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    Giovani e chiesa nel concreto di una diocesi


     

    Cesare Bissoli

    (NPG 07-01-18)


    Questo articolo, composto in relazione alla trama di domande proposte a M. Pollo e a D. Sigalini, pensa ad una chiesa concreta, quella di Roma, dove svolgo un servizio diocesano di pastorale giovanile.

    Stimoli per la riflessione

    Nella scaletta delle domande fatte ai due esperti, emergono, come elementi di valutazione, certi fattori socioculturali, che possiamo qualificare «nuclei generatori» dell’attuale situazione, con i quali si dovrebbe quindi fare i conti per una adeguata proposta di fede al mondo giovanile.
    Li riprendiamo in sintesi, come orizzonte di confronto con una situazione ecclesiale concreta:
    - prevale una sostanziale inefficacia della tradizionale socializzazione religiosa, sia quanto alle istituzioni classiche, come famiglia, parrocchia, scuola di religione, sia a quelle più affinate per una convocazione giovanile, come associazioni e oratori. Viene meno la configurazione di tempo e spazio fin qui abituale nella pratica credente (si pensi al declino della domenica come Giorno del Signore e all’insorgere di momenti di preghiera notturni fuori delle chiese);
    - si constata una ambivalenza delle forme associative, in particolare dei nuovi movimenti, dove ad una forte capacità di richiamo sembra corrispondere una metodologia di coinvolgimento totalizzante e dunque selettivo;
    - va menzionata la capacità di aggregazione di forme nuove, come sono i grandi eventi, le GMG in testa, ma anche l’incontro con personalità significative, e ancora esperienze religiose forti come i pellegrinaggi, le feste…;
    - oggi si è venuta affermando l’inclinazione alla visibilità della propria soggettività, con una peculiare cura della «corporeità», ma anche con il mettere in pubblico le proprie esperienze, esprimendo i propri sentimenti personali, come in confessione, a riguardo di ogni cosa, quindi anche della propria componente religiosa e delle scelte etiche;
    - ne deriva, sul versante pastorale, una inevitabile angustia circa il modo di pensare e realizzare percorsi di fede per giovani, dovendosi confrontare con una differenza inedita di mentalità e di prassi.
    Chiaramente altri stimoli potrebbero essere in gioco, questa volta di ordine positivo.
    Mi rifaccio alla proposta della chiesa canadese per la gioventù: dare preferenza alla «pedagogia del narrativo», e più ampiamente al metodo della «presa di parola» da parte del giovane stesso, in quanto sono percorsi che consentono una scelta di fede più personalizzata.
    Ancora più a fondo ritengo che vada considerato il rilancio della Bibbia fra i giovani, così insistito da parte di Benedetto XVI, dalla GMG di Colonia 2005 fino ad oggi. A quali condizioni può avere delle chances?
    Raccolgo dunque questi stimoli di riflessione in aderenza alla diocesi in cui mi sto impegnando, prima riportando alcuni dati di fatto, poi esprimendo il percorso avviato dallo stesso papa Benedetto in quanto vescovo di Roma per l’anno pastorale 2006-2007, ripreso e fissato in progetto diocesano di pastorale giovanile, ritornando in conclusione sugli «stimoli di riflessione» ora nominati.

    ALCUNI DATI DI FATTO

    Ho già scritto della PG a Roma in NPG del 2001, n. 2, pp. 38-54.
    A distanza di ormai sei anni si possono fissare certi segni che aggiornano quei dati.
    Ne ricordiamo tre: la struttura della diocesi, il referente giovanile, l’impianto di servizio.

    La fisionomia della diocesi di Roma

    * Si tratta di fare PG in una metropoli di tre milioni di abitanti, che ha il vantaggio (e svantaggio) di vedere la diocesi coincidente con il perimetro cittadino, per cui i giovani in certo senso sono «tutti lì», per sé facilmente raggiungibili e radunabili, ma anche senza un effettivo confronto con altre zone extraurbane di minor ampiezza, come possono essere le parrocchie di paese. Si aggiunga la profonda differenza socio-religiosa tra centro e periferia (dove è abituale la frase «andiamo in città»). Si può almeno concludere in generale che una PG non può avere per paradigma normativo ciò che si propone in una grande città; vi sono spazi più ristretti che, grazie a Dio, consentono impostazioni e risultati migliori. E d’altra parte il processo di globalizzazione determina una certa omologazione per l’influsso delle città sul resto del territorio. È notorio che certe iniziative di Roma sono state riprese altrove, come la maniera di fare missione cittadina, e- come diremo- la missione giovanile cittadina.
    * Un secondo tratto è dato dall’impegno universitario della maggioranza della gioventù, con tre grandi università statali e altre libere (Luis, Lumsa…), senza contare le università e atenei ecclesiastici, che ad un primo sguardo paiono avere ben poca rilevanza nel tessuto diocesano (di fatto collegamenti espliciti in ambito pastorale sono pressoché assenti), ma che rivestono per una certa aliquota che li frequenta una incidenza di qualità.
    * Menzioniamo infine come connotato specifico il pluralismo, oggi così marcato nelle grandi città, ma soprattutto a Roma, in ragione di tre fattori: l’alto numero di giovani universitari fuori sede, italiani e stranieri; la presenza di tanti istituti religiosi e forme associative e di movimenti con propri servizi ai giovani segnati da uno specifico carisma, il che rappresenta una grande opportunità, tanto più quanto si lavorasse insieme (il che non è così evidente); grande beneficio certamente arreca la prossimità al Papa, vescovo di Roma, il quale in diversi momenti dell’anno incontra il mondo giovanile, universitario e preuniversitario.

    Una prima implicanza pastorale.
    Il tema del dossier riguarda «nuovi spazi ecclesiali per giovani». Ragionando sul concreto, subito un dato si impone: la situazione reale, considerata nelle sue articolazioni maggiori, è un preliminare che non si può evadere. A Roma la domanda si fa oggi più stringente che nel passato: quali cammini di fede per giovani in una chiesa così configurata? E molto concretamente: possono essere le singole comunità parrocchiali capaci di prestare un servizio autosufficiente, od occorre leggere e lavorare sulla realtà in una forma più comunionale e trasversale? Ed ancora, quale rapporto si dà tra centro storico di Roma, sempre così intenso di eventi anche religiosi, e la periferia, ossia le parrocchie delle borgate, assai meno dotate di segni così eclatanti e in compenso ricche di giovani? In verità questi due sono i punti nodali verso cui ci stiamo incamminando con non piccole resistenze, giacché la difficoltà oggettiva di incontrare i giovani rafforza una certa separatezza tra parrocchia e parrocchia nell’ambito della prefettura. e nel confronto di istituti religiosi e associazioni. E la corsa verso il centro e verso altri ambiti religiosamente più dotati (movimenti) rischia di declassare le offerte parrocchiali. A Roma capita che alla domenica si vada alla ricerca della parrocchia o comunità che attira di più. Anche da parte di quei giovani (invero pochi) che frequentano.
    Ma qui si fa più importante riflettere sulla figura giovanile nel suo rapporto con la visione della fede.

    La figura del giovane

    Roma dispone di diverse indagini serie, elaborate nell’ultimo ventennio, al seguito del Sinodo diocesano negli anni ‘90. La più recente, quella di M. Pollo, Il volto giovane della ricerca di Dio, Piemme, Casale M. 2003, presenta dei risultati che motivano la validità delle domande sopra offerte per un confronto e una valutazione.
    * Come primo, anche noi a Roma ci riconosciamo negli indicatori sopra dati. Quello romano è un mondo esposto in pieno al processo di secolarizzazione, dove la forza di socializzazione tradizionale è quanto mai debole, dove i movimenti hanno una notevole capacità di presa, dove la forza aggregante dei grandi eventi è testimoniata in maniera eclatante dalla GMG di Roma 2000. A modo di esplicitazione concreta, aggiungiamo però alcuni altri segnali.
    * Il processo di iniziazione cristiana che vede un numero di adolescenti partecipi del cammino di cresima, maggiore forse che in altre città, finisce ex abrupto ricevuto il sacramento.
    Di fatto il distacco, almeno in termini di visibilità, dei giovani dalla loro comunità parrocchiale raggiunge cifre del 90%, il che non vuol dire che vi sia un abbandono di fede e di valori morali.
    In ottica di proposta, si dovrebbe pensare ad un percorso di fede da ritagliare per quella categoria chiamata dei «ricomincianti», più che per dei «pagani». Va riconsiderata radicalmente ciò che si chiama appartenenza ad una comunità, meditando, alla luce della struttura romana sopra descritta, se la comunità più adeguata e fruibile deve essere soltanto la parrocchia chiusa in se stessa.
    * Forte è la distinzione da operare, agli effetti dell’azione pastorale, tra la categoria degli adolescenti, o- per facilità di comprensione- quanti frequentano la scuola secondaria di II grado (licei) e la categoria dei giovani che consideriamo all’interno dello spazio universitario. Per entrambe le fasce è in atto una pastorale. Quella universitaria ha una buona operatività, con incidenza anche nella classe docente. Ma anche qui si tratta di numeri di minoranza. In compenso la progettualità della proposta è culturalmente elevata, aperta all’Europa, poggiante sull’asse del dialogo tra scienza e fede, tra messaggio evangelico e cultura. Un fattore determinante è dato dalla presenza, ardore e preparazione o meno dei formatori nelle cappellanie universitarie e nelle comunità parrocchiali.
    * Più difficile riesce una continuità di contatto con gli adolescenti. Riconosciamo alcuni tratti distintivi. Colpisce subito la loro collocazione scolastica come lo status più omogeneo. È esatto dire che oggi solo la scuola, bene o male, riesce ad aggregare questi ragazzi in misura plenaria. Aggiungiamo, come secondo fattore caratterizzante, l’impiego del tempo libero. È veramente, con la scuola, il fattore più inglobante e (de)strutturante. Vi entrano la pratica dello sport (palestre…), ma anche i raduni nei pub e l’immancabile uscita del sabato sera (discoteca). Lo spinello è parecchio diffuso. In terzo luogo oratori e altre strutture parrocchiali sono assai poco frequentate. O meglio- segno importante- dove vi sia una relazione di accoglienza e di animazione, quindi concretamente una figura di prete e di animatore laico che ne sia capace, lì i giovani approdano, sia pur con numeri esigui rispetto alla totalità, ma talora con percentuali non piccole e soprattutto con una notevole incidenza formativa.
    * Quanto allo specifico rapporto con la fede, la ricerca di Pollo ha testificato che «la grande maggioranza degli adolescenti e dei giovani intervistati, (è) collocata interamente all’interno del vissuto soggettivo» (p. 368). Analizzando i diversi aspetti, dobbiamo dire che a riguardo dei contenuti cristiani, l’ignoranza e la confusione regnano sovrane, la frequenza all’Eucaristia domenicale e al sacramento della confessione è minimo; però permane un certo attaccamento religioso, al «sacro», dice Pollo, almeno per tradizione, ma anche come ricerca e invocazione. Invece in crisi numericamente profonda è, come si diceva, l’appartenenza convinta alla Chiesa, censurata non nella sua valenza teologica, peraltro non ben chiara, ma perché la sua visibilità non appare credibile, né significative le proposte di fede, sia nell’annuncio che nelle celebrazioni dei sacramenti. In particolare si denuncia che la relazione con gli uomini di chiesa (presbiteri) è troppo poco personale, non offre una paternità accogliente. In compenso hanno un impatto positivo esperienze di deserto, momenti di adorazione silenziosa, liturgie vivaci, incontro con testimoni, dove cioè il segno ha in sé la capacità di veicolare un significato vitale, in sintonia con le proprie aspirazioni. Vi sono dei preti a Roma che attraggono schiere di giovani parlando in un certo modo dei dieci comandamenti!
    Ci stiamo chiedendo che impatto formativo abbia la scuola, quella di religione e delle altre discipline. A prima vista pare poco, ma è più corretto dire che la scuola è un pianeta pastoralmente pressoché oscuro, perché vistosamente trascurato, il che stringe il cuore se si sa dell’efficacia che certi insegnanti (di religione) riescono ad avere. Le scuole cattoliche sono numerose e piene di giovani, ma con quale efficacia?. Si ripropone urgente la domanda sulla offerta e incidenza di percorsi di fede.
    Entro tutto questo quadro, affermiamo con cognizione di causa che pur inferiori di numero, vi sono a Roma adolescenti e giovani seriamente cristiani, grazie alla famiglia, ma ancora di più ad animatori e gruppi validi. E che tanti altri sono disposti a diventarlo.
    È su costoro che intende poggiare l’impegno pastorale: con i giovani verso i giovani, come sotto annotiamo.

    L’impostazione formativa

    Non si può negare che la coscienza degli operatori pastorali sia viva e sofferta, ma sono anche impacciate le vie per un cambio: cosa fare e come fare. Gruppi giovanili sono presenti in quasi tutte (ma stupisce che non sia proprio in tutte!) le oltre 330 comunità parrocchiali; sono organizzati incontri formativi, con momenti forti nei tempi liturgici, e la realizzazione di campiscuola estivi… Per esperienza personale, nata dal contatto con diverse prefetture (ciò che altrove si chiama vicariati), ho potuto notare in alcune parrocchie l’eccellenza di qualità e di numero di giovani partecipanti, ma la media è formata da un piccolo gregge che tende piuttosto a diminuire o che non cresce. E il gruppo stesso pare più labile nella fede di qualche anno fa. Il presbitero giovane, normalmente incaricato dei giovani, se in certi casi dimostra quanto sia decisivo il suo impatto formativo, nella media però sembra che non abbia assimilato una preparazione specifica a saper stare con i giovani, a saperci stare con le due condizioni essenziali: la carità pastorale che fa amare i giovani avendo al centro la loro maturazione della fede in Gesù Cristo, e l’impegno di educatore, che fa stare con loro come adulto che aiuta a crescere, distribuendo con saggezza il tempo e lasciando spazio alla pazienza, alla speranza e anche allo studio. Esiste in diocesi una Servizio Diocesano di Pastorale Giovanile, che progetta cose eccellenti, ma è sentito staccato dalla base, e quindi rischia di rimanere per conto suo.

    Una seconda implicanza pastorale.
    Non si può dire che a Roma vi sia il deserto, o un atteggiamento di rifiuto da parte di adolescenti e giovani. Ma è vero che un cammino di fede adeguato deve tenere conto al negativo di tre fattori: lontananza della maggior parte dei giovani dalla comunità, dissonanza o non consonanza o non significatività della proposta e dei segni che la veicolano (annuncio, celebrazione, testimonianza), inadeguatezza della figura del pastore per le ragioni ora accennate, cui si accompagna l’assenza di formatori laici adulti, non tanto per indisponibilità o incapacità (in certe comunità valgono quanto il presbitero), ma per assenza di coinvolgimento.
    Detto al positivo, si fa necessaria una scelta di pastorale «missionaria» verso i giovani, l’andare a trovarli (per poterli convocare) là dove sono, cioè nell’ambiente della vita reale, che non è il recinto parrocchiale, il coltivare la relazione personale, uno per uno, se si potesse!
    Come testimoni, amici (padri), educatori, direttori spirituali.
    È onesto dire che gli elementi fin qui nominati non sono la causa della situazione poco rosea. La causa è legata ai fattori secolaristici elencati all’inizio, ma è vero che si rafforzano o diminuiscono in rapporto alla mediazione pastorale in atto.

    NUOVI IMPULSI

    La vitalità di una PG non sta soltanto in ciò che riesce ad ottenere, ma nella progettualità che continuamente si propone, proprio perché i giovani sono nella società i testimoni per eccellenza dei cambiamenti.
    La diocesi di Roma nel convegno ecclesiale del giugno 2006 ha proposto come motivo-guida: «La gioia della fede e l’educazione delle nuove generazioni». Non è che questo sia un percorso formale della fede, ma propone le coordinate per realizzarlo nel contesto romano così complesso, come abbiamo detto.
    Vediamole prima nell’input diretto del Papa e poi nell’elaborazione diocesana.

    «La fede come incontro con Colui che è verità e Amore»

    Merita seguire la logica seguita dal Vescovo di Roma, con i suoi accenti significativi al Convegno diocesano di giugno 2006 dedicato al mondo giovanile.
    * Fa da premessa come orizzonte ed insieme metà «la gioia della fede». È un tema caro a Papa Benedetto, detto in tante altre parti con la caratteristica pronuncia tedesca. Egli la motiva non su base emotiva, ma in forza del «Deus caritas est», sulla «certezza di essere amati da Dio, amati personalmente… questa è la fonte della gioia cristiana». Mi ha colpito questa insistenza sulla gioia come contrassegno dell’essere un vero credente! Non è presente negli indicatori nominati all’inizio.
    * Questo porta subito con sé un duplice effetto: un fondamentale aggancio ecclesiale: l’amore di Dio che dona gioia avviene nella famiglia di Dio che è la Chiesa, perché in essa si nasce da figli di Dio e si cresce. E qui con termini ampli e marcati, il Papa afferma: «È indispensabile quindi- ed è il compito affidato alle famiglie cristiane, ai sacerdoti, ai catechisti, agli educatori, ai giovani stessi nei confronti dei loro coetanei, alle nostre parrocchie, associazioni e movimenti e finalmente all’intera comunità diocesana- che le nuove generazioni possano fare esperienza della Chiesa come di una compagnia di amici davvero affidabile, vicina in tutti i momenti e le circostanze della vita, siano esse liete e gratificanti oppure ardue e oscure, una compagnia che non abbandonerà mai nemmeno nella morte, perché porta in sé la promessa dell’eternità. A voi, cari ragazzi e giovani di Roma, vorrei chiedervi di fidarvi a vostra volta della Chiesa, di volerle bene e di avere fiducia in lei, perché in essa è presente il Signore e perché essa non cerca altro che il vostro vero bene».
    Da quanto detto sopra, si noterà che il pensiero del Papa va proprio verso ciò che maggiormente segna il distacco dei giovani romani dalla esperienza di fede, introducendo con forza una mediazione indispensabile della proposta di fede: un’esperienza di «Chiesa affidabile».
    * Al primo aggancio si innesta subito un secondo, l’aggancio antropologico, come cioè sia insito ad adolescenti e giovani «il richiamo dell’amore», per cui «la grande questione dell’amore» è decisiva per la presentazione di un cristianesimo non disincarnato. Conseguenza: educare la potenza affettiva e «proporre ai ragazzi e ai giovani esperienze pratiche di servizio al prossimo più bisognoso fa parte di un’autentica e piena educazione alla fede».
    * Ma è anche vero che «insieme al bisogno di amare, il desiderio della verità appartiene alla natura stessa dell’uomo. Perciò nell’educazione delle nuove generazioni, la questione della verità… deve occupare uno spazio centrale». Per il Papa ciò comporta una gamma di esplicazioni ben note: l’incontro della ragione con la fede, come dilatazione, e non avvilimento e compressione, della ragione stessa; la fede che ragiona «si affida ad una persona, Gesù Cristo che il Padre ha inviato»; come anche senza timore si mette «a confronto con le autentiche conquiste della conoscenza umana»; questo percorso insieme comunitario e personale si fa con uno «spazio privilegiato: la preghiera».
    * Alla fine nell’ordine della logica della fede, ma contestuale ai passi precedenti, emerge la spinta missionaria, ossia «lo stimolo di portare altri verso Cristo: la gioia della fede infatti non possiamo tenerla per noi, dobbiamo trasmetterla…, bisogno ancora più forte e urgente in presenza di quella strana dimenticanza di Dio che esiste oggi… in certa misura anche qui a Roma».

    Il progetto diocesano a partire dal 2006-2007

    Il Consiglio episcopale, a seguito del citato Convegno che ha visto impegnate alcune migliaia di cristiani, la maggior parte laici delle diverse parrocchie e associazioni, ha elaborato gli orientamenti papali commentati opportunamente dal suo Vicario, il Card. Ruini.
    * Anzitutto sono stati formulati in obiettivi generali, dove si nota chiaramente la risposta alle situazioni strutturali e personali sopra indicate: investire sull’educazione; presentare e far sperimentare la Chiesa come «compagnia affidabile»; coltivare la pastorale integrata («lavorare in rete»); coltivare una «missionarietà» permanente; vivere la preghiera che nasce dall’incontro con una Persona; curare la pastorale dell’intelligenza; non aver paura dell’educazione all’amore; aprirsi al servizio del prossimo; prendersi responsabilità delle vocazioni nella Chiesa.
    * Gli obiettivi sono stati specificati in relazione a cinque ambiti che più concretamente fanno riferimento ai contesti di vita dei giovani. Fa da battistrada la costruzione di un «progetto unitario» comune, che mira ad una formazione articolata permanente, pensato, secondo le indicazioni della Chiesa italiana, come processo di iniziazione ad ispirazione catecumenale, dal battesimo in avanti, badando in particolare al cosiddetto dopo cresima; si propone un dialogo più stretto tra PG e pastorale familiare, essendo la famiglia luogo sofferto, ma ancora insostituibile per la vita di un giovane; il terzo ambito non poteva non richiamare la scuola come luogo pastorale, secondo le esigenze che esso avanza, superando la trascuratezza attuale; lo stesso discorso vale per la pastorale universitaria; e come ambito finale si nomina la pastorale vocazionale intesa come compimento di ogni genuino percorso di fede e perciò suo criterio valutativo.

    Un cammino rinnovato

    Come si dice, di buone intenzioni è lastricato l’inferno, ma è anche vero che esse sono indispensabili per andare in paradiso. Dipende da cosa si fa. Vediamone quale sia il prossimo sviluppo.
    Si può dire da questi primi passi che la costruzione del «progetto unitario» secondo gli obiettivi proposti dal Papa sta in primo piano e richiede un triplice processo.

    * Assimilazione del progetto
    Specialmente da parte del clero (a questo è stato destinato il consueto convegno presbiterale di ottobre 2006 a S. Giovanni e si muoveranno gli incontri periodici per Settore da parte dei vescovi ausiliari). Penso che sarà una strada lunga, che domanda urgentemente il coinvolgimento del giovane clero, a partire dal seminario. Si è lamentata una inadeguata preparazione a saper stare con i giovani, ma si è notata anche la capacità dei giovani preti di far rinascere la fiducia che si può cambiare.

    * Organizzazione, lancio e sostegno di iniziative
    È ormai da undici anni che a Roma opera il già citato Servizio Diocesano di PG. Ha prodotto diverse iniziative, come le varie scuole di formazione per animatori, «l’adorazione» settimanale nella Chiesa di S. Agnese in piazza Navona, i cicli religioso-culturali a S. Carlo in via del Corso, la realizzazione di grandi eventi come l’incontro annuale con il Papa in S. Pietro e le varie GMG, una sussidiazione catechistica continua…
    Però è vero che nonostante una struttura di servizio a rete (ogni prefettura dispone di un rappresentante di PG, a loro volta radunate nei cinque Settori con analogo portavoce), si è allentato- come già detto- il rapporto con la periferia, dando l’idea che PG fosse fare cose straordinarie, per altro eseguibili solo al centro della diocesi (e della città).
    Lo stesso discorso vale per altre agenzie educative della diocesi rivolte ai giovani: l’ufficio catechistico, l’ufficio scuola, il servizio della pastorale universitaria, quello dedicato allo sport e tempo libero, l’ufficio Caritas così carico di valori collaudati dall’esperienza… Vi sono poi associazioni e movimenti di vario genere… L’impegno per una pastorale integrata è un passaggio decisivo da compiere, riflettendo insieme sui diversi elementi problematici esposti in precedenza e risolvendoli insieme.
    In particolare urge dare volto concreto ed operativo agli obiettivi di evangelizzazione avanzati dal Papa.

    * Proporre nuovi percorsi
    «Verità ed amore» intimamente collegati alla persona del Cristo, riportati nel proprio vissuto come fattori di gioia e vettori di vocazione e assunti in prospettiva missionaria, sono come indici di un discorso che, se non è del tutto nuovo (a Roma vi è ancora della buona PG), richiede di rinnovare ogni percorso.
    Ricordiamo quattro dati che sono oggi avvertiti come punti strategici, dove si uniscono contenuto e metodo:
    - Il tema della verità della fede cristiana, sollecitato dal pluralismo di idee e di religioni e da forme di sincretismo e di ripiegamento sulla new age. Si vuole che il Credo della Messa sia l’abc della catechesi… Insomma un partire da capo. Chiaramente con un metodo adeguato, richiamando le esigenze partecipative di un uditorio giovanile che non può e non vuol essere solo uditorio.
    Una scelta prioritaria: la cresima e il cammino di fede che segue alla cresima, notoriamente disertato.
    - Il lavoro a rete, che significa per gli animatori riprendere un dialogo e un incontrarsi più frequente tra centro e periferia, soprattutto attivando la prefettura come soggetto precipuo, anche per dare ai giovani, altrimenti sparuti nelle loro parrocchie, un’esperienza di contatto che allargano e incoraggiano. Resta da stabilire una sinergia migliore con aggregazioni giovanili extraparrocchiali.
    - La forma di rete comprensiva dei giovani stessi è la consulta di prefettura o di zona (più prefetture), nata e collaudata ai tempi della GMG di Roma, per cui i giovani possono prendere la parola e diventare protagonisti della propria formazione mettendo in comune le risorse e bisogni di ogni parrocchia.
    - Finalmente viene messa a fuoco l’apertura missionaria, intesa come testimonianza della fede in pubblico, tramite il contatto di giovani credenti con altri giovani, grazie ad una formazione di qualità.
    Tutto ha preso il via da una scelta che potremmo definire così: portare al centro di Roma i giovani e dare ai giovani il centro di Roma. Significava aggregare più facilmente giovani da diverse provenienze, ma soprattutto offrire loro uno spazio formativo e di testimonianza più stimolante e facilmente operativo.
    Abbiamo sopra nominata l’esperienza di preghiera (ed educazione alla preghiera) a S. Agnese in Piazza Navona ogni giovedì, cui si affiancano altre iniziative di tutto rilievo. Dal punto di vista numerico, chiaramente l’esperienza è piccola, ma ha valore paradigmatico per la qualità formativa e la risonanza positiva per quei gruppi giovanili parrocchiali che dalla periferia si alternano al centro per l’animazione della preghiera. Ma qui si innesta una proposta nuova che merita essere seguita, perché di fatto si va estendendo e può interpretare bene il percorso formativo nuovo che si va cercando.

    La missione «Gesù al centro»

    «Gesù al centro» significa anzitutto l’annuncio della centralità di Gesù nella esistenza umana; ma in forza del luogo dove si svolge l’iniziativa, Piazza Navona, ci si riferisce al centro città, dove parlare di Gesù avviene per la possibilità di incontrare i tantissimi giovani che vi passano.
    La missione vera e propria, che dura una settimana (la prima di ottobre), viene preparata da una «Scuola di evangelizzazione» dove si formano giovani volontari, assieme a seminaristi, preti e suore. Si tratta di un ciclo di formazione alla preghiera, di approfondimento della fede e di pedagogia dell’incontro in vista dell’«annuncio».
    La missione (quella del 2006 è la terza) si ramifica in una serie di contatti: nelle scuole, nei luoghi di malattia (ospedali e case di cura), sulla strada, nella tenda di riunione situata in piazza Navona. Altri accurati eventi serali musicali e di testimonianza di persone note hanno la possibilità di radunare tanti giovani, mentre la chiesa di S. Agnese resta aperta per l’adorazione e le confessioni lungo la notte.
    Nell’ultima edizione notevole ampiezza ha avuto il contatto con le scuole, tramite l’insegnante di religione che, d’accordo con il preside, ha messo disposizione la sua ora. Sono stati incontrati 6000 studenti ai quali è stato esposto il significato dell’iniziativa, mantenendo l’ottica culturale propria della scuola, ma anche gettando un seme di simpatia e offrendo ulteriori cammini.
    Forse, così dal basso, si creano i primi passi per una pastorale scolastica, tanto invocata e così poco iniziata.
    La missione è possibile in altre aree della città (già una è stata realizzata nel quartiere popolare di Centocelle…). E di fatto si stanno aprendo nuove esperienze, tanto ricche di difficoltà, ma anche fonte di fiducia, perché realisticamente ponderate e coraggiosamente realizzate, protagonisti i giovani stessi verso altri giovani.

    Tornando all’inizio

    Come valutare la PG di Roma alla luce degli indicatori posti all’inizio?
    - Una prima risposta è: non possediamo la ricetta miracolosa (ma chi ce l’ha?) e abbiamo un certo scetticismo per i teorici e i loro progetti a tavolino, se non ci si confronta seriamente con la realtà, in concreto, con le possibilità e le risorse del territorio.
    - Però un disegno meditato e motivato è indispensabile: è quanto cerchiamo di tradurre in scelta diocesana condivisa da tutti, per questo primo decennio del Duemila. L’abbiamo sopra presentata.
    - Ma è anche vero che la situazione «strutturale e mentale» (dei giovani e dei formatori), già accennata, richiede un realismo paziente, dialogante, stimolante, unificante o comunionale, mirando ad «una pastorale in rete».
    - Si può ritenere che i fattori influenti, già segnalati in apertura, si riscontrano in pieno nella condizione giovanile romana a riguardo della visione della fede e più ampiamente della vita.
    - D’altra parte è innegabile il doppio fatto di una minoranza giovanile convinta e impegnata, e di tanti che sono alla ricerca o disponibili alla proposta di fede, se fatta secondo le esigenze dianzi accennate.
    - Si deve ammettere che certe forme più avanzate e raffinate di PG, come quelle dei Vescovi canadesi, saranno presenti in questo o quel gruppo, ma non hanno una cittadinanza riconosciuta, anche per la carenza di una pedagogia religiosa giovanile accolta come necessario momento formativo.
    - Di fronte a noi, accolta da alcuni, ma non ancora debitamente universalizzata, sta la proposta di far incontrare i giovani con la Parola di Dio (la Bibbia), nella forma principale della Lectio Divina o Scuola della Parola. Ma più che dai giovani (per lo più «ignoranti innocenti») ciò dipende dagli operatori (presbiteri), che si sentono impreparati…


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