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    Fare discepoli



    GMG 2013 - «Andate e fate» /3

    Giuseppe De Virgilio

    (NPG 2013-03-46)


    La consegna del Risorto alla comunità degli apostoli include l’impegno di «fare discepoli» tutti i popoli (cf. Mt 28,19). Si tratta della dimensione missionaria della Chiesa, che sgorga dalla volontà di Dio che governa la storia e guida con la sua provvidenza il futuro dell’umanità. Sotto l’azione dello Spirito Santo, la piccola comunità dei seguaci di Cristo è chiamata a testimoniare la potenza della Parola che guarisce il cuore di ogni uomo. Nel mandato missionario di «fare discepoli tutti i popoli» sono i giovani in particolare a sentirsi coinvolti nel protagonismo di un discepolato, che deve essere sempre più attraente e generativo. Approfondiamo tale dimensione biblica e pastorale, la cui rilevanza ecclesiale è di fondamentale importanza per il cammino dei credenti.

    Dio «fa discepolo» il suo popolo

    L’impiego del verbo «fare discepoli» (mathēteuō, da cui proviene il termine: mathētēs - «discepolo») è notevole nei racconti biblici, a motivo delle diverse attestazioni della «dinamica discepolare» descritta nella sacra Scrittura. Lo sviluppo del discepolato conserva nei racconti biblici una duplice prospettiva: in primo luogo descrive il «diventare discepolo» di qualcuno; in secondo luogo indica il «fare discepoli». Nella tradizione deuteronomica e in quella profetica il discepolato implica l’esperienza del «seguire» un colui che insegna la vita della vita. Israele è chiamato a farsi discepolo dell’unico Dio: Jhwh. Tale valore teologico è soprattutto attestato nel libro del Deuteronomio, dove s’invita la comunità israelitica a «apprendere» la volontà del Signore e a non trascurare la promessa di elezione e di salvezza (cf. Dt 6,10-12; 8,17; 9,4-6; 11,2). L’intero popolo di Israele è spinto ogni giorno ad accogliere la Parola di Dio e a «seguire» i suoi insegnamenti (Torah: cf. Dt 4,10; 14,23; 17,19; 31,12-13).
    Nella stessa linea interpretativa si colloca la predicazione profetica (cf. Is 1,17; 26,9) e la riflessione sapienziale (cf. Sal 119,7; Sap 6,9; Sir 8,9). Nella tradizione anticotestamentaria chi sceglie di seguire Dio e la sua Legge non è designato secondo il modello del discepolato, ma del «servizio». In questo senso chi condivide il cammino dei patriarchi e dei profeti è detto «servitore»: Giosuè verso Mosè (Es 24,13), Eliseo, verso Elia (cf. 1Re 19,29ss.) Baruch verso Geremia (cf. Ger 32,12s.). Solo nel tardo giudaismo, caratterizzato dallo sviluppo della tradizione biblica scritta e dall’insegnamento rabbinico e non senza influenze ellenistiche, si pone in evidenza la figura del discepolo inteso come “allievo” (talmîd) di un maestro (rabbi), più nel senso scolastico che nella prospettiva di una “scelta di vita”.

    La missione di Gesù, sorgente del discepolato

    A fronte di un’ampia ricorrenza neotestamentaria del termine «discepolo» (mathētēs), il verbo «fare discepolo» (mathēteuō) ricorre solo quattro volte: nella conclusione del discorso parabolico (cf. Mt 13,52), in riferimento a Giuseppe di Arimatea (cf. Mt 27,57), nel mandato missionario (cf. Mt 28,19) e nella predicazione di Paolo e Barnaba a Derbe (cf. At 14,21). E’ anzitutto Gesù che sceglie, chiama e condivide la sua missione con alcuni uomini denominati «discepoli». La predicazione del Regno di Dio è accompagnata dalla creazione di un gruppo di discepoli che condivide la vita e l’esperienza missionaria di Cristo. L’aver accolto l’invito a seguire il Signore implica un processo di permanente conversione e di accoglienza della volontà divina. I racconti evangelici confermano l’idea che la missione di Gesù diventa «sorgente» di un autentico discepolato. Egli annuncia una parola efficace, liberatrice, attrattiva, convincente, aperta al mistero. Chi si avvicina a Cristo si sente coinvolto dal suo fascino e attratto dal suo stile di vita. Non tutti possono seguirlo. All’indemoniato guarito, il Signore affiderà una missione: «Va' nella tua casa, dai tuoi, annunzia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ti ha usato» (Mc 5,19). Ad altri ribadirà la condizione radicale della sequela, secondo il sommario dei personaggi lucani: «Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: “Ti seguirò dovunque tu vada”. E Gesù gli rispose: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. A un altro disse: “Seguimi”. E costui rispose: “Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre”. Gli replicò: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio”. Un altro disse: “Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia”. Ma Gesù gli rispose: “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio”» (Lc 9,57-62). L’esemplare rimprovero di Gesù riguardo al formalismo dei farisei è illuminante: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo prosèlito e, quando lo è divenuto, lo rendete degno della Geènna due volte più di voi» (Mt 23,15). Il discepolato non è costrizione o arruolamento. Non si diventa discepoli per professione, ma per vocazione. In tal modo l’invito al discepolato di Gesù non segue la prassi rabbinica del tempo.
    Esso s’inscrive nella misteriosa irruzione del Regno come una chiamata all’unione con Dio e alla conformazione della vita in Cristo. In Mt 11,28-30 Gesù invita tutti gli «affranti e gli afflitti» a farsi suoi discepoli. Non si segue un’idea, un pensiero, un progetto, ma una persona concreta: il Figlio obbedente al Padre, che liberamente dona la propria vita per la salvezza dell’umanità. Comprendiamo la differenza sostanziale della missione di Cristo e del suo «fare discepoli»: Egli stesso è la sorgente del discepolato.

    I livelli del discepolato

    Nelle narrazioni evangeliche osserviamo come l’invito alla sequela raggiunge persone di diversa condizione sociale e culturale. Nella cerchia del Signore si trovano pubblicani (Mc 2,14), zeloti (Lc 6,15; At 1,13), pescatori (Mc 1,16-20), gente comune, che lascia l’impiego e la famiglia, rompendo con il precedente stile di vita, per seguire il Cristo. Non è semplice individuare e circoscrivere il fenomeno del discepolato di Gesù. Secondo Mc 3,7-12 le persone che seguivano il Signore durante il suo ministero erano ripartire in due gruppi: da una parte una cerchia ristretta e ben delimitata, dall’altra una schiera ben più ampia che seguiva la predicazione e i segni del Cristo. In Lc 6,13.17 si distinguono tre gruppi: una grande folla di persone, una schiera di discepoli/uditori e infine il gruppo dei Dodici, che sono scelti di mezzo a questa cerchia di discepoli (cf. Lc 6,13; Mc 4,10). La designazione ricorre ancora in Lc 19,37.39, mentre l’impiego giovanneo del concetto di discepolo (cf. Gv 6,60.66; 7,3; 8,31 e 19,38) fa riferimento alla cerchia più ampia di seguaci di Gesù. Occorre rilevare che il discepolato di Gesù coinvolge non solo uomini ma anche donne e famiglie intere (cf. Lc 8,1-3).
    Dalla tradizione evangelica risulta che il ristretto gruppo attorno a Gesù era costituito dai «Dodici» (cf. Lc 9,12; Mc 6,7) e tra questi ne vengono più volte menzionati tre insieme: Pietro, Giacomo e Giovanni (Mc 5,37; Mt 17,1; Mc 1,29; Mt 20,20; Mc 13,3; Gv 1,35-42). Indicati in un elenco nominale (Mt 10,2-5 e par.), saranno i «Dodici» a preparare e condividere la Cena pasquale con il Signore (cf. Mt 26,20). Nel loro servizio i discepoli sono rappresentanti del Signore e chi accoglie loro, accoglie «colui che li ha mandati» (Mt 10,40; cf. Gv 13,20). Seguire Cristo significa rimanere nella condizione di “discepolo”, in attesa del compimento della promessa celeste. Per tale ragione nessun discepolo di Gesù diventerà maestro e “fonderà una scuola”. Nel libro degli Atti degli Apostoli la designazione di discepoli serve a indicare tutti i credenti che appartengono alla comunità ecclesiale a Gerusalemme (At 6,1.2.7; 9,26), a Damasco (9,10.19), ad Antiochia – dove per la prima volta i credenti furono denominati cristiani (At 11,26.29; 13,52) – e ad Efeso (19,2; 20,1.30).

    La missione della Chiesa: fare discepoli tutti i popoli

    All’indomani della Pasqua il mandato affidato alla comunità è di «fare discepoli tutti i popoli» (Mt 28,18: (mathētèusate panta ta ethnē) predicando la conversione per il perdono dei peccati e battezzando (cf. Gv 20,21.23). Si tratta di un mandato che possiede una chiara progettualità, contrassegnata da tre prospettive. Una prima prospettiva riguarda l’identità del movimento cristiano, che è a dimensione ecclesiale. L’impegno della missione a cui si lega la dinamica del discepolato non è un’iniziativa privata e monopolizzata ideologicamente, ma assume una natura fondamentalmente «comunitaria». La missione della Chiesa si definisce per la sua comunione tra persone che camminano insieme e condividono lo stesso stile di vita. Un popolo che annuncia e accoglie donne e uomini credenti.
    Una seconda prospettiva riguarda lo stile della vita cristiana: essa si poggia sulla proposta del Vangelo, sulla notizia positiva della vittoria di Cristo che ha sconfitto la morte. Lo stile evangelico ha come riferimento la persona e la missione di Gesù Cristo Figlio di Dio.
    Un’ultima prospettiva è rappresentata dall’apertura universalistica della missione, rivolta a tutti i popoli. Occorre avere presente la diversa concezione dell’eredità culturale giudaica e l’idea di «separazione» presente nel mondo religioso antico. L’intenzionalità della prassi religiosa ebraica tendeva a preservare e a proteggere l’identità del popolo eletto. Al contrario il comando del Risorto affida agli Undici la responsabilità di una missione universale, senza confini di spazio e di culture.

    Discepolato e mondo giovanile

    Riprendendo lo stile di Cristo nella logica del Vangelo, i giovani sono chiamati a lasciarsi coinvolgere e attualizzare l’invito del Risorto: «Fare discepoli tutti i popoli». Pertanto la ricchezza emersa dalla riflessione biblica intorno a questo aspetto primario del Messaggio della GMG 2013 chiede d’essere attualizzata perché la Parola sia incarnata nel nostro vissuto. Segnaliamo tre icone per esprimere l’attualizzazione del «fare discepoli» i popoli: la Parola, il cuore, la strada.
    - Fare discepoli nell’ascolto della Parola
    La prima icona è rappresentata dalla Parola. Essa implica la disponibilità all’ascolto dell’altro e all’accoglienza del suo messaggio. E’ la realtà concreta del mondo giovanile che domanda il dono reciproco dell’ascolto e del dialogo. Lo spazio essenziale per generare nuovi discepoli è rappresentato dall’ascolto della Parola. Lo stile del discepolato e più in generale dell’esperienza cristiana si fonda sul dialogo libero che Dio apre con l’uomo in un clima di profonda amicizia. Nell’ascolto della Parola e nel sentirsi a loro volta ascoltati e accolti da Dio e dalla comunità dei credenti, i giovani diventano protagonisti di una nuova evangelizzazione.
    - Fare discepoli nella libertà del cuore
    La realtà evangelica del discepolato è un’avventura del cuore. Una sequela ingannevole che tende a controllare e imprigionare le persone non corrisponde all’indole stessa dell’esperienza cristiana. Fare discepoli uomini e donne che saranno schiavi significa contribuire ad un processo di omologazione e di annullamento della dignità della persona umana. Sono soprattutto i giovani che chiedono e cercano la libertà del cuore, contro ogni forma di oppressione. Il comando di Gesù nasce dalla vittoria pasquale contro ogni forma di oppressione. In questo senso il «fare discepoli» diventa un cammino pasquale che interpella la «libertà di cuore» dei credenti, soprattutto dei giovani.
    - Fare discepoli nel cammino della strada
    La nota scena del mandato missionario avviene su un alto monte. Il simbolismo matteano della montagna intende presentare l’autorità solenne delle parole del Risorto come sospeso tra «cielo e terra». Alla montagna delle beatitudini, primo grande discorso di Gesù ai discepoli e alle folle (cf. Mt 5-7) segue la «strada» della missione del Cristo che compie i miracoli (cf. Mt 8-9). Similmente dopo la risurrezione, all’alto monte della Galilea le parole della missione indicano la strada dell’evangelizzazione e del «fare discepoli tutti i popoli». In prima persona sono interpellati i giovani a vivere l’avventura liberante del discepolato sulla «strada» del Vangelo.


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