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    Il disagio e la devianza /1


    I temi negati dell’educazione /8

    Mario Pollo

    (NPG 2011-09-37)


    Per prima cosa è necessario ricordare che i processi di socializzazione, inculturazione e educazione non producono sempre e necessariamente una integrazione agli stili di vita, ai valori e alle norme sociali dominanti, ma possono anche produrre percorsi di trasgressione e/o di devianza, che nel linguaggio odierno spesso vengono indicati con l’espressione di «disagio giovanile».
    Il fallimento dei percorsi formativi di una parte degli adolescenti e dei giovani è, purtroppo, un dato che connota la storia umana, e non sempre è un fattore sociale e culturale negativo. Lo è solo quando innesca percorsi auto o etero distruttivi o forme di trasgressione delle norme sociali che la società etichetta come devianza criminale. Non lo è, invece, quando innesca delle trasformazioni evolutive del sistema sociale e culturale. Infatti, alcune volte ciò che appare come un insuccesso educativo, di fatto innesca delle trasformazioni evolutive della persona e/o del sistema sociale e culturale di cui fa parte.
    Questo perché la deviazione dell’esito dell’educazione da quello previsto è la via attraverso cui passano non solo le regressioni ma anche ogni cambiamento evolutivo di un sistema sociale. Alla base di questa affermazione vi è la consapevolezza che i sistemi sociali evolvono passando attraverso stati di devianza e di disordine: «È dunque possibile esplorare l’idea di un universo che costituisce il suo ordine, la sua organizzazione nella turbolenza, nell’instabilità, nella devianza, nell’improbabilità, nella dissipazione energetica».[1]
    Il ruolo della devianza nell’evoluzione dei sistemi sociali si svela pienamente all’interno della dinamica centro-periferia dei sistemi sociali e culturali: è questo il tema della prima parte del mio intervento. Nel prossimo mese toccherò direttamente il disagio giovanile e la modalità di affrontarlo dell’animazione culturale.

    LE DINAMICHE DEI SISTEMI SOCIALI

    Centro e periferia

    Ogni società ha un suo centro. Questa centralità non ha nulla a che fare con la geometria e pochissimo a che fare con la geografia, perché concerne il dominio dei valori e delle credenze di una società. In altre parole si tratta di un centro simbolico. Si può dire che ogni società è governata da un centro simbolico.
    Il centro è tale perché rappresenta ciò che c’è di supremo, di importante, di irrinunciabile in una società. In una società complessa, più che ad un centro unico, si fa riferimento ad una zona centrale che può essere formata da più centri. Infatti, il centro della società complessa ha una composizione eterogenea ed è differenziato dalle funzioni, dai desideri e dalle credenze che le sue parti esprimono. E non di rado queste parti sono in conflitto tra loro per il predominio. In altre parole, in una società complessa il centro è costituito da una pluralità di centri che possono essere alleati, ma anche in conflitto e in competizione. Nessuno di questi centri è in grado di esprimere un’egemonia nei confronti degli altri, nel senso che in una società complessa ognuno di essi possiede pari dignità con tutti gli altri. Ci sono centri che si alleano e diventano magari egemoni, ma dopo poco questa egemonia viene superata da nuove alleanze.[2]
    La potenzialità dinamica, evolutiva di una società è dovuta al fatto che essa normalmente vive al di sotto dell’ordine dei suoi valori centrali, perché non riesce a tradurli pienamente in pratica. Ma proprio il fatto di vivere al di sotto di questo sistema di valori è ciò che crea una dinamica sociale: anzi è la dinamica sociale.
    Se la società vivesse pienamente al livello del suo sistema di valori, non ci sarebbe nessun tipo di dinamica sociale, perché il sistema sarebbe perfettamente stabile, anzi, in stallo.
    L’esistenza di questo sistema centrale di valori che non si riesce a tradurre completamente nella vita della società risponde a un’esigenza di base che gli esseri umani hanno: il bisogno di incorporarsi in qualcosa che trascenda e trasfiguri la loro esistenza individuale. Infatti, ogni uomo ha bisogno di identificarsi in qualcosa che trascenda, trasfiguri, nobiliti, arricchisca quella che è la sua esistenza quotidiana individuale. Ogni uomo sente la necessità di porsi in contatto con un ordine simbolico superiore rispetto all’angustia del proprio corpo, della propria psiche e della propria vita.
    La necessità di trascendenza è fondamentale nell’essere umano e fa sì che ogni società sia costituita intorno a un sistema di valori centrali. In ogni società la condivisione di questo sistema centrale è però differenziata, perché non tutti i suoi membri condividono in eguale misura i valori, le credenze, i modelli che il sistema centrale propone. Nelle società complesse contemporanee c’è una condivisione del centro molto più ampia di quanto sia mai accaduto in tutte le società del passato; ma nonostante questo esiste ancora un diverso grado di differenziazione, una disuguaglianza nella partecipazione al sistema di valori centrale dovuta alle professioni, alla tradizione, alla normale distribuzione delle qualità umane, agli antagonismi, a tutta una serie di fenomeni che differenziano la partecipazione. Questo significa che ci sono alcune persone più vicine al centro, mentre altre ne sono più lontane.
    È il centro con il suo valore simbolico che struttura e costituisce una società, dunque una città o un’area geografica.
    A questo punto è necessario chiarire che il centro di una società complessa non deve essere pensato come quello delle società non complesse, e cioè costituito da un insieme di valori, di credenze e di ideali, bensì da quei valori, da quelle credenze, da quegli ideali, da quelle norme e da quei modelli che garantiscono la coesistenza non distruttiva di una pluralità di centri. Si potrebbe dire che il centro della società complessa è un «meta-centro» che tesse insieme i vari centri che sono presenti in essa in un tessuto sociale unitario.
    Se esiste un centro nella società, vi è senz’altro anche una periferia, che è formata da tutte quelle persone che hanno una condivisione minore, parziale dei valori, delle norme, degli stili di vita e dei modelli del centro. Nel caso della società complessa, anche per la periferia occorre parlare di «meta-periferia».
    Una società equilibrata, vitale è quella in cui esiste una comunicazione dialogica, quindi bidirezionale, tra centro e periferia, in cui la comunicazione centro-periferia ha la funzione di dare stabilità al sistema sociale, mentre la comunicazione periferia-centro ha la funzione di trasformare, di innovare la società o il sistema culturale.
    La prima comunicazione, quella che dà stabilità e coesione, consiste nella diffusione del sistema di valori centrale verso la periferia; la seconda, quella che impedisce al sistema di morire di entropia, manifesta la capacità del sistema di veicolare i valori, gli antagonismi, le situazioni della periferia verso il centro. Questo consente alla società o al sistema quell’equilibrio che è necessario per cambiare senza tradire la propria identità.
    Nella società, anche se più raramente, è presente una terza comunicazione, che si manifesta con «l’arrivo dei barbari». Ciò accade quando il confine della società o del sistema culturale è attraversato da elementi culturali estranei.
    È questa la forma di cambiamento più radicale, perché trasforma il sistema culturale e sociale introducendo in esso l’elemento «forestiero». Infatti, la trasformazione radicale di una società si ha sempre solo per «imbarbarimento», non nell’accezione negativa del termine, ma solo nel senso che elementi esterni, stranieri, sono portati all’interno del sistema culturale della società. Questa terza comunicazione di solito è controllata quando esistono entrambe le comunicazioni interne della società. Se, invece, il sistema non è equilibrato e le comunicazioni centro-periferia e periferia-centro sono indebolite, l’impatto dell’elemento proveniente da fuori avviene in modo incontrollato.[3]

    Controllo sociale, non conformismo e devianza

    La comunicazione centro-periferia, in quanto tesa alla conservazione e alla stabilizzazione della società, svolge anche la funzione di controllo sociale, in quanto veicola le «reazioni formali e informali, coercitive o persuasive che sono previste e/o messe in atto nei confronti del comportamento individuale e collettivo, ritenuto deviante e dirette a stabilire e mantenere l’ordine sociale».[4]
    La comunicazione periferia/ centro, al contrario, è la funzione lungo la quale si manifesta il non conformismo, che va distinto dalla devianza vera e propria. Questo perché il comportamento non conformista caratterizza le persone e i gruppi sociali che non condividono i valori, le norme e gli stili di vita che costituiscono il centro della società, e che mettono in atto processi di contestazione e/o di cambiamento nei confronti di quest’ultimo.
    Si tratta di un’azione esplicita, alla luce del sole, che nelle società democratiche è tollerata. Al contrario la devianza avviene solitamente in modo occulto, e chi devia non si propone il cambiamento delle norme sociali che viola.
    Questo significa che nella società complessa abitare la periferia non vuol dire essere in una situazione di devianza, in quanto si può essere semplicemente non conformisti. Questo perché nell’attuale società il comportamento non conformista è in qualche modo ammesso come una delle vie per il conseguimento dell’identità personale.
    La socializzazione e l’educazione possono perciò avere tra i loro esiti anche quello del comportamento non conformista, così come il fallimento attraverso il comportamento deviante.
    La distinzione tra il comportamento non conformista e quello deviante, non è data solo dal comportamento in sé, ma anche dalla reazione della società, degli altri al comportamento stesso. Questo significa che in una società un comportamento può essere valutato come non conformista e in un’altra società come deviante.
    Questo modo di concepire la definizione della devianza è un prodotto dei modelli interazionisti-fenomenologici di approccio alla socializzazione, sviluppato in modo particolare da Becker, il quale afferma:
    La devianza non è una semplice qualità presente in certi tipi di comportamento e assente in altri, ma è piuttosto il prodotto di un processo che implica le reazioni di altre persone ad un determinato comportamento. Lo stesso comportamento può essere un’infrazione se è commesso in un certo momento e non in un altro, da una certa persona o da un’altra, certe norme sono infrante con impunità altre no. In breve se un dato atto è deviante dipende in parte dalla natura dell’atto stesso e in parte dalla reazione delle altre persone.[5]
    Questo significa che la devianza è creata dalla reazione delle persone nei confronti di tipi particolari di comportamento e, quindi, dall’etichettamento di questi comportamenti come devianti. Becker ricorda anche che questo processo di etichettamento spesso non è universalmente accettato, ma è fatto oggetto di disaccordi e conflitti che fanno parte del processo politico della società.
    Nella cultura sociale italiana contemporanea molti fenomeni di devianza che vedono protagonisti adolescenti e giovani sono definiti «disagio giovanile». Si tratta di una definizione meno chiara e precisa di quella di devianza, perché tende a riunire nella stessa classe sia fenomeni di vera e propria devianza che forme di sofferenza esistenziale più o meno grave che affliggono alcuni adolescenti e giovani.
    Ma su questo con maggior ampiezza nel prossimo articolo.


    NOTE

    [1] E. Morin, Il metodo. Ordine, disordine, organizzazione, Feltrinelli, Milano, 1987, p. 53.
    [2] E. Shils, Centro e periferia. Elementi di microsociologia, Morcelliana, Brescia, 1984.
    [3] Lotman J. M., Semiosfera, Marsilio, Venezia, 1985.
    [4] Cesareo V., Socializzazione e controllo sociale, Franco Angeli, Milano, 1974, p. 189.
    [5] Becker H.S. , Outsiders, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1987, p. 25.


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