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    Tutto il resto (dei giovani) /6

    Marta Quadrelli

    (NPG 2007-08-66)


    «Il lavoro è molto utile, per alcuni aspetti ti forma più della scuola. Il lavoro è dignità perché ti costruisce il futuro, puoi farti dei progetti, è una parte fondamentale nella vita di una persona.
    Mi tolgo pochi sfizi, da quattro anni non vado in discoteca, preferisco fare festa con i miei amici, mettendo noi la musica, stare insieme è già festa! E sono le uniche occasioni che abbiamo di ritrovarci tutti insieme noi giovani albanesi.»
    (Illirjan, 27 anni, albanese, operaio)

    In una società complessa, dove i cambiamenti sono all’ordine del giorno e la precarietà coinvolge gli ambiti di vita, in particolare dei giovani, è sempre più difficile parlare di identità. Spesso i giovani risentono della mancanza di un lavoro a tempo indeterminato, che non permette la costruzione di progetti duraturi e che possano far crescere la propria personalità attraverso il lavoro. In passato era scontato presentarsi ad un’altra persona attraverso il lavoro svolto: per esempio alla domanda chi sei, si rispondeva: sono un elettricista, una segretaria, un insegnante.
    Oggi nell’incontro con i giovani non emerge subito la propria mansione lavorativa perché spesso è precaria o non subito riconducibile alla propria personalità; il lavoratore sarà chiamato a cambiare lavoro diverse volte nella vita e a subire molteplici trasformazioni nella propria esperienza lavorativa. Le insicurezze delle trasformazioni socioeconomiche e del mercato del lavoro in Italia minacciano l’identità del soggetto: anche le conoscenze acquisite a scuola e all’università non proteggono più il lavoratore e non garantiscono una professione duratura nel tempo.
    Inoltre sempre maggiormente si è condizionati dall’apparenza, la società televisiva porta a soffermarsi sull’immagine, su quello che si vede a prima vista che diventa il nuovo modo di conoscersi e quindi, in questo contesto virtuale, risulta importante apparire piuttosto che essere. Per questo la cura di sé, l’immagine che si dà agli altri diventa il modo di presentarsi, la nuova via di relazionarsi con gli altri che non è più l’incontro autentico tra diverse persone, ma rischia di diventare l’interazione tra simulacri, che rappresentano esternamente la persona e non l’essenza dell’individuo.
    In tale prospettiva Ambrosini mette in mostra quanto il tempo libero sembra essere per molti giovani disoccupati un tempo «vuoto» che altri riempiono per loro con il rischio di massificazione e di assunzione acritica di modelli consumistici: tempo libero come «tragico dono». Si configura così una relazione tra le condizioni dei giovani lavoratori, le chance di socializzazione e i modelli di consumo: «La disoccupazione crea non tanto problemi economici, almeno nella maggioranza dei casi, quanto è piuttosto un problema di socializzazione deficitaria, soprattutto in un’età critica come quella adolescenziale. Non funzionando per essi le due principali agenzie di socializzazione secondaria – la scuola e il sistema produttivo – i giovanissimi disoccupati sembrano vivere un’esperienza di socializzazione debolmente strutturata, in larga misura privatizzata: una socializzazione basata sul consumo e sul gruppo dei pari, con scarsa organizzazione del tempo e più ampiamente dell’esperienza esistenziale, e con scarsa assunzione di responsabilità, se non quella della collaborazione domestica per le ragazze. Spesso, e soprattutto per i maschi, si tratta della socializzazione della strada e talvolta anche delle bande di quartiere, pur se mitigata e accompagnata da esperienze di lavoro precario che aiutano quanto meno a riempire il tempo vuoto del non-lavoro».
    Tuttavia, è necessario sottolineare che la moda e la bellezza estetica sono criteri che hanno un maggior rilievo per gli studenti nella fase dell’adolescenza, anni in cui più forte è il desiderio di appartenenza e di identificazione in un gruppo specifico, come elemento di supporto per un’identità in formazione.
    Per questi motivi, l’identità personale rischia di essere messa a rischio e spesso i giovani non sono considerati come persone ma piuttosto come consumatori che, secondo gli interessi personali, vengono identificati come target dei consumi: «dimmi cosa consumi e ti dirò chi sei!».
    A tal proposito la ricerca-azione della GiOC Tutto il resto. Giovani e consumo mette in luce alcune caratteristiche interessanti sulla condizione giovanile: seppur mutevole e in continua evoluzione, non è caratterizzata dal solo modo di consumare, ma esistono piuttosto un insieme di relazioni, interessi, progetti che non si fermano ad essere identificati con l’abito che portiamo o con il luogo che frequentiamo, ma rimette al centro quella componente di alterità che non va inventata ma solamente scoperta.

    I giovani non sono tutti uguali

    Molti elementi che emergono dall’analisi dei dati smentiscono i luoghi comuni che descrivono una gioventù massificata, senza valori e grandi ambizioni, abituata ad ottenere senza sforzo tutto ciò che vuole, impegnata a spendere e consumare. Emerge invece una realtà molto più complessa, un mondo giovanile variegato, a volte «paradossale», sicuramente ambivalente, che va conosciuto e capito.
    Ci sono giovani, opportunità, condizioni e percorsi di vita che superano i luoghi comuni, le immagini e le rappresentazioni, le analisi astratte e le notizie sensazionali. C’è tutto il resto, dentro e oltre i consumi, raccontato, messo in luce e socializzato perché diventi scelta quotidiana, stile di vita, progetto, ma anche sfide e proposte educative, sociali, politiche da individuare e costruire insieme.
    Spesso i media presentano i giovani come un popolo di consumatori, in cui tutti sembrano uguali, hanno il cellulare, consumano le stesse cose, si vestono nello stesso modo. In realtà non è così.
    Ci sono giovani che consumano per apparire, per distinguersi, per soddisfare i propri desideri e giovani che spendono solo per beni funzionali e necessari, per accrescere le relazioni, per la propria cultura, per gli altri.
    Ci sono giovani che spendono oltre le proprie possibilità, per istinto, senza badare al risparmio, senza farsi troppe domande e giovani che vorrebbero risparmiare ma fanno reale fatica ad arrivare a fine mese, che sono attenti alle proprie spese, che danno valore ai soldi, che non si indebitano.
    Ci sono giovani che vivono il lavoro unicamente come mezzo per guadagnare e consumare e altri per i quali il lavoro non è solo il salario, è anche mezzo di espressione, è passione, è intraprendenza, è rischio «positivo».

    Differenze che diventano disuguaglianze

    Dalla ricerca emerge che di fatto vi è un’eguale esposizione alla spesa da parte dei giovani. Emergono però fattori sociali, culturali e lavorativi che fanno la differenza sui percorsi di vita e sul lungo termine. A parità di consumo, per raggiungere e mantenere lo stesso livello di benessere, alcune differenze creano disuguaglianze nella realizzazione dei progetti di vita dei giovani e nella possibilità di riuscita personale: livelli di reddito diseguali, la precarietà e l’instabilità del lavoro, le condizioni economiche, ma soprattutto sociali e culturali delle famiglie di origine, reti sociali deboli in cui sono inseriti i giovani. Non si tratta solo quindi di povertà materiali, ma anche povertà di relazioni, di opportunità, di strumenti che ingabbiano le storie delle persone. Dietro a uguali stili di consumo, si cela a volte l’illusione di riscattarsi dalle condizioni di partenza; in realtà si resta fermi o aumentano le distanze.
    Roberto Mancini sostiene che «forza di un’identità sta nella capacità di essere in relazione e anche il consumo è attività di relazione, quindi si ripropone con forza la questione: dove oggi noi giovani costruiamo le nostre relazioni? In quali luoghi? Si dice che oggi i consumi sono sempre più individuali, ma è possibile recuperare una dimensione collettiva dei consumi, attraverso i luoghi di socializzazione che si condividono e si vivono? La forza di un’identità sta nella capacità di essere in relazione».
    La nuova sfida oggi è quindi quella di individuare luoghi, scoprire relazioni significative che ci permettano di ricostruire nuove identità in una società di multiappartenenze che sappia valorizzare le differenze e mantenere le singolarità di cui il mondo giovanile è sempre più ricco.
    Nasce quindi l’esigenza di definire una nuova azione educativa che interagisce su alcuni elementi: l’identità, il lavoro, i consumi e il tempo libero. In questa prospettiva si applica una visione integrata della persona che dà nuova centralità al lavoro, che non è più il «solo» elemento in grado di spiegare l’identità, ma si inserisce con altri elementi che concorrono a costruire il senso dell’essere donna e uomo di questo tempo.
    L’incontro con le persone, gli scambi relazionali e l’organizzazione di un tempo libero alternativo dove sperimentare nuove competenze, capacità e abilità diventano oggi uno spazio da esplorare, scoprire ed educare per sostenere i più giovani nella ricerca di tutto il resto, per individuare nuovi spazi di interazione, di impegno e di costruzione di identità.
    L’identità della persona è una composizione in cui concorrono diversi componenti, dal lavoro al tempo libero, dal consumo alle relazioni.


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