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    Dire Dio ai giovani?



    In margine a un recente convegno

    Intervista a Cesare Bissoli

    (NPG 2010-02-40)


    Domanda
    . È appena terminato il convegno «Dio oggi» di notevole spessore teologico e con grande risonanza mediatica anche internazionale.

    Esso è frutto di un cammino e di una progettualità della chiesa italiana degli ultimi anni.
    Quale è questa progettualità e come tale convegno – con le sue tematiche – si colloca?

    Risposta. Alle spalle di convegni come questi ci sta una organizzazione di idee e di pratiche che è indispensabile cogliere. Si chiama «progetto culturale orientato in senso cristiano». È la forma pubblica data alla visione cristiana della vita e della società a partire dagli anni ’90, e tale forma è intesa come intreccio esplicitamente perseguito tra l’annuncio evangelico e la mediazione culturale nella situazione italiana di oggi.
    Il che vuol dire un contesto religiosamente secolarizzato, che si stende fra una ancora estesa «fede popolare» e spinte agnostiche dal mondo della cultura, specie di ordine antropologico, eticamente soggettivistiche e superficializzate da uno stile consumistico di vita, propense a una concezione funzionalista e orizzontalista della fede (religione civile), eppure non indifferenti alla proposta cristiana, magari in termini dialettici, ma anche come offerta originale di senso.
    Il tessitore acuto, paziente, coraggioso e anche provocante è una testa pensante di un vero credente, il Card. Camillo Ruini che ha dato corpo alla sua intuizione, fatta propria dalla CEI, attraverso l’organismo articolato a raggio nazionale che porta appunto il nome di Progetto culturale orientato in senso cristiano.
    Chiaramente questo confronto cercato tra mondo della fede e mondo altro, ha portato e porta con sé delle connotazioni sociali e incidenza politica, proprio di chi intende superare il senso di un accerchiamento emarginante del Vangelo e della Chiesa che lo annuncia, e insieme dare una visibilità a questo attraverso non predicazioni dogmatiche, ma nella forma di invito al confronto e al dialogo, tutto in vista della promozione integrale della persona.
    Quindi per sé il «progetto culturale» non è un progetto di evangelizzazione, ma di dialogo tra fede e cultura come fattore necessario per un vangelo incarnato.
    Da questa lunga premessa si ricavano gli obiettivi del Convegno (che è il primo, e non l’ultimo, ha assicurato il Card. Ruini):
    – dire Dio in pubblico oggi, senza complessi né di vergogna né di vittoria, con la serietà e responsabilità di trattarne come «cosa comune», senza farsene uno strumento di affermazione da parte della Chiesa;
    – nella logica di quest’ottica liberante si pone il secondo obiettivo che è centrale: riflettere, tra i cattolici prima, e poi con tutto il pubblico (il Convegno era aperto a tutti e gratuitamente), a portata internazionale (erano presenti relatori non italiani), su una tema-realtà di assoluta – pur ipotetica – pregnanza, Dio appunto, pregnanza bene espressa dal sottotitolo che per me è la chiave più azzeccata del Convegno e dei suoi fini: «Con Lui o senza di Lui tutto cambia». È una sorta di appello provocatore a cui porta l’argomento nella sensibilità attuale: una sorta di scommessa pascaliana;
    – come terzo obiettivo, nella scia dei primi due, si è intesa la presentazione di un cattolicesimo aperto, di cattolici cioè che affrontano tematiche come questa da ogni punto di vista (sono le diverse aree del Convegno) e le affrontano non contro, ma con ogni altra persona. Si potrebbe dire una realizzazione di quell’«atrio dei gentili» da costruire nella Chiesa cui Benedetto XVI ha fatto invito parlando alla Curia romana nel Natale scorso.
    Il riferimento esplicito a Papa Benedetto porta a dire che il Convegno, e dunque prima il Progetto culturale, si è posto nella scia e nella logica di pensiero del Papa: Dio come una realtà che vuole il bene dell’uomo senza umiliarlo. Benedetto XVI nella lettera di saluto ha riconosciuto in pieno il valore dell’iniziativa.

    Una nuova apologetica?

    Domanda. «Dio oggi» ha certamente il suo fascino e la sua attualità sempre. Ma perché questo tema oggi?
    A quali domande voleva rispondere?
    Sembra che queste tematiche di nuova apologetica (cf anche la «Lettera ai cercatori di Dio») siano particolarmente avvertite...

    Risposta. È molteplice la ragione della scelta del tema. In fase di nuova evangelizzazione si poteva pensare che l’annuncio di Gesù Cristo fosse più pertinente e necessario nell’Italia di oggi. In verità la risposta è in relazione agli obiettivi detti sopra, cui vanno aggiunti le sensibilità e interessi dei partecipanti. Sicché il perché del tema e le domande cui voleva rispondere includono una varietà dei punti di vista, che non si escludono ma devono organizzarsi secondo gli obiettivi.
    Dal punto di vista del Progetto culturale le parole del Card.Ruini sono chiare nel libretto-guida: «L’Evento internazionale oggi, in programma a Roma per il 10-12 dicembre, non è esclusivamente teologico, bensì decisamente interdisciplinare», per «un approccio globale ma non generico», dove si connettono in contemporanea tre intenti: «proporre, nel contesto di oggi, il Dio di Gesù Cristo», non quindi un vago deismo; interpellando per questo tutti i saperi dell’uomo «in cui se si è concretizzato storicamente il rapporto dell’uomo con Dio» (filosofia, arte, vita, cultura, religioni, storia e politica, scienze umane e fisiche); non dimenticando che «il discorso deve affrontare in maniera diretta, superando i veti presenti nella nostra cultura, la questione della realtà di questo Dio». Si è svolto dal vivo un capitolo di teologia fondamentale o di fondamento di ogni teologia, in una forma paradigmatica valida per ogni tematica della fede.
    Certamente per una visione di fede totale si tratta di fare il passaggio da tante parole su Dio o di ricerca di Dio, a Dio che parla all’uomo e si pone in ricerca dell’uomo. Sotto traccia vi era questa istanza che compete alla fede, ma non è stata svolta.
    Credo che un cattolico fervente ha avuto beneficio del Con­vegno, dando all’idea di Dio di cui dispone nella fede un’ampiezza, modernità, attualità che non paiono comparire nella nostra catechesi e predicazione quando parliamo di Dio.
    Vi è infatti un proporre la verità di Dio che non entra nell’humanum se non come costrizione e sanzione. Come superare tale gap? La cultura dell’uomo d’oggi è insanabilmente contraria? Si può vivere nel terzo millennio e credere alla risurrezione di Cristo, all’esistenza di Dio? Quale umanesimo propone la visione ebraico-cristiana nei successi e tormenti dell’uomo di oggi?
    Credo che sono domande come queste che favoriscono temi come quello trattato.
    Teoreticamente la tecnicità del discorso poteva interessare persone di cultura alta (che di fatto erano presenti); di fatto le indicazioni offerte erano capaci di attrarre tantissimi (bastava vedere l’afflusso e la partecipazione attenta su questioni non facili, anche linguisticamente). La Lettera ai cercatori di Dio si pone su questo solco dotto e popolare.

    Vie per i cercatori di Dio

    Domanda. Quali risposte ha dato il convegno o quali vie ha additato ai cercatori e ai non cercatori di Dio?

    Risposta. Diverse cose che ho già detto sono risposta anche a questa domanda.
    Le voglio radunare in questo modo.
    * Il Convegno ha messo in evidenza la sensatezza del discorso su Dio, che non è affatto banale né marginale né marginalizzabile, e più ampiamente attesta la validità umana dell’attenzione alla componente religiosa.
    In fondo una incisiva dimostrazione di ciò è stato l’invito e la presenza di pensatori di vaglia, anche non credenti, come Cacciari, Galli della Loggia, Natoli, Severino.
    * Ha indicato i tanti e svariati nodi cui si va incontro con tale discorso; fa capire che la ricerca su Dio non ha mai fine; che tante domande, difficoltà, dubbi sono di casa nello stesso credente; che la ricerca ha un continuo spazio di riflessione sotto tutti i cieli e lungo tutte le stagioni della vita (specie nell’età giovanile e matura) e delle culture; coinvolge le grandi aree del sapere e insieme si può estendere su tematiche emergenti più significative;[1] espone ad un’apertura immane sulla realtà (trascendenza, mistero); porta a conclusione positiva la ricerca di tanti, convalidando il loro «desiderio di ciò che è il Puro e il Grande, anche se Dio rimane il ‘Dio ignoto’» (At 17,23) (Benedetto XVI) e naturalmente mostrando la positività degli esiti per quanti hanno fatto la scelta della fede nella visione cristiana di Dio.
    * Ha mostrato la necessità di purificare i concetti, le pre-comprensioni che sono sovente stereotipi, e le superficialità nel trattare il tema Dio (e non sono mancate critiche verso la condotta dei credenti); di restare aperti alla totalità dei saperi (il Convegno ci ha mostrato uno spettro tendenzialmente totale), riconoscendo che Dio non appartiene alla sola teologia, anche se solo con la teologia il discorso ha una sistemazione ragionevole; e dunque di accettare un tragitto faticoso di ricerca e insieme richiamando ad essere onesti di fronte alla verità fondata dei saperi, di ammettere cioè i limiti umani del consenso su Dio, ma anche del rifiuto di Dio smontando coperture ideologiche…
    Si è detto che l’argomento Dio è in stato di continua sepoltura e risurrezione, di continuo ritrovamento. Ma va anche aggiunto che la sua verità è genuinamente colta, se si ­riconosce la sua consistenza di realtà oggettiva e si tiene aperta la porta ad una sua eventuale manifestazione.
    * Dal noto prof. Cacciari è giunto l’invito pressante a riconoscere che oggi non domina tanto l’ateismo militante, quanto l’ateismo pratico, di chi al motivo-chiave «Con Lui o senza Lui cambia tutto» sostituisce «Con Lui o senza Lui nulla cambia», tutto resta indifferente e irrilevante.
    * Infine contributo non piccolo del Con­vegno è di affermare il valore, anzi la necessità di credenti che pensano la fede cui aderiscono; come pure di incrementare la gioia del credente in un Dio così grande nei problemi che provoca e nelle soluzioni che propone, da cui sgorga l’invito a superare la frequentazione così scontata, fino alla banalizzazione, nel dire Dio, o al contrario la sua esclusione dal circuito della vita in quanto giudicato irrilevante e dis-onnipotente, anzi dis-interessato e dis-occupato nei confronti dell’uomo.

    I «giovani» cercatori

    Domanda. Tra questi cercatori o non cercatori di Dio ci sono certamente anche i giovani. Cosa può apprendere la PG – in ambito di metodo e di contenuti – da queste istanze apologetiche o comunque teologico-esistenziali?

    Risposta. Un dato tra i più appariscenti del Convegno è stata la presenza dei giovani (non adolescenti certamente). Lo ha rilevato in conclusione il Card. Ruini non solo come un fatto avvenuto, ma come una richiesta di attenzione per il futuro.
    Non ho avuto la possibilità di accertare la provenienza di questi giovani. Posso arguire – anche secondo pareri autorevoli raccolti in sala – per via di una presenza massiccia e ordinata, che fossero giovani appartenenti ai movimenti e seminaristi. Il che è anche comprensibile per la «debolezza» organizzativa delle comunità parrocchiali (a proposito di queste non si può dire che il Convegno sia stato rimarcato nel popolo di Dio, e nemmeno i mass-media nazionali vi hanno dato risonanza!).
    Anche per quanto riguarda gli adulti, è fondato pensare che fossero appartenenti ai circoli culturali in Italia che si riconoscono nel progetto culturale.
    È questo un fattore selettivo? Credo che questi tipi di persone fossero destinatari congrui a convegni come questi. Il che determina un ulteriore fattore da considerare nel trattare tematiche religiose.
    Tornando al mondo giovanile, ciò che si può ricavare per un profilo rinnovato di pastorale giovanile è insito in quanto fin qui detto, specie nella risposta circa le vie indicate per i cercatori o non cercatori di Dio. Stringendo ancora di più su specificazioni operative, viene da dire:
    * I giovani ci vogliono essere a incontri come questi. Non dico quanti, dico che l’elemento giovanile desidera, cerca, partecipa a tali tematiche.
    Ricordo, all’Auditorium di Roma, recentemente: vi era una tavola rotonda sulla figura di Gesù di Nazaret, con oratori come P. Flores d’Arcais, C. Augias, E. Scalfari, P. R. Cantalamessa. La sala (che contiene oltre mille partecipanti) era gremita, la maggior parte di giovani, dalle 11 del mattino alle 15 del pomeriggio, pagando un piccola quota di ingresso.
    * Certo vi è una condizione: che siano a tema «cose sostanziose» (è l’espressione conclusiva del Card. Ruini), svolte da competenti, in clima di dialogo anche inter-ideologico, rispettoso delle parti (non certo come in dialoghi – si fa per dire – alla TV), in maniera da toccare l’esistenza delle persone dentro la storia, riconoscendo le difficoltà, indicando i pro e i contro, rispettando le scelte; e – da parte del credente – mostrare lo spessore della sua verità su Dio in quanto evidenzia il contributo di Dio alla dignità e libertà dell’uomo. Qui Gesù può avere un ruolo forte in quanto proprio in forza della sua umanità ci apre con libera dedizione alla divinità di Dio.
    * Bisogna farsi capire, in senso espressivo, linguistico (dobbiamo ammettere che la riflessione filosofica era assai elevata per il taglio metafisico assunto), ma soprattutto perche la materia dei principi viene fatta sgorgare in certo modo dalle esperienze di vita e alle esperienze deve condurre: esperienze di umanità, ma anche esperienze di preghiera e di ascolto della Parola di Dio, di appartenenza alla comunità ecclesiale. Non è questo rapporto con l’esperienza la base genetica della Bibbia, degli stessi dogmi, del popolo di Dio?
    * Abbiamo accennato sopra alla forza coagulante e stimolante dei movimenti giovanili, e non.
    È d’altra parte importante andare oltre i movimenti, sia in senso materiale di portare giovani sciolti (ma credo sia difficile in numeri da stadio o da concerti musicali!), sia soprattutto per dare all’uditorio la percezione di una libertà e ricchezza di pensiero che tende ad allargare la visuale fatalmente costrittiva del gruppo di appartenenza.

    Una mia proposta

    Domanda. Dovesse affrontare il tema di Dio con i giovani, dal punto di vista culturale (come ad esempio nella scuola o con gruppi formativi-culturali), come lo proporrebbe?

    Risposta. Partirei non da Dio, ma dall’uomo, parlando di lui secondo la ricerca di noi uomini per giungere a parlare dell’uomo secondo la visione stessa di Dio e la sua ricerca dell’uomo.
    C’è chi insiste sul secondo momento: in linea più kerigmatica, si dice, perché può essere che il primo momento si chiuda in se stesso invece di dare a Dio – secondo la norma di un dialogo sincero – la parola che gli spetta e come gli spetta. Ma è anche vero che il secondo momento può restare chiuso in se stesso, generando la retorica delle affermazioni su un Dio che viene ad esistere davanti all’uomo in quanto viene affermato, e non in quanto diventa incarnato.
    Facciamola più semplice: accettiamo il circolo virtuoso con i due bracci detti sopra e moviamoci dall’uno o dall’altro ma facendo l’intero percorso.
    La domanda sopra si restringe su un preciso obiettivo: come affrontare il tema di Dio con i giovani, dal punto di vista culturale. E si citano la scuola e gruppi formativi-culturali.
    Ritengo che il punto di vista culturale è una permanente mediazione, richiesta anche – e soprattutto dove l’accoglienza della fede si fa obiettivo esplicito del discorso – con il suo carico di conseguenze. Cultura vuol dire ragione, quella ragione che la fede va cercando per dirsi genuinamente (fides quaerens intellectum).
    Entrerei subito in media res, rendendo visibile il tema, segnalandolo magari su un poster: «Uomo e Dio», aggiungendo il sottotitolo del Convegno: «Con Lui e senza di Lui tutto cambia». È un enunciato corretto e insieme provocante: da lì far partire la ricerca, creando insieme uno status quaestionis di pro e contro, prima raccogliendo il punto di vista dei giovani stessi e poi il punto di vista degli studiosi secondo i vari saperi. Da questi ultimi non si ricaverà nulla che sia dimostrativo dell’esistenza di Dio e nulla contro, ma semmai ci si libera da fondamentalismi di un tipo e di un altro, indicando in particolare l’inconsistenza di una posizione «scientifica» che sia per sua natura contraria a Dio, creando invece una sana pre-comprensione circa il metodo di procedere per cui l’approccio scientifico non è l’unico approccio alla totalità del reale, anche se ogni altro approccio non può contraddire i dati della ricerca scientifica.
    Tengo anche a dire che l’esplorazione realizzata sentendo i pareri dei giovani vale a due livelli: per mostrare stereotipi e superficialità, ma anche per cogliere come il tema sia percepito.
    Qui subentra il secondo passaggio. Dopo aver visto ciò che l’uomo dice di Dio, dobbiamo onestamente lasciare parlare Dio, nell’ipotesi che lo avesse fatto e lo facesse. Questo è un passaggio ineludibile per comprendere ragionevolmente che ultimamente di Dio solo Dio può parlare, dove dunque si richiede la lealtà dell’ascolto. Ciò avviene tramite testimoni credibili che Dio l’hanno ascoltato.
    Sarebbe il discorso delle religioni. In quella cristiana, connessa con l’ebraismo compare la figura di Gesù Cristo. Si innesta allora il procedimento culturale di ricerca su Gesù nella rivelazione biblica circa il suo dire Dio all’uomo, i segni, l’affidabilità, ecc. Ma non ci inoltriamo ulteriormente.
    Piuttosto ricordiamo alcuni fattori influenti che comportano il processo educativo indispensabile per trattare del tema:
    – avere il coraggio della purificazione dei propri schemi: con linguaggio cristiano si dice conversione;
    – accettare che il cammino sia dialettico, non risolvibile in una formula matematica: si riconosca che, razionalmente parlando, a Dio si addice il mistero come luce eccedente le nostre risorse, si ammetta il contrasto tra la visione cristiana e la (non) testimonianza dei credenti;
    – soprattutto si accetti una precompressione tanto virtuosa quanto logica, che raccolgo in quattro atteggiamenti:
    * amare che possa esser vero ciò che si cerca, tanto «l’oggetto Dio» è grande e bello (nella visione di Gesù);
    * ricordare che la visione di Dio secondo Gesù diventa un appello alla libertà per una decisione, in quanto non si può, dopo che si è «conosciuto» Dio, vivere come se non ci fosse, se non appunto tramite un atto di libertà, una opzione che è veramente fondamentale;
    * allora, se si accetta liberamente che Dio ci sia e sia, Dio da Oggetto diventa Soggetto a cui, in forza della sua trascendenza si perviene non con l’imposizione, ma l’invocazione: quella di avere il dono della fede;
    * da cui scaturisce il quarto atteggiamento: il desiderio di incontrare Dio e non solo di parlarne. Ancora una volta Gesù diventa la via fondamentale.
    Qui si apre il grande portale della vita a un Dio raggiunto secondo la fede tramite Gesù.
    Gesù diventa indispensabile per «salvare» Dio dalla «diceria immortale» (R. Spaemann), qui intesa come un parlane per sentito dire, superficialmente (diceria) e continuare a farlo (immortale), e dargli invece una presenza incarnata dicibile e bella, che è il volto stesso di Gesù («Chi vede me, vede il Padre»). Riconoscere alla realtà di Gesù di essere Dio fatto uomo, che ha la capacità di entrare a contatto con i saperi più raffinati, e porsi come una originale chiave interpretativa degna di Dio e dell’uomo, secondo quanto dice San Paolo nella lettera ai Colossesi.
    Fondamentale e previa è la buona relazione dell’animatore o catechista con i giovani. È semplicemente essenziale, come lo è stato per Gesù: ha reso credibile Dio nel suo stile di parlare con le persone a partire dagli ultimi, i poveri, i piccoli.

    NOTE

    [1] Ricordiamo che con le relazioni maggiori, il Convegno ha proposto degli stages in cui apparivano temi quali: Dio nel cinema e nella televisione, nella letteratura e nella poesia, in libreria, nella cultura e nella bellezza, nell’arte figurativa e nella musica di ieri e di oggi; Dio e le religioni; Dio e la violenza; Dio, creazione e/o evoluzione; Dio, la storia e la politica; Dio e le scienze.


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