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    Linee per una pastorale giovanile dell’immigrazione


    Martin Lechner

    (NPG 2006-02-33)


    Chi si assume il compito di proporre orientamenti per la prassi pastorale in contesto di immigrazione deve cominciare anzitutto con lo sguardo rivolto alla situazione reale per poi accedere all’ascolto del Vangelo e trarne ispirazioni e motivazioni. Questa indicazione del Vaticano II nella sua Costituzione pastorale ispira anche questo numero di NPG. I precedenti due contributi di Mioli e Sabbarese hanno posto i fondamenti sociologici e teologici; l’intervista a Mantegazza ha illustrato la prospettiva interculturale e pedagogica, quanto mai preziosa per la riflessione e proposte di pastorale giovanile. Su questa base può porsi il mio tentativo di tracciare alcuni orientamenti per una pastorale giovanile sensibile e aperta alle esigenze specifiche dei giovani migranti.

    Migrazione come «segno dei tempi»

    Il Vaticano II invita la Chiesa a «scrutare i segni dei tempi e a interpretarli alla luce del Vangelo» (GS 4). Se lo si fa oggi, ci imbattiamo inevitabilmente nel fenomeno della migrazione: «Le migrazioni odierne costituiscono il più vasto movimento di persone, se non di popoli, di tutti i tempi. Esse ci fanno incontrare uomini e donne, nostri fratelli e sorelle, che per motivi economici, culturali, politici o religiosi abbandonano, o sono costretti ad abbandonare, le loro case per ritrovarsi per la maggior parte in campi profughi, in megalopoli senz’anima, in quartieri degradati o baraccopoli di periferia, dove il migrante condivide spesso l’emarginazione con l’operaio disoccupato, il giovane disadattato, la donna abbandonata. Il migrante è per ciò assetato di ‘gesti’ che lo facciano sentire accolto, riconosciuto e valorizzato come persona».[1]
    Questo giudizio sulla situazione presente rispecchia esattamente la realtà. Negli ultimi due decenni la migrazione – un aspetto particolare della globalizzazione – ha raggiunto enormi dimensioni. Si calcola che circa 200 milioni di uomini sono «per strada». Sono anzitutto coloro che cercano un nuovo posto per vivere entro il loro proprio paese. Vi è poi il movimento migratorio oltre le frontiere nazionali, nello spazio dell’Europa che si sta unificando; ci si reca in regioni di maggior prosperità economica. E vi è infine una forte migrazione intercontinentale; un sempre più crescente flusso di gente che da altri continenti, per esempio dall’Africa, tenta di raggiungere l’Europa. L’ondata di migranti trasforma anzitutto la realtà delle comunità nazionali, poiché gente di altre culture, di diverso colore, di altra lingua diventano indiscutibilmente nostri concittadini modificando in diversi modi il nostro modo di vivere e anche arricchendoci. Ma essa crea anche nuove situazioni problematiche e nuovi timori della popolazione che non di rado portano al rifiuto dei migranti. Il fenomeno della migrazione «si è trasformato in realtà strutturale della società contemporanea, e costituisce un problema sempre più complesso, dal punto di vista sociale, culturale, politico, religioso, economico e pastorale».[2]
    L’Istruzione pontificia Erga migrantes considera perciò la migrazione come «un ‘segno dei tempi‘ assai importante, una sfida da scoprire e da valorizzare nella costruzione di una umanità rinnovata e nell’annuncio del Vangelo della pace» (EM 14). Le condizioni di vita dei migranti sono – dice l’Istruzione – «una provocazione alla fede e all’amore dei credenti» (EM 12). La chiesa contempla «nei migranti l’immagine di Cristo» (EM 12), il messaggero di Dio, che sorprende e rompe la regolarità e la logica della vita quotidiana.» (EM 101). Negli «stranieri» vede Cristo, che «mette la sua tenda in mezzo a noi» (cf Gv 1,14) e che «bussa alla nostra porta» (cf Ap 3,20).
    Anche la pastorale giovanile ha già affrontato questa nuova istanza sul piano sia pratico che teorico, e grandi contributi in questo campo hanno offerto soprattutto le Congregazioni religiose che o per carisma proprio o per l’attenzione privilegiata ai giovani hanno a cuore tutte le situazioni in cui i giovani vivono, soprattutto quelli più esposti e in difficoltà. Pensiamo agli Scalabriniani, ai Comboniani e ai Salesiani.
    Ecco tre testimonianze «fresche».
    La prima è la celebrazione del Capitolo Generale XII «Il Progetto Missionario Scalabriniano all’inizio del Terzo Millennio» del 2001. Segnaliamo alcuni passaggi significativi.

    Contesto migratorio, ecclesiale e scalabriniano

    Il fenomeno migratorio nell’epoca della globalizzazione costituisce ormai una realtà planetaria che tocca tutti i Paesi: esso è inserito negli squilibri regionali e mondiali a livello economico, sociale e demografico, che producono una massa enorme di migranti; è radicato nei conflitti etnici e religiosi che insanguinano interi continenti e causano milioni di rifugiati e profughi. All’inizio del terzo millennio, siamo confrontati con ben 150 milioni di migranti, dei quali molti in situazione irregolare, ai quali si debbono aggiungere circa 50 milioni di profughi e sfollati.
    Davanti a questo volto sofferente dell’uomo, non possiamo dimenticare la risposta coraggiosa da parte di tante persone, associazioni ed organizzazioni, che si stanno impegnando per i diritti dei migranti e per la loro difesa, frutto di quella compassione del Buon Samaritano Gesù, che lo Spirito suscita ovunque nel cuore degli uomini di buona volontà.
    Le Chiese locali hanno preso progressivamente coscienza della vastità e drammaticità del fenomeno e stanno sollecitando la mobilitazione delle comunità cristiane in nome del Vangelo.
    La realtà di peccato, insita nelle migrazioni umane moderne, è anche il luogo della passione del Padre e lo spazio nel quale lo Spirito ci invita a leggere la costruzione del Regno. In particolare, le migrazioni producono di fatto società dove le etnie, i popoli, le lingue e le culture si giustappongono e, mentre rischiano il confronto e lo scontro, sono chiamate ad incontrarsi, ad entrare in comunione tra di loro: «Nella condizione di più spiccato pluralismo culturale e religioso, quale si va prospettando nella società del nuovo millennio, il dialogo è importante anche per mettere un sicuro presupposto di pace» (NMI 55).
    Il nostro Fondatore, del quale celebriamo in questi anni i centenari delle visite apostoliche negli USA (1901) e in Brasile (1904) e della morte (1905), ha incarnato la dimensione profetica della denuncia e, nello stesso tempo, ha intravisto ed annunciato nelle migrazioni una funzione provvidenziale: «La Chiesa cattolica è chiamata, dal suo apostolato divino e dalla sua tradizione secolare, a dare la sua impronta al grande movimento sociale delle migrazioni, che ha per fine la sistemazione economica e la fusione dei popoli cristiani […]. Essa, anche in questo grande conflitto di interessi, ha una bella e nobile missione da compiere, provvedendo prima all’incolumità della fede […] per assidersi poi, madre comune e regina, tra i diversi gruppi, smussando gli angoli delle singole nazionalità, temperando le lotte d’interessi delle varie patrie».

    Lo specifico scalabriniano
    La nostra comunità scalabriniana si sente interpellata, in prima persona, a rispondere a queste sfide che attualizzano oggi l’originario carisma di Scalabrini.
    La missionarietà scalabriniana e la specificità stessa della nostra vita fraterna consistono nel testimoniare ed annunciare la buona novella del Regno ai migranti, che più acutamente vivono il dramma delle migrazioni: l’evangelizzazione e valorizzazione della cultura del migrante, e il dialogo e la comunione delle culture.
    Molte delle nostre comunità, nelle quali religiosi di nazionalità, culture, lingue ed etnie diverse vivono insieme, danno già un’innegabile testimonianza, soprattutto in regioni dove la diversità provoca conflitti e coesistenze difficili. Anche la nostra prassi pastorale è chiamata ad incarnare, in modo sempre più visibile, lo specifico scalabriniano.

    La seconda testimonianza è collegata ad alcuni fatti di cronaca italiana di particolare intolleranza verso i lavoratori immigrati, che hanno portato due padri comboniani a incatenarsi per protesta di fronte alla Questura di Caserta nel giugno 2003. Nei mesi successivi, ad opera della commissione «Giustizia e Pace» degli stessi Comboniani, veniva pubblicato il seguente documento.

    «Non molesterai il forestiero...» (Es 22,20)

    «Sarà mai possibile che all’inizio del terzo millennio il fenomeno migratorio debba essere gestito con affanno e paura? La povertà che spinge i fratelli e le sorelle del sud del mondo sulle nostre coste si combatte con la solidarietà intelligente nelle cosiddette periferie del villaggio globale. Il nostro benessere è spesso causa di sfruttamento in terre lontane!» (da «Ascolta, si fa sera» del 9/07/03 di p. Giulio Albanese, MISNA).
    La lista dei corpi senza vita di immigrati che tentano di sbarcare a Lampedusa aumenta ogni aumenta ogni giorno. Certi politici italiani istigano, con linguaggi anacronistici e razzisti, azioni di abbattimento. Non possiamo rimanere indifferenti e tanto meno silenti.
    Siamo chiamati in causa nel tentativo di trovare percorsi e soluzioni che portino a non sentirci conniventi con una mentalità antievangelica. In Esodo 22,20 si legge: «Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto».
    L’immigrazione in Italia è oggi per molti immigrati una nuova forma di schiavitù: la maggior parte degli immigrati attirati dal miraggio del benessere della nostra società occidentale, finiscono per diventarne schiavi, facendo i lavori che gli Italiani non vogliono più fare. Mentre nei secoli scorsi i governi coloniali li deportavano dai loro paesi d’origine per renderli schiavi in Europa... ora essi vengono con i loro mezzi e con le loro speranze e finiscono per trovare un mondo che il più delle volte non li accoglie, li prostituisce e li asservisce lasciandoli infine al margine della società italiana. Invitiamo tutti coloro, religiosi e laici, che condividono queste preoccupazioni a costruire una rete comune per sensibilizzare l’opinione pubblica, per facilitare la crescita di una sensibilità di accoglienza degli immigrati e di riconoscimento dei loro diritti e della loro dignità.

    La terza testimonianza si riferisce all’incontro salesiano europeo sull’immigrazione a Barcellona (20-23 febbraio 2003). In esso la Famiglia salesiana ha preso atto della situazione dei giovani immigrati e della necessità di sostenerli con aiuti e opportunità adeguate. Nel messaggio conclusivo si afferma:
    «Crediamo che i giovani immigrati siano un segno dei tempi con il quale la congregazione salesiana deva fare i conti assumendo una pedagogia di pastorale giovanile sensibile alla immigrazione tale da diventare il ‘filo d’oro’ della stessa proposta pastorale. Proprio quando i giovani finiscono ai margini delle nostre società, allora i salesiani devono diventare specialisti della prevenzione. Ciò non richiede soltanto nuove attività ma piuttosto una rinnovata attenzione, una scelta trasversale a tutte le presenze salesiane e non solo un compito di pochi specialisti. Una pastorale giovanile dell’immigrazione fondata sulla opzione pedagogica di ‘un apprendere interculturale’, aperta all’integrazione con un ethos universale basato sulla cultura della solidarietà, dell’autenticità, del dialogo interreligioso, del costruire rapporti di pace e del rispetto fra uomo e donna a partire dalla nostra identità».[3]

    L’impegno per gli stranieri: non solo lavoro sociale, ma evangelizzazione

    Questo impegno pastorale, così evidente nei documenti citati, si muove dentro le disposizioni dell’Istruzione Erga migrantes, in cui vengono esortate particolarmente le famiglie religiose ad assumersi «un ruolo essenziale» (cf EM 80-85), di farsi protagonisti della pastorale dei giovani migranti, insieme ad essi, per mezzo di essi. Chiediamoci ora in concreto cosa contiene una pastorale giovanile sensibile ai migranti.
    La missione della Chiesa è quella di annunciare, con parole e con opere, la Buona Novella sulla solidarietà incondizionata e senza limiti di Dio con gli uomini e con il mondo. Il lavoro sociale con i giovani migranti è un luogo specifico, dove oggi si deve dare testimonianza di questo Dio, dove la Buona Novella si deve fare oggetto di esperienza concretamente vissuta. L’Istruzione Erga migrantes parla più volte di «nuovi impegni di evangelizzazione e di solidarietà» (EM 9), che si impongono ai cristiani di fronte all’odierna migrazione. I cristiani devono avere «una attenzione premurosa alle persone in mobilità e alle loro esigenze di solidarietà e di fraternità» e un «forte impegno di evangelizzazione e di carità» (EM 11).
    Da una Chiesa che evangelizza ci si attende prima di tutto una «pastorale d’accoglienza» che va incontro ai forestieri non solo con tolleranza, ma «con simpatia e con il maggior rispetto possibile dell’identità culturale degli interlocutori» (EM 36). «Il dialogo fraterno e il rispetto reciproco, testimonianza vissuta dell’amore e dell’accoglienza, costituiranno così di per sé la prima e indispensabile forma di evangelizzazione» (EM 98). Questo principio vale anche per la pastorale dei giovani: il fine ultimo di una pastorale giovanile sensibile agli immigrati è, attraverso un atteggiamento amorevole verso i giovani migranti e le loro famiglie e attraverso la competenza specifica, testimoniare quel Dio che protegge gli stranieri. Così diventa chiaro che la dedizione ai giovani immigrati non è una scelta qualunque, bensì un aspetto fondamentale del Vangelo: in quanto ci dedichiamo ai giovani migranti noi evangelizziamo, costruiamo un mondo nel senso del Regno di Dio.

    Caratteristiche di una pastorale giovanile con i migranti

    Una miglior accoglienza

    L’Istruzione Erga Migrantes esorta le Chiesa locali «proprio a causa dell’Evangelo, ad una miglior accoglienza dei migranti, anche con iniziative pastorali d’incontro e di dialogo, ma altresì aiutando i fedeli a superare pregiudizi e prevenzioni» (EM 100).
    Che cosa contrassegna una tale «miglior accoglienza»?
    Si potrebbe brevemente rispondere così: non solo dar alloggio, ma insieme con esso realizzare un vero incontro; non solo procurare viveri, ma offrire anche la simpatia e il cuore; non solo la cura del corpo, ma anche la cura dell’anima, di tutto l’uomo.
    Ciò comporta l’ascolto, il rispetto, il riconoscimento della dignità, il dialogo e la disponibilità ad imparare dagli stranieri. I cristiani – dice l’Istruzione – devono essere promotori di una vera e propria cultura dell’accoglienza (cf EEu 101 e 103), che sappia apprezzare i valori autenticamente umani degli altri, al di sopra di tutte le difficoltà che comporta la convivenza con chi è diverso da noi (cf EEu 85, 112 e PaG 65).[4] Promuovere tale cultura dell’accoglienza nel rispetto dei migranti «esige impegno di fraternità, solidarietà, servizio e giustizia» (EM 36). Promuovere questo impegno e questo valore conferisce alla pastorale dei migranti la qualità «cristiana». Nell’esperienza salesiana di Barcellona di cui sopra, vale qui il principio che il Rettor Maggiore formulò alla vigilia dell’incontro stesso: «Dobbiamo renderci conto del dovere sociale di aiutare lo sviluppo sempre con questo criterio tipicamente salesiano: dare di più a quelli cui la vita ha dato di meno, dare il massimo a chi la vita ha dato il minimo».
    Nel nome di quel Dio che ama ogni uomo, e particolarmente i poveri.

    Sensibilità per la situazione di vita e per il mondo degli immigrati

    Il proprio personale essere toccati dalla situazione dei migranti è la chiave dell’azione impegnata. Chi vuole sviluppare una pastorale giovanile sensibile ai migranti deve, prima di tutto, essere ben disposto. Ciò esige un’informazione qualificata sulla situazione economica, giudiziaria e sociale dei migranti. Ancora più importanti sono i contatti personali con bambini, giovani, le loro famiglie. Soltanto nel dialogo si schiude e comprende il loro «mondo vissuto», cioè le loro convinzioni e modi di pensare, le loro convenzioni culturali, le loro norme e valori. Tale conoscenza preliminare della loro situazione vitale e del loro mondo è il nocciolo della competenza per tutti i responsabili di una pastorale giovanile sensibile ai migranti. Occorre dunque promuovere la conoscenza della cultura degli altri ed educare la gente all’accoglienza e alla solidarietà. Devono aver luogo incontri di sensibilizzazione e di riflessione sul fenomeno dell’immigrazione come anche corsi di studio specializzati, perché si conosca meglio il mondo dei giovani migranti e si trovino soluzioni adeguate.

    Soggetto e risorse d’orientamento

    Una pastorale giovanile sensibile ai migranti deve essere concepita sistematicamente nella prospettiva dei giovani migranti stessi. Questo non è facile, in quanto la maggior parte degli specialisti pastorali e pedagogici, per esempio negli asili, scuole, consigli, sono invece appartenenti alla cultura della maggioranza. Tale «posizione di forza» rende difficile una proporzionata comprensione delle esperienze, bisogni e conflitti dei giovani migranti, nonché la percezione delle loro capacità, e quindi di avviare la giusta procedura d’aiuto. Ordinarsi al soggetto, come principio di una pastorale giovanile sensibile ai giovani migranti, significa allora un cambiamento di prospettiva: da una parte la rinuncia degli esperti a definire i problemi sotto l’aspetto della cultura dominante, dall’altra la partecipazione sistematica dei giovani migranti nello sviluppo di soluzioni per i loro problemi. Un tale prassi ordinata al soggetto è del resto profondamente radicata in Gesù: «Cosa vuoi che ti faccia?» chiede Gesù al cieco prima di guarirlo.

    Apprendimento multiculturale

    La pedagogia e la pastorale hanno considerato per lungo tempo (circa sino al 1980) i migranti, unilateralmente, come «stranieri». Di conseguenza fu concepita una «pedagogia per stranieri» orientata alle loro «carenze», il cui fine era adeguare le persone il più possibile alla cultura della maggioranza. Ai nostri tempi, contro ciò, si è imposta una «pedagogia interculturale». In essa i bambini e i giovani migranti sono visti anzitutto come bambini e giovani alla cui biografia, tra il resto, appartiene anche l’esperienza di migranti (loro propria o dei genitori). Questa pedagogia interculturale è orientata alle capacità dei giovani. Essa non vede prima di tutto i problemi che sorgono dall’appartenenza a culture diverse, bensì il potenziale che si dà in questo. Essa cerca incontro e dialogo delle culture. Il suo programma è favorire la vita in comune di persone di culture diverse, sulla base della giustizia. Una pastorale giovanile sensibile alle migrazioni dovrà seguire oggi la posizione pedagogica dell’apprendere multiculturale. Si dedica sia ai giovani migranti che ai giovani del posto. Da una parte apre le vie dell’integrazione e dell’appartenenza nel mentre si custodisce la propria cultura (biculturalità), dall’altra risveglia l’interesse per lo straniero sulla base della tolleranza e riconoscimento di norme morali superiori comuni. Una pastorale giovanile sensibile ai migranti non intende «l’integrazione» dei migranti come mero adeguamento dei migranti stessi, bensì come un reciproco scambio e processo di apprendimento sulla base della tolleranza e pluralità.

    Un rispettoso annuncio della propria fede

    Nell’incontro con gli stranieri sorge inevitabilmente la questione sulla propria fede e anche sulla fede degli altri. Perciò l’Istruzione Erga migrantes intravede nell’odierna migrazione compiti del tutto nuovi dell’evangelizzazione. I cristiani sono chiamati, in questa situazione epocale, ad un «rispettoso annuncio della propria fede», che consiste nell’«approfondire quei valori, pure condivisi da altri gruppi religiosi o laici, assolutamente indispensabili per assicurare una armonica convivenza» (EM 9). Se il Vangelo è un messaggio universale per tutti, non si deve poi temporeggiare a parlare, nell’incontro con i giovani, di Gesù Cristo. Ma l’inculturazione comincia con l’ascolto, con la conoscenza cioè di coloro a cui si annuncia il Vangelo (cf EM 35).
    Solo quando l’incontro con gli stranieri è improntato a tolleranza, simpatia e massimo rispetto verso l’identità culturale dell’altro, può sorgere il dialogo, la comprensione vicendevole e la fiducia; e l’evangelizzazione avviene in un clima che prepara già l’accettazione del messaggio evangelico. «L’attenzione al Vangelo si fa così anche attenzione alle persone, alla loro dignità e libertà» (EM 35).
    E vale anche inversamente: l’attenzione che si mostra ai giovani e un incontro solidale con loro fanno trasparire l’attenzione e la solidarietà di Dio, e fanno sorgere intorno al messaggio una comunità, una nuova Chiesa nel luogo del lavoro con i giovani migranti.

    Rappresentanti e difensori dei migranti sul piano politico

    La presente legislazione statale non dà un apporto notevole perché gli stranieri tra di noi si sentano come uomini al pari degli altri e riconosciuti come tali. Al contrario, le leggi dello Stato creano la situazione in cui i migranti si trovano strutturalmente svantaggiati e socialmente emarginati. Vi è di conseguenza una contraddizione tra l’esigenza pedagogica di interculturalità e lo status quo giuridico, il quale si cura più degli interessi nazionali che del benessere dei bambini, dei giovani e delle loro famiglie. Per questo una pastorale sensibile ai migranti si dovrà impegnare sempre più anche in politica. Ciò comprenderà tra l’altro la promozione delle organizzazioni e delle iniziative del «fare da sé» dei migranti stessi, poi anche la consulenza giuridica, attività di solidarietà e una loro qualificata presentazione in pubblico e nella stampa. Gli interventi pedagogici, pastorali e giuridici sono adatti ad alleviare i problemi dei giovani migranti, ma non a risolverli. Anche per questa ragione la pastorale giovanile aperta agli immigrati agirà anche in politica. Questo compito richiede da noi di smascherare e, per quanto possibile, smontare gli svantaggi, i meccanismi di isolamento e i razzismi istituzionalizzati a cui sono esposti gli stranieri. Ci provoca ad impegnarci per i diritti fondamentali del giovane migrante, per la dignità e l’attenzione alla sua persona, alla sua uguaglianza davanti alla Legge e alla partecipazione alle sue chance scolastiche e lavorative della nostra società. L’impegno per i diritti fondamentali dei giovani migranti deve però anche essere accompagnato da un altrettanto attento impegno a tutti i livelli per una regolazione sociale della globalizzazione. In effetti il fenomeno della migrazione è anche un «segno eloquente degli squilibri sociali, economici e demografici a livello sia regionale che mondiale che impulsano ad emigrare» (EM 1).

    Presupposti personali e strutturali

    Una pastorale giovanile sensibile ai giovani migranti presuppone una competenza degli operatori che si attua attraverso formazione ed esperienza pratica. Come intendere questo? La competenza interculturale è un mix di competenze a tre livelli. A livello cognitivo si tratta di una conoscenza delle interconnessioni nelle migrazioni; fatti dell’economia, particolarità religiose e culturali, regolamenti legislativi e aspetti teoretici del lavoro con i migranti, ecc. A livello riflessivo è la capacità di riflettere criticamente sulla propria appartenenza alla «cultura dominante», nonché l’ovvietà con cui da noi tale fatto viene accolto. A livello dell’agire si tratta prima di tutto di una capacità di empatia, di distanziarsi dal proprio ruolo, di tolleranza delle ambiguità, così come una particolare capacità di comunicare le cose chiaramente e di trattare con gli altri. Acquistare una tale competenza interculturale deve divenire per chi lavora nella pastorale giovanile oggetto di un grande sforzo, tanto nella formazione di base che in quella d’approfondimento. Si pone anche la domanda se, e in che misura, i migranti stessi, sia collaboratori che volontari, siano necessari nell’azione pastorale delle istituzioni per poter sviluppare un giusto lavoro con i migranti.
    Nel documento sopra citato di Barcellona del 2003 per la Famiglia salesiana, si richiede uno sforzo peculiare nella formazione degli operatori. E con iniziative concrete da attuare: ad esempio corsi di studio specializzati, lo studio delle lingue come risorsa importante per la comunicazione, la formazione alla mediazione e alla non-violenza o anche la creazione di comunità religiose interculturali. Il documento esorta inoltre a formare una rete di persone, istituzioni e associazioni, e utilizzare tale rete nel lavoro con giovani migranti, ma soprattutto «passare dal considerarli destinatari a farli diventare protagonisti, soggetto pastorale, valorizzando quello che possono offrire... e valorizzare come educatori immigrati che possono aiutare, favorendo la presenza di mediatori culturali che possano aiutare entrambi, capaci di lanciare laboratori interculturali».
    Infine, una pastorale giovanile sensibilizzata per la migrazione collaborerà con tutti gli uomini di buona volontà. «Siamo convinti che non possiamo agire da soli, che abbiamo bisogno di risorse nuove (educatori, volontari, operatori culturali di madrelingua), di strutturare i nostri interventi in rete con istituzioni e altre organizzazioni per garantire futuro alle giovani generazioni e a una società più umana fondata su autentici rapporti di reciprocità. Solo così le nostre comunità potranno diventare laboratori di umanità per testimoniare, ogni giorno, nell’incontro con lo straniero l’incontro con Cristo (cf Mt 25,31 ss)»

    Diventare Chiesa mondiale

    Dopo il Vaticano II la Chiesa è sulla via di trasformazione da una Chiesa centrale europea ad una effettiva Chiesa mondiale. Il fenomeno della migrazione favorisce e accelera questo processo, perché aiuta la Chiesa a «scoprire il disegno che Dio attua nelle migrazioni» (EM 12). Quale potrebbe essere questo intento di Dio? Prima di tutto, la Chiesa può approfondire la sua identità come «comunione», perché le migrazioni avvicinano i numerosi membri della famiglia umana e fanno continuare l’incontro di popoli e razze nello spirito di Pentecoste. E poi la Chiesa, nella sua cura caritatevole dei migranti, in mezzo a loro e con loro, acquista e conferma la coscienza di sé come «esperta della prassi di umanità», mentre offre ai migranti ciò di cui hanno bisogno: «gesti che li facciano sentire accolti, riconosciuti e valorizzati come persone. Anche il semplice saluto è uno di questi» (EM 96). E ancora, la Chiesa può, nel suo incontro con i migranti, praticare il dialogo interreligioso, oggi tanto necessario nell’odierna società mondiale, dialogo che porta insieme tutte le religioni nella preghiera, e nell’impegno per la pace, la giustizia e la protezione della natura. Infine, la Chiesa può annunciare l’universale mistero della salvezza in un nuovo linguaggio nel contesto del pluralismo religioso. «Il passaggio da società monoculturali a società multiculturali può rivelarsi così segno di viva presenza di Dio nella storia e nella comunità degli uomini, poiché offre un’opportunità provvidenziale per realizzare il piano di Dio di una comunione universale (EM 9). Collaborare per questo è una grande sfida per la pastorale giovanile e l’azione della Chiesa nei prossimi anni.

    NOTE

    [1] Pontificio Consiglio per la pastorale per i migranti e gli itineranti. Istruzione Erga migrantes caritas Christi (3 maggio 2004), 96.

    [2] Ib, Presentazione.

    [3] Incontro Europeo sull’immigrazione, Manifesto, Barcellona, 20-23 febbraio 2003.

    [4] EM 39. Le citazioni vanno così interpretate: EEu: Ecclesia in Europa; PaG: Pastores Gregis.


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