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    L’insidia della magia


     

    A tu per tu con Dio /9

    Paolo Zini

    (NPG 2010-09-03)

    Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n’avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei.

    Le parole rivolte dalla Natura all’Islandese sono scarnificanti: in esse il pessimismo leopardiano sembra compiacersi della propria crudezza e godere della disperazione che diffonde. In queste espressioni affiora una ben precisa immagine del mondo, come frutto e palcoscenico di eventi privi di ragione. Leopardi dà voce all’animo umano che, nonostante sia provocato a riconoscere il senso di sé e del cosmo, è spesso tentato di comprendersi e comprendere il mondo a partire soltanto dai fenomeni più problematici e negativi dell’esistere. Quando l’uomo guarda esclusivamente alle situazioni nelle quali il suo vivere è provato dalla fatica e dal dolore, allora prende corpo in lui l’ipotesi che il mondo sia privo di senso e non venga da un progetto buono e libero di Dio. L’ombra inquietante di un’origine anonima e casuale di tutto ciò che è diventa così una tentazione che disorienta e scuote la coscienza nella sua fisionomia religiosa. L’ambiguità del cosmo, anche quando non conduce l’uomo al pessimismo leopardiano crudo e radicale, ha comunque il potere di inquinare la relazione del soggetto con il senso di sé e del mondo, dunque, in ultima analisi, ha il potere di minacciare il rapporto dell’uomo con Dio. A ben guardare la minaccia non viene solo dall’ambiguità del cosmo, piuttosto vi concorrono la fragilità della coscienza umana e la fatica della libertà: l’uomo ferito dalla vita, per un verso è sospinto suo malgrado verso una identifica zione del principio del mondo nei termini di forza anonima, per un altro verso vede in questa identificazione un’alternativa all’arduo compito della libertà. Il rapporto di una libertà adulta al senso del cosmo e al Nome di Dio non è semplice: proprio per l’ambivalenza del cosmo e per la sua relazione con la libertà di Dio. Elaborato però fuori dalle esigenze della libertà, il rapporto con il senso del mondo e delle sue ambivalenze minaccia la dignità umana ed offende il Nome di Dio, sebbene spesso appaia rassicurante per la coscienza. Quando risentimento e rassegnazione producono un’identificazione del principio del mondo nei termini di forza cieca e anonima, o egoista e vendicativa, l’uomo è tentato dalla magia, pericolosa e diffusa caricatura della religione. In realtà, l’incompatibilità tra religione e magia è radicale: se nella religione l’uomo riconosce in Dio il principio del proprio essere e dell’essere del mondo e ne rispetta la libertà e l’intangibilità radicale, nella magia l’uomo cerca, con esiti fallimentari, di disporre di forze che lo superano. La volontà di disporre della trascendenza può però soltanto manifestare la falsa figura di Assoluto cui si rivolge il comportamento magico: una figura ridotta all’immanenza delle intenzioni del soggetto e priva di libertà. I tentativi tanto di ridimensionare che di strumentalizzare la trascendenza, mostrano chiaramente l’immaturità della libertà umana e la sua incapacità ad elaborare la sfida dell’esistere, nella relazione sempre drammatica tra l’ambivalenza della storia e il principio del mondo. Il comportamento magico è allora una vera e propria patologia dell’esperienza religiosa, patologia cui è particolarmente esposta la coscienza non formata all’intangibilità del Nome di Dio; ma anche patologia che esprime la difficoltà dell’uomo a vivere una libertà adulta e capace di relazione autentica con l’altrui libertà. Al fondo della china cui l’atteggiamento magico conduce si trovano la morte della libertà umana e la bestemmia del Nome di Dio, cancellato dentro una riduzione che non lo distingue da una forza senza volto o da un idolo senza dignità ed affidabilità. La riflessione sulla tentazione magica è allora urgente per la maturazione della coscienza religiosa; ma è necessaria anche per rendere il credente consapevole di quanto la relazione con Dio sia essenziale ad una vera crescita della sua umanità. La fede autentica è infatti scuola di libertà: in essa l’uomo non solo si trova di fronte alla libertà di Dio, ma impara a vivere le esigenze più radicali della propria dignità.

    L’attrazione fatale di un’esperienza senza libertà

    Il rapporto della tentazione 4 magica con il desiderio della coscienza umana di vivere in pienezza il suo legame con Dio fa davvero pensare. Sembra che l’uomo di fronte alle esigenze del rapporto con Dio avverta tutta la propria piccolezza e tema di essere tratto oltre se stesso verso una piena maturità, proprio dal legame di fede. In tutte le relazioni della vita la sfida della libertà è esaltante e impegnativa: per questo l’uomo la raccoglie sempre tra qualche ambiguità; vorrebbe i benefici di un incontro con gli altri all’insegna della libertà, intuendo che questa sola è la via per autentici legami, per la costruzione di una storia di relazioni, per l’incontro con il mistero delle altrui identità. Ma la scommessa della libertà è pure ardua: costringe l’uomo al rispetto rigoroso dell’altro e della sua intangibilità, per questo esige una notevole maturità. Di qui le scorciatoie, facili a percorrersi nelle relazioni tra persone, dove la sfida della libertà è impegnativa; ma ancora più frequenti nella relazione con Dio, dove la libertà dell’uomo si incontra con il principio di ogni libertà, e annoda un legame da vertigine. Le malattie della libertà sono particolarmente pericolose, perché colpiscono l’uomo là dove decide il senso ultimo di sé, riconoscendo il senso ultimo del mondo. Nella vita di ogni uomo la libertà si presenta così, come orizzonte nel quale l’uomo è alle prese con il senso complessivo del proprio esistere; ma questo senso viene deciso attraverso la dedizione di vita, che a sua volta dichiara quale valore ultimo è stato riconosciuto dall’uomo come meritevole l’investimento della propria libertà. Se la libertà è malata, diventa non credibile la forma della sua dedizione e non credibile il senso del mondo che essa decide di servire. Nella relazione religiosa il soggetto si può liberare dall’angustia dell’orizzonte mondano e riconoscere la radice ultramondana del senso del mondo: se la relazione guadagna progressivamente maturità, l’uomo confessa la premessa generosa e libera alla quale si deve l’essere delle cose e di ogni libertà finita. Proprio il legame con tale premessa trascendente, mentre assicura al credente la propria dignità, chiede che il senso del mondo sia riconosciuto nella promozione della dignità di ogni cosa. A questo riconoscimento del senso del mondo l’uomo è però chiamato nella libertà; se così non fosse, la libertà dell’uomo sarebbe soltanto apparente. Ma proprio l’essere consegnato a se stesso e alle proprie decisioni, e l’abitare un mondo nel quale generosità e meschineria, abbondanza e indigenza, fortune e avversità si intrecciano, suggeriscono sovente all’uomo di abdicare alla propria libertà e di misconoscere la libertà generosa posta alla radice del mondo. Nella perversione di questo abdicare e misconoscere l’uomo può decidersi per una provenienza e un destino insensati e maligni del mondo, concorrendo alla rovina propria, del cosmo e degli altri. Sorge così la possibilità di un esercizio cattivo della libertà, che vorrebbe trovare le proprie ragioni nell’arbitrio e nella sopraffazione, indicati come primi, veri ed ultimi dinamismi del mondo. Di qui la china di una libertà pervertita, che si consegna al non senso, contraddicendosi nell’egoismo, sempre settario, manipolatorio e fanaticamente disperato. Non sono rari i frangenti in cui questa perversione della libertà cerchi giustificazioni religiose, come pure accade che la difesa strenua di apparenti ragioni religiose si consacri ad un esercizio perverso della libertà. Di nuovo diviene urgente il discernimento, perché l’abbaglio di simili condotte incontri la riprovazione e il rifiuto di una coscienza religiosa libera e vigile.

    Le controfigure pseudoreligiose della libertà

    Vanno dunque riconosciute nella loro radicalità le differenze che distinguono la relazione con Dio annodata nella libertà e nel riconoscimento del senso buono del mondo, dalla relazione con idoli che vorrebbero legittimare inganno e prevaricazione come verità del cosmo e della storia. La coscienza religiosa ha bisogno di un vigile discernimento, per sottrarsi alla seduzione equivoca delle perversioni magiche; per questo la riflessione sulle forme pseudoreligiose dell’egoismo, del settarismo, della manipolazione e del fanatismo disperato è imprescindibile. Anzitutto l’egoismo: la relazione con Dio costituisce l’antidoto fondamentale alla tentazione egoistica della coscienza umana, tentazione incrementata dalla durezza del vivere e dalle evenienze storiche e mondane nelle quali la prevaricazione egoistica sembra accompagnata dal successo, proprio mentre gli atteggiamenti altruistici sembrano condannati al fallimento. È innegabile però che la fede può essere segnata essa stessa da forme raffinate di egoismo, che cercano, attraverso un rapporto servile con Dio, di conseguire benefici storici o ultrastorici. La contraddizione di tale condotta va però riconosciuta e denunciata: non può essere proferito per ragioni di interesse il Nome che, fuori da ogni interesse, assegna consistenza al mondo e a ciascuno dei volti che lo popolano. La coscienza credente, capace di libertà adulta, riconosce la generosità senza pentimento posta all’origine del cosmo anche laddove nella storia sembra regnare la prevaricazione; pure in questi frangenti drammatici è la fecondità del dono ad avere vero futuro, segno evidente di coerenza con quella generosità d’origine. Nulla di tutto questo sarebbe rintracciabile nell’egoismo. Anche il settarismo rivela la propria ambiguità in riferimento alla religione, che ne patisce la seduzione ma al tempo stesso mostra d’essere la relazione che ne può scongiurare il pericolo. Nessun vincolo dell’uomo con l’Assoluto può giustificare il settarismo: il Nome di Dio non può prescrivere intolleranza o separazione, essendo principio di ogni volto. Dietro il settarismo si nasconde una identificazione magica con segni superficiali ed esteriori che vorrebbero consolidare un legame tra credenti e tra i credenti e Dio fuori dall’impegno di una conoscenza reciproca e di una dedizione di vita. Ma un legame annodato su base settaria, se tradisce le esigenze della relazione tra persone, massimamente tradisce quelle dell’incontro con Dio; questo incontro che, in origine, è reso possibile dalla decisione di Dio di chiamare all’essere l’uomo, non può vivere fuori dall’impegno dell’uomo per l’intimità e la verità del suo incontro con Dio. L’atteggiamento manipolatorio è pure estraneo alla maturità della libertà; il mistero della persona vive nella immediatezza corporea, nella visibilità di gesti nei quali si afferma la libertà, e, soprattutto, nell’intimità dell’animo. Ma l’uomo può agire comportamenti falsi, nei quali l’intenzione non è coerente con la forma dei suoi gesti. Nei rapporti umani come nella relazione con Dio l’incoerenza tra gesto e disposizione dell’animo diventa ingannevole e accarezza l’illusione di illudere l’altro. La relazione con Dio, nella sua severità, chiede al credente pienezza di dedizione e verità d’intenzione nei gesti religiosi; fuori dalla verità d’intenzione e dalla pienezza di dedizione il gesto religioso è blasfemo nei confronti di Dio, e regressivo per il credente. Questa verità e questa pienezza sono apprese dal credente come essenziali nelle relazioni interpersonali, ma proprio in tali relazioni sono anche esposte all’equivoco, fino a disperare della stessa possibilità di incontri e legami umani autentici e veri; di qui la disperazione insidia il rapporto con Dio, riducendolo ad una finzione cui il credente stesso non crede. Di nuovo, però, il discernimento della coscienza consente di smascherare l’inganno e di riconoscere in ogni comportamento manipolatorio la mancanza di libertà e la morte dell’esperienza religiosa. Pure il fanatismo, che riflette un rapporto disperato della libertà alla verità, può conoscere nella relazione religiosa il suo rimedio, o una particolare recrudescenza. La relazione con Dio è il rapporto con la pienezza della verità; ma proprio in questo rapporto il credente è formato alla distanza tra la sua capacità di accoglienza della verità e l’intero della verità. Inoltre, la religione è il luogo dove l’uomo riconosce nella verità un dono per la libertà, un dono che ha per protagonista l’intenzione rivelativa di Dio, dispiegata nell’essere e nella verità del cosmo e della libertà. Il fanatismo consuma la relazione tra verità e libertà: da un lato, nega alla libertà la dignità di destinataria della manifestazione della verità e, dall’altro, nega alla verità il profilo persuasivo che la rende degna della libertà. Ancora una volta però la coscienza del credente è in grado di riconoscere la radicale falsità del fanatismo, che, mentre dice di servire la verità, ne produce una caricatura, affermando soltanto se stesso.

    Oltre la magia

    Quando la relazione religiosa è annodata nel rispetto dell’intangibilità di Dio e della libertà richiesta al credente, essa sviluppa tutto il proprio valore formativo. La religione è autentica quando è vissuta come rapporto con la verità ultima del mondo, che si rende accessibile nella sua manifestazione; e la verità accessibile all’intelligenza e al cuore dell’uomo è proprio quella di un mondo che riflette un’iniziativa gratuita di Dio a favore dell’essere delle cose. Questa iniziativa si produce sempre nell’assegnazione di un’identità, custodia di un mistero che accende la storia. La relazione con Dio è dunque l’orizzonte nel quale l’uomo scopre il senso radicale della propria identità; una identità chiamata a diventare storia attraverso la promozione e il riconoscimento assicuratole dalle relazioni con l’essere degli altri e del mondo. Il legame con Dio, Origine della propria e dell’altrui identità, non può vivere fuori dalla libertà; anche la libertà infatti ha Dio per Origine ed è condizione essenziale di realizzazione dell’identità personale, chiamata all’essere da Dio perché abbia storia. L’uomo religioso è così riportato alla severità del proprio compito: l’incontro con l’Origine della propria identità; la realizzazione della propria storia in conformità a tale Origine e secondo libertà; l’accoglienza della verità degli altri e del mondo come mediazione che sostiene l’esercizio della libertà e l’accesso alla propria identità. Qui l’uomo intuisce che la verità dell’esperienza religiosa non può essere estranea alla logica dell’amore, piuttosto si segnala come luogo nel quale alla logica e alle esigenze dell’amore l’uomo può essere formato. È proprio dell’amore esigere la verità dei gesti dell’uomo, la coerenza dell’intenzione con l’esteriorità della loro forma, e il rispetto radicale per il mondo e per gli altri, come destinatari dell’iniziativa generosa e gratuita di Dio.

    Dunque?

    La relazione religiosa non è al riparo da rischi e perversioni. Se l’essere annodata tra l’uomo e Dio la liberasse da ogni rischio, non sarebbe una relazione umanamente credibile. La relazione religiosa è esposta a pericoli tanto di carattere soggettivo che oggettivo, e i due pericoli sono intrecciati: le malattie della libertà producono un’identificazione problematica del volto di Dio e l’identificazione problematica del volto di Dio tende a legittimare le patologie della libertà. Quando Dio si riduce ad un idolo stretto dalle mani di un uomo 8 incapace di vivere in pienezza la propria libertà, allora la religione conosce le sue peggiori adulterazioni. Queste adulterazioni sono di fatto espressioni diverse della tentazione magica, con il suo egoismo di fondo, la sua ossessione manipolatoria nei confronti degli altri e di Dio, con la sua deriva settaria e il suo delirio intollerante e fanatico. Allora il comportamento religioso anziché confermare l’incontro con la generosità posta in radice del mondo diviene la bandiera di una chiusura ostinata su interessi meschini. Al contrario, il rapporto con Dio stretto nella libertà conduce l’uomo a riconoscere l’amore come verità del cosmo; un cosmo chiamato all’essere dalla generosità dell’Origine. Solo testimoniando questa generosità come senso del mondo, il credente rende credibile il compimento della propria libertà.


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