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    I giovani e le loro emozioni

    Gioia Quattrini

    (NPG 2005-02-5)


    Muti, sordi, ciechi. Labbra cucite, senza pertugi. Nessun suono articolato, solo mugugni e grida di gola quando la belva si sveglia e la bocca esplode. Occhi serrati. Nessuna maglia slabbrata. Sul guscio nero della palpebra abbassata appaiono e scompaiono, isteriche, immagini deformate. Il mondo fuori non è quello ma resta quella l’unica realtà. Orecchie come chiocciole vuote dove i suoni si allargano e sbattono da una parete all’altra. Confondono e soffocano i battiti del cuore. Resta solo un ottuso rimbombo. Che non smette. Immobili, fissi nel tremore. Solo gesti esasperati e sconnessi nello spazio che sembra non contenerli. Nulla entra e nulla esce. Quando il sonno finisce comincia l’incubo.
    Queste statue di sale, automi da temere, non sono i nostri figli, sono quello che noi abbiamo fatto di loro. Noi, i loro insegnanti e il mondo che li circonda o meglio che li assedia. Non avevano ancora mosso i primi passi e già gli stimoli e le emozioni di mille esistenze li avevano travolti. Lo sviluppo tecnologico, la modernità li ha rubati al ventre materno per fagocitarli in un utero artificiale dove potrebbero vivere in eterno senza diventare mai uomini. Hanno percorso mille mari, senza conoscere le stelle e le direzioni, i venti e la scienza dell’onda. Centinaia di strade hanno percorso, ma non un passo è partito da loro. Trascinano i piedi che pesano, senza forza le ginocchia e le gambe. Hanno pianto e riso, senza conoscere cosa siano felicità e dolore. Sono stati amati e abbandonati e poi infine la delusione. E mille volte nati e mille volte morti in un ciclo di immagini, senza capo né coda. Poi, una volta stufi, è sufficiente spingere un bottone e tutto si spegne e viene inghiottito in un nero inchiostro.
    Soldati di mille guerre senza averne combattuta nessuna. Protagonisti di tragedie senza vera catarsi. Le tensioni restano dentro e si muovono come fili di rasoio. Amore e odio, rabbia e malinconia, desiderio e speranza, paura e voglie, nomi astratti, senza legami con i morsi del cuore o le strette allo stomaco che a volte li lasciano senza fiato. Nati ovunque e in nessun posto, incerti tra mille futuri.
    Nessuno è il loro.

    Lasciamoli parlare...

    Marco: ... A questo proposito volevo dire a Giacomo che sono rimasto davvero sconcertato quando ieri l’ho visto al parcheggio litigare con quel ragazzo che gli aveva occupato il posto sotto gli occhi. Non che avesse torto, anzi… ma tutta quella rabbia!... e poi alzare la voce e agitarsi come se avessimo subito chissà quale affronto.
    Giacomo: Il discorso è che io non sopporto le prepotenze. Proprio non riesco a sopportare quando qualcuno vuole farmi fesso e pensa che io abbia troppa paura per reagire. Io non ho paura di nessuno e quando mi innervosisco sono disposto anche a dargliele di santa ragione.
    Marco: Ma non è questo il modo di protestare per le ingiustizie. Così è facile passare subito dalla ragione al torto. Non c’è bisogno di picchiare o gridare le proprie ragioni. Queste hanno una forza loro che le sostiene e le afferma. E non si tratta neanche di spuntarla con uno tanto sciocco da pensare che occupare un posteggio che non gli spetta sia un atto di furbizia oppure una prova di forza piuttosto che un atto che scredita chi lo commette.
    Giacomo: È che mi sembra subito che la cosa assuma i connotati di una sfida. E sento salire dentro come un’onda che non riesco a fermare e mi toglie il lume della ragione. L’unica cosa che so è che da qualche parte quell’onda deve pur uscire e lo fa dalla bocca, mentre inveisco ad alta voce, o dai pugni e gli schiaffi, se decido di usarli. Dovremmo, forse, essere degli automi, senza emozioni e reazioni? Non è per me.
    Marco: Il problema non è evitare le emozioni ma imparare a parlare con loro. È normale che in determinate circostanze si senta l’umore salire, salire verso la gola, ma non bisogna aver paura. L’emozione va affrontata, riconosciuta, gli si deve dare un nome e incanalarla lì dove sarà in grado di fruttare al meglio. Non si uccide la rabbia picchiando chi l’ha scatenata in noi. Non è questo il modo di placarla. Hai ragione, Giacomo, non potremo mai essere automi insensibili perché niente di quello che accade intorno a noi e nessuna delle persone che incrociamo sulla strada ci sarà mai del tutto indifferente. Si vive circondati da una fittissima ragnatela di relazioni umane e niente può risolversi nei termini costretti di uno stupido rapporto di forza, di una sfida a che? A quale impresa di tanto valore?
    Giacomo: Parlare è facile ma mantenere la calma in certi casi è difficilissimo. In verità mi succede di entrare in confusione. Sento soltanto la rabbia che strilla nelle orecchie e non capisco davvero quello che dice ma sento che grida. Avviene lo stesso quando qualcuno con il quale parlo vuole avere ragione per forza e io invece sono certo di essere nel giusto. Mi dà così fastidio quella testardaggine che non riesco proprio a controllarmi. È possibile che non si renda conto di avere torto e perché si ostina a restare immobile sulla sua posizione… non può certo biasimarmi se poi mi irrigidisco anche io.
    Marco: Non sarà la forza a far ragionare il tuo interlocutore né le tue grida o i tuoi ceffoni. Piuttosto, se qualche speranza esiste, potresti riuscire accompagnandolo per mano con tranquillità. Se così non dovesse essere non sarebbe niente di grave, niente di umiliante. Non abbiamo il compito di convertire la gente alle nostre opinioni. Il pensiero è libero, e chi potrebbe giurare che la ragione sia proprio dalla nostra parte? Se tutti si comportassero in questo modo le conversazioni sarebbero soltanto liti senza sbocco e nessuno si arricchirebbe aggiungendo alla propria verità quella degli altri.
    Giacomo: Non mi sembra di essere così strano. Non che veda intorno a me tanta gente comportarsi con tutta questa pazienza, ovunque ho la sensazione che la parola d’ordine sia: se qualcuno non vuole capire fallo capire per forza e se qualcuno prova a sottometterti mordi e non lasciare la presa… ovunque; in televisione, al cinema, per strada, a casa… ovunque. Persino mio padre, che io mi ricordo come l’uomo più mite del mondo, invecchiando si è caricato di una tale rabbia che ha smesso di parlare e ha cominciato a ringhiare. Allora ho deciso che io non arriverò mai a questo punto di frustrazione ma che reagirò prima contro chiunque voglia sottomettermi. Purtroppo il mondo è diventato una giungla dove le varie specie di animali lottano per la sopravvivenza. Allora io lotto e cerco di essere il più forte.
    Marco: Giacomo, anche io ti capisco e vedo gli stessi pericoli che vedi tu, ma non posso credere che la nostra esistenza possa ridursi ad una lotta per la sopravvivenza senza esclusione di colpi. Sempre agguerriti, sempre con il naso per aria a sentire se cambia il vento e un odore nemico si avvicina al nostro territorio. Uno stato di guerra perenne non può essere vita. Non conviene.

    E l’amore, si sa, è una brutta bestia…

    Marina: ... Credo che l’abbia uccisa perché non poteva sopportare l’idea di vivere senza di lei, di non poterla avere. L’idea che non lo ricambiasse. Che lui sentisse quell’ansia in gola e lei non provasse assolutamente niente. Il nulla. Ecco, credo che non riuscisse a sopportare quel nulla, quel silenzio.
    Giovanni: La verità è che non voleva accettare che lei non soffrisse come lui, niente, zero sofferenza. E come se non bastasse, che sarebbe perfino stata felice senza di lui. Che lo era ora e lo sarebbe stata nel futuro. E avrebbe condiviso questa felicità con qualcuno di diverso da lui, a cui avrebbe dedicato quei baci e quelle carezze, quei sorrisi e quelle smorfie che lui non avrebbe mai potuto assaggiare. Ecco la verità. Ecco perché quella follia.
    Marina: Potresti mostrare almeno un minimo di comprensione... avrà di certo sofferto molto e starà ancora soffrendo… avrà di certo provato a controllarsi ma evidentemente è stato più forte di lui... del resto l’amore è follia e non sono certo la prima io a dirlo.
    Giovanni: Certo non sei la prima perché prima di te l’hanno detto tutti i fotoromanzi di terz’ordine e i films di ultima visione e i dannati d’amore che girano ululando nell’immaginario collettivo di chi pensa che la vita non sia abbastanza complicata da sola e quindi sia necessario aiutarla.
    Marina: Sei ingiusto. Le emozioni non hanno niente a che fare con la ragione. Sono due cose assolutamente in antitesi. Non deve esserti mai accaduto ancora di innamorarti, ecco perché la pensi così. E fai tutto così facile. Prova ad amare qualcuno e poi vedrai che c’è poco da ragionare e molto da soffrire. L’amore è gioia o sofferenza. Non esistono zone intermedie. Se ti ricambiano, gioisci. Altrimenti ti sembra che non esiste più niente per la quale valga la pena di vivere e impazzisci.
    Giovanni: Se fosse come dici tu, sulla terra ci sarebbero più morti che vivi. Chi non è stato mai lasciato nella sua vita? E con tutti i divorzi che ci sono al mondo, pensa se tutti uccidessero il compagno che chiede la separazione? Guarda che non stiamo parlando di emozioni estreme che stravolgono la persona e tolgono il lume della ragione. Non so, come bere un drink al bar che si trova all’ultimo piano della prima torre del Word Trade Center l’11 settembre del 2001, alle 9.05 a.m... L’amore è parte del naturale ciclo della vita. È una emozione che gli uomini gestiscono da quando sono apparsi sulla terra, e questo vale per il tradimento, per la delusione, per la rabbia. Tutte cose che hanno l’età dell’uomo.
    Daria: Certo a sentire le tue parole sembra tutto così ovvio che mi domando come sia possibile questa incredibile moltitudine di gente che agisce per impulso… e tutti preistorici e trogloditi.
    Giovanni: Certo preistorici ma nella sfera emotiva. Non penso che ogni volta che una forte emozione ci coinvolge sia lecito annaspare con i pugni nel buio, colpendo a caso senza che questo serva ad ottenere alcunché. Le emozioni ci travolgono, d’accordo, è necessario però imparare a fermarsi, cercare di riprendere il controllo e magari servono giorni che ci vedono come zombi, e riflettere e rimandare delle decisioni finché non sentiamo che il tempo ci ha aiutato a tenere tutto sotto controllo, più o meno. Il mondo, eccezione fatta per quelli che si leggono sui giornali e qualcun altro che magari sfugge al computo, si comporta così.
    Daria: Guarda, Giovanni, che la tristezza di non essere amato ti azzera, a volte la tua testa fa pensieri che tu non avresti mai immaginato e sembra che non esista altro che quel pensiero e rimbomba nella tua testa e stordisce le orecchie e non si riesce a trovare pace. Il pensiero ti insegue anche di notte mentre cerchi di dormire, e come la luce del giorno appare, l’eco aumenta di volume e torna tutto come il giorno prima. Il dolore è assoluto e tu sai che il rimedio potrebbe esserci se solo… ma non c’è. E non ti vuoi arrendere. E non sopporti l’idea di non poterci fare niente. Allora pur di fare qualcosa, fai qualcosa, qualunque cosa anche la più assurda, quella più dannosa come se volessi punirti di non essere stato degno dell’amore dell’altro.
    Giovanni: Già e per punirti uccidi l’altro. Bella punizione. Ma dai, Daria, il problema è un altro. Il problema è che siamo assolutamente incapaci di gestire le emozioni e torniamo a reazioni assolutamente regredite. È come quando rompiamo il nostro giocattolo preferito perché qualcuno ha deciso che deve giocarci anche il nostro cuginetto, poverino, perché è più piccolo. E allora piuttosto che dividerlo con lui, rinunciamo per sempre anche noi. Dobbiamo imparare a crescere e non potremo riuscirci guardando la televisione perché quella è fiction e nella vita le cose vanno in modo molto diverso. Quella è morale fittizia che non esiste nella vita reale dove le regole del gioco civile sono precise e non cambiano ogni puntata. Il cast del quale siamo chiamati a far parte è enorme quanto l’umanità.

    Il desiderio che morde…

    Dario: Sono ancora senza parole, ragazzi, per quello che è successo a Lara e... non avrei mai creduto che Giorgio potesse mai arrivare a tanto. È incredibile.
    Lucia: Ma, dai, Giorgio è sempre stato un narciso, preso solo da se stesso, prepotente, arrogante, accentratore a cui le ragazze non avrebbero mai detto di no.
    Luca: E invece Lara di lui non voleva saperne… era ovvio troppo diversi, troppo lontani i loro mondi.
    Monica: Però Lara non era stata molto chiara, anzi… All’inizio io avevo proprio la sensazione che anche lei fosse attratta da Giorgio. Poi all’improvviso ha cominciato a tirarsi indietro e anche a trattarlo male. Come se avesse giocato, si fosse divertita a metterlo alla prova. Per carità, non so giustificando affatto la violenza di Giorgio, però da certe cose è meglio tenersi lontani.
    Lucia: Vorrei vedere chiunque essere corteggiata dal più ammirato della scuola. Non è cattiveria ma involontariamente ti senti lusingata, anche se lui non ti piace, e magari prendi tempo un momento prima di dirglielo chiaro.
    Dario: Ma certo… e poi immaginate quante volte è successo ad ognuno di noi di essere respinti dopo averci creduto un po’.
    Luca: Certo, ma nessuno di noi ha mai avuto una considerazione di se stesso come fossimo Superman e invece Giorgio sì. Credo che sia stato il primo no della sua vita. E poi non avrà sopportato l’idea che la notizia avrebbe fatto in trenta secondi il giro della scuola e della comitiva di amici e la figura per uno abituato a vincere sarebbe stata insostenibile.
    Monica: Per non parlare poi di tutte noi ragazze, che ci saremmo sentite come fossimo state un po’ vendicate e certo qualche sorrisetto ironico l’avremmo fatto al suo passaggio.
    Probabilmente nessuna lo avrebbe più guardato come si guarda un mito, un angelo irraggiungibile... anzi... magari la stessa Lara avrebbe ridacchiato... certo penso che sarebbe convenuto cambiare città ad uno che se la tirava come lui.
    Lucia: Eppure io credo che Giorgio desiderasse Lara in un modo incredibile. Era evidente che fosse proprio partito, non aveva testa per altro, non riusciva neanche a nasconderlo, un duro come lui, uno che non si faceva turbare da niente.
    Luca: Aveva tutto quello che voleva, sempre. Non poteva finire che non avrebbe avuto lei. Quando hai tutto e una cosa, una sola cosa, ti sfugge, anche se è la cosa più sciocca della tua vita, una cosa che non vale niente, che forse neanche ti piace poi così tanto, la smania di averla non ti lascia pace. Penso sia la cosa più difficile in assoluto. Pensi che la pace non possa tornare se non dopo la soddisfazione di averlo sfamato questo desiderio. Non ragioni, non comprendi, senti solo che non potrai mai sopportare di continuare a vivere con quella fame. E basta. Non importa niente altro. Dico niente. Neanche l’idea che soddisfare quel desiderio possa rovinarti l’esistenza. Niente, non riesci più a mettere a fuoco niente. Penso sia andata così.
    Dario: Sarà così, Luca, ma camminiamo su due gambe da milioni di anni e non si può arrivare a questo punto, davvero non si può. Sarà pure un desiderio folle, una smania incontenibile, ma quel minimo di controllo, quello che ti permette di non andare oltre i limiti fino al punto di distruggerti e distruggere gli altri, quello va mantenuto sempre. Magari può sfuggire un gesto inconsulto, un momento di follia, ma uno stupro dura più di un momento, dura troppo. Io la vedo così...

    È così che parlano i nostri figli, quando riescono a parlare. Quando quello che sentono non gli resta in gola e li ammutolisce, solo gorgoglii inafferrabili o grida disperate. Quando i loro sentimenti si lasciano afferrare e costringere nei viali di una frase, di un pensiero. È così che parlano i nostri figli quando riescono a parlare della loro rabbia, dei loro amori delusi, dei sogni infranti, del narciso che portano dentro, un io ipertrofico, quasi un tumore, a volte solo per salvarsi dal baratro.
    Troppo spesso non hanno parole per le loro emozioni, non trovano il nome per distinguerle e l’istinto per curarle, sfiammarle, la capacità di anestetizzare dosando il tempo, sapendo aspettare, cercando tra le rovine uno spiraglio dal quale cominciare a ricostruire.
    Questa giungla che sembra non avere uscite può essere vinta, l’importante è che nessuno abbia paura di loro. Genitori e insegnanti troppo spesso li trattano come fossero bestie feroci o animali venuti da chissà dove che sfuggono a qualunque dettato dell’etologia. Troppo spesso li temono e per questo li lasciano andare, come fosse vero che l’occhio che non vede non fa dolere il cuore.
    Perché il punto centrale, quello sensibile sul quale insistere, penso sia proprio il cuore. Nessuno deve dimenticare il cuore di questi ragazzi. E invece qualcuno lo dimentica. Alcuni tra gli insegnanti attenti ai programmi e a rispettarne i tempi, a riempire di nozioni questi vasi che a volte considerano soltanto vuoti a perdere. Alcuni dei genitori spesi dall’affaticamento di un correre continuo e lo stress per non avere mai tempo per niente. E in questo niente rientrano anche i loro figli.
    È il cuore dei giovani che va rieducato. È al cuore che si devono raccontare fiabe quando il buio della mente partorisce incubi terribili, che ritornano. Spiegamogli che ognuno di loro è un gioiello unico nel suo valore e che ciò che li rende unici è proprio il cuore. Quel cuore che loro temono perché nessuno gli ha insegnato a conoscerlo, e a capire soprattutto il suo linguaggio. E così quando il cuore parla, sussurra o grida, loro cercano di serrare le orecchie con le mani o di gridare più forte per non sentirlo, con quei sussurri che strisciano come serpenti, con lo stesso sibilo persistente, acuto, che trafigge. La paura di vivere non va in giro sempre tremante e esitando, a volte si può anche ubriacare per non tremare.
    Non dobbiamo farci ingannare quando fingono di amarsi, amarsi troppo, a tal punto che il resto non sembra avere nessuna importanza, così vile da poter essere schiacciato, persone o cose, magari con un orrore al quale, per quanto la si cerchi, non si troverà mai una spiegazione sensata, che possa riscattarlo.
    Dobbiamo spiegargli che non devono temere le loro emozioni, dolci o amare che siano, perché sono queste la loro vera sostanza, la loro ricchezza, ciò che li rende uomini tra gli uomini. E non ostinarsi a razionalizzare, capire, sviscerare, portando lo sforzo del pensiero fino allo stremo, cercare di risolvere per forza e spesso andare verso lo schianto. La delusione non deve farli gettare nel vuoto e l’amore portarli subito verso la follia che distrugge o viola. La rabbia non deve accecarli e farli esplodere contro tutto, ignorando che quel tutto comincia e finisce in loro. Piuttosto a tendere la mano alla ragione, a passeggiare con lei per interrogare gioie e sofferenze, perché le parole sciolgano i nodi e accendano luce e si possano guardare i mostri in volto senza chiudere più gli occhi incalzati dal terrore e soprattutto, quando il cuore li spinga da quella parte, permettere alla loro mente di inchinarsi per umiltà e di lasciare il posto alla fede, all’amore. Soltanto all’amore. Così parlano i nostri giovani quando parlano. Lasciamoli parlare. Parliamogli.


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