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    Emmaus, icona dell’incontro con i giovani


    Giacomo Perego – Giuseppe Mazza

    (NPG 2007-08-71)


    Una pagina del Nuovo Testamento aiuta comprendere le possibili modalità dell’incontro giovani-Parola, sia nel senso della «estroversione» o versatilità della Scrittura verso ogni contesto umano (e dunque anche verso il «pianeta giovani»), sia la peculiare sensibilità del contesto giovanile verso la Parola e la sua comunicazione. È il brano di Luca 24,13-35, noto anche come la pagina dei discepoli di Emmaus.

    Il testo

    L’episodio va colto nel contesto dei racconti di risurrezione. Di quel «primo giorno dopo il sabato» (24, 1), Luca ha appena narrato la visita delle donne al sepolcro: qui esse, prime testimoni, si sono imbattute in «due uomini in vesti splendenti» (24,4) che hanno annunciato loro la risurrezione di Gesù. Precipitatesi dagli Undici e dagli altri discepoli, sono state «freddate» da una reazione forse inattesa: «Queste parole parvero ad essi come un’allucinazione e non credettero ad esse» (24,11). Solo Pietro si reca al sepolcro, tornandosene a casa «pieno di stupore per l’accaduto» (24,12). In questo contesto viene inserito il nostro episodio.
    * Due di loro. I protagonisti sono «due di loro», due del piccolo gruppo a cui fanno capo gli Undici, le donne e altri discepoli. Non si dice se siano due uomini o se si tratti di una coppia. Di uno conosciamo il nome; è colui che risponde alla domanda di Gesù: Clèopa. Secondo le usanze dell’epoca, colui che risponda per primo a una domanda rivolta a due persone è la persona più anziana, oppure il marito. Il secondo discepolo non viene nominato, non si esprime, i suoi tratti non sono specificati. Sappiamo che, come Clèopa, ha il volto triste e sta allontanandosi da Gerusalemme. Come si accennava poco prima, alcuni esegeti hanno visto in questi due discepoli una coppia che torna alla propria casa. Ciò sembra integrarsi bene in un vangelo che sottolinea fin dalla sua apertura il ruolo delle coppie nel disegno della salvezza. Non è tuttavia possibile dire di più. A nessuno è concesso dare una risposta definitiva circa l’identità dei due discepoli. La questione resta volutamente aperta. Una cosa è certa: i due personaggi sono discepoli di Gesù.
    * In cammino verso Emmaus. La loro descrizione li presenta «in cammino», mentre si muovono in una direzione opposta a quella di Gerusalemme; verso Emmaus. Da un lato la grande e santa città, Gerusalemme; dall’altro un villaggio sconosciuto, Emmaus. La città santa, soprattutto nel vangelo di Luca, non è solo un luogo fisico: è lo spazio dell’identità, della tradizione, dei pilastri fondanti della fede. Essa costituisce il centro geografico di tutto il terzo vangelo, venendo menzionata ben 32 volte, a differenza delle 12 ricorrenze di Matteo e Giovanni e delle 10 di Marco. Nel cuore di Gerusalemme si erge il tempio, luogo della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, spazio sacro per eccellenza di tutta la Palestina, meta di pellegrinaggio per ogni ebreo, simbolo portante della fede nel Dio dei padri. Sullo sfondo del tempio il terzo vangelo si apre (l’annuncio a Zaccaria) e si chiude (i discepoli vi dimorano lodando Dio in 24,53), facendo della città santa una sorta di «bussola nello spirito». Ora i nostri due protagonisti rompono con questo orizzonte. Se ne vanno. E la «goccia che ha fatto traboccare il vaso» pare proprio essere stato l’annuncio delle donne.
    Ci sembra di poter dire che i due discepoli fotografino molto bene il mondo giovanile. Molti dei «nostri giovani» (i cosiddetti «battezzati») tendono a lasciarsi Gerusalemme alle spalle; le certezze di ciò che è acquisito si seguono per un po’ di tempo, poi ci si incammina per altre vie. C’è allergia oggi, di fronte a tutto ciò che sappia di istituzione, di tradizione, di certezza assodata. Nella Gerusalemme di oggi restano i «nonni» che si lamentano perché i figli e i nipoti «non fanno pasqua». I figli e i nipoti sono tutti in cammino verso Emmaus. Ma torniamo alla nostra domanda: chi sono i due che si allontanano? Sono due discepoli che non vogliono più sentire parlare di Gesù?

    I discepoli

    I verbi usati da Luca ci paiono significativi: discorrevano (omiléô) e discutevano (suzetéô). Il primo richiama un «lungo discorso», il secondo una sorta di indagine, di ricerca. Il dialogo che c’è tra i due sembra avere gli accenti della disputa, del dibattito, dell’argomentazione, e la cosa emerge in modo chiaro quando si fa presente quel forestiero. Gesù è oggetto di discussione, e i due discepoli ne parlano come di un «caso»: il «caso Gesù di Nazareth, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo» (24,19). Loro speravano... (24,21). Un discorso pieno di «ma», dove fanno capolino punte di delusione e di amarezza, ma dal quale i due interlocutori sembrano proprio non riuscire a staccarsi. E continuano a discuterne.
    Anche in questo è possibile cogliere un tratto che fotografa i nostri contemporanei. Voltare le spalle a Gerusalemme non significa, necessariamente, non voler più sentire parlare di Gesù. Forse mai come oggi, negli ambienti cosiddetti «laici», si parla così tanto di lui. Egli resta al centro di vere e proprie indagini che attirano la curiosità dei media e riescono ad appassionare anche il mondo giovanile. C’è, oseremmo dire, un’attenzione accentuata, quasi smodata, alle inchieste, alle ricerche storiche; si discute, si discorre, si cerca. E puntualmente, a Natale e a Pasqua, spunta qualche brandello del «caso Gesù», rilanciato grazie alle penna scaltra di qualche studioso o alla ripresa mirata di qualche pagina apocrifa. La cosa non può non farci riflettere: l’interesse non è venuto meno.
    È in tale cornice che Luca narra la prima apparizione del Risorto. Le donne, al sepolcro, hanno infatti visto «solo» due uomini in vesti splendenti; ai due in cammino verso Emmaus è preparato ben altro. Ed è qui che ci interpella il nostro brano, mostrandoci tutta l’abilità comunicativa di Gesù.

    L’incontro col Risorto

    Come il Risorto incontra i due discepoli, dove li incontra e quando? Dietro questi interrogativi, emerge una vera e propria «arte della comunicazione divino-umana» che ha per protagonista il Risorto e che sfida le categorie del nostro annuncio pastorale. Sulla strada che va da Gerusalemme a Emmaus si apre la prima «scuola della Parola»: il confronto con i modelli che essa dischiude ci pone tra le mani preziosi criteri di verifica con cui vagliare le nostre scuole della Parola, i nostri centri di ascolto (ascolto di chi e di che cosa?), i nostri modi di favorire (o non favorire) l’incontro tra la Bibbia e il mondo giovanile. Ma lasciamoci interpellare dal brano.

    Come il Risorto si rivela ai due discepoli?
    Il primo tratto che caratterizza l’incontro tra Gesù e i due è la totale discrezione. Luca scandisce, come è suo solito, l’incontro con una sequenza lineare di atteggiamenti: si avvicina (eggízô), cammina con loro (sunporeúomai), rivolge loro la parola sotto forma di una domanda. Nessuno più di lui conosce il «caso Gesù di Nazareth», eppure si fa vicino, ascolta e, per il momento, si limita a «liberare» il racconto che i due discepoli portano dentro, senza interromperli. Lascia che i due raccontino la «sua» storia a modo loro, da cima a fondo. Ascolta.
    L’arte della comunicazione inizia così: con l’ascolto attento. Solo quando la narrazione termina, egli la riprende e porge la sua versione dei fatti, facendo luce, scaldando il cuore. Lo fa senza timore di apostrofare i due come «stolti, stupidi» (anoetoi) e «tardi, lenti di cuore» (bradeis), ma anche senza punte apologetiche, senza «battere i pugni sul tavolo», senza manipolazioni. La sua arte è quella di riagganciare quelle vite smarrite all’esperienza e ai volti della storia salvifica («e cominciando da Mosé e da tutti i profeti spiegò loro quanto lo riguardava»: 24,27). Poi nuovamente tace. Non impone la sua presenza, né la sua versione dei fatti: lascia che i due scelgano cosa fare. Ed essi lo invitano, sperimentando già un primo frutto di quel pezzo di strada fatto insieme: i loro cuori si sono sentiti riscaldati, toccati dall’ascolto e dall’accoglienza di cui sono stati oggetto e dalla Parola che è stata loro rivolta con schiettezza e rispetto.

    Dove il Risorto si rivela ai due discepoli?
    Come si diceva all’inizio, siamo «per strada»; non su una strada qualunque, ma sulla via che porta da Gerusalemme a Emmaus. La via è quella che porta «lontano»: è uno spazio di rassegnazione, di delusione, di ribellione, di rinnegamento. Ma il brano non ci parla solo della strada: menziona anche il «villaggio dove erano diretti» (24,28) e «la tavola di casa» (24,30). A questo punto bisogna vigilare per non operare troppo in fretta il passaggio dalla mensa di Emmaus alla mensa eucaristica. Se è fuori dubbio il richiamo del testo alla duplice mensa della Parola e del Pane eucaristico, è anche vero che non dobbiamo costruire troppo entusiasticamente una «cappella» attorno a questo luogo scelto dal Risorto.
    Egli incontra i due per strada e in casa, così come lungo il ministero pubblico aveva incontrato molti per strada e a tavola. Non siamo tuttavia né a Gerusalemme, né al tempio, né in una sinagoga, né in un qualunque altro spazio sacro. Il Risorto incontra i due in spazi «feriali», e non ha paura di «entrare in essi» e di «rimanervi» (24,29). È curioso: quando l’uomo vive una forte esperienza di Dio, in genere, tende subito a costruire una chiesa, un santuario, quasi a voler «definire» lo spazio sacro, nel tentativo di fissare dei «limiti» alla rivelazione di Dio, individuando «una porta di accesso» o «una porta di uscita». Il Risorto, invece, si spinge altrove, ben oltre i limiti fissati dall’uomo. Ciò non significa che l’importanza di Gerusalemme venga meno, ma la Gerusalemme del Risorto deve ormai confrontarsi e misurarsi con gli altri luoghi della comunicazione di Dio. La comunità cristiana non potrebbe essere fedele al mandato ricevuto se si occupasse solo di quanti restano dentro le sue mura. Ed è lì, lontano dai luoghi sacri, che la parola si fa gesto, il gesto si fa memoriale, il memoriale si fa presenza, la presenza si traduce in esperienza... e gli occhi si aprono (24,31). Su quest’ultimo aspetto ci sarebbe molto da dire, ma rileviamo solo due cose: prima di tutto, le Scritture da sole non bastano; esse scaldano il cuore, ma l’annuncio resta come sospeso; in secondo luogo, il Risorto non abbaglia né all’inizio, né alla fine: quando gli occhi si aprono egli scompare, come se la discrezione fosse d’obbligo. Siamo lontani da certe rappresentazioni pittoriche o anche solo «narrative» della risurrezione: Gesù non si impone.

    Quando il Risorto si rivela ai due discepoli?
    Anche questa domanda non va trascurata. I due discepoli non sono certo in un momento «favorevole»: c’è delusione nell’aria, tristezza, scoraggiamento, perfino qualche punta di rabbia. Da un punto di vista umano, questo sembrerebbe il momento meno opportuno per l’annuncio; i due, inoltre, sembrano avere tutta l’intenzione di rompere con il passato. Da un punto di vista cronologico, il loro stesso cammino è scandito dalla luce del sole che lentamente scompare all’orizzonte, cedendo il posto alle ombre della sera e della notte: una sottile allusione a ciò che dimorava nel cuore dei due discepoli, mentre si allontanano da Gerusalemme.
    Il Risorto, invece, sceglie proprio questo momento (della crisi e della notte) per rivelarsi. Anzi, post factum, i due si accorgono che, paradossalmente, più scendeva la notte più una luce si faceva strada in loro: prima scaldando il loro cuore, poi facendo riemergere la nostalgia di una presenza, e infine traducendo quella nostalgia in memoria e in esperienza.

    Le nuove vie di Emmaus

    Ci sembra che l’icona biblica di Emmaus fotografi abbastanza bene quel mondo giovanile da cui vogliamo lasciarci interpellare. È evidente (perlomeno ce lo auguriamo) che oggi la comunicazione tra Bibbia e giovani non possa più realizzarsi come avveniva anche solo dieci anni fa. Non si può pensare di far appassionare i giovani alla Parola di Dio con le stesse modalità comunicative del passato. Non si può pensare di restare seduti ad aspettare che i giovani si uniscano a gruppi di ascolto della Parola in cui l’età media si aggira attorno ai cinquant’anni, o a gruppi di catechesi biblica dove la comunicazione è ancora perlopiù di tipo frontale. Allo stesso modo, non si possono semplicemente mettere a tacere le interpretazioni provocatorie e a volte eccentriche della cultura laica sulla figura storica di Gesù, o fuggire certe riproposizioni apocrife, rifugiandosi in un atteggiamento apologetico sterile.
    Verso dove si sono incamminati i nostri giovani? Quale tempo umano e spirituale stanno vivendo? Con quali «maestri» si confrontano? Una volta individuate le risposte a questi interrogativi, occorre incamminarci con Cristo sulle nuove vie che conducono verso Emmaus e scaldare lì i cuori con la Parola e spezzare lì il pane che ripropone il mistero pasquale.
    I due discepoli, come sappiamo dal testo, alla fine tornano a Gerusalemme con lo slancio dell’esperienza del Risorto nel cuore (24,33). La prima cosa di cui prenderanno coscienza, prima ancora di poter raccontare quello che hanno vissuto, è che proprio la Gerusalemme che avevano abbandonato è uno spazio privilegiato di quella stessa esperienza di cui ora essi hanno pieno il cuore (gli Undici e quelli che erano con loro dissero loro: «Il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone»: 24,33-34). Ma prima, com’è ormai chiaro, è necessario l’incontro sulle strade che portano a Emmaus.

    (da Giacomo Perego - Giuseppe Mazza, Giovani, Bibbia e comunicazione: una «guida all’ascolto» di Dio, in Quaderni CEI – Ufficio Catechistico Nazionale XI (2007), n. 26, pp. 51-55).


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