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    Il senso e i sensi dell’educare /2

    Mariella Mentasti

    (NPG 2011-02-40)


    L’Orecchio di Dioniso è una grotta sita ¬nell’area archeologica di Siracusa.
    La leggenda narra come il terribile tiranno siracusano,
    che imperò tra il 400 e il 300 a.C., fosse solito rinchiudere i prigionieri
    nella caverna per poi ascoltare dall’alto i loro discorsi,
    data l’enorme amplificazione dei suoni che la sua singolare forma produceva:
    qualsiasi bisbiglio poteva essere udito e compreso

    situandosi in un certo punto del terreno sovrastante la grotta.

    La musica di Sara

    Paola, mamma attiva, attenta, sensibile e socialmente impegnata, ha tre figli: Ester di 14 anni, Sara di 12 anni e Luca di 8 anni. Un giorno come tutti gli altri, sono le cinque, torna a casa dal lavoro; Luca è con lei, è passata a prenderlo a scuola, Ester e Sara dovrebbero essere già a casa. Vede Ester che studia, le chiede di Sara e lei risponde che è andata al vicino supermercato per comprare un quaderno. Paola è tranquilla, Luca gioca, così comincia a darsi da fare in casa. Squilla il telefono, risponde. «Buon giorno, signora, qui è l’Emmegi, sono il direttore, volevo avvisarla che abbiamo trattenuto sua figlia perché ha tentato un furto nel reparto cosmetici. La aspettiamo qui…». Paola cambia colore, le sale un’ansia spaventosa, fa fatica a parlare, non ci crede... «Guardi che forse ha sbagliato numero, replica, qui è casa Conti». «Certo che non ho sbagliato! Lei è la mamma di Sara Conti, no? Le ripeto che se non viene subito sarò costretto a chiamare i carabinieri.» Paola prende al volo la giacca, affida Luca a Ester e, con una scusa, esce. Arriva al magazzino, sente gli sguardi delle commesse su di sé, chiede dell’ufficio del direttore, bussa. «Avanti!». Vede Sara in piedi, in un angolo, in lacrime. Non le corre incontro, non alza il viso, chiuso in una smorfia sconosciuta persino a Paola. Vicino a lei, il vice-direttore incrocia il suo sguardo poi abbassa gli occhi in un viso contratto e mortificato. In fretta e furia, con una modalità scocciata e scostante come se stesse perdendo troppo tempo, il direttore le comunica che Sara ha cercato di sottrarre un discreto numero di cosmetici infilandoli nello zainetto e solo per intercessione del vice-direttore non ha chiamato i carabinieri ma che forse avrebbe fatto meglio a chiedere un intervento perché, è risaputo, «si comincia a dodici anni con stupidaggini ma poi non si sa dove vanno a finire questi ragazzi… soprattutto se escono e le madri non sanno dove sono...». Paola si sente profondamente ferita, un mondo le crolla addosso: tutto il suo sforzarsi di essere madre attenta, di essere famiglia aperta e solidale e invece… guarda che fallimento! Sfila dal portafogli cinquanta euro, li mette sul tavolo, rifiuta di ritirare la «refurtiva», si scusa, saluta ed esce con Sara. Nel tragitto, non una parola, non uno sguardo, come se dolore e vergogna si fossero cuciti insieme per imbavagliare qualsiasi comunicazione, come se il silenzio fosse l’unica cosa sopportabile. A casa, dopo una frettolosa spiegazione ai fratelli, Paola e Sara, ancora avvolte nel silenzio, si siedono in cucina. Pensieri ed emozioni prendono forma e chiedono ascolto.
    Che cosa ha spinto Sara a compiere quel gesto? Che cosa vuole comunicarci? Che cosa ha sentito, a che cosa ha dato ascolto? Il silenzio può chiudere, isolare, rendere sordi persino alla propria voce interiore. Oppure, se il cuore è aperto, può amplificare i più piccoli suoni, separarli, comporli e ricomporli fino a «sentire» la «melodia» dell’altro, fino a sintonizzarsi sulla sua «tonalità emotiva» e creare una musica nuova che «comprenda» i propri suoni ma li superi in una relazione di profonda condivisione e comunicazione. Ecco che, aprendosi in quel silenzio fecondo, Paola comincia a sentire e ascoltare... Sara chiede di essere «vista»: ha davanti la sorella, coscienziosa, diligente, di portamento gentile ed elegante, dietro ha Luca, bambino dotato di un’ intelligenza quasi invadente ma ancora incapace di interazione, scambio, mediazione, confronto. Fin da piccola Sara ha chiesto spazio: per i suoi giochi, le sue cose, ma anche per i suoi pensieri, le sue emozioni che sentiva forti e pressanti dentro di sé ma che, contemporaneamente, le sembravano di poco conto, non degne di «attenzioni» da parte del mondo esterno. Temeva di diventare invisibile, lei che, con la musica nel cuore, fin da piccola amava il palcoscenico, il microfono, gli applausi degli amici. È la melodia che Sara ha sempre tenuto nell’animo che ora Paola percepisce: deve solo portarsi sul suo registro, accordarsi a lei, stare dentro il movimento disordinato dei sentimenti che la abitano per trovare quel file rouge che, nel ricomporre i suoni, dona loro bellezza. Un’idea balena nella mente di Paola: se è da qui che bisogna partire, se Sara, per rendersi visibile, ha bisogno non di trucchi vistosi ma di essere ascoltata, allora si deve trovare l’occasione, subito, prima che il muro dell’incomunicabilità si erga tra lei e il mondo. Paola si alza, fa pochi passi e sfila dallo scaffale un CD: è una canzone di Sara, sua la musica e suo il testo, parole ancora acerbe ma fresche, leggere e luminose come una seta preziosa. «È la tua canzone, dice a Sara, portala al vice-direttore, come regalo, per scusarti... forse apprezzerà e riuscirà a perdonarti perché gli fai dono di una parte di te, una bellissima parte di te!». Sara è perplessa ma parte. Paola è certa, per quell’impercettibile ma profonda comunicazione di sguardi, che il vice-direttore comprenderà e si farà «traghettatore» d’ascolto. Dopo mezz’ora Sara rientra felice: il vice-direttore ha ascoltato la canzone e gli è tanto piaciuta che vuol farne omaggio a tutte le commesse e... al direttore! L’immagine si è ricomposta, un’altra musica è pronta dentro Sara, è una musica nuova, non tarderà a prendere forma.

    La Parola

    Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo, da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì Elia si coprì il volto con il mantello. Uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco venne a lui una voce che gli diceva: che cosa fai qui, Elia? (1 Re 19,11-13).

    Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola.
    … Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta (Luca 10, 38; 42).

    Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie. ... Risuoni il mare e quanto racchiude, il mondo e i suoi abitanti. I fiumi battano le mani, esultino insieme le montagne (dal Salmo 97).

    L’ascolto

    Uno degli ultimi racconti di Calvino, «Un re in ascolto», narra di un sovrano tanto tenacemente attaccato al potere che si trasforma in un grande orecchio, pronto a captare tutti i suoni minacciosi che potrebbero minare la sua posizione. La sua vita trascorre nella paura e nell’angoscia di perdere il trono.
    Ma una notte il re ode una voce di donna che canta e, improvvisamente, scopre la vita: ciò che lo attira è «il piacere che questa voce mette nell’esistere» e si accorge che ogni voce è unica perché ogni persona è unica.
    La bellezza della vita sta proprio in questo discernere la «voce che va dritta al cuore» dal frastuono, dal chiacchiericcio, dai rumori circostanti.
    È una voce che parla dentro ma il suo scopo è uscire da sé per intessere legami con l’altro. Per questo la può udire solo chi è fuori dalle logiche di potere personale, solo chi è disposto a riconoscere la voce dell’altro come sorgente vitale.
    «E se qualcuno credeva che la sua vita fosse sbagliata e insignificante e di essere soltanto una nullità fra milioni di persone, uno che non conta nulla e che può essere sostituito (…) e andava lì... e raccontava le proprie angustie alla piccola Momo, ecco che, in modo inspiegabile, mentre parlava, gli schiariva l’errore; perché lui, proprio lui, così com’era, era unico al mondo, quindi, per la sua peculiare maniera d’essere, individuo importantissimo per il mondo. Così sapeva ascoltare Momo!»1.
    L’ascolto, quello che d’incanto ci fa intuire la melodia dell’altro e apre alla comunicazione profonda, chiede discernimento e attenzione, perché può essere sottile come una brezza leggera; chiede pazienza e umiltà nel sedersi ai piedi dell’altro solo per ascoltare; chiede decentramento, disponibilità a farsi risuonare dalle vibrazioni dell’altro e, talvolta, a farsi sconvolgere dai suoi registri, da suoni per noi dissonanti o stonati.
    I grandi musicisti hanno avuto il coraggio di interrompere un’abitudine consolidata di ascolto per proporre una musica NUOVA.
    Quando l’ascolto diventa contemplazione dell’altro in quanto creatura meravigliosa, degna di rispetto e d’amore, allora dalla nostra voce possono uscire parole che dialogano con le parole dell’altro per creare un sinfonia nuova, condivisa, vitale… fino a far battere le mani ai fiumi e esultare le montagne.

    NOTE

    1) Ende M., Momo, SEI, Torino, 1981, p. 18.


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