Generare i giovani alla vita interiore: un’impresa ancora possibile
Carmelina Labruzzo *
(NPG 2017-01-56)
L’incontro con i giovani è facile, non servono proposte costruite, basta avere la volontà di “uscire”, alla Papa Francesco, ed ecco aprirsi infinite possibilità.
Si incrociano gli sguardi, si cerca di andare in profondità, approfittando di una passeggiata, di una serata insieme, di una pausa merenda... momenti informali che nascondono la possibilità di condividere un pezzetto di vita, di intercettare le domande, di intravedere i sogni, le delusioni, le aspettative.
In tutti è presente l’impellente domanda di felicità, tutti cercano più o meno dichiaratamente questa mèta... è una ricerca presente nel dna di ciascuno di noi. Come raggiungerla?
C’è tanto nella vita dei giovani che incontro: lo studio, il lavoro, i progetti, le passioni, le esperienze, la ricerca di un posto in cui stare bene e sentirsi a proprio agio.
Ci sono tante persone nella loro vita: la famiglia più o meno presente, gli amici, i colleghi.
Eppure qualcosa manca... manca il silenzio, manca un tempo dedicato al guardarsi dentro, spesso manca qualcuno che prenda per mano e conduca con delicatezza verso la riscoperta della propria spiritualità.
Il silenzio è una dimensione da cercare con forza oggi. Tutto ci consiglia il contrario: dal benzinaio l’emittente radiofonica manda musica a tutto volume; persino le nostre liturgie non valorizzano più questa dimensione, riempiendo i vuoti con parole che non sono la Parola e con gesti che non lasciano più spazio vitale ai germogli che lo Spirito ci dona.
Il tempo non basta mai: il “mi piacerebbe, ma non ho tempo” è la frase più presente sulle loro labbra e, per essere sinceri, sulle labbra di tutti.
Le persone disponibili a prendersi cura dei cammini dei più giovani iniziano paurosamente a scarseggiare: il turn over altissimo degli educatori e la difficoltà a trovare ogni anno disponibilità per il servizio e l’avventura educativa sono indicatori potenti che spaventano.
Qualche anno fa gli SugarFree, gruppo rock italiano, hanno scritto una canzone interessante, che fa percepire il senso di vuoto, la ricerca di una presenza, il bisogno di pienezza:
Non ho più te e quel che c’è è un niente che mi pervade..
Non ho più te di fronte a me c’è una strada da riasfaltare.
E solitudini viaggiano, si scontrano nel mio cervello.
Non ho più te e quel che c’è è un uomo da riabilitare...
E sono spento e muoio dentro se solo avessi una briciola di te.
Per quel che mangio, per quel che voglio, mi sazieresti con un po’ di te.
Non chiedo altro, non chiedo tanto, solo una briciola di te[1].
Quel te minuscolo sembra tanto un Te maiuscolo...
Sì: ci basterebbe una briciola di Te, buono come il Pane, vitale come l’aria, per ritrovare noi stessi. Ci basterebbe farTi posto dentro le nostre giornate per riscoprire la consapevolezza di non essere soli e per ridare senso e slancio al nostro fare.
Trovare un filo rosso
I nostri giovani sono capaci di grandi esperienze, di slanci generosi, di progetti appassionati.
Barbara parte per aiutare in Nepal le popolazioni messe in ginocchio dall’ultimo terremoto; Gloria progetta una casa per adolescenti disabili, Tommaso anima un gruppo di giovani per esperienze missionarie in Congo, Michele va tutti i giorni alla mensa Caritas dopo la mattina dedicata al lavoro, Stefania concilia lavoro, studio e volontariato con le famiglie di prossimità...
Queste esperienze, le mille attività quotidiane dei nostri giovani sono tutte perle, perle uniche e rare, perle preziose, ma.... chi le tiene insieme? Dove portano? Quale tensione nascondono? Da quale benzina sono alimentate?
Eppure un filo rosso che unisca le perle in un’unica collana di inestimabile valore, che è la vita, c’è ed è a portata di mano...
Questo filo rosso è celato nel cuore di ogni persona: nessuno lo può rubare, nessuno lo può trovare se non la persona a cui appartiene da sempre.
Trovare questo filo rosso, inanellare le perle, significa curare la propria interiorità, la propria relazione con il Signore, per accettare e abitare l’inevitabile fragilità della vita.
L’essenziale è invisibile agli occhi
Non è scontato riprendere in mano e abitare la propria interiorità, la relazione con il Signore. Viviamo nel mondo delle immagini, abbiamo bisogno di vedere, toccare, gustare, sentire con i nostri organi di senso. Un certo Tommaso rende benissimo l’idea: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”[2]. Dobbiamo ridare in mano ai nostri giovani le chiavi per un mondo fatto di presenze non visibili, non “toccabili” con mano. È arrivato il momento in cui non possiamo sottrarci a un’azione tipicamente materna: il generare.
Giovani generazioni... generate da chi?
Generare i nostri giovani alla vita interiore non può più essere un compito lasciato alla famiglia. Dall’adolescenza in avanti entrano in scena altri attori, altri co-protagonisti della vicenda educativa dei ragazzi. Sono i giovani stessi a scegliere nuovi punti di riferimento: non possiamo permetterci delle assenze, il must è esserci.
Quando la famiglia “esaurisce” il suo compito... arrivano gli educatori! Come dire che quando il gioco si fa duro i duri iniziano a giocare. In realtà la famiglia non esaurisce mai il suo compito educativo e di testimone, ma cambia la “scena” di azione.
Nel ritratto dell’educatore che Papa Francesco ci offre nell’Evangelii Gaudium c’è un aspetto importantissimo, che ogni educatore deve custodire e far crescere dentro di sé: diventare accompagnatore spirituale dei suoi ragazzi.
(...) un valido accompagnatore (…) invita sempre a volersi curare, a rialzarsi, ad abbracciare la croce, a lasciare tutto, a uscire sempre di nuovo per annunciare il Vangelo. La personale esperienza di lasciarsi accompagnare e curare, riuscendo sempre a esprimere con piena sincerità la nostra vita davanti a chi ci accompagna, ci insegna a essere pazienti e comprensivi con gli altri e ci mette in grado di trovare i modi per risvegliarne la fiducia, l'apertura e la disposizione a crescere[3].
Nel cammino di fede, che è il cammino della vita di ciascuno di noi, è estremamente decisivo farsi accompagnare e, allo stesso tempo, diventare accompagnatori, per una sorta di restituzione grata e generosa, per rispondere a una chiamata ben precisa.
Non ci si improvvisa accompagnatori: tra le mani si custodiscono i bivi, gli incroci fondamentali della vita di chi ci sta accanto. Si tratta di un grande onore e di una enorme responsabilità.
Quindi la Chiesa dovrà iniziare i suoi membri (sacerdoti, religiosi e laici) a questa “arte dell’accompagnamento”, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro. Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana[4].
Si sperimenta così la bellezza e la tenerezza di generare alla fede.
Nessun uomo è un’isola...
Il cammino associativo e l’accompagnamento spirituale fanno la differenza.
In associazione (Azione Cattolica, Agesci) si sperimenta la bellezza di un’avventura non solitaria: il cammino condiviso con educatori e gruppo dà la possibilità di gustare la Chiesa come famiglia in cui si è accolti, custoditi, sognati, presi per mano per imparare a spiccare il volo e prendere in mano la propria vita da adulti nella fede. Penso agli incontri, ai piccoli cenacoli presenti in tutta Italia nelle parrocchie, alle proposte di giornate di spiritualità, ai campi estivi e invernali, agli esercizi spirituali: tutte occasioni uniche per incontrare, suscitare domande, trovare insieme tentativi di risposta, proporre l’incontro con il Signore della vita e della storia.
L’accompagnamento spirituale richiede coraggio e fatica. Ci si affida a una persona (sacerdote, religioso, laico), ci si mette a nudo, si svelano le parti più insopportabili, si rivelano i sogni più segreti, in poche parole: si apre la porta del cuore. Tutto questo per fare spazio alla presenza del Signore, per ascoltare la Sua voce, per prendere in mano la propria libertà e darle una direzione.
Penso sia questa oggi la chiave di volta: generare accompagnatori adulti nella fede per generare le giovani generazioni alla fede.
I Consigli pastorali diocesani e parrocchiali, gli operatori pastorali tutti dovrebbero necessariamente convogliare energie e creatività in questa impresa, perché qui ci giochiamo il futuro della nostra Chiesa e delle nostre città.
Impresa non facile, ma possibile, appassionante e cruciale.
* Presidente diocesana Azione Cattolica Cesena-Sarsina; Educatrice professionale.
NOTE
[1] Briciola di te, Sugarfree, 2005 singolo.
[2] Gv 20,25.
[3] Papa Francesco, Evangelii Gaudium, n.172.
[4] Ivi, n. 169.