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    Una prigione chiamata S.M.



    Lettere dal futuro interiore

    Mariella Mentasti

    (NPG 2013-05-55)


    Una volta vivevo sempre come in una fase preparatoria,
    avevo la sensazione che ogni cosa che facevo
    non fosse ancora quella «vera», ma una preparazione a qualcosa di
    diverso, di grande, di vero, appunto.
    Ora questo sentimento è cessato.
    Io vivo, vivo pienamente e la vita vale la pena viverla ora,
    oggi, in questo momento. (…)
    Prometto di vivere questa vita sino in fondo, di andare avanti …
    E alla fine di ogni giornata sento il bisogno di dire: la vita è davvero bella!
    (Etty Hillesum, Diario 1941-1943)

    Cara SM, [1]
    quest’anno si può dire che sia il nostro ventennale. Conviviamo da due decenni ma ancor oggi non mi sono affatto abituato a te. Hai invaso la mia vita e, lasciami dire, hai inglobato con una voracità incredibile pezzi interi della mia gioventù. Mi hai ridotto come quelle statue antiche disseppellite dopo migliaia d’anni di oblio: rosicchiate dall’umidità, fragilissime, inquietanti. Non era certo questo il futuro che mi aspettavo.
    Stavo ancora studiando quando sei entrata nella mia vita: il tuo è stato un ingresso subdolo, strisciante. Da anni mi osservavi, mi avvicinavi, mi mettevi alla prova. Senza dare nell’occhio studiasti con determinazione tutte le mie debolezze, le difficoltà di ragazzo timido e insicuro. Poi, il tuo irrompere violento mi tolse qualsiasi capacità di reazione, mi strappò via speranze, attese, sogni.
    Mi stavo lasciando alle spalle l’università; di lì a pochi giorni una laurea in giurisprudenza sarebbe stata solo il primo gradino per una carriera di togato: il primo di una lunga serie, ne ero perfettamente consapevole, ma la mia determinazione era granitica. Sarei diventato magistrato nella mia terra, terra del sud che a mala pena riusciva ancora a dare un significato alla parola «scegliere». Volevo che la mia gente potesse decidere liberamente la sua strada, che si appropriasse di quel «NO» che le era negato. Era costretta a SÌ iniqui, umilianti, complici. Avrei dato e, forse, anche rischiato la mia vita per seguire quei modelli d’uomini che si immolarono per far nascere tra la loro gente una nuova coscienza civile.
    E invece neppure io ho scelto, cara SM, sei stata tu a scegliere me e mi hai imposto le tue regole e i tuoi vincoli togliendomi le forze. Già il giorno della laurea, in quel mio incedere goffo e incerto, in quello sguardo che non riuscivo a tenere alto, in quel sospetto che traspariva dagli occhi di mia madre come in una confessione negata, eri padrona di me, mi stavi costruendo nel silenzio del tradimento una prigione. Hai condannato me all’ergastolo e te a una vita clandestina nel mio spazio vitale. Le gambe spezzate in un futuro in frantumi. Poi, lentamente ma inarrestabilmente, ho perso i contorni e mi sono confuso in te. Non più Antonio Russo, detto Totò, ma «soggetto affetto da Sclerosi Multipla, malattia incurabile di probabile origine autoimmunitaria che ha un inevitabile decorso invalidante, anche se con differenze individuali». E come potevo più riconoscermi? Quel ragazzo promettente diplomato e laureato col massimo dei voti, timido ma ambizioso, diligente, preciso e attento, quel ragazzo che aveva un sogno e che credeva nella forza delle idee e degli ideali per cambiare il mondo, che voleva dire NO alla coercizione, al sopruso, alle vendette assassine, ai bavagli, alle minacce, che avrebbe sollevato il mondo per togliere la paura dallo sguardo dei bambini, l’angoscia dal cuore delle donne, l’omertà dalla bocca degli uomini, eccolo lì, piegato sulle ginocchia a dire SÌ a una dittatura del corpo. La condanna di un innocente, il silenzio di un Dio a lungo invocato. Ti sei sostituita a tutto ciò che di più caro avevo o avrei potuto avere: i miei interessi, gli amici, le vacanze, una donna da amare con la quale unirmi per generare futuro. Mi hai preso in giro, S.M., mi hai fatto credere che, in fondo, se solo avessi voluto, avrei avuto una vita quasi normale. Tutto sommato ero fortunato: una splendida famiglia che mi accompagnava con amore, delicatezza e caparbietà nel lungo e deprimente pellegrinaggio tra i guru della medicina, un titolo di studio che avrei comunque potuto arricchire percorrendo la via dell’avvocatura, un benessere economico che mi permetteva tutto ciò senza prosciugare irrimediabilmente i risparmi dei miei genitori. Ma tu sei subdola, S.M., tu sapevi che sbarrare le porte al futuro di un giovane corpo avrebbe portato un altro male, il male di vivere, la tristezza dell’anima, la morte interiore. Tutto di me cadeva a pezzi, l’efferata invasione delle mie viscere non aveva solo imprigionato il corpo, rendendolo ubbidiente ai tuoi capricci, ma anche il pensiero, i sentimenti, la visione del mondo.
    Avevi stretto alleanze con Paura, Sfiducia, Disperazione, tre bestie spietate dalla presa mortale. La Paura è sabbia mobile: ti risucchia sempre di più fino a che vivi costantemente nella paura di avere paura e non hai più pace. La Sfiducia pietrifica e immobilizza. È specchio che non riflette, luce spenta, sale insipido; è annullamento di sé, sospetto, pregiudizio. La Disperazione è precipizio, caduta nel vuoto, esplosione del presente; è cecità, annullamento, rifiuto. Credevo in Dio e nell’uomo in quanto sua immagine; volevo portare il mio contributo al Suo sogno di libertà, volevo collaborare al Suo regno di giustizia. Volevo dare respiro alla mia terra, volevo che il mio popolo alzasse gli occhi e guardasse oltre i confini della sopravvivenza. Ero il più convinto tra i miei amici, il più sensibile alla silente richiesta d’aiuto di tanti, il più abile nell’ascolto sussurrato dei loro desideri. Ora anche l’amicizia ha indossato il pesante mantello della pietà che, come fitta coltre di nebbia, disperde i miei sogni come cenere di un futuro senza luce. Come mi vuoi ridurre, S.M., quanto ancora vuoi strappare di me?

    Caro Totò,
    ricordo quando, a tredici anni, rapito da una tristezza senza origini, ti inginocchiasti esausto nella chiesa di San Nicola, quasi emulando il dipinto del Santo. Un messale aperto attirò immediatamente l’attenzione dei tuoi occhi curiosi e avidi di parole. L’orecchio dell’anima si lasciò rapire dalla musica bisbigliata deI salmo 72: «Le montagne portino pace al popolo e le colline giustizia/ Ai miseri del suo popolo renderà giustizia/ salverà i figli dei poveri / e abbatterà l’oppressore. /Il suo regno durerà quanto il sole/ quanto la luna, per tutti i secoli.» Ecco il tuo progetto: avresti partecipato in prima persona all’opera di giustizia di Dio, saresti stato un suo fedele collaboratore. Avresti superato le paure, le insicurezze, gli ostacoli, ti saresti buttato nello studio, la tua famiglia sarebbe stata orgogliosa di te e la tristezza non ti avrebbe più eroso l’anima.
    Non sospettavi minimamente la mia presenza; io ero già lì, in te; anzi, io ero te e tu eri già anche me. Mi sarei solo manifestata più tardi, al tempo opportuno. Non sono un drago, non una bestia crudele, ma uno stato, una condizione dell’essere che vede me e te inscindibilmente insieme. Tu non sei altro, tu sei-con-me. Noi siamo Totò Russo. Se non mi accetti, rifiuti anche te stesso, in quello che il futuro ci ha riservato, a me e te, a questo noi che è prima persona singolare perché anche nella nostra condizione è possibile avere la libertà di essere per diventare. Non ci è dato conoscere il mistero del male, le ragioni del soffrire. Forse fanno parte di un respiro della natura, nel suo tempo che non ha misura nel nostro e per questo sfugge alle nostre ragioni. Quello che è certo è che il Signore non sta a guardare indifferente ma il suo pensiero è su di noi, il suo cuore batte nel nostro cuore e sente tutta la nostra sofferenza come sua. Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito, egli salva gli spiriti affranti.[2] La sua pace e la giustizia sono anche per noi, anzi, sono in noi, se ce ne accorgiamo. La sua presenza è nuova vita nella vita. Il dolore è mistero ma il tuo male, Totò, è anche il suo perché ogni padre soffre del male del figlio, ogni padre vorrebbe portarselo su di sé, vorrebbe liberare dall’angoscia, vorrebbe caricarsi della croce e su di essa caricare tutto il male del mondo. Verrà il tempo. Sarà un tempo nuovo.
    Oggi, in questo tempo presente, il tuo rifiuto di essere-con-me ti costringe giorno per giorno a una lotta sfiancante che ti logora nel profondo fino a aprire ferite di paura, di sfiducia, di disperazione: non essere come gli altri, non poter condurre la stessa vita degli amici, non potersi realizzare professionalmente, essere diventato un nulla, negarsi il diritto di avere opinioni perché «diverso»…
    No, Totò, io ricordo un bambino dallo sguardo attento che leggeva nell’anima e prometteva comprensione. Io ricordo un ragazzo che cresceva nella profondità del dilemma tra libertà da…, libertà per…, libertà con…, e con caparbietà si è allenato al discernimento. Io ricordo un giovane che guardava al cambiamento, ad un futuro possibile e scavava fondamenta profonde di saperi e valori per liberare un sogno. Tutto questo c’è ancora in te, tutto questo sei tu-con-me; nulla è svanito, solo è schiacciato sotto quel sogno mai realizzato. Ma quel sogno è ancora possibile, se solo riesci a guardarti dal punto di vista di un tu-con-me che ribalta le relazioni con te stesso. Ora tu ti vedi in uno specchio deformante: rifiuti la tua immagine interiore, non riconosci una parte di te che sono io, vedi solo un io malato e inadeguato ad avere parte attiva nella tua vita. Tu non riesci più a darti un nome e dentro di te prende forma un’angoscia che paralizza, che disumanizza, toglie il desiderio e la libertà. Prova a disarmarla, quest’orrenda paura, prova a dirmi di sì, quel SÌ che ti consente di trasformare la paura di perderti in cura e fiducia per te e in te. Allora riuscirai a ridarti un nome, allora ti riconoscerai in quel Totò intelligente, sensibile, profondo e, perfino, testardo, quanto lo sono coloro che credono con tutto se stessi nel bene. Sciogli il tuo cuore e la tua mente a quella preghiera, all’unica che ci rende fratelli e figli in un’invocazione a un padre buono e misericordioso. Così anche tu-con-me potrai dire «sia fatta la tua volontà» e «liberami dal male, da qualsiasi male che spezza il legame con me stesso e con i miei fratelli». Allora quel salmo 72, quel sogno di giustizia e di pace che volevi per il tuo futuro, si potrà realizzare in te e per te, perché avrai raddrizzato sentieri, riempito burroni, abbassato monti e colli [3] che ti rendevano cieco alla tua bellezza e incapace di percorrere le vie della libertà.
    Tua S.M.


    NOTE

    [1] Dedicato a un carissimo amico ammalato di sclerosi multipla.
    [2] Salmo 34 (33), 19.
    [3] Cf Luca 3, 6.


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