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    «Capite quello che ho fatto per voi?»



    Interpellati da Gesù /5

    Rossano Sala

    (NPG 2013-04-35)


    La domanda che vorrei prendere in considerazione riguarda uno dei momenti chiave dell’esistenza di Gesù: quello della sua eucaristia, che è il gesto sintetico della sua vita, gesto che anticipa e che interpreta il gesto supremo, che è la croce.
    È noto che nel vangelo di Giovanni non è riportata la narrazione dell’ultima cena (che fa in un certo senso da sottofondo al capitolo sesto), ma essa è in un certo qual senso sostituita dal capitolo 13 che – durante la cena pasquale – si concentra sul gesto della lavanda dei piedi. Dopo aver compiuto questo gesto inaudito, che Pietro a nome di tutti non comprende né accetta, perché è il gesto del servo, egli domanda: «Capite quello che ho fatto per voi?» (Gv 13,12).
    Penso che questa sia una domanda sintetica e riassuntiva dell’intero vangelo, su cui vale la pena di soffermarci non poco per contemplare e comprendere sempre più e sempre meglio ciò che caratterizza la persona e la missione di Gesù.
    Risentiamo il brano intero in questione:

    1Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. 2Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, 3Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. 5Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. 6Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». 7Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». 8Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». 9Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». 10Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». 11Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».
    12Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? 13Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. 14Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. 15Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. 16In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. 17Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica.

    Il «testamento» di Gesù è la sua eucaristia: egli non ci lascia né un libro, né un atto notarile, né dei beni particolari, ma ci lascia se stesso in maniera permanente. Se ci si pensa bene, più di questo non poteva darci. Egli ha voluto essere ricordato per sempre così: «fate questo in memoria di me».
    Consapevole di essere consegnato e ucciso per via della sua pretesa, giudicata insensata e addirittura blasfema nei confronti di Dio (il suo caro Abbà, con il quale vive in una relazione di assoluto accordo e sintonia), di essere «la luce del mondo», il «pane della vita», «il buon pastore», «la via», «la verità», «la resurrezione» e «la vita», Egli anticipa i suoi carnefici (di tutti i tempi) offrendo la sua vita per la loro vita e salvezza. Questo gesto, cioè l’ultima cena intesa come anticipazione e interpretazione vera della croce è, se lo meditiamo in profondità ogni volta che ne facciamo memoria efficace nella Messa, sempre sorprendente e spiazzante. Egli si mostra come la carità incarnata: sapendo che nessuno può vivere se non in Lui, offre il suo corpo trafitto e il suo sangue sparso per la vita dei suoi uccisori. Questo è l’amore: prima di cominciare a dire superficialmente che cosa è l’amore o che sappiamo amare, confrontiamoci con l’evento dell’amore.
    Confrontiamoci con il cuore dell’Eucaristia, che consiste nei quattro verbi usati da Gesù nell’ultima cena: prendere il pane, rendere grazie, spezzarlo, darlo. Gesù ha preso tutta intera la sua vita, ha reso grazie perché non l’ha ritenuta sua proprietà ma dono del Padre, l’ha spezzata con disponibilità estrema e infine l’ha distribuita a tutti con liberalità e fiducia.
    In questo senso la croce è la realizzazione pratica dell’eucaristia: tutto quello che Gesù dice lo compie concretamente sulla croce, che è il punto culminante dell’incarnazione, perché è la pienezza della donazione di Dio a noi. L’eucaristia è il simbolo della croce e la croce è la verità dell’eucaristia. Potremmo dirlo così: la croce senza eucaristia è una verità inaccessibile, perché l’eucaristia è quasi la porta per entrare nella verità della croce; d’altra parte l’eucaristia senza croce è un simbolo vuoto, che non significa niente, che non si riferisce a una verità reale. Croce ed eucaristia stanno o cadono insieme.
    «Capite quello che ho fatto per voi?». In questa domanda formidabile vi è la richiesta di Gesù ai suoi di entrare con la loro vita nel ritmo della sua donazione: ammirarla, comprenderla, imitarla. Ammirare l’umiltà del Signore che conferma la sua divinità attraverso il servizio, comprenderla come centro della sua rivelazione dell’identità stessa di Dio, imitarla come affermazione della missione cristiana di tutti i tempi.
    Attraverso questa domanda Gesù spinge i suoi a riorientare la loro prospettiva, a prendere coscienza che le cose possono stare anche diversamente rispetto alle loro radicate convinzioni, quelle per cui Pietro non accetta una figura di Dio pronto al servizio. Secondo la sua immagine di Dio deve essere lui a lavare i piedi a Gesù e non viceversa.
    Questa domanda è rivolta a noi ogni volta che partecipiamo alla liturgia della Chiesa, e in particolare a quella eucaristica: non basta assistere il rito, ma attraverso di esso bisogna entrare nel pensiero di Cristo, comprendendo quello che Egli sta facendo per noi. Si può infatti partecipare senza intendere, udire senza ascoltare, vedere senza comprendere.
    Se comprendiamo il gesto di Gesù nella sua portata significa che riconosciamo come il primato della dedizione agli altri in nome e per conto del Dio di Gesù Cristo sia il contrassegno fondamentale del cristianesimo. Gesù ci dice che come egli ci ha lavato i piedi noi dobbiamo farlo «gli uni gli altri». Egli rompe la religione del «do un des», quella della restituzione del favore, per inaugurare la religione della dedizione senza confini.
    Un modo di pensare minimalista pensa semplicemente che essere cristiani consiste nel non far del male a nessuno e a farsi gli affari propri. Gesù, con la sua vita, è molto più esigente: ci chiede di comprendere la sua vicenda per riproporla creativamente nella nostra vita.
    La sua venuta verso di noi è la possibilità di essere realmente uomini e donne nuovi. Per questo si partecipa, ed è cosa buona e giusta, con sempre rinnovato impegno, alla santa Messa domenicale: per «imparare da Gesù» e soprattutto, per dirla con una formula inconsueta ma incisiva e decisiva, per «imparare Gesù».
    È infatti Lui la vera lezione, che non è semplicemente da capire e da imparare a memoria, ma soprattutto da rivivere nella nostra vita quotidiana.


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