Elisa Storace
(NPG 2005-03-60)
Appena messo piede a Parigi, Nantas credette che gli sarebbe bastato allungare le mani per trovare un impiego degno di lui. […] Il giorno stesso si mise in cerca. Gli avevano dato delle lettere di raccomandazione che portò ai destinatari; inoltre, bussò alla porta di alcuni concittadini, sperando nel loro appoggio. Ma in capo a un mese non aveva ottenuto alcun risultato: il momento era brutto, dicevano; altrove, gli facevano promesse che non venivano affatto mantenute. Intanto la sua piccola borsa si svuotava; gli restavano una ventina di franchi al massimo. Con quei venti franchi dovette vivere un altro mese ancora, mangiando solo pane, perlustrando Parigi dalla mattina alla sera e tornando a coricarsi senza luce, sfinito dalla stanchezza, sempre a mani vuote. […] Una sera Nantas rientrò senza aver mangiato. Il giorno prima aveva finito il suo ultimo pezzo di pane. Niente più denaro, né un amico per prestargli qualche spicciolo. […] Era piovuto tutto il giorno – una di quelle piogge grigie di Parigi che sono così fredde – e un fiume di fango aveva inondato le strade. […] Accasciato sulla sedia, provava ora un immenso rimpianto, senza riuscire a distogliere lo sguardo dalle sue braccia inutili. […] Fu allora che mormorò: “Oh! Mi venderei, se mi dessero le prime cento monete della mia futura fortuna mi venderei!”.
(da Nantas, di Émile Zola)
La novella da cui è tratta questa citazione porta la data dell’ottobre 1878.
La storia racconta di come il giovane Nantas decida di “vendersi” a Flavie, ragazza altera e ricca, che lo sposa perché si finga padre di un bambino frutto di un suo adulterio, e di come poi Nantas finisca per innamorarsene, disperatamente.
Quello che qui c’interessa – al di là della storia d’amore – è che, quello che leggiamo in queste prime righe sul nostro Nantas, potrebbe ancora descrivere l’esperienza di molti giovani alla ricerca di un impiego oggi, nell’occidente globalizzato della new-economy e dell’e-commerce.
Centotrent’anni dopo, per chi esce ogni mattina di casa nella speranza di trovare lavoro, nulla o quasi è cambiato: il momento resta brutto, ed è quotidiano ascoltare promesse che non vengono affatto mantenute.
Soprattutto, quello che resta attuale è lo stato d’animo con cui si torna a casa, ogni volta con un immenso rimpianto, senza riuscire a distogliere lo sguardo da “braccia” rese inutili da una fredda e indifferente Parigi...
Il nodo cruciale è che – come ci ricorda Zola – quando si desidera qualcosa occorre riflettere bene cosa si desidera, perché i desideri a volte si avverano: lungo le strade, nel fango, c’è sempre un compratore che aspetta chi – infreddolito dalla pioggia – è preso dalla tentazione di vendersi…
Una tentazione forte, senza dubbio, una tentazione alla quale certe volte resistere è faticoso e certe altre faticosissimo, ma alla quale proprio non si può cedere, perché cedere qui diventerebbe cadere.
Così, se è vero che il lavoro nobilita l’uomo, è ancor più vero che la dignità non è merce di scambio: non si vende e non si compra, e alla fine resta il capitale più prezioso a nostra disposizione, e nessun lavoro, nessuna futura fortuna la varranno mai.
Dal basso della mia attuale esperienza di giovane nantas (con la n minuscola, per farne un aggettivo ed evitare di scrivere disoccupata!) rimango fiduciosa, e poi… “neppure Parigi vale una Messa”!