Attesi dal suo amore
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    Giovani e mese mariano

    Mariella Mentasti

    (NPG 2011-05-12)


    Maria è il respiro dell’anima,
    è l’ultimo soffio dell’uomo.
    Maria vuol dire transito,
    ascolto, piede lieve e veloce,
    ala che purifica il tempo.
    (Alda Merini)

    Arrivasti in fretta, Maria, come se il desiderio di condividere l’immensa gioia del mio cuore ti avesse raggiunto col vento. Non un dubbio, non un’incertezza: i tuoi piedi come ali bianche d’angelo ti condussero a me, anziana e debole ma ricolma di un’energia nuova e vitale, di un’esplosione di meraviglia: Lui, l’Onnipotente, aveva oltrepassato i confini del tempo e lo aveva fecondato con una parola. Una parola che sentii nel mio grembo come bevanda calda e inebriante, come aroma dolce e intenso. Tu lo sai, Maria, in noi donne le parole prendono la forma delle emozioni e ci è più facile il discernimento tra vere e mendaci. Zaccaria, il sacerdote, l’uomo giusto e retto, l’uomo che amo da lunghissimo tempo, l’uomo che ancora mi ama con la stessa devozione e che mi ha sempre difesa con la forza travolgente di un giovane guerriero dallo sguardo ostile di chi mi malediceva come albero secco e indegno, quel giorno dubitò: la ragione non contempla l’affidamento cieco ma la ragione stessa, spesso, non riconosce la sua cecità. Così, mentre in me la Parola del Signore diventava vita, il dubbio rendeva sterili le parole di Zaccaria, perché per narrare Dio bisogna avere gli occhi spalancati del bimbo che si affida alla mano del padre.
    Ti vidi da lontano, «Eccola, dissi, Maria, la bambina che avrei voluto avere per me, la ragazza che il tempo ha reso armonia pura, dalle fattezze dolci, dai movimenti delicati, dall’animo coraggioso, dalla fede travolgente, dallo sguardo che è parola, dal silenzio che è ascolto. Eccola, è musica, il mio grembo sobbalza, il mio bambino danza».
    D’improvviso, come quando il vento cambia inspiegabilmente direzione, un vortice mi avvolse: il miracolo che aveva restituito vita ai miei anni incontrò il prodigio del tempo compiuto: «Benedetta sei tu, Maria, il Signore ti benedice perché ti ha scelto come madre, tu, figlia del mio cuore, figlia prediletta, nel tempo che in te si compie vedo realizzarsi il sogno di Dio».
    Mi uscii così, il saluto, e mi stupii di me stessa perché non era nelle mie intenzioni. Avrei desiderato narrarti la mia gioia e confidarti il mio timore: gioia piena, immensa, riconoscente di madre per la prima volta, paura di non capire. Un presentimento non mi lasciava pace: perché? Chi doveva essere mio figlio? Quale compito nella vita lo aspettava? Servire Dio, ma come, con quale responsabilità, a quale prezzo? Il dono della maternità cambia: trasforma il corpo e le viscere per essere culla della vita nuova, ma espande anche i pensieri che assumono talvolta le forme dolci della letizia e talaltra quelle inquiete e impenetrabili del destino cui ognuno è chiamato.
    La tua immagine, Maria, aveva ribaltato ogni mio pensiero e, come lanterna che, inattesa, rischiara un crocevia indicando la strada maestra, d’improvviso apparve ai miei occhi la sembianza di un’arca: eri tu, Maria, la nuova arca, attraverso il tuo corpo il cielo avrebbe baciato la terra, il tempo avrebbe manifestato la sua pienezza e l’amore avrebbe preso la forma del tuo grembo. Un tempo nuovo avrebbe avuto inizio da te e solo in te sarebbe potuto accadere. Tu, giovane ragazza, silenziosa nelle parole ma esuberante negli occhi, tu, figlia mia – perché tale io ti considero – che solo a me confidavi pensieri che erano desideri, sogni che erano progetti di vita piena nell’amore, nella gioia, nella letizia, di te pensavo che avresti cambiato il mondo. Perché nel tuo silenzio stava il miracolo dell’ascolto più profondo, della comunicazione più intima: esso era la vera rivoluzione giacché nel fragore del mondo giustizia e pace sono sussurri percettibili solo a chi tende l’orecchio dell’anima e dà loro spazio e in loro si trasforma e solo per loro prende parola.
    Giovinezza e sapienza in te crescevano avviluppate come arbusti d’ulivo in un intreccio di bellezza e armonia che non passava inosservato. Giuseppe avrebbe rinunciato a tutto per vivere in questo abbraccio, sentiva che l’amore per te era una splendida parte dell’amore di Dio, sentiva che il Signore aveva voluto il vostro incontro e nel suo nome vi sareste uniti per sempre. Ti guardava con un’intensità, un ardore, un entusiasmo tali che nessuno avrebbe mai osato pensare, vedendovi, che anche l’amore potesse finire per assumere le sembianze sgraziate dell’abitudine e dell’indifferenza. Tu e Giuseppe, un amore che rovesciava le idee dei cinici e dei disillusi, che restituiva speranza, che suscitava stupore e meraviglia: la vostra unione era più salda di una roccia, era più dolce del miele, più profumata degli incensi più preziosi, era più puro dell’acqua sorgiva. Giunsi a pensare che il Cantico fosse stato composto per voi e che in voi il Signore avrebbe benedetto l’amore terreno come parte ineludibile del Suo amore.

    Aveva bisogno di te, Maria

    Mi sbagliavo, il sogno del Signore comprendeva il vostro amore ma si estendeva oltre, aldilà di ogni pensiero umano, al di sopra di ogni logica, in una dimensione inaccessibile, fuori dal tempo e dalla materia. L’amore umano non doveva essere parte, doveva essere il mezzo, il viatico del Suo amore. Dio manifesta il Suo amore solo attraverso l’amore umano: aveva bisogno di te, Maria, perché solo tu, nell’abitudine del tuo silenzio di grazia, avresti potuto sentire la Sua voce, rischiare tutto e accogliere il soffio del Suo Spirito di vita dentro di te.
    Grandi cose ha fatto in te l’Onnipotente: «Eccomi!», replicasti, inebriata da un progetto che avrebbe frantumato i tuoi sogni per renderli parte del grande mosaico di Dio. E la fermezza di quel «Sì», sussurrato come ogni tua parola ma potente come il «Fiat lux» del Signore nella genesi dell’atto creativo, diede inizio a quella nuova alleanza siglata nell’amore.
    Ci voleva l’incoscienza e il coraggio di una ragazza disposta a regalare il suo futuro a un progetto impossibile ma che, eri certa, avrebbe cambiato il mondo. Solo una giovane, per il suo smisurato entusiasmo, solo una donna, per la sua audace attitudine al dono, solo tu, Maria, per quello sguardo libero che leggeva nella profondità di ogni sentimento e reggeva lo sguardo di Dio, poteva rispondere con un improbabile sì che segnava l’inizio del tempo nuovo.
    Ecco, ora, d’improvviso, prende forma in me un pensiero che scioglie il dubbio: quel bimbo che porti nel grembo e che, con potere travolgente, suscitò fremiti di gioia nella mia creatura, è il tempo nuovo, la Promessa della Storia, il compimento; questo mio figlio, questo amatissimo dono, sarà l’ultimo profeta del tempo antico, sarà colui che spianerà la strada.
    Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati:[1] questo è il suo destino, ora mi è chiaro, è la chiamata del mio amatissimo figlio. Tu lo sentivi, Maria, per questo arrivasti in fretta, sapevi che avresti chiuso il cerchio dei miei dubbi e dei miei timori e che questo mio bambino sarebbe stato funzione del tuo. La tua risposta al mio saluto, quel Magnificat da ripetere tutto d’un fiato, quella preghiera che toglie il respiro nell’incanto e nello stupore della sua sapiente poesia, è il segno di un’opera tanto grande da svelare l’impronta di un’onnipotenza vicina. Per questo, di generazione in generazione, tutte le genti ti chiameranno beata, per questo, i tuoi sogni di giustizia e libertà troveranno in Lui la piena realizzazione, perché la Sua promessa aveva bisogno di dimorare in un corpo di donna per trovare compimento.
    Da oggi, Dio, non sei più solo Dio;
    da oggi, uomo,
    non sei più solo uomo.
    Il grembo di una donna
    ha fatto nascere
    qualche cosa di nuovo
    sulla terra e nel cielo.
    E niente sarà più come prima.[2]
    Ritorna a Nazareth, Maria, ritorna leggera, ritorna in fretta dal tuo Giuseppe che, per questa carezza di Dio,[3] ti ama ancora più forte; lasciami qui con il mio bimbo profeta, ora che so che anche il suo destino è nel tuo grembo e la sua vita, per quanto persa, trucidata, annientata, troverà nel frutto del tuo seno il massimo splendore.


    NOTE

    [1] Isaia 40, 4-5.
    [2] Da: ZARRI A., La scala di Giacobbe.
    [3] Titolo del testo di Don Tonino Bello sulla figura di Giuseppe artigiano.


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