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    Le strade dell’economia civile


     

    Orizzonte giovani /2

    Domenico Cravero

    (NPG 2013-02-03)


    Nei tempi difficili i giovani imparano a tenere duro, a sviluppare le loro aspettative, a tentare ogni via d’uscita. I più coraggiosi sviluppano fantasia e creatività, si affezionano allo studio, aprono sperimentazioni e si appropriano delle possibilità che l’evoluzione sociale non smette di mettere a disposizione. Anche la scienza economica, infatti, evolve e produce nuovi pensieri, genera nuove possibilità.
    Un ordine economico efficace ha bisogno di principi regolativi. Il mercato è uno di questi, con le sue forme di contratto e di scambio di equivalenti. Le politiche economiche mirano poi alla redistribuzione della ricchezza, attraverso le politiche dell’occupazione, dei prezzi e dello sviluppo. Queste dimensioni essenziali si sono dimostrate però insufficienti. Lo scambio basato sul solo contratto o sui soli prezzi, impoverisce altre forme di rapporti umani. Il mercato, inteso come mero scambio, sviluppandosi, mina i presupposti del suo stesso esistere (cioè la fiducia e la propensione a cooperare).
    Si cerca oggi di ripensare l’intera economia da una prospettiva culturale più ampia e adatta alle nuove domande di umanizzazione. L’«economia civile» definisce appunto un insieme di formazioni sociali, «caratterizzate da una visione innovativa e civilizzante del proprio ruolo economico e della presa d’atto della propria capacità d’azione» (L. Bruni, S. Zamagni, Economia civile, Il Mulino, 2004, p. 9).
    La teoria economica tradizionale era centrata sulle merci, la visione dell’economia civile riporta l’attenzione sui «beni» (cioè le cose buone), e soprattutto sulle risorse più importanti ma più fragili, come sono i beni relazionali. La sfida dell’economia civile consiste nel ricercare i modi di far coesistere, all’interno del medesimo sistema sociale, i tre principi regolativi: l’efficienza dello scambio basato sul contratto (1), l’equità nella distribuzione delle risorse e della ricchezza prodotta (2), la fiducia tra gli operatori economici mediante il codice della reciprocità (3). Il valore d’uso e il valore di scambio possono cosÏ congiungersi con il «valore di legame»: «A fianco dell’impresa multinazionale di tipo capitalistico deve trovare posto la bottega artigiana, la cooperativa, l’impresa sociale, le imprese dell’economia di comunione, le imprese civili, realtà queste che, con il loro stesso esistere, inseriscono dentro il mercato la reciprocità non strumentale, il dono e la cooperazione» (p. 27).
    La nozione di «benessere» sta evolvendo, anche nel discorso pubblico. Appare sempre più evidente come il consumismo comporti costi umani insostenibili e la sua promessa di felicità risulti quanto mai incerta e minacciata. Esistono invece soggetti economici che, pur non avendo come fine il profitto, sono capaci di generare un diverso genere di valore, quello della reciprocità. Parallelamente, gli stessi consumi sono visti da una parte crescente della popolazione, non tanto quantitativamente come motore della crescita economica, quanto piuttosto, qualitativamente, come strumento per migliorare realmente la qualità della vita. Il «consumatore critico» presta attenzione non solamente al prezzo più basso, ma anche al modo in cui i beni sono prodotti, scelti e immessi sul mercato. L’economia civile si sviluppa dalla considerazione che i legami tra le persone costituiscano una risorsa essenziale: fonte principale del senso e del piacere che deriva dal consumo stesso degli oggetti. L’aumento del solo reddito, invece, può produrre infelicità a causa delle dinamiche relazionali che innesca. La cura delle virtù civili (l’onestà, la trasparenza delle informazioni, il rispetto delle leggi...) non è contraria alla gratificazione personale, anzi È il solo modo per raggiungerlo davvero. «Uno dei significati più alti delle esperienze di economia civile è dirci che il mercato può diventare un luogo di incontri civili e civilizzanti e quindi luogo di felicità» (p. 276).
    L’economia reale diventa l’«economia civile» quando consumatori, imprese e organizzazioni riescono a suscitare rapporti di reciprocità, introducendo gratuità. L’economia civile è, infatti, l’ambito economico che, senza negare significato del profitto in condizioni di equità, adotta la prospettiva del dono, pone cioè l’attenzione non solo all’uso e allo scambio ma anche al significato che la circolazione di beni e servizi ha per le persone che la producono e l’acquistano. Il principio di reciprocità non è stato finora considerato dalla vita economica, seguendo lo stesso destino del principio di fraternità dichiarato dalla rivoluzione francese ma subito sconfessato nei fatti e presto dimenticato.
    Radicata nel pensiero economico dell’umanesimo civile, oggi l’economia civile si vede attribuito un compito importante: «una profezia che sta di fronte all’economia di tutti i giorni come un dover-essere, e che ci ricorda gli obiettivi più alti ai quali la convivenza civile, economia inclusa, può giungere» (p. 276).
    Forme di economia civile fioriscono spesso negli stessi oratori e nelle parrocchie. Anche la pastorale giovanile può entrare in gioco nell’economia umanizzata e generare speranza.


    T e r z a
    p a g i n A


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