furbetti e io divertita domando: “È carina?”. Arrossisce. “Bellissima.... e poi fa una torta di mele: unica!”. Resto interdetta. “Si chiama Anna e ha 83 anni”. Ci sediamo al tavolino di un bar e Luca mi racconta la sua avventura straordinaria. “La mia fortuna – dice – è stata entrare in contatto con un'associazione che durante i mesi estivi assiste gli anziani soli in città: non soltanto compagnia ma il pagamento delle bollette, la spesa, le code dal medico, rintracciare una farmacia aperta, trovare un idraulico... insomma qualunque tipo di incombenza pratica che, con la città fuori uso e col gran caldo, rischia di diventare per loro un'impresa impossibile. Non basta sognare un mondo migliore. Bisogna agire. Così io e il mio motorino siamo diventati come un cavaliere e il suo destriero. Qualche amico ha cominciato a prendermi in giro dicendo che l'estate è fatta per divertirsi, ma io mi diverto davvero. Cerchiamo di capirci: non è che soltanto perché sei giovane, ogni giorno hai chissà quali cose da fare. A volte le giornate trascorrono senza un perché, piene solo di caldo. Non ho dovuto rinunciare a nulla. Ho avuto il tempo di fare le mie vacanze e sono riuscito ad andare al mare più spesso di quanto ho fatto negli anni passati. Una volta ho portato Antonio con me: 86 anni e un passato da uomo di mare. Non potete immaginare che passeggiata e quanti racconti. Così la volta dopo ho portato anche Anna e arrivati sulla spiaggia ha tirato fuori qualche fetta della sua torta squisita. Ragazzi credetemi: un paradiso!”.

    VERDE
    Con Rocco ci vediamo in un parco, in una delle grandi ville della città, immerse nel verde. Parliamo passeggiando. “Adoro camminare. Camminare e camminare nella natura. Sono andato camminando in tanta parte del mondo e penso che non smetterò mai. È una sensazione incredibile: ti muovi all'interno di uno scenario naturale con delicatezza e lentamente, ti insinui leggero senza invadere. Silenzi. Profumi. Scopri il vero linguaggio del mondo, quello che il chiasso di questa civiltà ha coperto del tutto. E così, in questa dimensione, che ha tempo e spazi solo suoi, anche il tuo corpo trova nuove potenzialità. Respiri pieni e una serenità invadente, che non finisce mai. La mia è una forma di ribellione. Ribellione al correre continuo, senza criterio, al chi si ferma è perduto, a chi ti spinge se rallenti un po', alla confusione rumorosa, all'esigenza di districarsi nella vita quotidiana in queste città che fagocitano ogni istante del tuo tempo senza lasciarti un solo momento… per restare immobile e comprendere.
    Certo mi hanno insegnato che lavorare è indispensabile per vivere, quindi si deve lavorare anche se l'attività che svolgi non ti piace. Nell'ultimo viaggio che ho fatto, lungo i sentieri dell'Irlanda, ho riflettuto a lungo sulla possibilità di intraprendere un cammino alternativo, un modello diverso di esistere, di esistere in questo mondo. Nel mondo di oggi, sarebbe una scelta radicale...”.
    Rocco sospira un paio di volte. Insegue con lo sguardo non so cosa. “Credo che proprio che proverò”.

    ROSSO
    Entro nell'ufficio di Enrico e Chiara: una confusione colorata, musica e leccornie e abiti ovunque. Si interessano di commercio equo e solidale: me ne parlano con un entusiasmo tale da contagiarmi. Gli impongo un momento di tregua tra telefoni che squillano e fax che lavorano.
    "Eravamo i figli arrabbiati di operai sfruttati senza né garanzie né pietà. Studiavamo e con la consapevolezza dell'ingiustizia aumentava il risentimento. Eravamo preparati e determinati a cambiare il mondo, sentivamo di avere una forza dentro che nessuno avrebbe potuto fermare, ma la rabbia ci stava portando verso la strada sbagliata. Volevamo cambiare il mondo con le nostre mani anche accettando di armarle. Poi un incontro fortunato all'università. Un professore che ha capito l'infezione nascosta sotto lo studio forsennato e l'impegno politico, e un pomeriggio di aprile, senza fare domande, ci ha insegnato che il mondo migliore che volevamo nascesse non aveva bisogno di violenza. Ci ha insegnato che chi spara e fugge non vuole costruire nulla ma solo dare sfogo alla sua ira. Che il sangue rende la terra sterile e non feconda. Ci ha insegnato che la rabbia nei confronti delle ingiustizie è un motore straordinario se imbrigliato e usato come carburante per la volontà. Da quel momento non c'è stato per noi un momento di sosta: le ribellioni non violente richiedono studi e lunghi tempi di progetto ma provocano esplosioni inimmaginabili!
    Diceva Gandhi: “Non c'è strada che porti alla pace che non sia la pace, l'intelligenza e la verità”.

    MARRONE
    Laura è esile e gentile, con una fibra di acciaio. “Ciascuno di noi ha l'obbligo di realizzare le proprie speranze”. Continuo a guardarla in silenzio. “Sono giovane, è vero, ma sto crescendo e ne sono felicissima. Non ho paura di crescere, di non essere più così giovane, di cominciare a diventare adulta. Non perderò nulla di tutte le cose belle che possiedo, piuttosto acquisterò tutte le bellezze dell'età adulta. Conserverò energia, passione, leggerezza e l'entusiasmo che mi travolge ora, ma saprò amministrarli con l'esperienza e la ragionevolezza e la riflessione che acquisterò con il tempo. Un cocktail magico dalle infinite potenzialità.
    Guarderò sempre le cose con stupore, non dimenticherò mai la meraviglia e esplorerò la vita con garbo e rispetto, ma sarò ferma sui miei obiettivi e determinata a trasformare in realtà i miei sogni. Non smetterò mai di sognare. I sogni sono le ali delle nostre azioni. Non tradirò mai il sogno intenso di creare un mondo migliore, ma non rifuggirò dalle mie responsabilità. Quando si cresce deve essere così: sarò io a sbagliare, sarò io a non sbagliare. Comunque vada, sarò io. Imparerò ad amministrare le energie, e quando il sogno sembrerà troppo per l'ampiezza e la forza delle mie ali, allora cercherò di portare a casa tutto il possibile. Tradire non è scendere a patti con un sogno ma farlo bruciare nell'utopia. Io voglio costruire qui ed ora. Sarò un'adulta serena che non ha dimenticato la bambina che è in lei, ma neppure vuole tirarsela dietro per le trecce”.
    Tace. L'adulta che è in me la guarda e stupisce. La gioventù!

    VIOLA
    Eleonora è seduta in giardino. Dondola lentamente sulla sedia di sua madre. Sembra attenderla ma sa che non verrà. Sua madre è morta. Ieri. Questa mattina il funerale poi la sepoltura. Ed ora? Vorrebbe prendere a pugni il dolore. Ingaggiare una lotta corpo a corpo con lui fino a strapparlo via da sé. Vorrebbe liberarsi di lui e della paura di non essere capace a vivere tutte le meraviglie della sua vita appena cominciata senza sua madre. Tutto senza di lei. Un'assenza infinita. Non era giusto. Da due giorni taceva. Non perché volesse tacere ma perché le sembrava che i pensieri si rincorressero nella sua testa senza potersi esprimere. Non gli amici, non i compagni di classe, neanche la sua migliore amica erano riusciti nell'impresa di strapparle una parola. Le mancava l'alfabeto del dolore.
    Un movimento nel giardino: suo padre si era seduto accanto a lei e l'abbracciava. Con dolcezza le parlò di un dolore che non avrebbe avuto senso combattere ma che andava accettato e disarmato. Del quale era necessario parlare perché non ristagnasse nel cuore fino a sfiancarlo. Parlare e parlare. Le raccontò di guerre che non potevano essere combattute. Di sconfitte che non potendo essere evitate, andavano affrontate alla meglio, con coraggio. Senza mai allontanare gli occhi da tutto quello che nella vita era straordinario e sorprendente. Come prendersi cura di quel giardino, così bello, che sua madre adorava. Prendersene cura e fallo crescere rigoglioso. Come il ricordo. Per sempre.

    BIANCO
    Africa. Deserto. Un villaggio. Capanne. Un pozzo e una scuola in costruzione. A costruirle un formicaio di giovani, di religione e paesi diversi, idee politiche, gusti musicali, obiettivi e progetti diversi. Una moltitudine di magliette colorate corrono da una parte all'altra del cantiere, senza sosta. La sera, quando il caldo allenta e la malinconia si insinua, mille discorsi che portano lontano, ciascuno con una propria traiettoria. La meraviglia della diversità che trova unione profonda nel desiderio di rimediare a un'ingiustizia insopportabile. E tutti i colori esplodono in una bianca luce abbacinante, in cui le potenzialità infinite di ciascuno trovano la soluzione migliore per le cose, riappacificandosi e di nuovo contrastando per trovare sempre la combinazione perfetta.
    Nel villaggio, in un minuscolo rifugio, fatto di fango e erba, Lucy si nasconde e nasconde i suoi piccoli tesori: mozziconi di matita, poche pagine di quaderno, una piccola gomma da cancellare. Lucy disegna tutto quello che le capita davanti e se le domandi cosa farà da grande risponde così: disegnare. Semplicemente. Non so neanche che idea possa avere del mondo fuori dal suo villaggio, come immagini che la vita possa essere oltre il suo orizzonte, tuttavia ovunque sia e qualunque cosa nasconda il suo futuro: lei disegnerà. Il suo rifugio è lo spazio del suo resistere, resistere allo spazio-tempo di una realtà fatta in modo che un bimbo del terzo mondo non possa avere troppe chances. Così Lucy, con pazienza, fa breccia in questa realtà, ne allenta le assi e insinua il suo rifugio dove è chiaro e senza ombra di dubbio che lei, proprio lei, da grande disegnerà.


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