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    «Ricorda la tua promessa»



    I salmi dell’educatore /6

    Maria Giovanna Noccelli

    (NPG 2006-01-47)


    «Ricorda la tua promessa
    fatta al tuo servo,
    con la quale mi hai dato speranza.
    Questo mi consola nella miseria:
    la tua parola mi fa vivere.
    Ricordo i tuoi giudizi di un tempo,
    Signore,
    e ne sono consolato.
    Sono canti per me i tuoi precetti,
    nella terra del mio pellegrinaggio.
    Ricordo il tuo nome lungo la notte
    e osservo la tua legge, Signore.
    Tutto questo mi accade
    Perché ho custodito i tuoi precetti».

    Ancora il bellissimo «salmo alfabetico», 118. Quest’oggi (ma già tante altre volte!) mi colpisce quest’affermazione del salmista: «Ricorda la tua promessa, fatta al tuo servo».
    Ricorda la promessa che mi hai fatto, Signore.
    Quale promessa?
    Il salmista la conosce, perché la sua affermazione è fatta con sicurezza; egli conosce che cosa gli ha promesso il Signore, che cosa il Signore ha promesso a lui.
    E a te, il Signore cosa ha promesso?
    Hai tu, una promessa di Dio per te da custodire?
    Tu conosci la promessa che il Signore ha fatto a te?
    Neale Donald Walsh, nel suo libro Conversazioni con Dio, mette in bocca a Dio queste parole: «La mia promessa è quella di darti sempre quello che chiedi. La tua promessa è quella di chiedere; di capire il procedimento del domandare e del rispondere».
    A suffragio della prima affermazione abbiamo numerose parole di Gesù: «Chiedete e vi sarà dato»; «Qualunque cosa chiederete al padre, ve la darà».
    E tuttavia la letteratura religiosa, e non, è piena di considerazioni e spiegazioni circa la frequente evenienza di «Dio che non risponde alle preghiere».
    Forse occorre dunque, veramente, prendere in considerazione quello che dice il Nuovo Testamento: «Chiedete e non ottenete perché chiedete male, o per il male».
    Certo, escludendo in primo luogo che Dio non ci darà uno scorpione al posto di un uovo, cioè non ci darà qualcosa che solo apparentemente è il nostro bene (o palesemente non lo è!), rimane il fatto che, a quanto pare, esiste una legge del domandare e del ricevere, che occorre conoscere.
    Ma prima ancora di questo, le parole di Walsh mi hanno ricordato, in un particolare momento della mia vita, qualcosa di ancora più grande, qualcosa che è al di sopra di tutto; lo dirò con parole che lessi da qualche parte da ragazzina (e, dunque, si tratta di un motivo ritornante nella mia vita):
    «Ci aspettiamo grandi cose dal nostro vivere con Dio… E non ci rendiamo conto che la cosa più grande è proprio vivere con Dio».
    Sì, caro fratello e sorella lettore e lettrice, non c’è al mondo una cosa più bella e che ti auguri di più, di «cadere» (falling in – il verbo inglese per «innamorarsi» – love) nell’amicizia con Dio; cioè sentire che questo è il valore fondante, sostenente la tua vita. E fare come ha fatto, non certo ultimo, questo strano scrittore americano (Walsh): trovarti a scriverGli, a conversare con Lui, e a constatare che… Dio risponde. Che non è una questione di non avere risposta, ma di accorgerti delle riposte che Egli dà a te. Perché Dio è sempre (o non è proprio!) il tuo Dio: Dio con te (Emmanuele). E il tuo Dio, in primo luogo, parlerà a te, nel tuo (vostro) linguaggio (non fanno così tutti gli amici o gli innamorati?), nel tuo/vostro codice personale di segni. Tu lo conosci questo codice con il tuo Dio? In altre parole: vuoi avere, o sapere, delle cose che ritieni importanti per te, per la tua vita: ma sai in quale lingua, lungo quale frequenza, comunicare con Dio? Sapete farvi vicini, tu e Dio?
    E si sente anche molto dire: «siete buoni solo a chiedere, a Dio»; «le vere preghiere non solo di richiesta…», ecc. ecc.
    Magari veramente «fossimo buoni» a chiedere, cioè sapessimo come chiedere, come parlare a Dio! Dio non desidera altro. Perché questo è il suo stesso desiderio: vivere con i figli degli uomini. Vivere con noi, e farci partecipi, co-creatori, della creazione della nostra vita. Il che, secondo l’autore citato e molti altri, avviene anche diventando coscienti, consapevoli che il nostro pensiero crea, le nostre parole creano, le nostre azioni creano. Che in noi vi è un’eredità paterna (del nostro Padre celeste, nostra origine!) di potere sulla realtà, mediante la nostra fede, che aspetta solo di essere conosciuta e usufruita. Smettendola di imputare a Dio i risultati, materializzazioni e non materializzazioni delle nostre azioni e dei nostri pensieri (le famose «preghiere non risposte»!), e di passare invece dall’incredulità alla fede, quale potenza di una relazione d’amicizia-amore con Lui, perché Egli al contrario è sempre con noi per aiutarci a disfare, a reimpastare come creta, quelle realtà, spesso sballate, che le nostre mani hanno plasmato. E allora ciò che ti accade non è più un caso, una fatalità, frutto di un destino avverso o di un Dio assente o sordo: è la legge causa-effetto di ciò che hai detto, pensato, creduto nel profondo del tuo cuore. Poiché, come Egli ha detto, «ti sarà fatto secondo la tua fede». Ma se tu vivi con Dio, non ti colpirà la freccia del non senso: questa è, anche, la sua promessa: che tu sia figlio, amico e non servo; cioè che tu sia padrone e non schiavo delle tua realtà, di ciò che ti accade; sappia leggerlo e inserirlo nella giusta cornice di senso.
    Ti lascio con queste riflessioni, fratello e sorella, e anch’io ho una promessa con te: continuare, attraverso questo o altri salmi, questo discorso vitale. Mi sono fermata al solo primo versetto di questa parte del salmo 118… potenza della Parola di Dio di suscitare la meditazione.
    Ma c’è ancora molto da dire, c’è da dire che la parola che Dio dice a te personalmente, che tu riesci a percepire come detta a te, è la sola parola che ti dà veramente speranza, che ti fa vivere e rivivere, che illumina le tue notti, che ti consola. Che quella Parola, che come Maria tu credi e conservi nel tuo cuore (e può essere una sola piccola parola o versetto di tutta la Bibbia, che in un momento della tua vita tu incontri e che «ti dà speranza»), quella parola veramente subisce in te il processo dell’incarnazione: si fa carne, cioè si manifesta nella tua vita, dopo averti riscaldato la mente e il cuore nel periodo di gestazione della tua fede.
    E, nella tua notte, tu ritrovi un canto: la tua preghiera a un Dio vivente in te e con te.


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