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    I luoghi e gli ambiti di una rinnovata azione pastorale



    A cura di Dalmazio Maggi e Operatori Pastorali - Ancona

    (NPG 2005-01-11)


    Nel precedente dossier, che non può essere scollegato da questo, essendone il necessario orizzonte di comprensione, avevamo dichiarato espressamente che per noi la parrocchia doveva “riconvertirsi” in termini missionari, ritrovare cioè la sua dimensione missionaria per dirsi come “annuncio-proposta di salvezza” nel nome di Gesù e “compagnia” per la gente, cercando anche di vederla al di là dei confini territoriali in cui siamo abituati a confinarla. Era, in altre parole, la presa di coscienza di un impegno educativo pastorale, che abbiamo definito “giovanile” non solo in vista di una specifica categoria di persone (soggetti o destinatari) ma per uno stile caratteristico e una modalità dell’azione pastorale che fosse però rivolta a tutti. Rimandiamo al dossier di novembre 2004 per una miglior comprensione di questi intenti.
    Veniamo ora alla seconda parte, che cerca di articolare quello che avevano definito “il progetto... sulla carta” negli ambiti di vita delle persone sul territorio, per verificare la possibilità e le modalità in cui essere parrocchia missionaria e giovanile in contesto.
    Gli ambiti sono quelli usuali della famiglia, della scuola, del territorio, dell’oratorio e “oltre i cancelli”.

    LA FAMIGLIA

    Mentre è scontata la prassi che la quasi totalità delle famiglie chiede i sacramenti della iniziazione cristiana e si preoccupa fino alla celebrazione della Cresima, non si sente chiara la responsabilità di continuare con i figli più grandi: adolescenti e giovani.
    Anche gli adulti del consiglio pastorale parrocchiale, catechisti e animatori della comunità hanno figli giovani, giovani adulti, che, nonostante l’esempio di impegno e di partecipazione dei genitori, frequentano poco o non frequentano per nulla. Qualche volta ci si trova di fronte a figli giovani che vivono situazioni di convivenza in attesa delle scelta del matrimonio sacramento.
    La preoccupazione più sentita e manifestata da parte dei genitori è quella di ricordare che è festa ed è bene “andare a Messa”.
    Ma per i figli giovani non si può impostare un cammino di educazione alla fede, realizzato e sperimentato in famiglia?
    “La parrocchia missionaria fa della famiglia un luogo privilegiato della sua azione, scoprendosi essa stessa famiglia di famiglie”.
    Ecco alcune indicazioni che abbiamo fatto nostre.

    La famiglia, prima e insostituibile comunità educativa

    Nel documento “Matrimonio e famiglia oggi in Italia” ci sono delle affermazioni e degli orientamenti operativi di attualità. Nella famiglia le diverse generazioni si incontrano e si aiutano vicendevolmente a raggiungere una saggezza umana più completa e a comporre convenientemente i diritti della persona con le altre esigenze della vita sociale. Essa è definita dal Concilio “Chiesa domestica”. La famiglia, alimentata dall’amore, è la prima, insostituibile comunità educativa. L’uomo e la donna, i genitori e i figli, quotidianamente costruiscono in essa se stessi fino alla pienezza della maturità umana e cristiana. Nell’amore ogni persona si apre all’altra, superando l’egoismo, rispettando e valorizzando la dignità e le qualità dell’altra persona, offrendo e accogliendo con intelligenza e generosità il contributo per il reciproco perfezionamento.

    I genitori, primi educatori.

    La prima forma d’educazione familiare è quella che i coniugi esercitano fra loro. Il vicendevole aiuto alla propria perfezione costituisce il migliore fondamento dell’azione educativa dei genitori verso i figli. Non esistono rimedi pronti e universalmente efficaci. Mai come oggi i genitori devono procedere nella loro opera educativa con pazienza e fiducia. Mai come oggi debbono essere preoccupati dell’esempio che offrono ai figli, in modo particolare nella vita morale e religiosa. Mai come oggi debbono invocare la grazia del Signore con la preghiera.
    L’educazione sia opera congiunta dei genitori. Padre e madre sono i primi e più diretti responsabili della formazione, anche religiosa, dei figli. Il ruolo paterno e il ruolo materno, lo spirito di paternità e quello di maternità, sono ugualmente necessari. Anche nell’educazione dei figli, l’amore coniugale continua ad essere essenzialmente unitivo e procreativo. La necessità di non rinunciare all’esercizio rispettoso, fermo e fiducioso, dell’autorità, intesa come necessario servizio di amore, praticata col metodo del dialogo, è resa credibile dalla testimonianza dell’esempio, al fine di aiutare la persona del figlio a conquistare una progressiva capacità di libero e responsabile orientamento.
    L’importanza dell’educazione indiretta, ossia del clima familiare fatto di spirito religioso, di serenità, di semplicità, di sincero affetto, aperto ai valori e agli interessi che oggi sono diffusi nella società civile e nella Chiesa favorisce l’esercizio, progressivo e serio, di una coraggiosa testimonianza cristiana.
    I genitori non cedano a nessuno i loro compiti educativi, ma li sappiano esercitare con senso di responsabilità, collaborazione con gli organismi civili ed ecclesiali che possono aiutarli nell’opera educativa, soprattutto per quanto riguarda la scuola. Nella famiglia l’educazione avviene anche da parte dei figli verso i genitori. Crescendo insieme, nel dialogo con i figli, i genitori sono stimolati a ripensare gli orientamenti di fondo della vita, a valutare gli ideali di cui i giovani si fanno portatori, a rinnovare la coerenza della propria esistenza. Infine nella famiglia i figli si educano vicendevolmente, come è provato dall’esperienza delle famiglie numerose. È la prima forma di coeducazione, che può influire in modo efficace sull’equilibrato sviluppo della personalità dei giovani.

    La famiglia aperta al mondo.

    La famiglia deve essere cordialmente aperta al dialogo con il mondo. Le giovani generazioni debbono in essa potersi formare ad un impegno autenticamente umano e cristiano. La famiglia deve cioè concorrere al superamento di ogni forma di egoismo e di ogni pregiudizio di classe, di razza e di religione. È necessario che la famiglia sappia promuovere un’autentica educazione sociale, allontanando la tentazione di realizzare, chiudendosi in se stessa, la propria perfezione e di cercare un rapporto con gli altri soltanto in funzione della propria utilità. Nell’ambito stesso della vita di famiglia i giovani dovranno essere educati all’incontro e al colloquio con gli altri, partendo dalle più piccole comunità di caseggiato, o di quartiere, o di scuola, sino alla più vasta comunità amministrativa e politica. Importanza fondamentale assume l’educazione alla pace, che la famiglia tanto contribuirà a portare nel mondo quanto l’avrà realizzata in se stessa.
    Il dialogo con il mondo, in modo particolare nel nostro tempo, esige una educazione allo spirito di povertà. Questa consiste nell’insegnare ai giovani, con la parola e con l’esempio, che il danaro è soltanto un mezzo; che alcuni valori non hanno prezzo; che bisogna sentire come proprio il dramma della povertà e della ingiustizia vissuto da tanta parte dell’umanità; che le ragioni della vita sono superiori alla vita stessa; che è dovere saper rinunciare a qualcosa di proprio per aiutare chi è nel bisogno.

    Alcune linee per rendere l’azione più efficace.

    È necessario che la famiglia divenga il centro unificatore dell’azione pastorale, superando la fase generosa, ma sporadica ed episodica, per giungere ad una fase organica e sistematica. Un certo criterio settoriale o individualistico ha finora guidato l’azione pastorale. Dovremmo passare ad un criterio che abbia per oggetto la famiglia come comunità. La famiglia deve inoltre divenire soggetto di pastorale, essendo i coniugi dotati di grazie, di carismi e d’esperienze particolari. A questo scopo, è opportuno che la famiglia in quanto tale sia sempre presente negli organismi pastorali. Il sacerdote non deve assolvere ogni compito, ma ispirare e, se occorre, guidare, coordinare l’attività di gruppi di competenti. A questi deve ricorrere per aiuti che, pur dovendo essere in armonia con la morale, esulano generalmente dalla sua preparazione.
    È urgente assecondare il desiderio che cresce fra i coniugi cristiani più sensibili di una spiritualità coniugale che nasca dalla riflessione sulla sacramentalità del matrimonio e costituisca una via alla perfezione della vita cristiana.
    La famiglia è come la madre e la nutrice dell’educazione per tutti i suoi membri, in modo particolare per i figli. La catechesi familiare trova la sua originalità e la sua efficacia nel carattere occasionale e nella immediatezza dei suoi insegnamenti, espressi innanzi tutto nel comportamento stesso dei genitori e nella esperienza spirituale di ciascuno. In famiglia, ciascuno deve poter trarre un modello di vita permeato di fermenti cristiani, sperimentando dal vivo il senso di Dio, di se stesso, del prossimo.
    La famiglia è il luogo della verifica, della concretezza degli impegni, la cui solidità è provata nel quotidiano. Quanto più si vive “a gomito a gomito”, quanto più concreto è il ritmo della vita, tanto più grandi sono le esigenze e le difficoltà della vita in famiglia. C’è bisogno di imparare ad accogliere ogni persona, ascoltarla, incoraggiarla, perdonarla e non solo verificare gli orari e programmi di studio e di lavoro, adattare i ritmi di realizzazione degli impegni assunti, ricercare altre possibilità di incontro e di vita.
    L’amore in famiglia è un’arte che si impara alla scuola gli uni degli altri, ma soprattutto alla scuola della “santa famiglia”, alla scuola di Gesù, il Signore. Nella concretezza della vita di famiglia si costruisce la comunione, diventando famiglia che ascolta e annuncia la parola del Signore, che prega e celebra le meraviglie del Signore, che condivide e si mette a servizio.

    Lo stile del “passaggio” in famiglia

    La vita in famiglia è un continuo “passaggio”: passare dall’essere coppia “sola” a quello del papà e della mamma con “un” figlio, che viene battezzato “figlio di Dio”; passare dal mondo familiare del bambino a quello della scuola e della comunità credente, celebrando la riconciliazione e l’eucaristia; passare dalla fanciullezza all’adolescenza, celebrando la confermazione; passare dalle elementari alle medie e da queste al liceo; entrare nella vita studentesca e professionale con l’autonomia che comporta; integrarsi a una società; cambiare professione, mondo sociale; celebrare il matrimonio…
    È bene tener presente un altro elemento, che può diventare strumento di pastorale, luogo di condivisione e di servizio: la casa.
    Le case delle famiglie cristiane dei primi secoli erano il luogo dell’incontro, della costruzione di relazioni cristiane, di conversione di parenti e amici, fino alle celebrazioni dell’eucaristia. Oggi le case rischiano di essere supercurate per se stesse e non per la preziosità del sacramento che vi “abita”. Vengono benedette, sono talora incontro per gruppi familiari ma raramente sono il luogo della “buona notizia”, della comunicazione e testimonianza di fede, della dimostrazione di fraternità e amicizia.
    La casa, pur piccola, va riportata nel vissuto della famiglia cristiana e della comunità parrocchiale ad essere “strumento pastorale”, mezzo per l’edificazione del “regno” di Dio. “Nel nostro tempo, così duro per molti, quale grazia essere accolti in questa piccola Chiesa, secondo le parole di San Giovanni Crisostomo, entrare nella sua tenerezza, scoprire la sua maternità, sperimentare la sua misericordia, tant’è vero che un focolare cristiano è il volto ridente e dolce della Chiesa!” (Paolo VI).

    LA SCUOLA

    Per la formazione integrale del giovane

    La scuola fa parte delle strutture civili. Nella scuola non si fa catechesi, ma insegnamento della religione cattolica. Questo impegno di educazione “cristiana” deve caratterizzarsi in riferimento alle mete e ai metodi propri di una struttura scolastica moderna. La formazione integrale dell’uomo e del cittadino, mediante l’accesso alla cultura, è la preoccupazione fondamentale.
    L’educazione della coscienza religiosa si inserisce in questo contesto, come dovere e diritto della persona umana che aspira alla piena libertà e come doveroso servizio che la società rende a tutti (cf RdC 154).
    Nella scuola il messaggio cristiano va presentato con serietà critica e con rispetto delle diverse situazioni spirituali degli alunni. Si devono curare il confronto con le diverse culture e il dialogo tra quanti onestamente cercano, in proporzione alle esigenze e alle capacità di ciascuno. Si deve promuovere il senso dei valori, mostrando come tutto si ricapitola in Cristo.
    Particolare attenzione va riservata ai problemi dell’età evolutiva. Occorre favorire la partecipazione degli alunni alla ricerca della verità, guidandoli all’esercizio responsabile delle loro capacità spirituali, sviluppando la loro capacità di giudizio, invitandoli all’espressione personale e di gruppo, al dialogo, al confronto con la vita (cf RdC 155).
    In vario modo sono “educatori alla fede” nella scuola non soltanto gli insegnanti di religione, ma tutti coloro che vi esercitano una testimonianza di fede: gli stessi alunni, le loro famiglie, tutti i loro insegnanti, le loro associazioni. In maniera esplicita e peculiare, l’educazione religiosa scolastica si esprime attraverso coloro che, sacerdoti o laici, insegnano la dottrina della salvezza. Nel rispetto della struttura scolastica, essi devono farsi promotori di un coordinamento delle attività educative che consenta agli alunni una piena esperienza dell’esperienza cristiana (cf RdC 156).
    La scuola con l’insegnamento della religione, chiesto da una grande maggioranza delle famiglie e dei giovani, raggiunge fin dai primi anni i singoli bambini e fanciulli per due ore alla settimana per tutti i cinque anni delle elementari e i ragazzi della scuola media per un’ora alla settimana per tre anni.
    A questo cammino si aggiunge per alcuni anni il cammino di preparazione a celebrare i sacramenti della riconciliazione, della comunione e della cresima.
    Dobbiamo riconoscere che l’impegno scolastico nell’educazione religiosa è sistematico, graduale e progressivo. In un certo modo precede e segue il cammino sacramentale. È fondamentale interagire con tale situazione dialogando e concordando, in funzione del bene dell’allievo. I genitori possono essere, per la comunità credente, la mediazione di questa interazione educativo. La Chiesa locale può facilitare il dialogo tra gli operatori, per evitare discordanze e ripetizioni, che possono portare noia e disinteresse, soprattutto per i più piccoli.
    È importante tener presente che gli adolescenti e i giovani che vanno a scuola hanno anch’essi un servizio qualificato e continuo nella scuola, anche quando non sono raggiunti da proposte considerate esplicitamente ecclesiali.

    Per lo sviluppo di tutto l’uomo

    Paolo VI, parlando dello sviluppo dei popoli (Populorum progressio) afferma che lo sviluppo dei popoli è oggetto di attenta osservazione da parte della Chiesa.
    Una rinnovata presa di coscienza delle esigenze del messaggio evangelico impone alla Chiesa di mettersi a servizio degli uomini, onde aiutarli a cogliere tutte le dimensioni di tale grave problema e convincerli dell’urgenza di una azione solidale in questa svolta della storia dell’umanità. Si offre una visione cristiana dello sviluppo, che non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo.
    È proposta una visione dello sviluppo come vocazione e crescita, umana e religiosa all’interno della creazione. Nel disegno di Dio, ogni uomo è chiamato a uno sviluppo, perché ogni vita è vocazione. Fin dalla nascita, è dato a tutti in germe un insieme di attitudini e di qualità da far fruttificare: il loro pieno svolgimento, frutto a un tempo dell’educazione ricevuta dall’ambiente e dello sforzo personale, permetterà a ciascuno di orientarsi verso il destino propostogli dal suo Creatore. Dotato di intelligenza e di libertà, egli è responsabile della sua crescita, così come della sua salvezza. Aiutato, e talvolta impedito, da coloro che lo educano e lo circondano, ciascuno rimane, qualunque siano le influenze che si esercitano su di lui, l’artefice della sua riuscita o del suo fallimento: col solo sforzo della sua intelligenza e della sua volontà, ogni uomo può crescere in umanità, valere di più, essere di più.

    L’AMBIENTE, IL TERRITORIO: LA COMUNITÀ DEGLI UOMINI

    Nel Documento di Base per il rinnovamento della pastorale si afferma che l’attenzione che l’educatore alla fede rivolge all’uomo non riguarda soltanto l’individuo, ma abbraccia tutti i suoi rapporti con la società. Ciascuno cresce e si forma in un contesto sociale, in varie comunità e gruppi, che contribuiscono al suo sviluppo.
    La comunità e i gruppi non sono un fatto marginale. Nessun uomo può sviluppare pienamente la sua personalità, se non ha relazioni normali con il suo ambiente. L’individuo non solo riceve l’influsso dell’ambiente, ma, essendone egli stesso parte, lo costruisce ed è chiamato a trasfondervi il suo stile di vita e a trasformarlo (cf RdC 140).
    L’uomo concreto che ogni educatore accoglie è l’uomo che non vive soltanto e prevalentemente in famiglia e in parrocchia. Nella società contemporanea, altri ambienti contribuiscono a formare la mentalità corrente.
    Si pensi, in particolare, all’influsso esercitato dagli ambienti di studio e di lavoro, ove i giovani e gli adulti trascorrono gran parte della loro giornata. Si pensi alle suggestioni che provengono dalla civiltà dell’immagini e dagli strumenti di comunicazione sociale.
    L’educatore sa seguire con impegno e attenzione lo sviluppo dei fenomeni che caratterizzano la realtà moderna, partecipando alle ansie, alle attese, alle gioie di tutta l’umanità, a cominciare dalla comunità in cui vive e opera. Egli studia l’uomo che avverte in sé e riflette su problemi che affiorano anche nell’intimo del suo spirito; vivendo gli stessi problemi dei fratelli che cercano e soffrono, cammina con loro lungo la strada che conduce a Cristo (cf RdC 141).

    Per rendere dinamica la realtà di vita quotidiana

    La realtà pastorale “ordinaria” può essere pensata “a cerchi concentrici”.
    Il centro per tradizione è la chiesa e la comunità credente con la sua vitalità fatta di catechesi, di liturgia e di servizio. Attorno all’altare ci si raduna e da qui si parte per andare verso la “periferia”. Ma sono pochi quelli che si incamminano in questa direzione.
    La “gente”, i fedeli “comuni” partono dalla periferia per arrivare al centro, dove ci si incontra in modo “concentrato” nei segni sacramentali con il Signore della vita. Poi, con una fede rafforzata, con una speranza più evidente, con un carità più attiva, si parte dal centro per portare energie nuove di vita in ogni ambito della realtà in cui la gente vive, portando più gioia e ottimismo.
    Ci sono tante occasioni che vanno curate.
    Il giorno del Signore (la domenica) si manifesta come giorno della comunità e quindi della solidarietà e della comunione più vasta. La partecipazione alla celebrazione dell’eucaristia contempla più livelli. Il nucleo dei fedeli, giovani e adulti, che sono presenti sistematicamente, che ricoprono ruoli di responsabilità e di animazione della celebrazione con canti, letture. intenzioni, gesti particolari... che sono preparati con incontri di piccoli gruppi.
    Per la maggioranza dei partecipanti, di cui alcuni saltuari, la celebrazione eucaristica resta l’unico incontro in cui si può ascoltare la parola del Signore e della comunità, pregare insieme ed essere coinvolti in qualche iniziativa di servizio e di carità. L’incidenza nei singoli partecipanti, senza preparazione specifica, dipende dall’equilibrio di impostazione e dalla capacità di coinvolgimento personale.
    Nelle grandi occasioni (Natale, Pasqua), in determinate circostanze (prima comunione, battesimo, matrimonio) e nelle feste patronali sono presenti anche quelli che frequentano poco.
    Molti battezzati conservano questi momenti di contatto con la comunità credente anche soltanto come una tradizione da conservare, quasi “nostalgia” di un bene posseduto e vissuto in una certa epoca della vita, ma anche come desiderio di qualcosa che si può ancora vivere.
    La nascita di un bambino, ma soprattutto la morte di un congiunto, sono occasioni di incontro di più persone, che possono trovarsi nella disponibilità di una catechesi particolare. Sono da animare con equilibrio e con essenzialità, in modo che facciano riflettere e pregare.
    Momento di incontro pastorale per questi cerchi più ampi di credenti è la visita in famiglia portando la “comunione” agli anziani. Il poter coinvolgere i giovani nel servizio, anche portando un ramoscello di ulivo il giorno delle Palme, significa far pensare concretamente al senso della vita.
    Anche per i lontani, momento felice di incontro può essere la visita alle famiglie, in casa, in occasione della Pasqua. Ancora desiderata dai più, resta una occasione da non perdere, e va considerata una scelta di missionarietà e  realizzata con coraggio, disponibilità e fantasia. Si deve impiegare un tempo ampio in cui la comunità cristiana è in stato di missione nelle varie zone della parrocchia. È un tempo in cui sarebbe bene dedicare più attenzione all’incontro in “periferia”.
    Una variazione tipicamente “giovanile” potrebbe essere quella in cui i giovani, che partecipano ai gruppi e alle attività della comunità credente, invitano in casa loro gli amici e i compagni del vicinato, che non frequentano o frequentano poco. Con la presenza di un sacerdote o di un laico responsabile è una occasione per riflettere sul senso della Pasqua a partire dai loro problemi e situazioni emergenti.

    Con slancio missionario

    È importante ricordare che una zona pastorale comprende tutti i battezzati, anche quelli che frequentano poco o non frequentano affatto. L’immagine che può aiutare è quella di una realtà a cerchi concentrici, che contempla quindi un nucleo centrale, fortemente e intensamente motivato alla appartenenza alla comunità, e arriva fino ai cerchi più esterni. Si tratta di diventare la parrocchia dei senza parrocchia, cioè di quei giovani che non sono raggiunti dalle proposte educative e pastorali ordinarie.
    Siamo solidali con il mondo e con la sua storia. Le necessità dei giovani ci muovono e orientano per l’avvento di un mondo più giusto e più fraterno in Cristo. Siamo pronti a cooperare con gli organismi civili di educazione e di promozione sociale. Siamo aperti ai valori del mondo e attenti al contesto culturale in cui svolgiamo la nostra azione apostolica, siamo solidali con il gruppo umano in mezzo a cui viviamo e coltiviamo buone relazioni con tutti.
    La comunità degli uomini in cui si vive, il territorio in cui si opera comprende altri luoghi di vita e di educazione. Una comunità credente che vuol essere missionaria non guarda solo al suo interno e all’interno degli ambienti ecclesiali operanti nella zona, ma si apre all’esterno con coraggio in dialogo e confronto. È attenta al contesto più ampio, da cui provengono i ragazzi e i giovani e con la collaborazione dei laici, giovani e adulti, li raggiunge nei loro ambienti e luoghi di vita e di ritrovo.
    Nei riguardi del territorio la comunità deve acquistare l’attitudine a rivedere e a riprogettare continuamente: la significatività giovanile della propria opera, la sua capacità di dialogare con la realtà circostante, con le istituzioni sociali ed educative del quartiere e della città, di irradiare la sua passione educativa con piani che rispondono alle attese dei giovani, di interagire continuamente con la realtà che la circonda e nella quale è vitalmente inserita.
    La comunità parrocchiale non è autosufficiente nell’educare i giovani e ha bisogno di far convergere in un progetto tutte le forze vive di una comunità civile e cristiana. Molte persone si possono rendere disponibili ad assumersi le proprie responsabilità se si presenta una progettualità.

    L’ORATORIO: UN PONTE PER COMUNICARE

    Il Papa, parlando ai giovani della Diocesi di Roma e invitandoli a “prendere il largo”, ha detto: “Organizzate, con l’aiuto degli adulti e dei sacerdoti delle vostre comunità, momenti formativi sulle questioni attuali più importanti. Condividendo la vita dei vostri coetanei nei luoghi dello studio, del divertimento, dello sport e della cultura, cercate di recare loro l’annuncio liberante del vangelo. Rilanciate gli oratori, adeguandoli alle esigenze di tempi, come ponti tra la Chiesa e la strada, con particolare attenzione per chi è emarginato e attraversa momenti di disagio, o è caduto nelle maglie della devianza e della delinquenza”.
    Un impegno di pastorale giovanile che facciamo nostro.

    Una realtà viva

    Per lanciare un ponte occorrono due punti di appoggio, due piloni: quello verso la chiesa e quello verso la strada.
    Stando dentro la struttura ecclesiale, un “pilone” del ponte, abbiamo preso coscienza degli ampi spazi che sono a disposizione, delle proposte varie che sono continuamente presentate a piccoli, a ragazzi e giovani.
    Come si esce dalla porta della Chiesa e dai cancelli dell’Oratorio-Centro giovanile ci si immerge nel territorio, e andando in altri ambienti del quartiere o ritornando a casa si vede la realtà della vita quotidiana di tutte le persone che vivono e lavorano. Nei luoghi di incontro, di studio e di gioco ci sono figure di responsabili, che oltre tutto sono colleghi di lavoro e alcuni dei quali partecipano alla vita della comunità o frequentano alcuni momenti particolari di celebrazione.
    Si può andare “fuori”, mettendosi nei panni delle persone, che camminano nelle strade, visitando case e condomini, incontrando persone di ogni età... Da questa posizione si osserva la realtà della gente e si vede un territorio, in cui è inserita la “chiesa”, con il suo campanile e le sue strutture di accoglienza e di gioco. È una visione dall’esterno, in certo modo dall’alto, aperta al territorio...
    Anche le strutture ricreative e sportive del quartiere sono luogo di crescita umana e sociale dei ragazzi e dei giovani; anche i giardini pubblici e gli spazi condominiali in cui giocano i piccoli sono luoghi di incontro; anche le sale da gioco, in cui giocano giovani e adulti, sono luoghi di incontro. Non sono anche questi i luoghi in cui testimoniare il nostro essere cristiani? E i credenti che vi passano delle ore, incontrandosi e chiacchierando, cosa fanno?

    L’interesse dei giovani: un ponte per comunicare

    Da una percentuale alta di ragazzi, meno da parte degli adolescenti e dei giovani, la parrocchia e l’oratorio sono indicati come luoghi principali o esclusivi dove incontrare più spesso gli amici e trascorrere il tempo libero. L’oratorio rappresenta ancora l’ambito privilegiato per l’aggregazione dei preadolescenti.
    L’oratorio viene scelto perché si possono realizzare molte attività: da quelle di gioco a quelle formative, da quelle di espressione culturale, teatrale e musicale a quelle di scoperta e difesa dell’ambiente, a quelle di impegno sociale, da quelle di riscoperta del Vangelo a quelle di celebrazione della propria fede cristiana.
    Quando i ragazzi e i giovani entrano in un oratorio vogliono passare un po’ del loro tempo “libero” e viverlo pienamente. Questa voglia di vivere va colta in concreto e si esprime nei loro interessi, che rispondono a quei dinamismi di crescita che sono i bisogni fondamentali a livello psico-fisico, psico-intellettuale, psico-affettivo-sociale, psico-spirituale e religioso.
    L’interesse espresso (mi piace... preferisco...) manifesta in modo esplicito e prevalente uno dei bisogni fondamentali. L’interesse prevalente quindi è come un “ponte” gettato tra il ragazzo e il mondo circostante, che si presenta naturalmente più complesso, più ricco e più completo, rispetto alla visione ristretta di tipo personale. Il ragazzo comunica un suo interesse, che risponde a un suo bisogno, nel modo più semplice e congeniale.
    Ma il ragazzo e il giovane stesso “dilaga” per così dire nella vita dei gruppi, allargando gli spazi di interesse e di attività. Si manifesta per molti la pluralità di appartenenza e la molteplicità di interessi. E qui è chiamato in causa l’ambiente educativo e la figura dell’animatore, che si colloca tra il ragazzo e il giovane con i suoi interessi (mi piace!) e i suoi bisogni di crescita (è importante!) e la realtà circostante, che rischia di rispondere spesso agli interessi più immediati, dimenticando i bisogni fondamentali.
    L’interesse, espressione di un bisogno prevalente, è una occasione per far incontrare il ragazzo e il giovane con se stesso, con gli altri, le cose e con il Signore. Deve essere accolto, trovare risposta adeguata, competente ed entusiasta, ma deve essere inserito in un ambito educativo, che evidenzia altri interessi, che dà altre risposte ai bisogni di crescita, anche a quelli che non sono avvertiti come importanti dal singolo ragazzo.

    L’associazionismo: una risorsa privilegiata

    Nella tradizione ecclesiale esistono delle associazioni nate per aiutare i ragazzi e i giovani a incontrarsi con uno stile di vita piena dentro i percorsi quotidiani. Nell’oratorio vanno accolte, apprezzate, aiutate a crescere e a dare il loro contributo per portare i giovani all’oratorio, ma anche l’oratorio ai giovani.
    Il tempo libero è un tempo propizio per l’associazionismo.
    Per i nostri ragazzi e giovani il tempo libero non è più un tempo che avanza o che interrompe gli impegni di studio o di lavoro. È sempre più frequentemente un tempo che aumenta in quantità, ma deve essere “liberato” da tanti condizionamenti, che rischiano di farlo diventare “tempo perso” o “tempo consumato” senza senso.
    Accettare la “sfida” di liberare il tempo libero dei giovani, significa educarli a considerarlo e viverlo come un tempo propizio per mettersi in comunicazione con se stessi e con gli altri.
    Gli oratori, attenti agli interessi espressi dai giovani, desiderosi di educare potenzialità latenti, presentano alcune proposte educative, che fanno la scelta di educare attraverso il gruppo. E per garantire la continuità e la serietà del servizio alcuni gruppi sono organizzati in associazioni riconosciute sul piano civile.
    I gruppi sportivi aiutano i ragazzi e i giovani a scoprire il tempo libero come tempo propizio per ritrovare se stessi nel proprio corpo, per incontrare gli altri e insieme competere, in un clima di accettazione e di amicizia, per conquistare la capacità di contemplare la bellezza e l’espressività del corpo umano.
    I gruppi turistici creano occasioni per uscire dal proprio piccolo mondo, per viaggiare, incontrare, per ammirare e contemplare, per ritrovare calma e serenità, per rivisitare e riscoprire le memorie storiche e artistiche, che l’umanità ha creato lungo il suo cammino.
    I gruppi socioculturali permettono di vivere la ricchezza dei segni e dei linguaggi, di essere protagonisti nel mondo dell’espressione, di vivere con un forte senso critico la continua esposizione alle informazioni e comunicazioni che tentano di sopraffare lo spirito umano e la sua libertà.
    I gruppi apostolici aiutano i ragazzi e i giovani ad incontrarsi da amici, a vivere in gruppo, a discutere e confrontarsi con i propri coetanei, a partecipare alla vita e alle attività dell’ambiente in cui si sta crescendo, per vivere con coerenza i propri ideali e la propria fede nello stile proprio proposto da santi giovani o ragazzi.
    I gruppi missionari e di volontariato impegnano i ragazzi e soprattutto i giovani a interessarsi al prossimo, vicino di casa, ad allargare il proprio sguardo e il proprio cuore oltre i confini del proprio ambiente di vita, per scoprire il mondo del sottosviluppo e le situazioni di povertà, di miseria e di emarginazione. Si tratta di progettare piccole realizzazioni e interventi, che coinvolgono in prima persona sia i più piccoli nell’intervento immediato e nella rimozione delle cause personali e strutturali, sia i più grandi nella promozione di nuove politiche sociali al servizio di tutti, con prestazioni prioritarie per coloro che sono “a rischio”.
    La proposta del servizio civile sociale fa vedere nei giovani una risorsa preziosa, e ne riconosce il loro ruolo e la loro funzione. Così si facilita l’educazione alla non violenza e alla pace, e si permette di offrire un grande dono alla comunità: una parte della propria vita “a tempo pieno”.
    Il gruppo catechistico aiuta i ragazzi e i giovani a incontrare e scoprire l’originalità di ogni persona, a conoscere Gesù di Nazaret come maestro, modello e sorgente di vita; a partecipare alla vita del piccolo gruppo-comunità, in cui dare il proprio contributo originale per la sua vita e la sua crescita.
    Il gruppo liturgico dà vita a iniziative per realizzare un incontro sereno con se stessi, con gli altri e quindi con il Signore della vita, “celebrando” nel Signore risorto la vita di ogni giorno in una grande azione di grazie (eucaristia), “ricostruendo” la comunità nella comunione, riconoscendo le proprie responsabilità e le proprie colpe (riconciliazione).

    OLTRE I CANCELLI

    Anche “fuori”, “oltre i cancelli” ci sono tante persone; tante risorse sono a disposizione dei ragazzi e dei giovani, che ricevono risposte immediate agli interessi espressi e alle domande esplicite, e risposte mediate agli interessi non espressi e alle domande da educare e far nascere.
    Dobbiamo creare un ambiente educativo che ha le porte e le finestre aperte per ricevere e conoscere quanto si agita nel mondo giovanile, anche al di fuori delle proprie mura, e che ha educatori e strutture varie per confrontare, verificare e rielaborare quanto è considerato anche soltanto un desiderio di crescita umana e cristiana, una tensione verso il dialogo, la solidarietà, la pace, l’attenzione agli ultimi.
    Queste domande e risposte possono essere anche contraddette da opposte tensioni egoistiche (il proprio interesse, il proprio prestigio, l’affermazione personale, di squadra e di gruppo).
     Possono essere velate da ambiguità (è un progetto che serve i giovani o si serve dei giovani? è per aiutare a far crescere i ragazzi o per lanciare una immagine e un prodotto? si è educatori a servizio dei giovani o imprenditori che si servono dei giovani e li pagano perché rendano?). Alcune volte si presentano indeterminate negli scopi (ad alcuni importa che giochino, che suonino, che non stiano i strada... al resto poi si penserà) e fragili nell’attuazione concreta (non sempre è garantita la competenza e non è assicurata la continuità del servizio; spesso ci si affida all’improvvisazione e allo spontaneismo). Qualche volta sono bisognose di purificazione e di interpretazione (bisogna saper vedere “al di là” dell’immediato: nell’interesse espresso intuire il bisogno nascosto e la domanda inespressa).
    Comunque tutte le domande giovanili e le risposte educative rappresentano un possibile “gemito” della creazione, che la comunità educativa-pastorale deve saper discernere.
    Costatiamo che la maggioranza degli adolescenti e dei giovani si sentono interessati a vivere la loro vita ordinaria, fatta di attività, che rispondono ai loro bisogni e interessi immediati: una parte considerevole è interessata e partecipa ad attività ricreative o sportive; una parte è interessata a esperienze di attenzione all’emarginazione e al rispetto per la natura.
    Tutti sono sensibili e attenti a proposte che li aiutino a porsi nella società e vivere con una coscienza critica, a incontrare gli altri nella collaborazione e nella solidarietà, a educarsi all’amore per vivere e crescere insieme.
    Nel realizzare il cammino di crescita umana e cristiana si può coerentemente coinvolgere nelle diverse are e nelle prime mete proposte per ogni area anche educatori e ambienti della comunità degli uomini, sensibili e aperti ai problemi dei ragazzi e dei giovani e impegnati a non deludere le loro domande e attese.
    Sono problematiche “giovanili”, sono “spazi” che possono trovare intesa, collaborazione, condivisione non solo nell’ambito ecclesiale ma anche in ambiti culturali, sociali e politici.
    Ci si impegna a sollecitare risposte adeguate ai problemi giovanili, offrendo sensibilità educativa e chiedendo apporti qualificati alle istituzioni, sempre in collaborazione con la famiglia, che resta al centro della responsabilità educativa:
    – per l’educazione all’amore, ci si mette accanto alla famiglia e alla scuola e ai vari centri di orientamento alla vita;
    – per l’educazione al dialogo ci si confronta con gli ambienti di educazione;
    – per la formazione della coscienza, si chiedono apporti qualificati alla scuola e al mondo della cultura;
    – per la formazione all’impegno sociale e politico si coinvolgono le istituzioni (quartiere, circoscrizione, comune...), mettendo a confronto i progetti che servono i giovani e contrastando quelli che si servono dei giovani.

    L’educazione all’amore

    Il contesto socio-culturale di oggi stimola e facilita la comunicazione e gli scambi affettivi.
    I giovani, poi, con molta intraprendenza, sfidando pregiudizi e censure culturali, stimolati dall’età e desiderosi di superare le carenze affettivo-familiari, sensibili al valore dell’incontro-scambio come espressione di donazione e fiducia, scommettono sull’amore. Sono desiderosi di “vivere” questo dono. Spesso però, per una serie di condizionamenti interni ed esterni, riescono solo a farne un uso consumistico.
    L’amore è certamente una dimensione fondamentale della persona. È la molla che fa scattare la vita. È ciò che dà senso all’esistenza, aprendola alla comprensione e all’oblatività. Esso è vissuto dai giovani con totalità ed esclusività, al punto che gli pospongono ogni altro valore e impegno.
    La radicalità con cui si donano non corrisponde, però, alla durata dell’offerta. Vivono l’esperienza nella sua fugacità.
    E, anche se l’incontro tenderebbe a realizzare un desiderio di autenticità, frequentemente la forza del sentimento viene travolta dalla carica sessuale. La ricerca della persona da amare, poi, isola necessariamente dagli altri e dal gruppo, da cui presto ci si allontana.

    L’intervento educativo.
    L’educatore, attento nella sua azione educativa a favorire e a promuovere la maturazione dei giovani, sente oggi uno speciale impegno nell’educare all’amore.
    Per prima cosa, è fondamentale creare attorno ai giovani, in ogni ambiente, un clima educativo ricco di scambi comunicativo-affettivi. Il sentirsi accolto, riconosciuto, stimato e amato è la migliore lezione sull’amore. Quando vengono meno i segni e i gesti della “famiglia”, i giovani facilmente si allontanano, non solo materialmente ma anche e soprattutto affettivamente.
    L’educazione integrale della persona e il sostegno della grazia porteranno ragazzi e ragazze ad apprezzare i valori autentici della purezza (il rispetto di sé e degli altri, la dignità della persona, la trasparenza nelle relazioni...) come annuncio del Regno e come denuncia di ogni forma di strumentalizzazione e di schiavitù.
    Gli incontri tra ragazzi e ragazze, quando sono vissuti come momenti di arricchimento vicendevole, aprono al dialogo e all’attenzione verso l’altro. Fanno scoprire la ricchezza della reciprocità, che investe il livello del sentimento e dell’intelligenza, del pensiero e dell’azione. Nasce così la scoperta dell’altro, accolto nel suo essere e rispettato nella sua dignità di persona.
    Un’adeguata educazione, quindi, fa cogliere la sessualità come valore che matura la persona e come dono da scambiarsi in un rapporto definitivo, esclusivo e totale, aperto alla procreazione responsabile.
    Il confronto con persone che vivono questo amore ha la forza della testimonianza. Certi atteggiamenti legati alla donazione e alla gratuità vengono fortemente intuiti e assimilati. La gioia di una vocazione vissuta con convinzione si riverbera nei giovani, e facilita in loro un’apertura all’amore seria e serena, che sa accettare le esigenze che essa comporta.
    La testimonianza dell’educatore che vive in modo limpido e lieto la sua donazione nella castità fa percepire al giovane la possibilità di vivere una simile esperienza d’amore.
    Il giovane che gli vive accanto si interrogherà sul Signore della vita, che riempie il cuore di una creatura in maniera così totale. Prenderà coscienza che l’amore diventa a pieno titolo un progetto di vita, che si può esprimere in mille forme diverse.
    Anche il servizio fraterno ai “piccoli” e ai “poveri” e il contatto graduale e guidato con situazioni di sofferenza educherà ad amare gratuitamente.
    Un’attenta catechesi farà comprendere al giovane la realtà e le dimensioni di questo amore; lo guiderà all’accettazione del progetto di Dio, Amore fonte di ogni amore; e lo preparerà a realizzarlo nel matrimonio cristiano.

    Educazione al dialogo

    In attento ascolto dell’uomo.
    Durante lo svolgimento del Concilio Paolo VI nella sua prima enciclica “Ecclesiam Suam: per quali vie la Chiesa cattolica debba adempire il suo mandato”, che è quello di annunciare il Vangelo come “buona notizia”, propone il “dialogo” come esigenza fondamentale.
    Il dialogo per essere tale esige di  ascoltare attentamente ciò che dice l’interlocutore, capire veramente il suo pensiero, condividere la sua vita, perché quanto si dice sia già una esperienza vissuta e serva alla vita della persona, soprattutto se giovane. Ecco il cammino educativo che si propone. La Chiesa deve approfondire la coscienza di se stessa, deve intuire quale sia il metodo per giungere con saggezza al rinnovamento. Si impone un ulteriore impegno, quello delle relazioni che oggi la Chiesa deve stabilire col mondo che la circonda e in cui esso vive e lavora, e si presenta il problema del dialogo fra la Chiesa e il mondo moderno.
    La Chiesa deve imparare a meglio conoscere se stessa, se vuole vivere la propria vocazione e offrire al mondo il suo messaggio di fraternità e di salvezza. È bene ricordare che la Chiesa è immersa nell’umanità; ne fa parte, ne trae i suoi membri, ne deriva preziosi tesori di cultura, ne subisce le vicende storiche, ne favorisce le fortune.
    La Chiesa non può rimanere immobile e indifferente davanti ai mutamenti del mondo circostante. Essa non è separata dal mondo; ma vive in esso. Perciò i membri della Chiesa ne subiscono l’influsso, ne respirano la cultura, ne accettano le leggi, ne assorbono i costumi.
    Da un lato la vita cristiana deve continuamente e strenuamente guardarsi da quanto può illuderla; dall’altro lato la vita cristiana deve non solo adattarsi alle forme di pensiero e di costume, ma deve cercare di avvicinarle, di purificarle, di nobilitarle, di vivificarle. Non è sufficiente un atteggiamento di fedele conservazione del messaggio e della tradizione. La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio. È necessario che siano più chiari i motivi che spingono la Chiesa al dialogo, più chiari i metodi da seguire, più chiari i fini da conseguire. Si vuole disporre gli animi, non trattare le cose.
    Al Concilio si è voluto dare uno scopo pastorale, tutto rivolto all’inserimento del messaggio cristiano nella circolazione di pensiero, di parola, di cultura, di costume, di tendenza dell’umanità, quale oggi vive e si agita sulla faccia della terra.

    Intervento educativo.
    Ancor prima di convertirlo, anzi per convertirlo, il mondo bisogna accostarlo e parlargli. Sembra che il rapporto della Chiesa col mondo, senza precludersi altre forme legittime, possa meglio raffigurarsi in un dialogo, e neppure questo in modo univoco, ma adattato all’indole dell’interlocutore e delle circostanze di fatto (altro è infatti il dialogo con un fanciullo, e altro con un adulto; altro con un credente, e altro con un non credente).
    Questa forma di rapporto indica un proposito di correttezza, di stima, di simpatia, di bontà da parte di chi lo instaura; esclude la condanna aprioristica, la polemica offensiva e abituale, la vanità di inutile conversazione.
    Il colloquio è perciò un modo di esercitare la missione apostolica; è un’arte di spirituale comunicazione. I suoi caratteri sono: la chiarezza innanzitutto; il dialogo suppone ed esige comprensibilità; poi la mitezza; il dialogo è pacifico; evita i modi violenti; è paziente; è generoso; infine la fiducia, tanto nella virtù della parola propria, quanto nell’attitudine ad accoglierla da parte dell’interlocutore: promuove la confidenza e l’amicizia.

    Educare al dialogo.
    Non si salva il mondo dal di fuori; occorre, come il Verbo di Dio che si è fatto uomo, immedesimarsi, in certa misura, nelle forme di vita di coloro a cui si vuole portare il messaggio di Cristo, occorre condividere, senza porre distanza di privilegi, o diaframma di linguaggio incomprensibile, il costume comune, purché umano e onesto, quello dei più piccoli specialmente, se si vuole essere ascoltati e compresi. Bisogna, ancora prima di parlare, ascoltare la voce, anzi il cuore dell’uomo; comprenderlo, e per quanto possibile rispettarlo e dove lo merita assecondarlo.
    Bisogna farsi fratelli degli uomini nell’atto stesso che vogliamo essere loro pastori e padri e maestri. Il clima del dialogo è l’amicizia. Anzi il servizio. Tutto questo dovremmo ricordare e studiarci di praticare secondo l’esempio e il precetto che Cristo ci lasciò.

    La formazione della coscienza

    Uno sguardo al mondo moderno mette in evidenza, immediatamente, alcuni criteri di comportamento che costituiscono per noi un’occasione o una difficoltà, nell’impegno di educare i giovani alla fede.

    Vivo è il senso, innanzitutto, della libertà individuale.
    In campo politico come in quello religioso, a livello di mentalità o di modi di vivere, la libertà rappresenta per tutti un bene inviolabile. Si è disposti a rinunciare a tante cose, non alla propria autonomia di determinazione.
    Ogni norma che non viene interiorizzata non solo perde di significato all’interno del quadro organico dei valori personali, ma resta formalmente ignorata. E si giunge fino ad atteggiamenti di relativismo, che chiudono alla verità morale oggettiva.

    L’intervento educativo.
    Da un punto di vista globale, occorre educare ad una mentalità di fede che non tema il confronto con i valori, ma li orienti in contesti normati dalla legge umana e dal Vangelo.
    Per riuscire nel compito, sarà opportuno tener conto di alcune indicazioni.
    La prima è quella di aiutare il giovane ad acquisire una sufficiente capacità di giudizio e di discernimento etico. Egli deve essere in grado di discernere il bene dal male, il peccato e le strutture di peccato, l’azione di Dio nella sua persona e nella storia. Puntare su un tale discernimento come asse della formazione della coscienza significa anche mettere in chiaro lo scopo di tutta la formazione morale: diventare capaci di esercitare moralmente la propria autonomia e responsabilità.
    Ma non va dimenticato che si forma una coscienza cristiana solo quando si aiuta il giovane a confrontare la propria vita con il Vangelo e il magistero ecclesiale. Nel processo educativo l’apertura alla verità oggettiva è una condizione previa per l’accettazione della Parola di Dio. Questa è una sfida che impegna l’educatore ad essere fedele nel presentare integralmente i principi morali, pur comprendendo la situazione concreta dei giovani.
    È necessaria, anche, una seria formazione critica circa i modelli culturali e certe norme della convivenza sociale in contrasto con valori fondamentali. Nei loro riguardi occorrerà saper prendere posizione, facendo “obiezione” sulla base della propria coscienza, ispirata a Cristo e al suo Vangelo. Ciò difende dalle ambiguità giustificate razionalmente, dalle ideologie ricorrenti, dalla superficialità di giudizio sugli avvenimenti, di cui svela la natura più profonda.
    Molti abbandoni dell’impegno religioso sono stati causati da una fede non inserita nella cultura, o da una mancata crescita culturale in campo religioso, che non ha adeguatamente affiancato il progresso tecnico.

    L’esigenza di confrontarsi con una norma.
    Da questa situazione nasce l’esigenza di confrontarci con la norma, la cui funzione è quella di illuminare e sostenere lo sviluppo dell’esperienza.
    C’è, innanzitutto, una norma umana di cui tener conto negli orientamenti e nelle scelte personali.
    C’è poi l’esperienza della Chiesa, che raccoglie dalla vita dei credenti, illuminati dalla Parola di Dio, dall’attenzione intelligente ai segni dei tempi, dalla storia della santità riconosciuta e nascosta, le linee fondamentali per un’esistenza cristiana. Il cammino non è facile.
    Esige un contatto quotidiano con la vita del giovane, una larga disponibilità ad incontrarlo nel dialogo e nel confronto critico con la realtà, in cui è immerso.

    La preparazione al lavoro

    I giovani degli ambienti popolari che si avviano al lavoro e i giovani lavoratori spesso incontrano difficoltà e sono facilmente esposti ad ingiustizie. È necessario renderli idonei ad occupare con dignità il loro posto nella società e nella Chiesa e a prendere coscienza del loro ruolo in vista della trasformazione cristiana della vita sociale.
    Il problema della disoccupazione giovanile si configura per ragioni economiche, sociali e morali come la più grande questione nazionale di questi anni.

    Intervento educativo.
    L’oratorio offre ai giovani in cerca di occupazione un aiuto concreto per inserirsi nel mondo del lavoro attraverso i seguenti servizi:
    – accoglienza e ascolto, perché l’oratorio non vuole essere un semplice sportello, ma un punto di riferimento in cui il giovane è accolto, ascoltato nei suoi bisogni e aiutato a prendere coscienza delle proprie potenzialità;
    – informazione, intesa come orientamento scolastico e professionale, conoscenza dei meccanismi di accesso al lavoro (collocamento, contratti di lavoro, formazione, organizzazioni sindacali, concorsi...), conoscenza delle opportunità occupazionali presenti nel territorio, in relazione alle esigenze e alle capacità del singolo, conoscenza delle componenti essenziali di un ruolo professionale (competenza, mansioni, livelli di autonomia...);
    – formazione, mirata a riportare la persona alla scoperta del senso della vita e ad aumentare la consapevolezza delle proprie capacità, aiutare il giovane ad acquisire una nuova cultura del lavoro che gli consenta di rapportarsi correttamente con un mercato del lavoro in continua evoluzione;
    – organizzare servizi di formazione in collaborazione con Enti pubblici, privati e associazioni di categoria (per esempio la GiOC).

    La dimensione sociale della carità

    Emergono nuovi problemi che richiedono la partecipazione attiva dei singoli: la pace, l’ambiente e l’uso dei beni, la questione morale in ogni singola nazione, i rapporti internazionali, i diritti delle persone indifese.
    La sfida è grande. Si tratta di preparare una generazione capace di costruire un ordine sociale più umano per tutti. La dimensione sociale della carità si presenta allora come la “manifestazione di una fede credibile” (Giovanni Paolo II). Essa è infatti una “dimensione costitutiva della predicazione del Vangelo”. In altre parole, è un aspetto fondamentale dell’azione della Chiesa per la redenzione dell’umanità e la liberazione da ogni forma di oppressione. Ne segue che la dimensione sociale della carità è una componente essenziale dell’etica cristiana.

    Intervento educativo.
    Si tratta perciò di abbattere una sorta di diffusa indifferenza, di andare contro corrente, e di educare al valore della solidarietà contro la prassi della concorrenza esasperata e del profitto individuale.
    Per i giovani è molto forte la tentazione di rifugiarsi nel privato e in una gestione consumistica della vita. Nei più c’è la sfiducia che sia possibile fare qualcosa di valido e di duraturo. A questo si aggiunge la diffidenza che nasce dalla grave frattura fra etica e politica, che si traduce in ricorrenti notizie di corruzione, puntualmente riferite e amplificate dai mezzi di comunicazione sociale.

    Educare al valore della persona.
    A questo punto, nasce l’urgenza di individuare atteggiamenti e progettare iniziative che aiutino i giovani d’oggi ad esprimere con la vita la vera dimensione sociale della carità.
    L’indicazione più generale è di lavorare, nel cammino di fede, per far risaltare il valore assoluto della persona e la sua inviolabilità: essa è al di sopra dei beni materiali e di ogni organizzazione. Questa è la chiave critica, che permette di valutare situazioni eticamente anormali (corruzione, privilegio, irresponsabilità, sfruttamento, inganno) e di fare scelte personali di fronte ai pesanti meccanismi di manipolazione.
    Sarà possibile “giocarsi la vita” nel sociale, quando sarà maturata questa “personalizzazione”. È necessario favorirla, valorizzando l’originalità di ciascun giovane e la sua dimensione intersoggettiva. Egli deve realmente comprendere che nella vita il suo destino si compie insieme con altre persone e nella capacità di donarsi ad esse.
    Quando questa prospettiva viene interiorizzata con profonde motivazioni cristiane, allora essa diventa criterio di rapporti con gli altri e fonte di tenace impegno storico.

    In gruppo associato.
    Le associazioni di ispirazione cristiana, promosse da vari enti, rappresentano per settori diversi (gli spazi di interesse sociale) altrettanti soggetti privato-sociali che istituzionalmente si collocano per il carattere pluralistico della società italiana in confronto ideologico, e nei casi più felici in dialogo e collaborazione, sia con le strutture dello Stato che con le altre associazioni e organismi omogenei che operano negli stessi settori.
    Finalità ultima è sempre quella di garantire in condizioni di parità democratica il ruolo culturale, educativo, pastorale che la comunità educativa pastorale intende promuovere e valorizzare. Le modalità sono però del tutto particolari, in quanto assumono come strumento e garanzia civile della propria azione l’istituto associativo, civilmente riconosciuto, che pone l’azione educativo-pastorale degli educatori, consacrati e laici, a parità di diritti e doveri con quelle svolte dagli altri cittadini italiani, associati per il raggiungimento dei loro scopi istituzionali.
    Per questo le associazioni, soprattutto quelle di tempo libero e di servizi sociali e di sviluppo missionario, sono rappresentate ai vari livelli da laici, democraticamente eletti, e nello svolgimento di attività e di eventuali prestazioni di servizi, agiscono in proprio, con piena autonomia amministrativa e organizzativa e con tutte le conseguenti responsabilità.

    Esigenza di partecipazione politica.
    Le iniziative con cui maturare queste sensibilità e questa formazione dei giovani possono riferirsi a spazi diversi: al territorio in cui si vive, ai paesi in via di sviluppo in cui si possono spendere energie e tempo, all’animazione di ambienti giovanili.
    Ma c’è un aspetto per il quale noi educatori siamo chiamati ad operare con convinzione: è quello di avviare i giovani all’impegno e alla “partecipazione alla politica”, ossia alla “complessa e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune” (ChL 42).
    Quest’ambito da noi è un po’ trascurato e disconosciuto. Si teme forse di incappare in forme di collateralismo o di cadere nei complicati meccanismi della concorrenza elettorale o di essere infedeli alle modalità che ci sono proprie nel partecipare all’impegno della Chiesa per la giustizia e la pace.
    Ma questa resta una sfida da raccogliere e un rischio da correre.
    Le comunità giovanili più vive sapranno chiedere ai migliori anche questo servizio, in nome della dimensione sociale della carità. Sarà all’inizio un impegno limitato, ristretto al proprio quartiere, alla propria città. Altre strade si apriranno successivamente, e questo obiettivo servirà anche a favorire nei giovani un atteggiamento positivo verso la realtà politica e ad aprirsi alla fiducia che, anche a questo livello, si possono cambiare cose e situazioni.
    La carità evangelica, fatta progetto concreto, continuerà così a tracciare nella storia le nuove strade della giustizia.

    TRE PASSI DA FARE

    Abbiamo constatato che le persone e gli ambienti, che influiscono sull’educazione alla fede dei ragazzi, sono vari e con progetti, qualche volta, diversi.
    Abbiamo riaffermato con decisione la scelta di fondo del Documento Base e le linee e gli elementi caratteristici del progetto pastorale della Chiesa italiana.
    Abbiamo prospettato un progetto educativo pastorale che si traduce in un cammino di educazione alla fede che intende far crescere un ragazzo, che abbia una sua identità chiara ed equilibrata, si confronti quotidianamente con Cristo e le sue scelte di vita, sappia aprirsi agli altri con serenità e fiducia, e collabori alla crescita di una umanità nuova con responsabilità e impegno.
    Ora è necessario indicare alcuni passi da fare perché ciò che è stato detto non resti nel mondo degli ideali e dei desideri, ma diventi progetto reale e vita vissuta, condiviso nei punti fondanti e comuni a tutti, a prescindere anche dalla scelta di fede.

    Coinvolgere tutti gli educatori

    Il pluralismo delle istituzioni educative e pastorali è provvidenziale. I singoli interventi, privilegiando un ambito e un punto di partenza che è l’interesse del giovane, e mirando a una meta particolare, sono parziali e quindi non possono essere considerati autosufficienti e completi.
    Ogni proposta educativa ha bisogno di inserirsi e vivere in un ambiente educativo in relazione viva con la comunità più ampia, in cui vivono, operano e si intersecano proposte varie, che si arricchiscono l’una dell’apporto specifico delle altre, in cui si realizzano momenti di incontro, di scambio, di fraternità e di celebrazione della fede comune, vissuti con la partecipazione attiva, consapevole e corresponsabile di tutti.
    Questo aprirsi all’ambiente e ricevere dall’ambiente garantisce una formazione equilibrata e completa del giovane, che impara a vivere in comunione e in collaborazione, facendone esperienza quotidiana.
    Per facilitare il senso di appartenenza a un progetto più ampio e completo è necessario impegnarsi su due fronti.
    Gli animatori, prendendo coscienza che con la loro proposta educativa non esauriscono l’ampia gamma di domanda formativa dei ragazzi, devono desiderare di incontrarsi personalmente, di conoscersi nella propria identità, di riconoscersi nella propria originalità di servizio, e di completarsi e di maturare in un fecondo scambio di esperienze.
    I ragazzi, che partecipano alla vita di un gruppo con un particolare interesse aggregante, devono essere aiutati a sentirsi membri anche di un ambiente e di una comunità più ampia e più ricca di interessi e di esperienze.
    Devono essere educati a fare strada in compagnia non solo degli amici del proprio gruppo, ma anche con gli amici degli altri gruppi.

    Valorizzare tutte le risorse

    Nell’ambito del progetto educativo pastorale è necessario pertanto valorizzare tutte le risorse ed energie educative che lavorano, in comunione ecclesiale, per la maturazione umana e cristiana dei giovani: genitori, sacerdoti, catechisti, insegnanti, educatori, responsabili di gruppi, di movimenti e di associazioni, religiosi e religiose, giovani animatori che lavorano fra altri giovani, animatori dello sport e del tempo libero.
    Accogliendo tutte le esigenze e le aspirazioni dei giovani, ciascun educatore si preoccupa di promuovere le esperienze giuste al momento giusto, di far superare le esperienze sbagliate, di estendere la propria influenza educativa mediante il dialogo e la collaborazione con gli altri educatori.
    È decisivo saper conoscere personalmente l’identità di ciascun educatore (la sua personalità, le sue convinzioni, le sue esperienze), e riconoscerne l’originalità di servizio, che diventa un apprezzarne esplicitamente gli apporti, di cui ci si arricchisce veramente

    Vivere la coesione e la corresponsabilità

    Il progetto poggia tutto su una comunità di persone che hanno come elemento di coesione l’amore ai giovani e la missione educativo-pastorale, e che hanno funzioni complementari con compiti tutti importanti, come organismi di un solo corpo. Questa immagine rende assai bene da una parte l’idea che il progetto per essere realizzato suppone delle funzioni differenziate tra loro e, d’altra parte, che ogni funzione non si può comprendere se viene isolata dalle altre funzioni e dalla totalità dell’organismo.
    Secondo la legge della diversità arricchente e della complementarità vicendevole, troviamo nella comunità educativo-pastorale dei membri con compiti diversi, con svariate capacita, differenti doti e qualificazioni. Tutti hanno bisogno gli uni degli altri, poiché gli apporti di tutti sono importanti, anche se di varia natura e rilievo. Ciascuno deve sentirsi in definitiva correlativo agli altri membri della comunità.
    “Occorre preoccuparsi di un sapiente coordinamento educativo per evitare dispersioni e disarmonie e per consentire a tutti una esperienza spirituale unitaria e feconda” (RdC 158).
    “Sul piano psicopedagogico, principio fondamentale che ispira il coordinamento degli interventi educativi è l’unità interiore della persona. Il coordinamento non può ridursi dunque ad una distribuzione quantitativa di compiti o della materia da insegnare, né a espedienti metodologici esteriori” (RdC 159).
    Ma per raggiungere gli obiettivi pastorali non è sufficiente un’articolazione strutturale di compiti e di ruoli. Assai più importante è che i membri prendano coscienza della loro situazione di interdipendenza e ne accettino le leggi e le relative conseguenze. E quindi si parla non solo di coesione ma anche di corresponsabilità.
    La parola “coesione” esprime particolarmente la situazione oggettiva di unità operativa e il senso di vicendevole appartenenza. Gli animatori con i loro gruppi e le loro attività tentano di formare un tutto armonico, occupando ognuno il proprio posto, conosciuto e riconosciuto.
    “Corresponsabilità” invece esprime propriamente l’atteggiamento soggettivo della coscienza dei diversi animatori e responsabili, ciascuno dei quali crea spazi per la responsabilità degli altri ed è pronto a rispondere del proprio compito, che viene assolto con la preoccupazione di fare unità e di operare concordemente.
    La “coesione” e la “corresponsabilità”, vissute con serenità e simpatia, permettono di raggiungere gli obiettivi del progetto educativo-pastorale.

    SCHEDA

    PER ANDARE SULL’ALTRO VERSANTE
    Un viaggio con alcune tappe

    Andiamo al corso e in piazza

    per incontrare e accogliere altri giovani “al di là” dei colori e degli abiti,
    per scoprire il “vero volto” dei giovani,
    e contemplare “il volto di Gesù”.

    Facciamo nostra una intuizione di Don Bosco.
    La strada è per don Bosco una risorsa per incontrare i giovani, là dove essi sono, ma occorre accettarne anche le sue regole.
    La prima e più importante deriva dal fatto di essere uno spazio aperto, un luogo di tutti. Ciò significa che don Bosco andando sulla strada non può avvalersi dei privilegi che ha mentre gioca, insegna e fa catechismo all’Oratorio. Nella strada al giovane animatore e all’educatore non è consentito un tipo di rapporto direttivo. L’unica possibilità che ha è quella di instaurare una relazione paritaria nella quale, col tempo, in un clima di reciproca fiducia, possa ottenere lo spazio che gli è concesso e che si conquista giorno per giorno.
    Don Bosco accetta questa sfida proprio per il suo desiderio di incontrare i giovani. È importante cogliere questo passaggio perché, a nostro parere, è qui che si ha l’opportunità di approfondire il proprio stile di rapportarsi ai giovani, è qui che si apprendono i segreti della relazione educativa nello stile dell’animazione.

    Spunti di concretezza.
    Riconoscere i giovani come persone con una propria identità e personalità, come una risorsa. È il contatto immediato io-tu a non rendere l’altro un oggetto e a fare in modo che l’altro si senta se stesso e si manifesti nella sua autenticità.
    Don Bosco vuol conoscere la realtà giovanile, ma non si limita a studiare e a parlare dei giovani; va ad incontrarli là dove sono, stabilendo con loro un contatto, una comunicazione diretta, faccia a faccia.

    Scriviamo una lettera “aperta” ai giovani.
    Carissimo,
    siamo giovani, in maggioranza studenti. Ci incontriamo con altri amici, quasi ogni giorno, in un Centro Giovanile “dai cancelli aperti”. Forse ci siamo già visti!
    Anche a noi piace “andare al corso e in piazza” e incontrarci “al di là” dei colori e degli abiti.
    È bello essere insieme, accoglierci con simpatia e chiamarci per nome, scoprire il vero volto di ogni persona e riflettere sui propri modi di pensare e di vivere.
    È bello arricchirci del positivo e dei valori originali, che sono in ciascuno di noi, e crescere nello stile dell’incontro e del rispetto.
    È bello suscitare la consapevolezza che ogni persona ha un valore e un significato che oltrepassa quanto egli stesso possa immaginare.
    È bello instaurare una circolazione di reciproca stima e amicizia.
    È bello passare dalla conoscenza e accettazione di se stesso… all’apertura incondizionata all’altro, all’incontro fiducioso dell’altro, “come persona degna di rispetto”.
    Questi, ed è entusiasmante pensarlo e dirlo “a voce alta”, sono gli atteggiamenti che esprimono nel nostro e nel tuo volto “il volto di Gesù”!

    Ascoltiamo musiche e canzoni giovanili

    per conoscere gli altri nel profondo e comprenderli “al di là” delle parole e dei suoni,
    per apprezzare anche i “sogni” dei giovani,
    e ascoltare “la voce di Gesù”.

    Facciamo nostra una intuizione di Don Bosco.
    Don Bosco ha uno stile personale per incontrare i giovani e conoscere la loro vita personale e familiare. Con furbizia e dedizione adotta mille mezzi per guadagnarsi la simpatia dei ragazzi che aggancia: il sorriso, lo scherzo, la sorpresa, le barzellette...
    Interessandosi di Bartolomeo Garelli, chiede informazioni varie e ne riceve risposte “rassegnate”. Allora gli domanda: “Sai fischiare?”. Il volto si apre al sorriso e ci si ascolta con fiducia.
    La musica, il canto, il teatro e la recitazione sono state sempre al centro delle preoccupazioni educative di don Bosco: un modo tipico per esprimersi, capire e capirsi.

    Spunti di concretezza.
    Ascoltarli direttamente. È l’incontro e la relazione personale a riconoscere l’altro come portatore di significato, oltre che di significati.
    L’ascolto in particolare fa sentire il giovane apprezzato offrendogli la possibilità di credere ancor più in quanto lui stesso dice. Spesso si ha l’impressione che il giovane chieda, più che consiglio e spiegazioni, un’occasione di ascolto dove possa esprimersi liberamente, quasi con la speranza di chiarire anzitutto a se stesso quali possano essere i motivi del proprio agire. Per questo è necessario ascoltare il giovane escludendo ogni giudizio perché sia aiutato a comprendersi e ad individuarsi.

    Scriviamo una lettera “aperta” ai giovani.
    Carissimo,
    siamo giovani. Cantiamo e suoniamo in un Centro Giovanile “dai cancelli aperti”.
    Abbiamo anche gruppi di danza e di ballo, di teatro e di recitazione, non solo per i più piccoli ma anche per giovani e adulti.
    Anche a noi piace “ascoltare musiche e canzoni giovanili” e comprenderci “al di là” delle parole e dei suoni.
    È bello metterci in attento ascolto non soltanto di chi canta, ma anche di chi ci sta vicino e parlargli personalmente, conoscere la storia e le tradizioni personali e riconoscerne il loro valore, accogliendone le diversità e accettandone i limiti.
    È bello scoprire le aspirazioni di ciascuno e apprezzare anche i “sogni”, che ognuno ha racchiuso nel proprio cuore.
    È bello passare dall’incontro fiducioso dell’altro “come persona degna di rispetto…
    all’accoglienza convinta dell’altro, all’ascolto attento dell’altro, “come persona che mi interessa”.
    Questi, ed è entusiasmante pensarlo e dirlo “a voce alta”, sono gli atteggiamenti che esprimono nella nostra e nella tua voce la “voce di Gesù”!

    Ci confrontiamo nel gioco

    per competere e impegnarci “al di là” delle capacità dei singoli giocatori,
    per rispondere alle interpellanze con responsabilità e in prima persona “da giovani”,
    e condividere “la voglia di vivere di Gesù”.

    Facciamo nostra una intuizione di Don Bosco.
    La strada, la piazza sono state per don Bosco luoghi di gare, di incontri atletici e sportivi. Sono esaltanti le gare vinte quando era giovane studente e si è misurato con un “professionista”.
    È del tutto originale il suo intervento, quando incontra un gruppo di giovani intenti al gioco d’azzardo. Visto che i ragazzi erano molto nervosi e c’era pericolo che si prendessero a coltellate, don Bosco, con un guizzo improvviso, agguanta il fazzoletto pieno di soldi e se la dà a gambe levate. Inseguito dai giovani, li porta all’oratorio e in un clima sdrammatizzato i giovani “beffati” hanno l’occasione di capire la lezione e di fare amicizia con un prete “originale”.

    Spunti di concretezza.
    L’accoglienza e la fiducia, l’amicizia che cresce si traducono in riconoscimento delle capacità e potenzialità di ogni giovane, che è invitato a collaborare a un progetto comune, in modo personale. La possibilità di provare a realizzare propri sogni, di progettare proprie iniziative, di agire in prima persona per trasformare la realtà, di collaborare con gli altri, riconoscendo i propri limiti, di assumere proprie responsabilità permette al giovane di costruire il proprio progetto di vita.

    Scriviamo una lettera “aperta” ai giovani.
    Carissimo,
    siamo giovani. Giochiamo e facciamo giocare; alleniamo i più piccoli in un Centro Giovanile “dai cancelli aperti”. Siamo inseriti con varie responsabilità in una associazione sportiva, che segue e favorisce varie discipline sportive.
    Anche a noi piace “confrontarci nel gioco” e competere “al di là” delle capacità dei singoli giocatori.
    È bello mettersi in rapporto costruttivo con gli altri e mettere in luce le proprie capacità.
    È bello sviluppare attività che richiedono “gioco di squadra”, conoscere il proprio ruolo e riconoscere il ruolo degli altri.
    È bello scoprire anche tante potenzialità nascoste; scegliere con decisione quello che è importante per gli altri e rinunciare al proprio punto di vista.
    È bello stare ai bordi del campo e sostenere i propri amici che giocano, anche in rappresentanza del nostro club e società sportiva.
    È bello passare dall’ascolto attento dell’altro “come persona che mi interessa”…
    alla conoscenza e accettazione della sua diversità nella complementarità,
    all’esperienza di collaborazione responsabile con gli altri, “come compagni di squadra”.
    Questi, ed è entusiasmante pensarlo e dirlo “a voce alta”, sono gli atteggiamenti che esprimono in noi e in te la “voglia di vivere di Gesù”.

     

     


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