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    Precarietà nella politica



    Domenico Sigalini

    (NPG 2005-08-47)


    Come si sente in questi tempi di precarietà la politica dei giovani? L’ideologia stretta, fatta di visioni di mondo e di azioni consequenziali per raggiungerle, fatta di studi, di simboli e di passioni da coltivare, di discussioni infinite, di scritte sui muri, di assemblee infuocate, di sogni e di illusioni di avere a disposizione dietro l’angolo il cambiamento del sistema, non c’è più. La parola sistema è tornata a indicare una operazione algebrica o un fatto puramente organizzativo. Il Che Guevara lo si porta ancora sulle T-shirt, ma è solo una moda o un revival, non un messaggio arrabbiato per fare sapere a tutti da che parte si sta. Chi ha un credo politico ferreo in genere oggi è solo un estremista: o un picchiatore o un brigatista. Grazie a Dio, sono fenomeni di nicchia, anche se sempre corrosivi e carichi di forte capacità di infatuazione. I sociologi parlano di socialità ristretta, di chiusura nel giro delle relazioni amicali. Non sono convinto però che manchi passione politica. Anche questa subisce le stesse caratteristiche degli altri campi del vivere giovanile: non esiste cioè una possibilità di classificare o di collocare il giovane definitivamente nel disinteresse o nell’apatia. Oggi non gli va niente, ma tende l’orecchio, domani scatta e porta avanti consequenzialità impensate. Così è del volerli collocare definitivamente da una parte o in qualche schieramento. È difficile usare nomi come destra o sinistra, sia per effettivi comportamenti dei due schieramenti che non contribuiscono a delineare tipi di società diverse per le quali battersi, sia perché la situazione stessa della vita pubblica non può più essere interpretata con questa schematizzazione. È politica da mass media, da sms, da contrapposizione denigratoria, sicuramente non capace di offrire ideali alti di bene comune e nello stesso tempo ideali profondi di stima della vita di ogni persona.

    Senza passato

    Si rimprovera ai giovani che non hanno radici, che sono vittima della improvvisazione, che rischiano di riportare la società alla giungla da cui ci sembra di essere usciti. Può essere. L’arte del rispetto per chi ha ragioni diverse dalle proprie, la capacità di mantenere sempre nei limiti di un dialogo franco, ma civile, le contrapposizioni, la difficile tenacia di arrivare con pazienza a un accordo, la lungimiranza di collocare i fatti concreti, gli stessi propri interessi entro un contesto più ampio, senza diluire la forza delle proprie ragioni, sono forse virtù che non abitano il mondo giovanile. Tutto deve essere risolto e ottenuto qui e ora. Domani sarebbe impossibile prevedere che la passione di oggi abbia ancora forza di proporsi. La tecnica del rimandare, che l’adulto usa anche come facile inganno per far sbollire e cancellare gli ideali, è più di una strategia per togliere ai giovani la loro carica di innovazione. Avessero un po’ di memoria farebbero crescere di più una attesa operosa, tenace, organizzata, riflettuta e progettuale.
    Ma c’è un altro lato della medaglia che gioca a favore dei giovani: il non dover fare i conti col passato li rende più liberi, più creativi, meno chiusi in prese di posizione assurde, di schieramento, di vecchia ideologia e alla fine senza speranza. La pace, la solidarietà, la vita, la famiglia, la libertà, la giustizia sono di destra o di sinistra? Noi adulti abbiamo ormai le nostre visioni: alcune di queste sono di destra, altre sono di sinistra. Per noi occorre prima dichiarare da che parte si sta e poi costruire, mentre i giovani non vogliono essere intrappolati in una parte e sanno trovare molte nuove possibilità di far crescere ideali comuni. È talmente scarsa la fantasia di noi adulti che la ricerca di un bene comune la chiamiamo bipartisan (pronunciato all’inglese fa ancora più chic), cioè ci mettiamo assieme, ma ricordiamoci che siamo divisi e opposti, è una necessaria eccezione che deve rimanere tale. Praticano molto di più la trasversalità, la possibilità di inventare collaborazioni, forse troppo prammatiche, ma alla lunga molto utili per svelenire la politica, per toglierla dalle secche della contrapposizione, del non riconoscere per mera strategia le energie necessarie al bene comune dell’altra parte.

    La globalizzazione

    L’approccio alla globalizzazione è forse l’esperienza politica più interessante e che traduce meglio la novità del mondo giovanile. Immediata, su vari fronti non tutti consequenziali, eterogenea, a stagioni. Oggi può essere battaglia da fare senza ripensamenti: bastano allora gli sms, le catene di e-mail per mobilitare tutti nel giro di una sera e un mattino, per partecipare a una manifestazione; un altro giorno invece vince l’inerzia, fosse anche un argomento o un fatto molto più grave e più determinante. Più avanti nel tempo scoppierà anche questo e vi si metterà il doppio di energie. Oggi scatta un tam tam che mette a ko una bevanda o delle patatine di alcune aziende sospette, domani occorre una campagna capillare per attivare un minimo di contrapposizione a ben più serie ingiustizie. Da una parte gli stessi adolescenti mettono in stand by gli scooter e vanno in bicicletta per avere aria più pulita, un mese dopo sono tutti al motor show con gli occhi lucidi e il pomo d’Adamo infiammato a furia di deglutire. C’è il tempo dello smanettare in Internet per costruirsi notizie non filtrate e c’è il tempo in cui si abbocca a tutte le bufale più ingenue. Molta parte del mondo adulto si insinua nei punti deboli e provoca l’apatia strategica che serve a tener fuori i giovani dai propri interessi, salvo poi a scrivere dotti articoli di fondo di disprezzo per un mondo giovanile incapace di interessarsi dei problemi veri.

    Il servizio civile e il volontariato

    Tutti pensavano che il nuovo servizio civile sarebbe stato un fallimento perché non essendo collocato contro una scelta obbligatoria, come la naia, avrebbe perso di forza trascinante. Si ipotizzava quasi di mantenere l’obbligo del servizio di leva, per avere più gente che la obiettava. I giovani invece vogliono fare servizio civile pur potendo scegliere tra il farsi i fatti propri o un arruolamento volontario. Sono gli stanziamenti per la legge che mancano, non i giovani che partecipano ai bandi per i progetti. Certo occorre aiutare a distinguere volontariato da servizio civile volontario; la tendenza a stare in uno stand by consolatorio con qualche euro di consolazione, là dove non ci sono nemmeno quelli è presente: fa parte della atmosfera della precarietà, può tarpare le ali di un volontariato più radicale, di una scelta di obiezione alla guerra che oggi deve essere ancora più forte, visti i tempi che corrono e gli inganni degli eserciti di pace. Sembra che gli eserciti per statuto siano stati creati per fare la pace e le guerre siano la scelta più adeguata per ottenerla!
    Anche oggi per i giovani il volontariato si camuffa, diventa un business, una manovra di stanziamenti oppure una utopia risolutiva di problemi senza andare alla radice politica per risolverli. Ma è sempre stato così, anche se in questi tempi i mass-media riescono meglio a far passare tradimenti per eroismi, con una retorica che giovani di altri tempi avrebbero immediatamente decodificato.

    Tirocini di politica «precaria»

    Oggi con i giovani è possibile fare tirocini severi di politica, mettere in atto cammini capaci di allenare, anziché stigmatizzare la precarietà; basta aver fiducia, volere un futuro, non controllare un presente o clonare un passato. Nuove scuole di politica sono possibili, purché non siano «scuole» di appartenenza a una parte, purché non siano solo attorcigliamenti astratti, purché non disprezzino la loro precarietà, ma la interpretino investendo energie nella linea della sperimentazione. I grandi politici della nostra storia sono letti dai giovani con grande curiosità. De Gasperi, La Pira, Marvelli hanno un alto indice di gradimento. Una scuola non disprezza la curiosità, ma la orienta a una nuova progettualità.


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