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    Persona, comunità, cultura


    Giuseppe Morante

    (NPG 2008-01-11)


    Studiando la realtà interiore della persona nella sua identità e volendo schematizzare in una visione sintetica le sue funzioni, vengono ipotizzate alcune tipologie di relazioni che ogni persona, per essere pienamente riuscita nella sua maturità, dovrebbe poter in qualche modo raggiungere.

    LE PRINCIPALI TIPOLOGIE RELAZIONALI

    Occorre tuttavia rilevare che le relazioni illustrate di seguito non sono tutte di pari valore, non stanno tutte sullo stesso piano. Più centrali e influenti sono quelle con se stessi, con gli altri e con Dio. E comunque di ogni tipologia se ne offre una breve descrizione.
    La relazione con se stessi costituisce la prima pista educativa con cui un educatore deve mettersi davanti ad un educando. Ogni persona deve essere aiutata a costruire un rapporto sano con se stessa che dà luogo alla sua autostima. Cioè quella stima di sé che una persona viene maturando attraverso il tempo. Questa stima si può sviluppare in tre tipi principali, leggibili in una specie di immagine riflessa di sé, di cui solo il primo è autentico e positivo:
    - autostima realistica e fiduciosa, ben costruita della percezione dei propri doni, dei limiti e delle potenzialità;
    - autostima prevalentemente negativa come realtà di scarso valore o nessun valore (cf le micro-depressioni e le vere depressioni, le chiusure, gli scoraggiamenti, gli abbandoni);
    - autostima compensatoria creduta come reale; ad esempio il bisogno di essere superiore, l’immagine di sé grandiosa, sublime (cf la devozione del santo automonumento).
    La giusta autostima è in genere valutata dalla precisazione dei doni o capacità principali; dai limiti o settori carenti; delle potenzialità presenti, dai desideri grandi non ancora attuati.
    Ciò che aiuta a crescere, ciò che aiuta a diventare se stessi, ciò di cui la persona ha essenzialmente necessità, è la soddisfazione dei bisogni di essere vista e capita in ciò che è nel proprio cuore; di essere accolta per quello che è; di essere creduta nel meglio di sé; di essere amata gratuitamente per quello che è e non per ciò che fa o le soddisfazioni che dà; di godere della fiducia degli altri; di essere lasciata nel posto ed esercitare il proprio ruolo là dove vive; di essere felice perché esiste così come è; di sentirsi al sicuro e in riposo interiore in mezzo a coloro che sono importanti per lei. Se la persona percepisce soddisfatti questi bisogni, potrà esistere per chi e per come è.
    La relazione religiosa/spirituale. Si tratta di un tipo di rapporto con Dio, che a seconda dell’educazione religiosa ricevuta, può essere percepito in vario modo: come una realtà per sentito dire, lontana, un essere distante, un po’ fredda; come un padrone cui pagare un tributo, un essere oltremodo esigente da persona esterna; come una presenza positiva in se stessa e nel proprio intimo, pro-fonda, permanente, una sorgente di vita cui attingere ogni giorno, nei giorni di luce e nei giorni bui.
    Il credente è uno che ha incontrato il Signore e ha deciso di seguirlo. Il suo ministero, la sua autorevolezza derivano da qui, da quest’ultimo tipo di relazione personale con il Signore. Egli è mandato a rendere possibile l’incontrare il Signore. Se tale relazione langue, tutto ne risente.
    La relazione con gli altri. Questa relazione è sfaccettata in vario modo a seconda dell’altro polo rispetto a se stessi, di colui con cui ci si mette in relazione:
    - la relazione di crescita per essere aiutato. In una relazione di crescita si incontra l’altro in vista di un proprio bene, per guarire e/o per diventare di più se stesso.
    Dato che uno ha bisogno, prende l’iniziativa della relazione che è prevalentemente spirituale e umana o entrambe. Ed è impregnata da un forte contenuto affettivo;
    - la relazione educativa. Si guarda la relazione dalla parte di chi cerca di aiutare o di educare. Non c’è né aiuto profondo, né educazione senza affetto per colui o per colei di cui si vuole aiutare e stimolare la crescita;
    - la relazione fraterna e di amicizia. L’amicizia richiede una comunicazione in profondità, non è un semplice cameratismo.
    C’è amicizia solo se c’è comunicazione della propria interiorità, scambio sui valori profondi della propria vita, parità e reciprocità e una certa immediatezza.
    La relazione con l’altro sesso e di coppia. Si tratta di relazioni che devono essere sessuate, configurate cioè nella propria identità di genere (maschile o femminile), conformi alla propria scelta di vita e ai valori relativi alla propria realizzazione umana: si tratta cioè di equilibrare il rapporto tra l’uomo e la donna nel rispetto di ciò che ciascuno vuole diventare...
    La relazione con la comunità. Si tratta di un legame composto di elementi di identità dei singoli e di rispetto dei ruoli, da interpretare responsabilmente per il raggiungimento dei fini che la comunità si propone.
    La relazione d’essere con il gruppo di appartenenza. Al di là dei legami affettivi sensibili, al di là delle affinità intellettuali, al di là delle attrattive fisiche, esistono delle affinità d’essere e anche dei legami d’identità con date persone e con gruppi. Quando si vive un legame d’essere con qualcuno in un gruppo, si sente un’affinità profonda con i membri, come se si avesse qualcosa di comune in ciò che gli è essenziale, come se si fosse fatti della stessa stoffa.
    La relazione con la natura organica e inorganica. La natura è fatta di vari esseri, animati e inanimati. Questi esseri sono importanti sia in sé, sia soprattutto in ciò che rappresentano simbolicamente per la persona. L’interpretazione dei segni della creazione e del rispetto dei suoi valori comporta un equilibrio che va raggiunto se si vuole godere dei beni della terra.
    La relazione di governo come autorità e con l’autorità. Si tratta di relazioni centrate prevalentemente sul bene comune della comunità o gruppo di appartenenza, sulla funzionalità. Ciò non deve giungere a misconoscere la dignità e cancellare il bene delle persone.
    La relazione con il mondo, con la società nel suo insieme. Si tratta di saper prendere il proprio posto tra gli altri, sia dal punto di vista professionale che da quello relazionale, in vista di un rapporto sociale equilibrato e libero.

    RELAZIONI COMUNITARIE

    Stabilire relazioni interpersonali costruttive nella comunità di appartenenza è necessario, anche se non è facile. Ostacoli di varia natura frenano il cammino verso una fraternità testimoniante. Tra le resistenze ricorrenti più forti vi sono sia le resistenze che nascono dall’ambiente (mentalità individualistica, arrivistica e competitiva; tendenza al narcisismo e all’egocentrismo), che le resistenze che nascono dal di dentro la persona (pigrizia e malavoglia, timori e paure dell’altro, sordità e cecità psichica, paura di esporsi in prima persona, l’infantilismo della gelosia, invidia e rivalità, la sospettosità e il carrierismo...).
    Oltre a correggere queste deformazioni relazionali, l’educatore deve tenere a bada anche le risposte sbagliate ai conflitti che sorgono nei rapporti interpersonali come la formazione di alleanze e coalizioni difensive, il ritiro degli affetti, le lotte ripetitive, la rassegnazione, i comportamenti ambigui (a parole si dice una cosa e con il comportamento se ne trasmette un’altra), le indebite generalizzazioni, la crescente fiducia nelle strategie di potere (con diminuzione del confronto e incremento delle tecniche competitive), il crollo della credibilità altrui.
    Di qui un serio problema: quali sono le relazioni costruttive di una comunità? Che cosa le facilita, le aiuta? Quali freni occorre superare? Che cosa è necessario fare da parte di ciascuno, come pure dell’istituzione, per promuovere relazioni costruttive?
    Una capacità relazionale efficace è frutto di una formazione adeguata, sia iniziale che permanente. Questa a sua volta alimenta la formazione entro un circolo formativo virtuoso.
    La formazione è adeguata se è integrata nella persona e integrale quanto alle sue dimensioni costitutive, in vista della sua unità interiore (cioè l’io è olistico).
    Perciò una formazione efficace è frutto di un lavoro di crescita collocato al suo posto giusto, a livello del funzionamento profondo dell’essere, cioè dell’identità di sé. Operare a questo livello profondo tanto è necessario quanto non automatico.
    L’autoidentificazione personale può arrestarsi a livelli intermedi rispetto a quello profondo e da qui restare parziale.
    I livelli di funzionamento sono i seguenti, tra loro distinti e collegati: il livello del sentire immediato; il livello del sapere intellettuale; il livello dell’operatività, del fare; il livello profondo o dell’identità di sé.
    È a questo livello profondo che si fondano gli atteggiamenti di base di fronte alla vita, le motivazioni effettive dell’agire della persona. Questi atteggiamenti descritti da Erickson, sono: fiducia/sfiducia; autonomia/dubbiosità; iniziativa/ colpevolezza; industriosità/ inferiorità; identità/ confusione di sé; intimità/isolamento; generatività/ improduttività; integrità/disperazione.
    È su questi atteggiamenti che occorre operare per rafforzarli (se già buoni), per rettificarli e ravvivarli (se bloccati).
    Ora, questi atteggiamenti si modificano solo attraverso vere esperienze educative, attraverso il contatto diretto del vissuto personale dell’interessato con i valori significativi proposti. Nessuna esortazione o imperativo può fare ciò che solo l’esperienza diretta può operare.
    Occorre andare oltre il livello del sapere più o meno nozionistico, oltre l’addestramento operativo, spesso attivato per compiacenza, oltre la gratificazione immediata del sentire immediato.
    Tali livelli, quando sono dominanti, possono operare da filtro che ostruisce l’accesso al livello profondo. Il cambiamento (con atteggiamenti positivi acquisiti) nella crescita personale avviene sempre attraverso esperienze educative e di vita dirette, motivate, significative, personalizzate.
    Questa formazione genuina esige un lavoro in più direzioni. Oltre alla dimensione contenutistica indispensabile (cioè le dimensioni autentiche che costituiscono l’identità di una persona umana), occorre liberare il vero sé rispetto al falso sé, affrancare e coltivare le energie affettive, favorire il pensiero svincolato, liberare la volontà, entrare in contatto vivo con la trascendenza.
    La relazione con se stessi porta tutti i segni della propria storia evolutiva al positivo o al negativo. Fa da base e da filtro per tutte le altre relazioni.
    È su questa che occorre operare per risanare le altre relazioni. Su questa base si deve costruire un sano rapporto educativo!

    IL RELAZIONARSI IN QUESTA CULTURA

    «Non si diventa uomini (e donne) completi da soli, ma unicamente assieme agli altri...» (D. Bonhoeffer). Vivere la relazione con l’altro in questa epoca di incomunicabilità e, più di recente, di intolleranza, è un’esperienza non sempre facile e gratificante. Un sociologo, Zygmunt Bauman, ritiene che la relazione con l’altro sia divenuta talmente fragile e inaffidabile da poter essere paragonata ad una zattera di carta assorbente. Nessun naufrago si affiderebbe ad una zattera di carta assorbente per salvare la propria vita. Oggi nessuno, per conseguire il proprio benessere, consegnerebbe se stesso a relazioni instabili e discontinue.
    Bisogna fare i conti col fatto che dalla solidità dei corpi sociali e delle comunità di un tempo non molto lontano, siamo pervenuti alla liquidità che contraddistingue le precarie relazioni su cui si reggono adesso la famiglia, le comunità, le varie istituzioni. L’attuale società sembra essersi disgregata in una molteplicità di sistemi, ognuno dei quali, a sua volta, produce riferimenti valoriali spesso del tutto autoreferenziali, sempre meno attenti alla relazione umana e alla dignità dell’uomo.
    Rimane estremamente attuale il conflitto che vede contrapposti individuo e società, istanze di libertà e rivendicazioni di uguaglianza. Appare del tutto scardinato il tradizionale modello di famiglia, sostituito ormai da una vasta tipologia di legami sempre meno stabili e chiari. Appannato si rivela anche il senso di appartenenza dei cittadini alla propria comunità, la cui identità a volte sfuma nei suoi contorni fino a sfuggire del tutto.
    I cambiamenti sociali incalzano ogni giorno sotto i nostri occhi, ma spesso non riusciamo a coglierne il senso e la direzione, perché si modificano troppo in fretta, come ad esempio la percezione del futuro e il significato, un tempo positivo, del progresso; il modo di lavorare e di stare con gli altri nell’ambiente di lavoro; la scuola e, al suo interno, il legame che intercorre fra insegnante e allievo, fra adulto docente e adulto genitore.
    Gli atteggiamenti negativi profondi dell’indifferenza e della diffidenza si stanno insinuando anche negli stessi rapporti familiari tra coppie, tra genitori e figli, tra fratelli. Si tratta di soggetti di relazione che non riescono più a risolvere i propri conflitti: bambini che hanno paura di andare a scuola; adolescenti che si barricano in casa perché temono il giudizio dei loro coetanei; giovani che temono di lasciare la propria famiglia per sposarsi; adulti che si sentono schiacciati dall’incertezza del futuro; anziani resi terribilmente tristi da un mondo che prima apparteneva loro e che adesso cinicamente li emargina.
    I molteplici volti del disagio sociale e della sofferenza mentale sembrano oggi avere in comune la medesima difficoltà a relazionarsi, a comunicare, a gestire il rapporto che ci lega gli uni agli altri. Si ha la netta impressione che nella società occidentale siano venute meno le competenze relazionali più elementari e scontate, quelle che riguardano la paziente attitudine all’ascolto, la capacità di mettersi nei panni dell’altro, la disponibilità a condividere e ad essere solidali; competenze da cui dipendono sia i propri rapporti con gli altri, che la propria felicità personale.
    Gli adulti hanno ormai disimparato a relazionarsi; e le nuove generazioni stentano ad acquisirle in modo del tutto compiuto. L’inizio del nuovo millennio trova l’uomo prigioniero di un’arida solitudine che lo rende orfano della relazione con l’altro, privo di quella compagnia che sola sa dare significato e sostegno ai suoi passi e rende più sicuro il cammino della vita.
    Se la cultura moderna ha fatto scoprire l’individuo, sostenendone l’affermazione in ogni ambito della vita sociale; se il pensiero filosofico del secondo Novecento ha rivelato la fondamentale importanza dell’altro, è ora giunto il momento di affermare la centralità della relazione con l’altro, la necessità che gli individui imparino a riconoscersi reciprocamente; perché è a partire dalla cultura della relazione che l’uomo di oggi può ritrovare la propria dignità, in un passaggio storico nel quale l’economia globale e la tecnologia avanzata rischiano di asservirlo totalmente.
    Nel complesso mondo occidentale soggiogato dall’onnipotenza del sapere scientifico e tecnologico, solo la cultura della relazione può aiutare gli uomini contemporanei a riscoprire e a tramandare le necessarie competenze che permettono la produzione di quel bene, prezioso e raro, che è il bene relazionale.
    In conclusione si può affermare che con linguaggi diversi e da specifiche prospettive di osservazione, i saperi pedagogici considerano la relazione con l’altro come una sorta di spazio sacro all’interno del quale nasce la mente umana, si fonda e si disvela la propria identità, si curano le inevitabili ferite della vita, si crea il benessere individuale, si costruisce la città. Se l’alba di una umanità nuova si prepara a nascere, è dall’orizzonte relazionale che di sicuro la si vedrà sgorgare.


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