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    Come sono cambiati i preadolescenti?


     


    Ragazzi con la maschera di adulti

    Mario Delpiano

    (NPG 2007-07-36)


    Di tanto in tanto, a scadenza almeno annuale, ci giungono rapporti di ricerche, convegni di analisi, che richiamano l’attenzione sui preadolescenti attuali, spesso schiacciati a fatica tra fanciullezza e adolescenza.

    Ho tra le mani i rapporti di ricerca e le tabelle dei dati dell’indagine annuale della Società Italiana di Pediatria (anni 2004, 2005, 2006), e sono sollecitato a tornare a riflettere su quel mondo dei soggetti che, nei decenni passati, sono stati definiti come l’«età negata»; fascia di età che, a dire il vero, sembra rimasta, nonostante tutto, ancora ai margini dell’attenzione dei ricercatori, soprattutto se assunta come età specifica della vita e non diluita nell’adolescenza.
    Mi trovo dinanzi a tabelle, a domande semplici e di facile accesso da parte dei ragazzi e ragazze di oggi, e a numeri e percentuali.
    Ciò mi ricorda quel progetto, poi eclissato, di ripartire agli inizi del terzo millennio, con una nuova messa a fuoco del pianeta preadolescenza all’inizio del nuovo millennio.
    L’esigenza resta e le domande sono sempre più cariche di interrogativi.
    Quanti sono oggi i soggetti di questa fascia d’età sempre più eclissata nella vita sociale?
    I preadolescenti stanno diventando invisibili nel sistema sociale, difficili da identificare, sfuggenti all’occhio di una telecamera. Eppure resto confermato nella convinzione che la telecamera, oltre che l’osservazione diretta, risultano essere gli strumenti più capaci di catturare qualcosa di quel mondo, fedeli nel leggere quel libro aperto che è la loro personalità in fase di cambiamento, in quell’oscillare pendolare di comportamenti tra infanzia e adolescenza, esteriorità e interiorità, dipendenza e contro-dipendenza, ricerca di auto-definizione e bisogno di etero-definizione.
    Un primo dato è certo: questo universo di soggetti si sta riducendo, molto probabilmente tra gli 11 e i 14 anni non raggiunge i 2,5 milioni di unità. È l’esito della caduta della natalità. A compensare la tendenza saranno i minori extracomunitari, in crescita numerica.

    Sempre più «oggetto» di investimento e aspettative familiari

    Ma i grandi interrogativi non sono dell’ordine quantitativo.
    Il restringersi della base della piramide della popolazione giovanile, e pertanto non riguarda solo l’età della preadolescenza, è un dato che dà a pensare; e se teniamo conto della tendenza alla drastica riduzione del numero dei fratelli e sorelle, questi nuovi figli di oggi diventano l’investimento prioritario, spesso unico e assoluto, dei loro genitori. Figli sempre più solitari, di genitori che sono disposti sempre di meno a rinunciare ad un elevato investimento affettivo, ma anche finanziario e formativo stracarico di aspettative.
    E così i preadolescenti stessi non vedono l’ora di bruciare le tappe per essere subito «grandi». «Sempre più adulti senza esserlo», commenta la chiusura del rapporto 2006!
    Se ciò da una parte può condurre ad una crescente responsabilizzazione della famiglia nel collaborare in sinergia con le agenzie educative, dall’altra conduce di fatto all’aumento della conflittualità inter-istituzionale e all’affiorare sempre più dominante di atteggiamenti iperprotettivi nei confronti del minore, nell’incapacità evidente della famiglia di assolvere una parte corale nella sinfonia dell’educazione, in un tempo di pluralismo culturale, valoriale e di modelli e stili educativi.
    Il conseguimento dell’alleanza educativa e progettuale, sulla piattaforma di valori sociali condivisi, che spezzi il guscio privatistico-consumistico-borghese del sistema sociale, è sempre più una scommessa e una conquista faticosa da parte delle agenzie sociali che giocano sul terreno dell’educativo.

    A CONFRONTO CON DATI CHE RIVELANO STILI, COMPORTAMENTI, MODELLI

    L’interesse delle ultime ricerche della Società Italiana di Pediatria sui preadolescenti, (chiamati adolescenti) appare alquanto ristretto e delimitato, anche se ogni anno viene aperta una finestra nuova su spicchi di vita e sul vissuto dei ragazzi/e di questa età della vita.
    Vengono indagati i seguenti ambiti della vita del preadolescente: uso dei media (TV, PC, web internet), sport e doping, modelli e io ideale; ideali: avere, fare, essere; percezione di sé, del sé corporeo, del sé attuale e dell’io ideale, affettività e sessualità, famiglia e adulti, bullismo e dintorni, alimentazione, addiction e consumi trasgressivi, comportamenti a rischio,
    Certo sarebbe quanto mai interessante e opportuno poter accedere ai presupposti teorico interpretativi sulla (pre-)adolescenza del terzo millennio che stanno alla base della ricerca e delle ipotesi da essa avanzate.
    Ma a questo tipo di dati non possiamo accedere; anche il Rapporto è molto scarno e non lascia trasparire ipotesi da verificare. Possiamo al massimo indurre e operare delle inferenze.
    Mi pare tuttavia interessante interrogare questi dati e questi rapporti con le pre-comprensioni sulla preadolescenza maturate con la ricerca dell’Età negata e individuare dei trends di cambiamento di modelli comportamentali, comunicativi, soprattutto fruitivi e consumistici dei preadolescenti di oggi, rispetto al passato. Anche se ciò che interessa più da vicino l’educatore è se in questo contesto di cambio veloce, nella sur-modernità della telematica e del virtuale, i compiti evolutivi della preadolescenza siano più facilmente assicurati o non invece ostacolati e resi più problematici. Perché, a quanto pare, si può desiderare e voler apparire «adulti», cioè cresciuti e cambiati, ma senza aver elaborato fino in fondo i compiti di crescita che questo tempo della vita, questa età, getta spudoratamente sul tavolo della crescita come sfida.
    La situazione di vita, le offerte di consumo, di fruizione di beni, di relazionalità, di opportunità e di espressività, sono certamente state profondamente modificate nell’arco di questi 10-15 anni.

    Cambiare attraverso il mondo degli strumenti di comunicazione

    Video TV e video PC, cellulare e playstation, mp3 e quant’altro, sono gli oggetti-fratelli minori/maggiori con cui interagiscono maggiormente in casa in vita quotidiana. Mentre diminuiscono ragazzi con fratello e/o sorella, crescono questi fratelli elettronici e telematici con i quali entrare in relazione tra le mura domestiche. Ma quale relazione?
    9 ragazzi e ragazze su 10 oggi ha in casa l’accesso ad un PC. Oltre la metà dei maschi lo ha disponibile personalmente nella propria cameretta; pertanto la regolazione e l’uso è essenzialmente lasciato alla propria discrezionalità, quando non capriccio.
    Quasi la totalità dei ragazzi ha il collegamento ad internet dal PC disponibile, anche se la stragrande maggioranza asserisce di collegarsi solo «ogni tanto»; sono il 20% i soggetti che si collegano quotidianamente ad internet. Il trend è in crescita di anno in anno.
    Chiaramente l’acceso ad internet funge prevalentemente da enciclopedia e banca dati di facile accesso, anche se la maggior parte dei ragazzi indica, con percentuali elevate, che da internet scarica canzoni, immagini, musica, e minoritariamente scambia posta elettronica.
    4 maschi su 10 navigano senza precisa meta, a caccia di curiosità, di informazioni e di emozioni nuove, e ben 4 su 10, soprattutto ragazze, scelgono la modalità del chattare per comunicare nella piazza virtuale con altri navigatori di età spesso sconosciuta.
    Ciò che affascina di più internet ai nostri ragazzi e ragazze è acquisire oggetti informatici appetibili, come musica e dvd o anche acquistare oggetti; ma interessa anche l’avventura di accedere alla diversità e varietà delle informazioni, di mondi virtuali sconosciuti.
    Il tempo preferito per la navigazione è il pomeriggio e la prima serata, e questi collegamenti vengono fatti in prevalenza da soli o con qualche amico, a volte i fratelli e sorelle, ma solo 1 su 10 accede a questo mondo dell’informazione a tutto campo in compagnia dei genitori.
    Da questi dati si coglie come la famiglia non percepisca assolutamente il rischio di questo abbandono dei figli preadolescenti al mondo della comunicazione virtuale e come stenti a porsi riflessamente il problema di una tutela dei figli e dunque la predisposizione di eventuali filtri di accesso, siano essi costituiti dalla relazione interpersonale del genitore presente, o invece di ordine tecnologico-informatico.
    La libertà di navigare lasciata ai nostri preadolescenti è massima e senza limite. Un indicatore alquanto aggiornato del permissivismo e dell’atteggiamento rinunciatario della famiglia, sempre più spesso celebrata retoricamente nel suo dover essere la grande agenzia primaria dell’educazione! Agenzia dell’allevamento magari, ma sempre meno della responsabilità educativa.
    È ancora fresca l’informazione di Bill Gates e consorte che si sono offerti come modello ai genitori di mezzo mondo decidendo di limitare il tempo di navigazione alla propria figlioletta. Chissà che questa notizia non riesca a contagiare anche un po’ di genitori e di educatori?
    In questo libero navigare nel mondo virtuale i preadolescenti riconoscono essi stessi il rischio di imbattersi in siti dannosi, oltre che vietati ai minori, che danno paura o fastidio, nonostante la maschera dell’indifferenza dichiarata più spesso dai maschi.
    Il 50% dei soggetti, sono soprattutto le ragazze, asseriscono di fermarsi e di non entrare in certi siti; soprattutto la maggioranza dei maschi non resiste al fascino del vietato che incuriosisce, garantito dalla falsa consapevolezza che «nessuno può sapere che ci sono entrato».
    Cosa è che fa paura e dà fastidio quando il preadolescente si imbatte in siti o messaggi? Le immagini pornografiche, quelle di violenza, certe conversazioni avute nel chattare e a volte anche messaggi di posta elettronica. Sono i maschi quelli che si dichiarano più immunizzati e insensibili.
    Spesso la posta elettronica personale o il chattare vengono a sostituire quello che un tempo era il luogo preferito dell’interiorità da scoprire e da esternare: il diario, dove raccontarsi a se stessi e a qualcuno immaginario. Gli amici infatti sono i primi in assoluto ad essere messi eventualmente a parte delle comunicazione più personali.
    Per quanto riguarda il chattare, il preadolescente lo fa spesso da solo, e i maschi sono in maggioranza; quando ci sono gli amici... meglio ancora, perché insieme.

    La signora TV

    Un altro media gettonato da tutti i ragazzi e ragazze di oggi è la TV, che non viene soppiantata per nulla dal PC.
    È una tendenza crescente quella di trascorrere sempre più tempo davanti al televisore che, insieme al PC, diventa in casa il mezzo inconsapevole di segregazione sociale e di riduzione della socializzazione nel tempo della preadolescenza.
    È vero che qualche lieve cambiamento di fruizione del tempo televisivo fa ben sperare: sono diminuiti sia i ragazzi che trascorrono più di tre ore dinanzi al televisore, che quelli che ne trascorrono meno di un’ora giornaliera. Invece aumentano anche se di poco quelli della fascia di mezzo.
    All’incirca 9 su 10 dei ragazzi e delle ragazze di oggi trascorre da 1 a 3 ore davanti al televisore lungo la giornata, mentre il restante 10% si accontenta di 1 ora (questi sarebbero interessanti da intervistare e da conoscere, perché sono coloro che costituiscono la minoranza sempre più ridotta di quelli che possono dotarsi di alternative alla vita «libera» trascorsa in appartamento!).
    Pomeriggio, sera e dopocena sono i tempi prescelti, cioè quelli che restano liberi dal tempo obbligatorio della scuola.
    Pur con tutte le variabili intervenienti, compreso il periodo dell’epoca di amministrazione del questionario del 2004 (il periodo tra maggio e settembre rischia di essere un po’ deformante la vita quotidiana e ordinaria del preadolescente nel corso dell’anno!) affiora un dato preoccupante: 7 ragazzi su 10 di ambo i sessi fruiscono anche di solito della TV fino alle 23... e 2 su 10 anche oltre la mezzanotte.
    Anche questo è un indicatore delle abitudini e dell’assenza di regolazione della vita domestica: infatti affiora il dato che i genitori sostanzialmente non pongano «limiti» nemmeno temporali alla fruizione del mezzo televisivo. Basta che li tenga buoni e non diano fastidio, e se ci sono bisticci la soluzione c’è: un televisore in camera per ciascuno, così non si fanno guerre e tutti perseguono il proprio individuale programma di gradimento. Se poi a ciò si aggiunge che durante pranzo e cena ordinariamente si mangia con la tv accesa (oltre i 2/3 del campione), ci si interroga: ma i genitori di questi ragazzi quando si danno il tempo per dialogare con i figli e figlie e fermarsi ad ascoltarli?
    L’astinenza totale per almeno un giorno al mese del mezzo televisivo è una cosa alquanto rara e raggiunge 3 su 10 dei soggetti.
    Anche di fronte al mezzo televisivo i preadolescenti esprimono la loro reazione emotiva rispetto ad immagini violente: fastidio e paura per le ragazze, indifferenza prevalente nei maschi.
    Interessante questa dichiarata immunizzazione emotiva dei maschi di fronte a immagini, scene, rappresentazioni virtuali di violenza. La mia ipotesi è che ci troviamo dinanzi a differenti meccanismi di difesa di fronte alle emozioni intense: paura, fuga, fastidio dalle femmine, negazione e finta indifferenza da parte dei maschietti.

    Annoiati dalla pubblicità… prigionieri di un mondo virtuale

    Ciò non toglie che oggi sia da collocare nella massima attenzione proprio nel tempo della preadolescenza l’educazione alle emozioni e alla loro espressione.
    E quale è la presa di posizione di questi nostri soggetti preadolescenti dinanzi ai contenuti della tv?
    Pur riconoscendo che essa tende ad influenzare gusti e scelte di consumo e di acquisto, quasi 9 soggetti su 10 del campione asserisce che «la pubblicità in TV è troppa»; e tenendo presente che essi stessi solo in piccola percentuale sentono di essere influenzati nel desiderare e acquistare cose pubblicizzate in TV, sembrerebbe poter indurre l’ipotesi che l’eccedenza di pubblicità possa col tempo produrre nei fruitori indifferenza, saturazione e rifiuto dagli stessi prodotti simbolico-mediatici pubblicizzati.
    In ogni caso gli oggetti pubblicizzati più attraenti sono per i maschi gli oggetti del mondo dell’elettronica e della informatica (hifi, videogiochi, telefonini, PC) e dell’abbigliamento. La cura e l’interesse per gli oggetti simbolici con cui addobbare il corpo e presentarlo come modello ... è quanto mai rispondente alla ricerca-esplorazione della nuova identità fisico-corporea del preadolescente, soprattutto per le ragazze, mentre per i maschi il possesso e il dominio degli ultimi ritrovati elettronici costituisce motivo di vanto e di affermazione di status sociale.
    C’è un aspetto non indagato sul tempo della fruizione televisiva che meriterebbe particolare attenzione: qual è l’uso prevalente della TV da parte del preadolescente? Quella di spettatore passivo o non quella di soggetto interattivo? È qui che resta aperto il campo maggiore d’indagine sulla fruizione televisiva.
    La playstation (1 - 2 - 3) e il gioco interattivo, magari in compagnia di fratelli o di amici, costituisce a mio parere il cantuccio e la nicchia di interazione privilegiata con il mezzo televisivo da parte del preadolescente oggi. Ed è proprio attraverso l’analisi della qualità dei programmi di gioco interattivo che forse si può inferire sui modelli relazionali e comportamentali acquisiti in questo tempo di massima esposizione.
    A tutto questo mondo di oggetti magici che spingono il preadolescente ad abitare da casa più un mondo virtuale che non il mondo reale, si aggiungono alcuni dati ulteriori: 9 su 10 dichiarano di possedere il cellulare. E qui si apre un altro campo simbolico di comunicazione, dove viene corroso sempre più lo spazio e le possibilità della comunicazione reale col mondo, lo scambio fisico-corporeo con gli altri da sé, sostituito sempre più dallo scambio sostitutivo-simbolico.
    Esso è certo uno dei fattori di deprivazione socio-relazionale, soprattutto affettivo-relazionale con gli altri e con la realtà nel tempo della preadolescenza. Si tratta di tempi di comunicazione sottratti al contatto e alla reazione reale col mondo degli altri per essere sostituiti dal contatto digitale.
    È quello che spesso mi capita in oratorio: osservare per periodi anche superiori alla mezz’ora in cui l’adolescente è appartato in un angolo del cortile tutto assorbito dalla comunicazione digitale con l’amico e la altrettanto virtuale amica del cuore.
    9 su 10 posseggono lo stereo, il lettore dvd, il walk man e la playstation (7 su 10).
    Tra tutti gli oggetti posseduti è indicata anche la bicicletta per quasi la totalità del campione.
    E pertanto ci chiediamo: esiste almeno un giorno a settimana in cui questa bicicletta viene usata e per quanto tempo e attraverso quali spazi urbani o extraurbani? Questo ci interessa maggiormente... perché una bicicletta in garage non dice nulla del tempo libero dei ragazzi, dice un possibilità solamente, forse anche accompagnata da una serie precisa di divieti, ma non dice quanto movimento, quanto spazio fisico e sociale il preadolescente può ancora concedersi in mezzo a questo mondo affollato da oggetti e strumenti in movimento solo virtuale.
    E così il sospetto è quello che la bicicletta, uno strumento simbolico, insieme al motorino, oggetto immaginario assoluto nel desiderio dei maschi, diventa sempre più simbolo di possesso, di status, che non simbolo di attività e motricità praticata, di contro-dipendenza agita nello spazio fisico e sociale.

    Movimenti virtuali e conquista di spazi reali

    Ma andiamo a vedere le attività sportivo-motorie e espressivo-motorie che rispondono così direttamente ai bisogni di espressione e rielaborazione dell’immagine corporea nel tempo della preadolescenza.
    Oltre metà dei maschi (6 su 10) dichiara di praticare attività sportiva agonistica o comunque in società sportiva, un po’ meno le femmine; mentre 4 preadolescenti su 10 asseriscono di praticare una attività sportiva come passatempo con gli amici.
    Quanto dunque a motricità ed espressività psico-corporea, i preadolescenti sembrano avere possibilità adeguate a livello di offerta, ma quanto tempo riescano a rubare allo stare in casa incollati alla playstation o alla TV, questo non è riscontrabile dai dati; quel 70% che riesce a stare sotto le 3 ore di fruizione dei media in casa, probabilmente rappresenta l’universo dei soggetti sportivi, pur con modalità diverse.
    E qui emerge invece con evidenza la fascia dei soggetti a rischio: quel 30% di preadolescenti che trascorrono oltre le 3 ore dinanzi a TV e PC. Si tratta certamente di soggetti deprivati di attività ludico-motorie e sportive, di ragazzi da appartamento e video-dipendenti, tra i quali, da analisi successive, emergono indicatori rilevanti di rischio e di disagio.
    Una certa preoccupazione è evidenziata dalla consapevolezza che i ragazzi di questa età possiedono dell’uso di integratori o sostanze finalizzate a migliorare le prestazioni sportive da parte di coetanei; desta meraviglia soprattutto l’accettabilità dell’uso di queste sostanze pur dentro un limite da parte di 3 soggetti su 10.
    Questo ci dice che la febbre della prestazione ottimale e la nevrosi della vittoria a tutti i costi durante l’attività sportiva sono un indotto di strategie perseguite dai mister di turno o comunque una consapevolezza condivisa per contagio tra coetanei.
    E pertanto in certi casi la pratica sportiva, anziché essere promozione della persona del preadolescente attraverso sport e attività ludico-motorie, viene centrata sulla promozione dello sport stesso e sui traguardi di prestazioni.

    ASPETTO FISICO, PERCEZIONE DI SÉ E CAMBIAMENTO

    Dal momento che la costruzione di una buona e accettabile immagine corporea, segnata essa stessa dalla differenza di genere, è un compito evolutivo di quest’età, a partire dalla quale i preadolescenti cominciano a sviluppare una completa immagine di sé, oltre il corpo, alcuni dati della indagine più recente, che si aggiungono ai dati delle ricerche precedenti, appaiono quanto mai illustrativi.
    I ragazzi di oggi si piacciono nel loro aspetto fisico? 7 su 10 dicono di sì (2004).
    Tuttavia, di fronte alla domanda «se potessi, ti piacerebbe essere...» metà del campione esprime il desiderio di avere un fisico diverso da quello che sente di avere: il 70% delle ragazze vorrebbe essere più bella, il 60% più magra, e il 58,5% più alta.
    Dall’altra parte 6 maschi su 10 più muscolosi e più alti, più di 5 su 10 più belli.
    Il desiderio di crescere e di cambiare può spiegare questo desiderio di miglioramento della propria immagine corporea, soprattutto in relazione ai coetanei e al gruppo, anche se richiamerei l’attenzione a quel 30% di preadolescenti che non sono contenti del proprio aspetto, perché, connesso ad altri indicatori, potrebbe divenire agli occhi dell’educatore un indicatore di disagio.

    Il desiderio di essere grandi

    Il desiderio di cambiamento e di crescita si rivela ancora più spiccato nelle risposte che danno i soggetti dell’indagine alla richiesta di «sentirsi grandi». 4 maschi su 10 e 5 femmine su 10 asseriscono di voler avere più anni di quelli che hanno, soprattutto i ragazzi e le ragazze del nord.
    Analizziamo le ragioni: al 43% per essere più liberi, e a scendere, per guidare l’auto (o il motorino?), per poter uscire quando si vuole (15,5%), per non avere regole (9%), per non dover chiedere permesso ai genitori (8,7%).
    Questo desiderio di «diventare adulti» trasuda dei modelli di riferimento tratti più dal mondo «virtuale» dei media che non dalla realtà di tutti i giorni.
    Questo desiderio poi si traduce nel piacere e nel desiderio di apparire adulti, cioè più grandi di quelli che sono.
    I comportamenti e gli stili di sentirsi grandi sono il trucco per le ragazze (68%!), vestirsi da grande e avere il ragazzo; per i maschi l’avere la ragazza (44%), il vestirsi da grande, firmato o come pare e piace, e il dire le parolacce (26,7%), senza trascurare la cura dell’aspetto fisico e, per una minoranza di soggetti chiaramente a rischio e disagio, l’assumere alcolici (14,6%), il fumo in compagnia (8,8 % maschi).

    Identità e dimensione dello spazio territoriale e socio-relazionale

    Una considerazione. Questa area di comportamenti, a mio parere inadeguatamente considerati «adultistici» da parte dei preadolescenti di oggi, appare come una delle direzione della ricerca di autonomia e di indipendenza propria dell’età. Essa tuttavia orienta i soggetti a bruciare le tappe nella dimensione del tempo, e sempre meno ad assumere, invece, quella «controdipendenza spazio- motoria e affettivo-relazionale» propria della dimensione «spaziale» dell’identità in costruzione durante la preadolescenza, sia che si consideri lo spazio fisico e cittadino, sia che si prenda in considerazione lo spazio sociale e le reti di relazioni nuove da intessere.
    Oggi invece lo spazio considerato è sempre più solo lo spazio «virtuale» e la stessa ricerca di relazioni appare sempre più influenzata dai modelli di quel mondo che allontana dal reale della sperimentazione di relazioni, di conflittualità, di scontro-incontro fisico-corporeo con le persone reali.
    Diventa allora interessante anche approfondire la dimensione psico-affettiva relazionale, che è quella legata all’interesse sessuale e alla maturazione dell’affettività.
    L’85% dei preadolescenti asserisce di essersi «innamorato di qualcuno» almeno una volta.
    Sarebbe stato quanto mai interessante approfondire questo dato di narrazione all’interno dei focus groups attivati, per cogliere il significato e il vissuto di innamoramento dei preadolescenti.
    L’affettività orientata nelle relazioni eterosessuali tra i pari è consolidata già fortemente nella preadolescenza di oggi.
    Nell’informazione sul sesso gli amici sono in assoluto la fonte maggiore di informazioni, seguiti dalla scuola. Sono i maschi che ritengono di possedere le informazioni necessarie, più delle femmine (73,2% rispetto a 59,2%), anche se tra tutta questa autosufficienza 3 su 10 sentono la necessità di un corso di educazione sessuale, e i maschi si rivelano come i più interessati.
    Va detto a proposito di comportamenti a rischio riguardanti l’area della sessualità, che proprio il dato più vistoso è che le femmine segnalano tra i comportamenti più a rischio quello della possibilità di rapporti sessuali non protetti.
    Inoltre la percezione del rischio di determinati comportamenti non risulta solo possibile, ma considerata come qualcosa «che capita» almeno qualche volta dal 60% dei soggetti inchiestati.
    Se si tiene presente il dato dell’accresciuto aumento delle interruzioni di gravidanze nella sola fascia adolescenziale e il numero elevatissimo della gravidanze indesiderate nella medesima fascia, si rileva una esigenza e un appello chiarissimo alle agenzie educative: è quanto mai urgente e necessario, proprio nella logica di interventi a rete, la tematizzazione e la predisposizione di un progetto integrato di educazione sessuale e affettiva nel tempo della preadolescenza che veda anche il coinvolgimento della famiglia, della scuola e delle agenzie che sono più attente alla dimensione informale e alle relazioni paritarie.

    Quale famiglia e quale ruolo di essa nella vita del preadolescente?

    La stagione della vita del preadolescente è un tempo importante per l’attivazione di qual processo di desatellizzazione e di contro-dipendenza dal contesto familiare pur nella massima riduzione della conflittualità. Non siamo ancora al tempo delle guerre d’indipendenza.
    Oggi il prevalere della funzione affettiva del contesto familiare attutisce alquanto i conflitti alla base della ricerca dell’autonomia.
    Qual è la struttura della loro famiglia?
    La quasi totalità dei preadolescenti ha in casa la mamma, ma 1 su 10 non registra la presenza del padre in casa, vivendo pertanto in una famiglia monoparentale.
    8 ragazzi su 10 vivono almeno con un fratello o una sorella maggiore o minore.
    Nel 10% dei casi si vive in casa con i nonni, raramente con uno zio o una zia.
    8 su 10 sono saturi del tempo vissuto con i genitori, 2 preadolescenti su 10 invece lamentano che vorrebbero più tempo da trascorrere con loro.
    La ricerca di spazi di maggiore autonomia in famiglia e la domanda latente di responsabilizzazione e di essere considerati più maturi viene evidenziata dalla richiesta esplicita ai genitori di fare qualche passo indietro nell’esprimere il loro parere e pertanto nel non influire e condizionare i figli nella scelta dello sport da praticare, nel modo di vestire, nel trascorrere il tempo libero, nella scelta delle amicizie da frequentare, la scuola superiore da scegliere.
    In queste situazioni essi trovano condizionante il parere o addirittura la decisione dei genitori, mentre vorrebbero che questi divenissero spazi di autonomia conquistati.
    Solo per le abitudini alimentari, e le eventuali situazione di anoressia o bulimia, riconoscono che è giusto che i genitori intervengano non solo con il loro parere, ma con la loro autorità.
    Le regole date in famiglia dai genitori soddisfano all’incirca 7 ragazzi e ragazze su 10.
    Dato rivelatore di un basso indice di conflittualità e di un modello educativo familiare alquanto rinunciatario e permissivo, «leggero», lo definisce la ricerca; un modello che gioca al ribasso sulla conflittualità intrafamiliare. Il rapporto chiude con l’interrogativo: «C’è da chiedersi se i genitori così assertivi e sfumati siano una risposta adeguata alle reali esigenze di un’età difficile come questa, e se questa eccessiva libertà non possa essere viatico, sia pure colposo, a tanti comportamenti a rischio se non addirittura devianti».
    1 su 4 dei preadolescenti si sentono «tristi» spesso, mentre questo stato d’animo raggiunge qualche volta anche 7 su 10. Altre volte si sentono «soli»: spesso 13,6%, qualche volta metà del campione. Nelle difficoltà tendono a rivolgersi maggiormente ai coetanei e agli amici (60%), seguiti dalla madre, molto più raramente dal padre.
    Gli insegnanti sono assenti dall’orizzonte di riferimento in caso di bisogno di consiglio.
    Anche questo è un indicatore di quel lento processo di distanziamento dal mondo degli adulti, di sganciamento dal sistema familiare e di ricerca di nuovi punti di riferimento al di fuori che permettano sperimentazione di sé e apertura al nuovo dell’esperienza.

    Modelli del presente e proiezione nel futuro

    L’ideale per il preadolescente è quello di essere un tipo o una tipa in gamba, apprezzato dal gruppo. In questo caso le caratteristiche di personalità ritenute maggiormente importanti sono: ottenere il rispetto dal gruppo dei coetanei, apparire coraggioso, bello, bravo nello sport e alla moda, e magari anche spericolato per i maschi; rispettato dal gruppo, alla moda, bella, coraggiosa, brava a scuola per le ragazze.
    Insomma, anche l’ideale dell’io è composto da quei contenuti prevalentemente introiettati dal mondo dei media, fatta eccezione forse il fatto che «riuscire» ad essere qualcuno apprezzato per qualcosa dai coetanei, significa contare qualcosa nel loro mondo e ai loro occhi, invece che essere valutato dagli adulti.
    Lo stesso immaginario del mondo dei media e del virtuale diventa alla fin fine per il preadolescente il modello del proprio futuro: o un personaggio dello sport o dello spettacolo o della moda.
    Diventare famosi... sembra un imperativo dal poco sapore di realtà.

    Devianza, comportamenti a rischio

    L’indagine 2006 ha un capitolo sul bullismo vissuto o immaginato dai preadolescenti.
    L’esposizione a fatti di bullismo che riguardano compagni o amici tocca 6 preadolescenti su 10.
    Solo una percentuale minore, ma per nulla insignificante (13,6% con punte al 16,1% da parte dei maschi) asserisce di «assistere spesso» a fenomeni di prepotenza subita da coetanei da parte di altri coetanei, il che non è cosa da poco: oltre 1 su 10. Quasi il 60% dice di essergli capitato qualche volta di assistere a fenomeni tali.
    Quale si prospetta ai preadolescenti la via ottimale di reagire a tale atto di prepotenza?
    Per il 75% l’andare a raccontare ai genitori o agli insegnanti le prepotenze subite, a fronte di ben 3 maschi su 10 che reputano tale comportamento da fifone o da spia.
    Infatti la reazione immaginata da parte dei soggetti di eventuali atti di bullismo nei propri confronti è quella dell’autodifesa (53% con oltre 20 punti percentuali maggiori dei maschi!).
    Sembra si riproduca quella ingannevole percezione di «sentirsi già grandi» in grado di risolvere da soli, con la difesa o con la passività, questo fenomeno.
    Quasi un voler escludere i genitori e gli adulti educatori dal prendersene carico.
    Come se si trattasse alla fine di «cose di gruppo», cose tra coetanei, come la lotta per emergere nel gruppo, la conquista di una leadership, il riscatto di uno status di «adulto» dinanzi ai coetanei, in sintonia con l’ideale che abbiamo già visto in precedenza del «tipo o della tipa giusti», cioè della vittima che diventa «bullo» a sua volta, come recita uno dei videogiochi correnti dal titolo «canis canem edit»!
    I maschi hanno una percezione del rischio di certi comportamenti mediamente più bassa di quella delle ragazze.
    Nell’elenco questi sono quelli considerati maggiormente rischiosi: fumare canne, ubriacarsi, guida dell’auto o moto senza patente, rubare in un negozio, avere rapporti sessuali non protetti, assunzione di integratori, guida spericolata e sregolata della bici o del motorino.
    Ma considerare alcuni comportamenti rischiosi non significa per nulla che gli adolescenti si astengano dal praticarlo, per le stesse ragioni che portano al bullismo: l’essere considerati dai coetanei.
    A proposito dei comportamenti a rischio, aumentano i ragazzi che fumano, 3 su 10, soprattutto i maschi. Aumenta anche il numero di soggetti che è in contatto con compagni/e che hanno sperimentato il fumare le canne: al centro nord raggiunge la metà del campione dei maschi.
    Segno che l’esposizione alle droghe cosiddette leggere sta diventando normale come quella al fumo anche per i soggetti alle soglie dell’adolescenza.
    Aumenta il consumo di sostanze alcooliche: vino, birra (soprattutto tra i maschi del sud), liquori, anche se solo occasionalmente; aumentano i coetanei che si ubriacano, e non appaiono differenze tra maschi e femmine.
    Significativamente i soggetti più teledipendenti (gli «over 3» ore giornaliere di fruizione del mezzo televisivo) hanno la minore tendenza a considerare rischiose certe azioni e rivelano la maggior predisposizione ad adottare comportamenti da loro stessi giudicati rischiosi (fumo, alcool, canna) e la tendenza più marcata a voler apparire «più adulti» e maggiormente condizionati dai modelli televisivi e dalla pubblicità.
    Ecco una categoria di preadolescenti del disagio sul crinale della devianza.

    A MO’ DI CONCLUSIONE

    Sono stati analizzati alcuni ambiti di vita del preadolescente nelle ultime indagini della «Società Italiana di Pediatria». Io ho tentato di raccogliere alcuni spaccati tenendo presente i rapporti degli ultimi 3 anni.
    Eppure ci sono diversi ambiti di vita quotidiana del preadolescente che restano oscuri e che pure sono importanti per comprenderne i cambiamenti.
    Certo l’effetto dell’esposizione alla comunicazione massmediale e interattiva ha il suo peso, e queste nuove generazioni appaiono maggiormente catturate e in certi casi quasi prigioniere del mondo virtuale.
    Altri ambiti relazionali come la vita in classe (i preadolescenti trascorrono ben 5 ore giornaliere nel gruppo classe), la vita di gruppo e la compagnia extrascolastica informale, il trascorrere fuori casa del tempo libero, le esperienze esplorative nel territorio, nella città, nella natura, nello spazio sociale che essi si ritagliano, nelle altre istituzioni ci restano sconosciuti.
    Qualche dato o tendenza ci viene dagli altri adulti oltre i genitori, ma non è granché.
    Ci vengono a mancare molti dati su ambiti di vita apparentemente secondari ma per nulla irrilevanti per conoscere la vita e i cambiamenti del preadolescente di oggi.
    Questo non significa che non ci siano alcune tendenze alquanto preoccupanti dal punto di vista educativo e pastorale.
    * Anzitutto sembra sempre più ritrarsi il mondo degli adulti che interagiscono significativamente con questa fascia di soggetti. Eppure, se il tempo di esposizione alla relazione diretta con i genitori tende a restringersi, non viene a mancare la relazione con altri adulti che si collocano nei tempo sociali di vita del preadolescente.
    È stata messa in evidenza la «debolezza» dei modelli educativi familiari, anche se sarebbe quanto mai interessante poter avere un raffronto con la incidenza dei diversi modelli educativi circolanti. Non tutti i contesti familiari sono rinunciatari! La variabile principale credo sia costituita dalla diversità degli stili relazionali degli adulti, genitori compresi.
    * Affiora, anche se indirettamente, sempre più significativo e prevalente il peso e l’importanza del gruppo dei coetanei, informale e formale con le loro differenti funzioni; esso appare sempre più crogiuolo e mondo vitale all’interno del quale sperimentare, vestire e svestire, stili relazionali nuovi, modelli, approcci per verificarli e verificarsi.
    * Il grande compito evolutivo di elaborazione dell’identità personale, sociale e culturale, riguarda già il tempo della preadolescenza, seppure con tutte le modalità specifiche dell’età pur culturalmente condizionate, ma sempre attraverso il prevalere della dimensione spazio-relazionale dell’identità su quella interiore-temporale, propria dell’adolescenza.
    Ho la netta impressione che in un tempo di riduzione del controllo familiare sul figlio/a dell’età del cambio, divengano dominanti le strategie della reclusione dei figli nello spazio domestico, concedendo loro come contraccambio l’alternativa dell’allontanamento solo «virtuale» dallo spazio di casa, attraverso la via degli strumenti di comunicazione e di interazione di massa.
    Un modo diverso e altro di continuare a «negare» spazi di vita reale, di relazioni concrete, di contatto diretto con la natura, il mondo, gli altri, la città o il paese. E questa negazione di spazi e di movimento reale diventa impedimento alla elaborazione di quegli interessi e quei bisogni vitali che proprio attraverso il corpo il preadolescente ha necessità di mettere in atto.
    Così che il mondo delle emozioni reali, degli affetti da gestire nelle forme più svariate e camuffate dell’eros adolescenziale, la rete di relazioni nuove da costruire e da conquistare, diventano ogni giorno più lontani, anzi, allontanati.
    E ancora una volta la preadolescenza permane anche oggi in gran parte «età ancora negata».
    * Quale la reazione speculare dei preadolescenti, attraverso le forme rivelatrici dei soggetti più esposti e più deboli, a questo perpetuarsi di una negazione?
    L’introiezione della negazione. Essi sembrano sempre meno appassionati di vivere l’avventura di questa età, anzi quasi incapace di coglierne il valore e i compiti di crescita. Proiettati invece, con meccanismi di fuga in avanti, intenti a bruciare le tappe, al divenire «subito cresciuti», adulti subito, senza troppe moratorie, senza attendere i tempi giusti per ogni cosa.
    Da qui quella serie di comportamenti compulsivi, che segnano l’aumento dei comportamenti a rischio e della devianza, tra i quali si colloca significativamente il bullismo, la percezione stessa che la loro crescita sfugga al controllo personale. E in tal modo anticipano comportamenti di età successive e si privano di quelle esperienze preziose per la realizzazione dei compiti evolutivi di questa età.
    * Adulti subito, ma sollevati dalla responsabilità intorno alla qualità della propria vita, sempre meno consapevoli del valore inestimabile e unico di essa e del tesoro che essa costituisce; abbagliati dai miti ingannevoli dell’immaginario pubblicitario, e ancora egocentrici dissacratori, incapaci di aprirsi all’altro e al suo mistero, soggetti senza memoria e senza tempo, perché prigionieri di un tempo circolare che non li aiuta a ricuperare la radici e ricucire frammenti della propria storia personale.
    Alle soglie dell’adolescenza che essa sola li potrà aprire al futuro.
    * L’impressione è che i nostri preadolescenti arrivino meno attrezzati dei coetanei che li hanno preceduti con quelle competenze che sono racchiuse nei compiti evolutivi propri di questa età della vita. La dimensione dell’identità personale dal punto di vista dello «spazio» (il corpo agito nello spazio territoriale e socio-affettivo-relazionale) viene ridimensionata e sacrificata a quel movimento nello spazio virtuale e immaginario che impedisce e nega la corporeità e la fisicità.
    Quale sarà allora il senso della realtà che i nostri preadolescenti vengono elaborando?
    Come potranno verificare realmente a contatto con i corpi e con le cose, con la natura, il loro divenire abitanti del mondo dell’uomo e non solo cuccioli?


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