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    Eccomi


     

    Le parole della fede /2

    Giuseppe De Virgilio

    (NPG 2002-02-32)


    Evocazione

    Con l’espressione «Eccomi» si risponde all’appello di colui che interpella, affermando la propria «presenza» storica ed esistenziale. L’«Eccomi» si inscrive in un dialogo di conoscenza e di scoperta, di confronto e di condivisione aperto al futuro. È in questa prospettiva relazionale che va interpretata la «risposta» dell’Eccomi, che comporta una partecipazione e un coinvolgimento personale nei riguardi di un «progetto». In modo particolare l’Eccomi si collega al motivo della chiamata dell’uomo, alla sua natura relazionale. Se colui che chiama è Dio, allora l’esperienza dell’Eccomi implica una «relazione vocazionale» che diventa storia e coinvolge inevitabilmente l’intera esistenza umana. Pertanto questa parola evoca la relazione tra chiamata di Dio e libertà dell’uomo, e pone la questione sul senso della «vita come vocazione». Nel nostro contesto socio-culturale il tema della «vocazione» è strettamente collegato al mondo giovanile, e alle dinamiche della domanda progettuale e del bisogno di un discernimento spirituale.
    Un’ulteriore questione è costituita dal contesto diversificato in cui i giovani sono chiamati a dialogare. Molti oggi, condividendo il cammino e la fatica della ricerca di senso e dell’individuazione dei bisogni, riconoscono la complessità della condizione socio-culturale che contrassegna l’odierno areopago giovanile. Le proposte antropologiche rivendicate dal pluralismo odierno sembrano favorire uno stile di vita ed un modello esistenziale di giovane «senza vocazione» (l’«uomo senza vocazione», cf Nuove vocazioni per una nuova Europa, LEV, Città del Vaticano 1997, n. 11/b-c). Immersi in un crocevia di pluralismi, «da un lato i giovani cercano autenticità, affetto, rapporti personali, grandezza di orizzonti, e dall’altro sono fondamentalmente soli, ‘feriti’ dal benessere, delusi dalle ideologie, confusi dal disorientamento etico».
    In tale situazione, la «logica dell’Eccomi» non manifesterebbe più una risposta all’appello di Dio (relazione bilaterale), bensì evidenzierebbe un’autoaffermazione della sovranità dell’uomo assoluto che afferma se stesso come unico interprete e signore del progetto di trasformazione del mondo. Dal sistema produttivo a quello della ricerca medico-scientifica, dalla pretesa della «superiorità culturale» a quella della capacità di egemonizzare la comunicazione e la globalizzazione, sono molti i segni di un processo di autoreferenzialità che mira ad escludere l’idea della «vita come vocazione» e, di contro, ad affermare l’idea di una «esistenza destrutturata», svincolata da ogni progetto e priva di ogni relazione con il mistero del Dio trascendente. L’Eccomi è spesso interpretato anche tra i giovani come una risposta personale di fronte ad un impegno appellante che non coinvolga l’intera esistenza, ma sia di breve durata, controllabile e soprattutto che lasci a ciascuno la «libertà» e la determinazione autoreferenziale di fronte al proprio e altrui futuro.
    Questa «parola» è presente nei racconti biblici, e la sua narrazione ci aiuta a fare memoria di una fondamentale relazione che alberga nel cuore di ciascun uomo: quella che nasce dalla ricerca di Dio e del suo progetto.

    Narrazione

    L’Eccomi di Dio

    Prima ancora dell’Eccomi dell’uomo, nella rivelazione biblica troviamo l’Eccomi di Dio, che precede la stessa relazione con gli uomini. Mediante la creazione del mondo, Dio si rende presente nella storia e pone in essere un «dialogo di vita» con le sue creature. La sua presenza (shekinah) è misericordiosa e provvidente nell’esistenza vocazionale di Abramo: Dio (Gen 17,1: El Shaddaj) diventa «consanguineo» del patriarca mediante l’alleanza (berit) di sangue, indicata nel segno della circoncisione. Prima di ricevere il segno nella carne, prostrato a terra il patriarca di Ur accoglie la grande «promessa» del Dio presente nella sua vita: «Eccomi: la mia alleanza è con te e sarai padre di una moltitudine di popoli» (Gen 17,4). A partire da questo momento il cammino di Abramo sarà contrassegnato dall’assistenza costante di Dio nella sua vita e nella vita dei suoi discendenti.
    Sono soprattutto i profeti a rivelare nei loro oracoli l’Eccomi di Jahwe, e a ricordare al popolo il Dio presente ed operante nel tempo. Più volte l’Altissimo si fa conoscere con il suo «Eccomi» attraverso i prodigi compiuti in mezzo al suo popolo (Is 29,14). Israele è continuamente richiamato a riconoscerlo nell’invocazione (Is 58,9; 65,1) e a servirlo con rinnovato amore, dopo l’esperienza del peccato e la rottura dell’alleanza (Is 52,6). Ancora più insistente è il «Dio dell’Eccomi» nell’esperienza di Geremia, il giovane profeta contestatore. Se l’idolatria ha cercato di eliminare la fede in Jahwe e la sua alleanza con il popolo, Dio è pronto dialogare e ad entrare in giudizio per spingere Israele in un nuovo «esodo di conversione» (Ger 2,35). Con il suo «Eccomi» Jahwe ammonisce la casa di Giuda (Ger 21,11-14) e mette in guardia i «falsi profeti» che «rubano le sue parole» (Ger 23,30) e falsificano gli oracoli traviando il popolo (Ger 23,31-32). Se non ci sarà conversione, l’Eccomi di Dio si trasformerà in giudizio di condanna e di distruzione (Ger 50,31, 51,25).
    La valenza giudiziale dell’Eccomi divino è sottolineata anche negli oracoli di Ezechiele contro l’inganno dei falsi profeti (Ez 13,8) e le malie delle fattucchiere (Ez 13,20). L’arroganza delle nazioni pagane conoscerà la presenza vendicatrice di Jahwe che, come «spada» (Ez 21,8), ridurrà a nulla le potenze straniere (Ez 25,7; 26,3; 35,3) e «mostrerà la sua gloria» in mezzo al popolo: «Si saprà che io sono il Signore quando farò giustizia di te e manifesterò la mia santità» (Ez 28,22). L’Eccomi di Dio sarà contro la schiavitù dei vecchi e nuovi faraoni (Ez 29,3.10; 30,22; 38,3; 39,1): per il popolo che cerca la pace, Jahwe sarà il «pastore buono» che giudicherà i cattivi pastori di Israele: «Dice il Signore Dio: Eccomi contro i pastori: chiederò loro conto del mio gregge e non li lascerò più pascolare il mio gregge, così i pastori non pasceranno più se stessi, ma strapperò loro di bocca le mie pecore e non saranno più il loro pasto» (Ez 34,10). Ugualmente per mezzo degli oracoli di Naum, Jahwe afferma il suo Eccomi contro la prepotenza arrogante di Assur (Na 2,14) e la corruzione dilagante di Ninive (Na 3,5). Va infine sottolineato come l’Eccomi di Dio riecheggia nella sua creazione, come in una straordinaria armonia di pace. Rimane memorabile il dialogo cosmico tra Dio e il «creato personificato» nell’oracolo di Baruch: «È Dio che invia la luce ed essa va, che la richiama ed essa obbedisce con tremore. Le stelle brillano dalle loro vedette e gioiscono; egli le chiama e rispondono: ‘Eccoci!’ e brillano di gioia per colui che le ha create» (Bar 3,33-35).

    L’Eccomi dell’uomo

    Se l’Eccomi di Dio rivela la sua presenza operante e provvidenziale nella storia umana, l’Eccomi dell’uomo, espresso attraverso le vicenda di personaggi biblici, sancisce l’esordio di una fondamentale relazione vocazionale. Alla luce dei racconti scritturistici tale relazione determina e definisce l’essere stesso dell’uomo raggiunto dalla chiamata, il suo destino di creatura posta di fronte al «tu» di Dio, in modo da poter affermare che tutta l’esistenza umana è interpretata come un «compito vocazione». Secondo la concezione biblica l’uomo «non ha la vocazione» come fosse un bene di possesso, bensì «deve maturare la propria vocazione» come una graduale scoperta da compiere in relazione al progetto di Dio, origine e sorgente di ogni vocazione. Con la parola «Eccomi» si inaugura il primo momento della risposta dell’uomo a Dio che chiama.
    Nel senso vocazionale l’espressione «Eccomi» ritorna in numerose storie vocazionali (menzioniamo i protagonisti più noti: Giacobbe, Giuseppe, Saul, Davide, Salomone, Giuditta, Ester, Tobia, Geremia, Ezechiele, Daniele, Maria di Nazareth, Simon Pietro, Paolo). Ciascuna storia porta in sé un profondo messaggio antropologico e teologico. Per poter cogliere la densità espressiva ed esistenziale dell’«Eccomi dell’uomo» di fronte alla chiamata di Dio, segnaliamo brevemente due figure principali, note al pubblico giovanile: Mosè e Samuele. Mosè, un personaggio perseguitato e profugo in terra di Madian, strappato dal suo esilio per liberare i suoi fratelli che sono nella sofferenza. Samuele, «figlio della fede» di Anna (1Sam 1), chiamato da bambino a seguire Dio e la sua parola per guidare il popolo nella giustizia.
    La nota storia di Mosè è incastonata nell’epopea dell’esodo del popolo. Mosè vive in prima persona un «esodo nell’esodo», ponendo una grande resistenza all’iniziativa divina (cf Es 4). Dalla situazione di schiavitù in terra di Egitto, sotto la guida di Mosè e di Aronne il popolo verrà liberato prodigiosamente per mano di Dio e guidato attraverso il deserto nella terra promessa di Canaan. In Es 3 si descrive l’esperienza teofanica del Legislatore di Israele: chiamato mentre contempla un roveto ardente, Mosè risponde alla voce celeste con l’«Eccomi» (Es 3,4). Nella rivelazione del Sinai, Dio si presenta anzitutto come il «Dio dei padri, di Abramo, di Isacco e di Giacobbe», colui che «conosce» la sofferenza del suo popolo e che è sceso per «liberarlo» dalla mano dell’Egitto e «farlo uscire» verso la terra promessa (Es 3, 8). Il pastore del gregge è invitato a diventare «pastore di un popolo libero». All’Eccomi di Mosè corrisponde la vicinanza di Dio che rivela il nome divino, da intendersi come progetto anticipatore di un’alleanza: «Io sono colui che sono» (Es 3,14: ‘ehjeh ‘asher ‘ehjeh). La storia di questa relazione di amicizia conoscerà vicende alterne, con grandi momenti di crisi e schiarite di speranza. Nelle successive tappe dell’esodo Mosè imparerà a conoscere il progetto di Dio passando attraverso fallimenti, rinnegamenti e sconfitte (cf Nm 20,3-13; Dt 1,37-38). Mosè dovrà ripetere molte volte il suo «Eccomi» per sé e per il «suo popolo», imparando a porre la sua fiducia solo in Jahwe. Anche se questo «Eccomi» viene rinnegato e contraddetto dal peccato e dalla fragilità umana, tuttavia Dio manterrà la sua alleanza con il suo popolo, introducendolo nella terra promessa. A buon diritto la storia di Mosè può essere definita un’«avventura dell’Eccomi»!
    A differenza dell’esperienza esodale di Mosè, il racconto della vocazione di Samuele si contestualizza nel tempio di Silo, nel cuore di un processo di unificazione e di configurazione dell’identità di Israele. Nella sua semplicità il racconto fa emergere i contrassegni del progetto divino di far maturare il «cuore» del suo popolo, come l’amore di un padre verso i suoi figli. A tale fine Dio chiama «fin dal grembo materno» e consacra Samuele, la cui figura riassume tre fondamentali funzioni: egli sarà un patriarca come Abramo, un legislatore come Mosè e un giudice fedele in grado di discernere e guidare la comunità dell’alleanza secondo il progetto divino di salvezza e di prosperità. L’introduzione del sistema monarchico in Israele (1Sam 8) e il suo successivo sviluppo problematico, rendono questo personaggio biblico un vero testimone della presenza operante di Jahwe in mezzo alla sua gente. Samuele donerà la sua vita per il bene del suo popolo, e la sua memoria rimarrà fortemente radicata nei secoli successivi (cf Sir 56,13-20).
    La storia vocazionale del giovane personaggio è preparata fin dalla sua nascita miracolosa: per via del voto fatto dalla madre Anna, Samuele viene consacrato e offerto a Dio (1Sam 1,25-28). Il fanciullo vive e cresce insieme alla comunità religiosa nel contesto del recinto sacro. Jahwe decide di scartare i figli di Eli per la loro empietà e di chiamare Samuele perché divenga guida del suo popolo (1Sam 2,27-36). In 1Sam 3 viene riportato il singolare dialogo vocazionale: durante la notte, mentre il piccolo Samuele era coricato nel tempio del Signore vicino all’arca, per tre volte Jahwe chiama il fanciullo. La risposta pronta di Samuele è quella dell’«Eccomi». Credendo di essere interpellato da Eli, il fanciullo si dirige verso il vecchio sacerdote, domandando: «Mi hai chiamato: Eccomi» (1Sam 3,4-8). Più volte Eli lo rimanda a dormire. Solo alla fine l’anziano sacerdote comprende che Dio stava chiamando il fanciullo e suggerisce al piccolo come rispondere: «Vattene a dormire e, se ti si chiamerà ancora, dirai: Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta» (1Sam 3,9). E così accade: da quel momento Samuele apre il suo cuore al progetto di Dio ed offre la sua vita per intercedere a favore del popolo (Sal 99,6) e portarlo sulla via della giustizia e della pace (cf Sir 46,13). L’«Eccomi» di Samuele a Dio segnerà un percorso di fedeltà lungo tutta la sua vita. Fedeltà all’alleanza voluta da Jahwe e fedeltà alla storia della sua gente, per la quale il profeta è chiamato a vigilare nella responsabilità e nel dono continuo di sé. Per tale ragione la vita del profeta può essere compresa come la «storia di fedeltà all’Eccomi».

    Provocazione

    L’analisi sintetica proposta ci consente di attualizzare nell’odierno contesto giovanile il messaggio esistenziale dell’Eccomi. In un tempo di crisi e cambiamenti religiosi, mentre sperimentiamo un’«oblio di Dio» in una parte consistente della cultura giovanile, la parola «Eccomi» può diventare una «sfida della fede», un segno che deve aiutarci a rileggere la vita come un’avventura di senso, che nasce da un «appello» proveniente dall’Alto. Ogni azione di Dio nella storia si connota al testo stesso «profetica e provocatoria»: soprattutto quando Dio decide di «chiamare» l’uomo per un progetto «più grande» di amore, cambiando radicalmente la sua prospettiva! In questo mistero di libertà e di fede si cela l’aspetto sconvolgente dell’irruzione di Dio nel cuore dell’uomo: Eccomi!
    Sperimentiamo in due storie vocazionali la dimensione «progettuale» dell’Eccomi dell’uomo di fronte alla chiamata di Dio. La prima esperienza è quella del profeta Isaia accaduta nel tempio di Gerusalemme (Is 6,1-13); la seconda si incarna nel «si» della Vergine Maria a Nazareth (Lc 1,26-38).

    Isaia: «Eccomi, manda me a questo popolo»

    La vocazione del grande profeta, la cui vicenda storica si colloca nel regno di Giuda verso la seconda metà del VIII secolo a. C., è caratterizzata da un’esperienza mistica avvenuta nel contesto di una celebrazione templare a Gerusalemme. Appartenente ad una famiglia aristocratica e noto alla corte regale, Isaia è chiamato a svolgere un ruolo determinante per evitare l’idolatria e difendere il popolo dalla disfatta politica e militare. Nel tempio egli cerca una risposta da Jahwe, per poter annunciare la Parola di speranza e di verità ai capi di Giuda (Is 7,3-9.14-17). Mentre si offriva incenso, il profeta descrive l’esperienza visiva ed uditiva nel tempio: «Io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato» (Is 6,1). Il profeta contempla la presenza di Jahwe, attorniato da una schiera di angeli fiammeggianti (serafini), che proclamavano l’un l’altro: «Santo, santo, santo il Signore degli eserciti, tutta la terra è ripiena della sua gloria» (Is 6, 3).
    Mentre il luogo «tremava» tutto, Isaia si sente perduto per l’indegnità del suo peccato: stare davanti a Dio significa soccombere per il terribile peso della sua santità (qadôsh) e della sua gloria (kabôd). Mentre il profeta pensava a questo, un serafino viene inviato per «purificare» le labbra di Isaia con un carbone ardente ed espiare così il suo peccato (Is 6,7). Al gesto purificatore segue la voce divina e la risposta del profeta: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!» (Is 6,8). Dio chiama l’uomo a portare al popolo la sua Parola, dopo aver purificato dal peccato le sue labbra. Il profeta è colui che annuncia la parola di Dio, che vive in prima persona il messaggio di riconciliazione e di salvezza. Per questa ragione l’Eccomi di Isaia indica l’adesione nella fede al progetto che Jahwe rivelerà lungo la storia: Isaia dovrà recarsi ad un popolo dal cuore indurito, malato di peccato ed incapace di ascoltare, senza temere perché Dio sarà con lui (Is 6,9-12). Le sofferenze e le distruzioni che Giuda conoscerà non dovranno distoglierlo dalla relazione fondamentale con Jahwe e la sua promessa di salvezza: da Giuda uscirà una discendenza santa che porterà la pace (Is 6,13).
    * «Eccomi» indica anzitutto il desiderio della ricerca del senso della propria vita. In modo particolare l’Eccomi deve poter diventare una espressione «giovanile», ricca di speranza e di meraviglia.
    * «Eccomi» dice volontà di dialogo e di apertura al confronto: la vita non può essere programmata secondo criteri e schemi predeterminati. Vivere è rispondere in un presente reale verso un futuro di felicità e di condivisione.
    * «Eccomi» rivela allo stesso tempo la mia identità e la capacità di aprirmi di fronte al mistero. Nella vicenda del profeta Isaia questo mistero ha rappresentato un incontro mistico, trasformante, a cui l’uomo di Dio non si è sottratto, per il bene del suo popolo.
    * «Eccomi» comporta la condivisione di una Parola «dall’alto», a causa della quale il profeta soffrirà, lottando contro il male e le sue insidie.

    - Cosa ha suscitato in te la lettura di Is 6,1-13?
    - Chi è oggi «un profeta»? Come oggi si potrebbe attualizzare la «missione profetica di Isaia»?
    - L’Eccomi deve aiutarci a superare una cultura anti-vocazionale, facendoci comprendere che il dono della propria vita non è perdita di identità, bensì conquista di senso. Come questo può accadere tra i giovani? Nella dinamica della ricerca e del discernimento, che ruolo assume la preghiera e l’interiorità della Parola di Dio?

    Maria: «Eccomi, sono serva della tua Parola»

    La seconda figura dell’Eccomi è quella di Maria secondo il noto racconto dell’annunciazione dell’Angelo nella casa di Nazareth (Lc 1,26-38). La storia va intesa come un «portale» che prepara il cammino dell’intero Vangelo lucano. L’Eccomi di Maria anticipa il «sì» del Figlio e della Chiesa al disegno provvidenziale del Padre. L’evangelista apre la storia evangelica con la fragile e dubbiosa risposta di Zaccaria all’annuncio della nascita del Battista (Lc 1,5-25) a cui segue l’annuncio a Maria. Il contesto narrativo è caratterizzato dall’estrema semplicità e disponibilità della Vergine, chiamata a «cambiare» il suo futuro già segnato dal fidanzamento con Giuseppe (Lc 1,26.34) e a divenire «madre del Salvatore» (Lc 1,31).
    Il dialogo con l’angelo è molto profondo fin dalle prime parole del saluto: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Lc 1,28). La prima parola dell’Angelo è «Rallegrati» (chaire): Dio sta riempiendo di gioia la vita di Maria in vista della venuta del Messia nel mondo. Il Signore dice il suo «Eccomi» alla Vergine in modo del tutto speciale: egli è presenza incarnata, dono di amore per la salvezza del popolo. Maria rimane turbata di fronte al saluto e si domandava il senso di quelle parole (Lc 1,29). L’angelo la rassicura invitandola a «non temere» (Lc 1,30) e le annuncia la maternità divina, grazie all’intervento dell’Altissimo nella sua esistenza (Lc 1,31-33). Lo Spirito di Dio adombrerà la sua vita e l’impossibile diventerà possibile: per il «sì» di una donna Dio entrerà nella storia degli uomini.
    Il segno della potenza di Dio è già annunciato nella maternità di Elisabetta: la sterilità si trasforma in fecondità, per virtù della fede e dell’amore. Maria ha ascoltato l’annuncio dell’angelo ed ha fatto sue quelle parole profetiche. Il suo cuore, aperto a Dio e al suo progetto, non teme più: nella sua piccolezza Dio le domanda un «sì» pieno e totale. La risposta della Vergine diventa modello di ogni risposta vocazionale all’appello divino: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38). L’Eccomi di Maria ci consente di fare memoria dell’intera storia di amore tra Dio e l’uomo: da Abramo in poi il «sì» a Dio diventa incontro di vita, adesione al progetto di speranza e di redenzione per l’umanità. In Maria, la cui disponibilità alla grazia è come quella di una schiava (doul) di fronte alla volontà del suo padrone, si porta a compimento l’attesa dell’uomo e si rende visibile la vita come vocazione all’amore.
    * «Eccomi» in Maria indica la capacità di ascolto umile e semplice della Parola, che diventa obbedienza (dal latino: ob-audire) di fede e di vita.
    * «Eccomi» è capacità di saper affidare i propri progetti a Dio per un «progetto più grande» che spesso non siamo in grado di percepire.
    * «Eccomi» è saper «rileggere» tutta la nostra vita nella verità dei doni e delle relazioni che hanno segnato il nostro passato.
    * «Eccomi» è parola di servizio e di fede. Per questo Maria si riconosce «serva della Parola» e risponde liberamente e pienamente alla chiamata divina.

    - Cosa ha suscitato in te la lettura di Lc 1,26-38?
    - La Vergine di Nazareth rivela la sua condizione di piccolezza e di semplicità, vivendo il turbamento di fronte al progetto di Dio. L’Eccomi non elimina la dimensione umana del credente, ma la schiude di fronte a prospettive nuove. Come aiutare i giovani a cogliere questo dinamismo di fede?
    - Maria si pone in ascolto della Parola di Dio: dall’ascolto vissuto nel cuore si genera l’incontro fondamentale. Quanta capacità di «ascoltare interiormente» oggi è presente nel contesto giovanile?
    - La risposta dell’Eccomi è accompagnata da una definizione della Vergine: ella si dice «serva del Signore». L’Eccomi deve diventare esperienza di ascolto e di servizio, di contemplazione e di azione. Siamo capaci oggi di vivere questa unità interiore, di «fare sintesi» nella nostra vita?

    Invocazione

    Il messaggio dell’Eccomi diventa preghiera di invocazione. Tra le numerose espressioni e preghiere vocazionali, una singolare risonanza dell’Eccomi si trova nel Sal 39, la cui evocazione ritorna in chiave messianica nella Lettera agli Ebrei in riferimento all’Eccomi di Gesù al Padre (Eb 10,7-9). Ripercorriamo una parte del Sal 39,6-9 per entrare nel dinamismo della invocazione, guardando a Gesù.

    Quanti prodigi tu hai fatto,
    Signore Dio mio,
    quali disegni in nostro favore:
    nessuno a te si può paragonare.
    Se li voglio annunziare e proclamare
    sono troppi per essere contati.
    Sacrificio e offerta non gradisci,
    gli orecchi mi hai aperto.
    Non hai chiesto olocausto e vittima
    per la colpa.
    Allora ho detto: «Ecco, io vengo.
    Sul rotolo del libro di me è scritto,
    che io faccia il tuo volere.
    Mio Dio, questo io desidero,
    la tua legge è nel profondo del mio cuore».

    - Quale «parola» di questo brano salmico interpreta meglio i bisogni dei giovani? Perché?
    - «Ecco io vengo»: si tratta della decisione personale di mettere la propria vita e il proprio futuro nelle mani di un «Altro»: questo «Altro» è Dio che parla nella Bibbia per mezzo della Chiesa.
    - Come aiutare i giovani a tradurre in cammino di preghiera il desiderio del dono di sé?

    Questo desiderio di offerta di se stessi non deve farci sfuggire dalla storia, anzi deve aiutarci ad «entrare nella storia» dei nostri giovani. L’Eccomi vocazionale lo vediamo realizzato in numerosi testimoni della santità di ogni tempo. Fare la volontà di Dio significa entrare nella conoscenza di se stessi e imparare ad affidare la propria vita a Colui che «ha dato la sua vita per noi», dicendo il suo «sì» a tutte le promesse di Dio (2Cor 1,19).


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