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    Vita senza Dio


    Segni dei tempi e anno della fede /1

    Ti prego, perdonami se non ho più la fede in Te! 

    Luigi Guglielmoni – Fausto Negri

    (NPG 2013-01-33)


    Vasco Rossi, noto con l’appellativo de «Il Blasco», è il cantautore italiano più conosciuto, ascoltato, seguito, amato. L’unico che ha riempito, con i suoi concerti, undici volte lo stadio di San Siro e nove volte il Delle Alpi di Torino. Nessuno ha mai fatto meglio di lui.
    Il suo profilo ufficiale presente su Facebook raccoglie tre milioni di fans iscritti. Ogni sua vicenda (come i recenti ricoveri in ospedale e il suo matrimonio civile) hanno fatto immediatamente il giro della rete e suscitato migliaia di commenti sulle riviste e sui siti di gossip.
    Eppure nelle sue canzoni usa un linguaggio semplice, di poche parole e di concetti elementari, quasi banali; a volte, i termini usati sono gli stessi, ripetuti all’infinito per tutta una canzone (come nel caso di «Ho bisogno di te» e di «Toffee»).
    Chi è dunque Vasco Rossi proveniente da Zocca, uno sperduto paesino di montagna in provincia di Modena? Un’icona, un rivoluzionario, un poeta metropolitano o, molto più semplicemente, un cattivo educatore… un maestro del nulla?
    Una cosa è certa; in lui molti si riconoscono. E di questo ci occuperemo. Essendo impossibile esaminare la vasta produzione del rocker, ci concentreremo su alcuni «concetti» che, in vario modo, ritornano molte volte nelle sue canzoni, spesso mescolandosi tra loro: libertà, vita, senso, emozioni…

    Libertà

    Dopo essersi presentato nel 1982 con Vado al massimo, Vasco Rossi tornò a Sanremo l’anno successivo con Vita spericolata. Si piazzò al penultimo posto, ma questa canzone divenne presto l’inno di un’intera generazione. Vasco è stato lo specchio e il cantore di una «generazione di sconvolti, senza più santi né eroi», come afferma in Siamo solo noi (1984). In questo canto Vasco ritraeva se stesso e, nello stesso tempo, i tanti come lui: si era già, allora, in emergenza educativa, causa le conseguenze del ’68 che con lo slogans «Vietato vietare» aveva di fatto tolto le regole, eliminato l’autorevolezza dei padri e lasciato i giovani senza guide e maestri. Pochi anni dopo, nell’89, Vasco è già in crisi e nel disco che incide afferma: «Liberi, liberi siamo noi, liberi da che cosa, chissà da che? ‘Quella voglia’, la voglia di vivere che c’era allora chissà dov’è». Già allora Vasco, facendo un esame della sua vita, affermava molto sinceramente: «Soddisfatto di me in fondo in fondo non sono mai stato» (Liberi, liberi). In una recente intervista ha dichiarato: «Io sono sempre stato un emarginato; pure adesso, anche se sono un emarginato di lusso… Non sono diverso dagli altri. Sono un privilegiato, certo, ma soffro anch’io».
    Alla soglia dei 60 anni, reduce da seri problemi di salute e da un lungo ricovero in clinica, il Komandante ha dapprima affermato: «Ho vissuto tutte le esperienze possibili che mi sono capitate a tiro o che mi venivano in mente, eppure eccomi qui». Di fronte alle critiche seguite a questa sua dichiarazione, ha poi subito rettificato: «Io vengo da un altro mondo; sono di montagna e ho una salute di ferro. Non consiglierei mai a nessuno di ripetere quello che ho fatto io». È quanto recita nella canzone Un gran bel film: «È una fortuna lo so, che sono ancora vivo!... Eh… già, io sono ancora qua».
    Fatto sta che egli, sotto questo aspetto, è stato una cattiva guida per tanti; «vittima e carnefice» di quella falsa idea di libertà che consisterebbe nel fare ciò che uno desidera, senza limiti, senza regole, e senza sapere nemmeno cosa desiderare.

    Vita

    La conseguenza di quanto sopra è «una vita maleducata che se ne frega di tutto… sì». Secondo Vasco, tanti vorrebbero indottrinare su tutto mentre, in realtà, qui in terra non arrivano gli angeli a indicare la strada buona; qui «siamo soli», «Ognuno col suo viaggio, ognuno diverso, ognuno in fondo con i fatti suoi». Quindi, si può scegliere anche di sbagliare: «Qui è logico cambiare mille volte idea, ed è facile sentirti da buttare via. Qui la notte è buia e ci sei soltanto tu; qui non arrivano gli ordini a insegnarti la strada buona» (Gli angeli).
    Vivere una vita spericolata significa dunque – secondo Vasco – vivere intensamente, in prima persona, godendosi l’effetto che fa: «Prenditi la vita che vuoi. Sceglitela, certo che puoi» (Brava Giulia). È meglio rischiare che avere rimorsi o rimpianti. Certo, vivendo intensamente si paga un prezzo, il prezzo di farsi male: «Che quando arrivano i conti sai, ognuno paga comunque i suoi…» (Vivere o niente). Ma gli errori – per Vasco – non sono difetti. Il difetto più grande è quello di essere bugiardi. Nelle sue canzoni il rocker emiliano racconta sinceramente se stesso e la propria esperienza. La sincerità è il migliore insegnamento. Ciò che lui ha capito, però, non è la verità, perché la verità – a suo avviso – non esiste; in nessun campo, tanto meno nella vita.
    Vasco parla dunque di una libertà per la libertà: «Tra demonio e santità è lo stesso, basta che ci sia posto» (Siamo solo noi). È quindi, evidentemente, una falsa libertà. La conclusione, infatti, è desolante: «Proprio non bastano le mie scuse, ormai mi annoiano. Io sono qui e vivo come pare a me, oh yeee. Il fatto più strano e illogico è che nonostante che lo so continuo a farmi fregare da me» (Vivere non è facile).

    Emozioni

    Quella del Rocker di Zocca è una visione di un’esistenza che non ha in se stessa un senso, cioè un significato e una direzione: «Voglio trovare un senso a questa vita, anche se questa vita un senso non ce l’ha. Voglio trovare un senso a questa storia, anche se questa storia un senso non ce l’ha. Voglio trovare un senso a questa voglia, anche se questa voglia un senso non ce l’ha» (Un senso).
    L’unico modo per sentirsi vivo consiste, allora, nel provare forti emozioni, passando di esperienza in esperienza «perché la vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia» (Sally). Ancora: «Oh splendida giornata quante sensazioni o quali emozioni vuoi; poi alla fine ti travolgerà. Macché importa se è finita, e cosa importa se ho la gola bruciata o no; cosa importa se è durata; quello che conta è che sia stata una splendida giornata stravissuta, straviziata, stralunata» (Una splendida giornata).

    Senso

    Il più recente successo di Vasco si intitola: «Manifesto futurista della nuova umanità». Un titolo altisonante… forse profetico. Di certo, un grande successo! Basta cliccare su youtube, ove si scopre che il video ha avuto oltre 6 milioni di contatti (sic!). La canzone è la sintesi del Vasco-pensiero. Essa inizia con un’affermazione di per sé sconcertante: «La cosa più semplice, ancora più facile, sarebbe quella di non essere mai nato». Però il cantautore modenese aggiunge che «la vita arriva impetuosa, ed è un miracolo che ogni giorno si rinnova».
    Subito di seguito, il cantautore chiede perdono a Dio perché non riesce a credere in Qualcosa o Qualcuno di più grande: «Ti prego perdonami se non ho più la fede in te» (lo dice per tre volte). La conseguenza di questa non-fede è chiara: «Mi sveglio spesso sai pieno di pensieri. Non sono più sereno più sereno com’ero ieri. La vita semplice che mi garantivi adesso è mia però è lastricata di problemi… Ti faccio presente che ho quasi finito la pazienza che ho con me». Della serie: sono quasi sul punto di farla finita.
    A questo punto, le conclusioni sono due. La prima: «Sarà difficile non fare degli errori senza l’aiuto di potenze Superiori»: senza un riferimento alto, ognuno decide in proprio cosa è bene e cosa è male. La seconda conclusione, riguarda l’equilibrio fragile, sempre da ricercare, con le proprie emozioni, le sole che alla fin fine rimangono: «Ho fatto un patto sai con le mie emozioni. Le lascio vivere e loro non mi fanno fuori».
    Nel video ufficiale della canzone – visibile su youtube – l’immagine principale è quella di un treno che viaggia su un selciato di pietre lasciandosi alle spalle una croce di luce; poi passa attraverso una campagna nebbiosa e arriva in una città fatta di grattacieli. Inframmezzate a queste sequenze vi sono continue immagini di stantuffi del treno che emanano vapore e di termostati con lancette che oscillano ossessivamente; il filmato si conclude con immagini di soldatesse nere che si moltiplicano all’infinito e che nel fucile hanno un fiore. Sono tutti simboli del grande potere delle emozioni.

    Provocazioni per chi vuole educare ad una vita buona

    In una recente intervista Vasco Rossi ha dichiarato: «Lo sapete perché i giovani seguono me? Perché io canto quello che loro canterebbero se non lo cantassi io».
    Se tanti giovani si ritrovano e si identificano con quanto Vasco vive in prima persona ed esprime con sincerità (a tal punto che uno dei suoi appellativi è «il komandante»), allora si aprono tanti interrogativi ad un educatore che vuol vivere ad occhi aperti e che desidera educare alla vita buona del Vangelo. A partire da due punti decisivi dell’avventura educativa: la libertà e i valori. Questi due fattori, fondamentali per il processo educativo, hanno assunto oggi una forte problematicità, non possono assolutamente essere dati per scontati. I ragazzi di oggi, infatti, identificano la libertà con «la libertà di scelta», spesso senza riferimento a ciò che è bene e a ciò che è male. È come se dicessero: sono libero perché scelgo, non importa cosa scelgo. È, questo, esattamente il pensiero di Vasco: la libertà viene ridotta «allo scegliere per scegliere». Fare esperienza, per tanti giovani di oggi, significa sperimentare cioè passare da un esperimento all’altro.
    Si tratta di affrontare, nel rapporto educativo, le dimensioni del desiderio e la profondità delle emozioni. Mondi che forse abbiamo dimenticato come adulti e come educatori cristiani, proponendo spesso solo una morale calata dall’alto e non un Dio che in Gesù si è fatto «maestro del desiderio». La grandezza a cui egli chiama ogni persona non è altro che la grandezza di Dio, la bellezza del dono di sé, la grandezza dell’amore attraverso il quale la nostra esistenza diventa un dono.
    È qui in gioco non tanto la trasmissione di qualche nozione o di qualche sapere, ma anzitutto la capacità di trasmettere un senso globale all’esistenza stessa. Educare significa comunicare un significato per l’esistenza e dare una direzione alla vita stessa. Questo si ottiene non mettendosi in cattedra, ma soprattutto instaurando buone relazioni e facendo vivere pratiche virtuose. Senso della vita, relazioni buone e pratiche virtuose sono i tre cammini, intrecciati tra loro, capaci ancora di affascinare i giovani. Forse noi adulti abbiamo perso questo stile di vita, cioè la capacità di mostrare l’esperienza del fare giusto, del fare bene, dello scegliere secondo il bene, perché l’educazione è far fare l’esperienza dei valori vivendoli in prima persona.

    La «questione seria»

    Un’ultima annotazione. Traspare in Vasco un grande desiderio di vita buona e serena, e una grande inquietudine per non essere in grado di avere una fede certa. Questo è ciò che dà speranza all’oggi, poiché ci fa dire che «la sete di infinito è presente nell’uomo in modo inestirpabile… L’uomo è capace di Dio, poiché il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell’uomo» (Benedetto XVI a Erfurt, 23/09/2011).
    Già Saint-Exupéry affermava a suo tempo: «C’è un solo problema, uno solo in tutto il mondo. Regalare agli uomini un significato spirituale, inquietudini spirituali. Far piovere su di loro qualcosa che assomigli a un canto gregoriano. Non si può vivere solo di frigoriferi, di bilanci, di parole incrociate» (oggi diremmo: «Non si può vivere solo di telefonini). La fede è dunque «la questione seria» di questo nostro tempo, basilare per la sopravvivenza e il futuro dell’esistenza umana, sia personale che collettiva, perché da essa, in definitiva, dipende la questione stessa dell’uomo.
    È quanto ha ben percepito Benedetto XVI, indicendo l’Anno della Fede. Nella Lettera di indizione, «Porta fidei», egli afferma: «In questo tempo terremo fisso lo sguardo su Gesù Cristo, ‘colui che dà origine alla fede e la porta a compimento’ (Eb 12,2): in lui trova compimento ogni travaglio e anelito del cuore umano. La gioia dell’amore, la risposta al dramma della sofferenza e del dolore, la forza del perdono davanti all’offesa ricevuta e la vittoria della vita dinanzi al vuoto della morte, tutto trova compimento nel mistero della sua Incarnazione, del suo farsi uomo, del condividere con noi la debolezza umana per trasformarla con la potenza della sua Risurrezione» (n. 13).

    L’Anno della Fede sia dunque il benvenuto!


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