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    Una parrocchia dal volto giovane /1. Il progetto... sulla carta



    A cura di Dalmazio Maggi e Operatori Pastorali – Ancona

    (NPG 2004-08-3)


    Iniziamo con questo numero, e completeremo in quello di gennaio 2005, una riflessione – già da tempo aperta nell’ambito ecclesiale – sul tema parrocchia e giovani. I motivi sono tanti. Se si vuole, i due riferimenti più recenti, uno di ambito culturale e l’altro ecclesiale (che indicano dei temi caldi, di interesse sociale e anche personale) sono il libro a cura di F. Garelli “Sfide per la chiesa del nuovo secolo” (Mulino 2003), e il recentissimo documento della CEI “Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia”, ulteriore applicazione e chiarimento degli Orientamenti pastorali per il primo decennio del 2000 “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”.
    Il libro di Garelli è interessante per le sfide e le prospettive aperte al cattolicesimo italiano oggi, in un tempo sia di ripresa dell’attenzione ai temi religiosi che di ulteriore riduzione del discorso religioso alla sfera del privato. All’interno delle varie sfide, risulta notevole la posizione di quella struttura che fin dall’inizio è sempre stata ambito di riferimento essenziale per la vita cristiana della gente, e ancora oggi ha una sua notevole validità: la parrocchia. Come ambito di riferimento, di prima socializzazione religiosa, di luogo anche di identificazione e di nuove proposte e missionarietà, di profezia. Ovviamente con tutte le sfumature che un’istituzione, per quanto vicina alla gente e capace di ridefinirsi costantemente, può presentare.
    Insomma, vitalità della parrocchia (dal punto di vista sociologico e religioso: cf articolo di Luca Bressan nel libro citato), confermata e rilanciata dai vescovi nel documento CEI di cui sopra... ma quanto capace di esserlo per i giovani? Certo, vitalità essenziale ancora per i bambini e ragazzi fino ai “sacramenti dell’iniziazione cristiana compresi”... ma poi?
    E quanto davvero la parrocchia può ridefinirsi e rimettersi in gioco a confronto con le sfide che vengono dal mondo esterno e dai giovani e dallo stesso ambito teologico-ecclesiale?
    Certo, molto dipende dalla condizione culturale ed esistenziale (sociologica) del clero, di chi essenzialmente ci lavora dentro... ma quanto anche dall’apertura, dal confronto, dalla presenza di persone del laicato (dei giovani) che ci credono e portano nuove istanze!
    (Tra l’altro, proprio su questi temi abbiamo nei mesi scorsi affrontato in due riusciti dossier la situazione dei preti giovani nei confronti dei giovani stessi e della pastorale giovanile.)
    Ecco dunque il contesto per i due dossier che NPG dedicherà a questo tema.
    Ma il titolo non tragga in inganno.
    Non vogliamo soltanto trattare il tema del rapporto (facile, difficile, problematico e quant’altro: ciascuno ha le sue idee e le sue esperienze) tra chiesa (la parrocchia, incarnazione della dimensione particolare della chiesa sul territorio) e giovani.
    Questo è certo un aspetto importante, ma non è tutta la storia.
    E tutta la storia non è nemmeno la “pastorale giovanile”, cioè tutta l’attività in favore dei giovani che la chiesa locale (o sempre più le unità pastorali) può offrire per mostrare il suo volto materno e accogliente e per ridirsi come esperienza di salvezza per i giovani oggi (il rinnovamento della pastorale e della catechesi, i nuovi itinerari di fede, i nuovi percorsi di iniziazione cristiana, soprattutto per coloro che si sono staccati da questa esperienza dopo la cresima, o non sono nemmeno stati battezzati, o come proposta a chi non ha mai conosciuto il Vangelo, come è situazione sempre più frequente per le immigrazioni da altri popoli e culture).
    L’aspetto che riteniamo più rilevante di questi dossier – senza rinnegare quanto essi presentano circa le due prospettive citate – si colloca in una nuova prospettiva che vorremmo ora descrivere.
    E cioè: è possibile che una parrocchia faccia la scelta della pastorale giovanile, non solo come “progetto” nei confronti dei giovani, ma come orizzonte di tutto il suo impegno pastorale?
    Sappiamo che i “destinatari” della parrocchia non sono solo i giovani, ci mancherebbe! Destinatari sono tutte le persone del territorio, nelle loro diverse età e ambiti di vita e di esperienza, nei loro bisogni e domande, non solo religiose... ma sulla vita e sul senso, domande del vivere, del crescere, dell’educare, dell’affrontare quanto la vita quotidianamente presenta. Di più... il documento sulle parrocchie più sopra citato indica chiaramente come destinatari privilegiati (cui prestare maggior attenzione)... quelli che sono nell’ambito dell’iniziazione cristiana e gli adulti e le famiglie.
    Ma ci chiediamo: è possibile pensare a uno stile di azione pastorale ispirato ai temi caldi della pastorale giovanile, e non avendo in mente come destinatari solo i giovani ma tutti, dai bambini agli adulti alle famiglie e nello stesso ambito dell’iniziazione cristiana, fanciulli e ragazzi e adolescenti?
    In ambito salesiano (come è ovvio) si è discusso molto di questo, per ritrovare la specificità, il carisma, come dono per tutti. È possibile allargarne l’ambito e l’orizzonte al di là del solo contesto giovanile?
    Pensiamo che l’attenzione all’accoglienza e alla vita concreta (del giovane e di tutti), la dimensione educativa (il puntare sul buono, anche se piccolo, da accogliere e sviluppare con la presenza di fiducia, come un seme), la presenza accompagnante dell’adulto come testimone e guida, il grembo della comunità nei gruppi più a dimensione di persona, la valorizzazione della disponibilità di tutti, il maggior protagonismo delle persone, la stessa concezione “educativa” del sacramento (non solo iniziare ai sacramenti, non solo iniziare con i sacramenti, ma anche il sacramento che inizia alla vita in prospettiva cristiana), in una parola lo stretto legame tra educazione ed evangelizzazione, il tutto letto, interpretato, vissuto secondo il criterio dell’incarnazione che fondamentalmente è fedeltà a Dio e fedeltà all’uomo... Sono tutte modalità in cui l’orizzonte e il senso della pastorale giovanile possono diventare ricchezza di prospettiva nell’azione pastorale della parrocchia verso tutti.
    È in questa direzione che vanno anche i due dossier che NPG presenta, e che pensiamo fecondi se pensiamo che PG non vuol dire solo attenzione a una particolare fetta di persone, per conquistarli o riconquistarli, ma azione modellata “sui più difficili”, e dunque piena di promesse per tutti.


    Come operatori pastorali di una parrocchia, affidata ai salesiani, abbiamo fatto una riflessione sulla nostra vita di impegno educativo pastorale “giovanile”. È un’esperienza che può essere utile ad altri operatori pastorali, in questo momento di rilancio della parrocchia come “comunità missionaria”.
    Ma quale è la nostra realtà parrocchiale? La popolazione è di circa 7000 persone, tra cui, stando agli ultimi accertamenti, 560 immigrati, per la maggioranza di religione islamica, e alcuni di altre confessioni religiose orientali. In zona parrocchiale opera un gruppo di Testimoni di Geova.
    Coloro che partecipano alle attività parrocchiali, soprattutto alle celebrazioni eucaristiche festive sono, più o meno, il 25% dei residenti battezzati.
    Nelle celebrazioni festive partecipa pure un certo numero di adulti e giovani, che abitano in altre zone della città: è per il servizio della riconciliazione, offerto con continuità e impegno, e per l’animazione liturgica.
    Questa realtà parrocchiale viene animata, con compiti e responsabilità varie, da 185 persone, che trovano nel Consiglio Pastorale Parrocchiale, formato da 38 membri, adulti e giovani, il centro propulsore e di coordinamento, il cui nucleo è la comunità salesiana con 5 sacerdoti e 2 laici.
    Siamo catechisti, responsabili di associazioni, animatori di settori educativi pastorali e di gruppi. La composizione “variegata” riflette la realtà di persone impegnate nel servizio di educazione ed evangelizzazione dai più piccoli ai giovani e agli adulti.
    La presenza attiva dei responsabili di ogni gruppo e associazione, viva e operante nell’ambiente, dà consistenza e significatività a ogni riflessione e ad ogni conclusione e orientamento operativo. Gli ambiti di azione rappresentati sono quelli tipici di una comunità, che ascolta e annuncia la parola del Signore (commissione laboratorio catechesi), che prega e celebra la vita nel Signore (commissione laboratorio liturgia), che condivide e si mette a servizio (commissioni laboratorio: educazione e animazione nella famiglia, educazione e animazione del tempo libero “oratorio”, collegamento e animazione nel territorio, assistenza e animazione della carità).
    Ogni settore, ogni gruppo, ogni associazione organizzata e strutturata, che ha una sua vita, una sua esperienza e proposta di servizio, soprattutto per i più piccoli, ha nel Consiglio Pastorale Parrocchiale il momento in cui farsi conoscere con la propria sensibilità ed essere accolta nella sua originalità, in cui ascoltare e accogliere le altre risorse, tutte fondamentali per la realizzazione del progetto educativo pastorale.
    In ogni incontro è bello verificare quante persone e quanti servizi sono a disposizione della comunità, soprattutto nei riguardi dei più piccoli.
    Ci sono risorse di incalcolabile valore, che qualche volta si rischia di non conoscere. Infatti la condivisione di una proposta educativa, che diventa una forma di vocazione e missione “personale”, e l’impegno di animazione in modo sistematico e in tempi continui e spesso stringenti, qualche volta non permette di accorgersi di quanto capita in altri gruppi e in altri settori.
    A più riprese, nelle commissioni e nei gruppi, ci siamo poste alcune domande “a ruota libera” e abbiamo ipotizzato alcune tracce di risposta.
    – I ragazzi e i giovani vivono in una famiglia. Come “entrare” in famiglia “chiesa domestica” e contattare i genitori, primi responsabili della educazione umana e cristiana dei figli?
    Crediamo che non sia sufficiente quando i figli sono piccoli e i genitori li accompagnano per il battesimo e chiedono per loro i sacramenti della riconciliazione, della comunione e della cresima.
    Come “entrare” in famiglia quando i figli adolescenti e giovani frequentano poco o nulla? Aspettare che si presentino alla preparazione al matrimonio?
    – I ragazzi e i giovani vanno a scuola. Come “entrare” in scuola per collaborare alla educazione umana e cristiana dei piccoli e dei più grandi?
    È possibile incontrare e concordare un cammino con gli insegnanti di religione, che hanno un mandato della comunità ampia nella persona del Vescovo?
    Crediamo che non sia sufficiente coinvolgere i genitori, come primi responsabili della crescita dei figli, e invitarli a chiedere personalmente come è realizzato il programma di “insegnamento della religione cattolica”.
    – I ragazzi, anche quelli che vengono al catechismo, frequentano ambienti di incontro, di gioco, di sport “organizzato” dal quartiere, da società sportive della zona, in strutture pubbliche. Come collaborare e interagire nel rispetto delle autonomie, soprattutto nei riguardi degli adolescenti e giovani che frequentano poco?
    Come incontrare gli animatori del tempo libero, alcuni dei quali sono parrocchiani? Come coinvolgerli, come condividere un progetto educativo “di base comune”?


    UNA ESPERIENZA DI VITA PARROCCHIALE

    La festa della Cresima e... il giorno dopo

    Nel mese di maggio 33 ragazzi/e di seconda media hanno celebrato la festa della Cresima. Con loro i catechisti, i genitori, i padrini e le madrine, tanti parenti. A presiedere la celebrazione il Vescovo, che ha chiesto ai ragazzi in quali momenti della vita ognuno di noi dice al Signore: “Eccomi!”.
    Ha ricordato a tutti che “una prima volta” lo abbiamo detto, con la voce dei nostri genitori, il giorno della nascita alla vita umana (la vita, un dono di totale gratuità!) e con la presenza anche dei padrini e madrine, il giorno del battesimo (la vita cristiana, dono ricevuto con la mediazione dei genitori!).
    Una seconda volta lo diciamo il giorno della cresima, in cui ciascuno lo pronuncia personalmente, prendendo coscienza di essere membro di una comunità cristiana più ampia della propria famiglia, della propria parrocchia: una comunità che ha orizzonti vasti come il mondo.
    Una terza volta “eccomi” lo si pronuncia quando, in momenti significativi, si fanno scelte di vita. Rispondendo alle ispirazioni del Signore, che si serve della mediazione dei genitori, degli educatori, di persone consacrate e di sacerdoti, si sceglie la vita matrimoniale o la vita consacrata o la vita sacerdotale.
    Una quarta volta dovremo dirlo al termine della vita quando il Signore ci chiamerà alla vita che non tramonterà più.
    Il Vescovo in maniera molto efficace ha percorso la vita di ogni persona, di ogni cristiano all’insegna dell’“Eccomi!”. I ragazzi quando si sono presentati al Vescovo, accompagnati dai loro padrini e madrine, hanno pronunciato in modo chiaro e squillante: “Eccomi, sono...!”.
    A ricordo-memoria della celebrazione una fotografia di gruppo di tutti i cresimati con il Vescovo, i sacerdoti e i catechisti.
    Con i catechisti del corso in preparazione alla Cresima e gli animatori dei gruppi oratoriani abbiamo preso in mano le foto dei “gruppi Cresima” degli ultimi dieci anni e abbiamo consultato il registro con nomi, cognomi e indirizzo. Siamo andati a ritroso e abbiamo riveduto volti di ragazzi che adesso sono adolescenti e giovani (14-19 anni), nella quasi totalità impegnati nello studio o nella formazione professionale; di quelli oltre i 20 anni alcuni studiano in corsi universitari o parauniversitari, la maggioranza di loro sono inseriti nel mondo del lavoro.
    Abbiamo fatto una verifica di quanti, a partire da ogni gruppo di cresimati, frequentano sistematicamente l’ambiente ecclesiale e di quanti partecipano ad alcune iniziative: celebrazioni eucaristiche, incontri di formazione, attività culturali, attività sportive e ricreative...
    Ne è venuta una “prima” fotografia, “scattata”, si fa per dire, dall’altare, da parte di quanti annunciano la parola del Signore e celebrano le sue meraviglie. Abbiamo visto:
    – quelli che frequentano sistematicamente le proposte formative e i momenti celebrativi (10%);
    – quelli che partecipano in modo sistematico ai momenti celebrativi (10%);
    – quelli che partecipano in modo saltuario ai momenti celebrativi (15%);
    – quelli che partecipano nelle grandi occasioni (matrimoni e funerali) e nelle grandi feste (Natale, Pasqua) (45%);
    – infine quelli con un riferimento labile, quasi nullo (20%).
    Poi ci siamo portati all’Oratorio, nelle strutture di tipo ricreativo e sportivo e lì abbiamo incontrato, oltre quelli che frequentano, anche un certo numero di adolescenti e giovani, che si vedono raramente in chiesa. Ciò che colpisce è il fatto che alcuni di questi ultimi, quando giocano, entrano in campo o devono eseguire un calcio di rigore, si fanno il segno di croce in modo visibile, come quando passano davanti alla chiesa!

    Che è successo?

    Per arrivare a questa situazione di vita cristiana “giovanile” “variegata”, che cosa ha fatto la nostra comunità educativa pastorale?
    Risulta che questi giovani, da bambini, da fanciulli e da ragazzi, hanno vissuto, nella quasi totalità, l’esperienza della vita cristiana: hanno ricevuto il battesimo, come dono dai propri genitori. Hanno frequentato con entusiasmo il catechismo in preparazione alla prima comunione, hanno scoperto la realtà della parrocchia, incontrando catechisti e preti, per lo più simpatici (così li ricordano!) e hanno celebrato la festa di prima comunione con la partecipazione di parenti e amici. Si sono impegnati con un po’ di sforzo nel cammino di preparazione alla festa della cresima e hanno avuto l’esperienza dell’incontro con il Vescovo, un “segno” importante della comunità più ampia: la diocesi, la Chiesa.
    In contemporanea tutti hanno seguito nella scuola le lezioni di religione cattolica: in quella materna in maniera diffusa, nella scuola elementare in maniera sistematica per due ore alla settimana, e nella scuola media inferiore e superiore per un’ora alla settimana. Anche di questo cammino “culturale religioso” il ricordo è per lo più “positivo”, anche per l’originalità dei contenuti e la fantasia e creatività nei metodi di ricerca e di studio.
    Al centro del cammino, sia quello dell’insegnamento scolastico sia quello della catechesi parrocchiale, c’è stata sempre la persona di Gesù, che si presenta, in maniera progressiva: “io sono con voi”, “venite con me”, “sarete miei testimoni”, “io vi ho scelto”…
    Dopo la celebrazione della cresima, nell’età adolescenziale e giovanile, pur sempre presenti e spesso attivi nelle ore di insegnamento della religione cattolica nell’ambito della scuola, si sono trovati “a poco a poco”, nei riguardi dell’ambiente della parrocchia, in situazioni diversificate.
    Abbiamo verificato che accanto a tutti i fanciulli e ragazzi, in preparazione ai sacramenti, è presente e attivo un gruppo di catechisti, adulti e giovani, animati dal parroco, preparati con incontri di formazione (anche a livello diocesano o zonale). Tutti con una grande disponibilità (mamme di famiglia, padri, giovani animatori...) e con una grande passione educativa e pastorale, molti anche con competenze di tipo professionale (insegnanti, impiegati, professionisti...): per due anni, ogni mercoledì da settembre a maggio in preparazione alla festa di comunione; per tre anni, ogni giovedì, da settembre a maggio, in preparazione alla festa di cresima.
    La sussidiazione è quella più aggiornata; vengono utilizzati anche i mezzi audiovisivi per far riflettere e confrontarsi con maggior incisività.
    In questo cammino, per i fanciulli in preparazione alla comunione, è stata curata in maniera attenta e creativa, ogni domenica per due anni, la messa dei fanciulli: letture bibliche appropriate, affidate anche ai genitori, intenzioni preparate dai fanciulli con l’aiuto delle catechiste, gesti e segni originali, soprattutto per l’offertorio e il congedo...
    I ragazzi della cresima, ogni domenica per tre anni, a gruppi sono stati impegnati nel servizio all’altare, qualche volta hanno drammatizzato il brano del vangelo, hanno reso attuali le preghiere dei fedeli, hanno messo fantasia e creatività nel presentare alla comunità eucaristica le “tematiche” più significative approfondite durante la settimana e nel momento dell’offertorio. Qualche volta sono stati i portavoce del cammino di educazione e di evangelizzazione e delle iniziative più interessanti nell’ambito giovanile.
    Durante i cinque anni ci siamo rivolti anche alle famiglie dei bambini e dei ragazzi, in modo particolare ai genitori. Un certo numero di mamme e di papà hanno seguito le iniziative di formazione con un ritmo mensile, con incontri condotti e animati dal parroco, dai sacerdoti, da laici animatori di gruppi “famiglia”.
    Qualche volta gli stessi catechisti hanno avuto l’occasione di incontrare i genitori dei loro ragazzi, per una conoscenza più personale e per uno scambio di pareri su contenuti da trasmettere e modalità di conduzione degli incontri. Il più delle volte le tematiche affrontate sono state le stesse del cammino di catechesi dei figli per facilitare il dialogo e il confronto in famiglia. Anche l’invito ai momenti celebrativi (riconciliazione e santa messa) da vivere con i propri figli, è stato continuo e sistematico.
    Abbiamo riflettuto anche su quanto è stato offerto nell’ambito della scuola dell’obbligo.
    La totalità di questi fanciulli e ragazzi che vivono l’esperienza dell’iniziazione cristiana, vivono anche, in contemporanea, l’esperienza dell’Insegnamento della Religione Cattolica.
    L’ambiente educativo, la competenza degli insegnanti, i contenuti sistematici programmati e seguiti, le metodologie di ricerca e di studio appropriate, fanno di questo cammino educativo una esperienza significativa.
    Dobbiamo ammettere che non si conoscono gli insegnanti di religione, i programmi seguiti nella scuola. Qualche genitore, che è anche catechista o animatore, ha incontrato a titolo personale l’insegnante del proprio figlio.
    Abbiamo anche ricordato che per questa fascia di destinatari del nostro impegno educativo e pastorale ci sono proposte di tempo libero di tipo ricreativo, sportivo, culturale, associativo... seguite in maniera competente da responsabili e giovani animatori, che danno un esempio anche di disponibilità all’insegna della più totale gratuità.
    E dopo?
    Dopo la celebrazione della festa di cresima, per la quasi totalità degli adolescenti e giovani continua l’esperienza dell’incontro settimanale con un insegnante di religione, che è impegnato a farli riflettere sul messaggio di Gesù e sulla mediazione della Chiesa, soprattutto a livello etico e sociale.
    Per quella percentuale di adolescenti e giovani che frequentano sistematicamente o saltuariamente la celebrazione eucaristica, la proposta offerta dall’omelia del sacerdote celebrante resta l’unica occasione di riflessione sulla parola del Signore, e la comunicazione dei programmi e iniziative parrocchiali l’unica possibilità di conoscere qualcosa della vita della comunità.

    Una tentazione: dichiarare fallimento!

    Ci siamo chiesti: a che serve tutta questa azione educativa pastorale, che impegna la risorsa più importante che sono le persone, laici, giovani e adulti, consacrati, ministri sacri?
    Per cinque anni, con un insieme di incontri, di esperienze, di preghiera, di celebrazioni, di servizio di animazione, abbiamo fatto una proposta per formare una mentalità di fede, che significa “educare al pensiero di Cristo, a vedere la storia come lui, a giudicare la vita come lui, a scegliere e ad amare come lui, a sperare come insegna lui, a vivere in lui la comunione con il Padre e lo Spirito Santo” (RdC 38). Cosa è restato?
    Immediatamente è stata pronunciata la parola “fallimento”!
    Per non cedere alla tentazione abbiamo letto e meditato alcune pagine del Cardinale Martini in Itinerari educativi.
    Ecco alcune affermazioni che abbiamo fatto nostre.
    Non si hanno ricette “che finalmente ci permettano di agire con incisività sui giovani, che trattengano gli adolescenti dalla ‘fuga’ dopo la cresima, che ci dicano come interessare i più piccoli alla catechesi”. È stimolante ascoltare che “neppure Gesù possedeva tali ricette. Altrimenti non sarebbe stato tradito da Giuda, rinnegato da Pietro, abbandonato dagli altri apostoli, insultato dalla folla che aveva beneficato e della quale era stato catechista instancabile e competente”.
    Il nostro impegno non ci mette al riparo da delusioni. “Esse vanno ‘messe in conto’ in una azione che si sviluppa da una libera volontà verso un’altra volontà libera”.
    La meta che ci proponiamo di raggiungere è “far sì che i fallimenti non siano da imputarsi del tutto alla nostra negligenza, sconsideratezza e faciloneria nell’educare; e soprattutto aiutarci a inglobare il concetto stesso di fallimento (‘parziale’) in una visione complessiva del cammino educativo. Del cammino cioè che intende portare una creatura umana, fragile e peccatrice, dalla ignoranza di Dio, dalla incredulità o dalla poca o piccola fede, alla fede adulta e alla maturità cristiana della vita”.
    È fondamentale “non considerare le delusioni educative (che fino alla conclusione della vita sono semplicemente ‘parziali’, cioè riparabili e ricuperabili) come un fatto accidentale o estraneo al processo educativo. Studiamoci di imitare il realismo di Dio che tracciando cammini educativi per l’umanità e per il suo popolo, sa non solo prevenire nei limiti del possibile il fallimento, ma anche prevederlo, valutarlo con oggettività, pronto a rimediarvi subito con un amore ancora più grande e creativo”.
    Non bisogna aspettarci “ciò che una lettera pastorale e neanche lo Spirito santo in persona ti può dare: la chiave infallibile del risultato in ogni singolo caso”. “Non pensare che ti saranno risparmiate le delusioni che attendono ogni educatore: ma mettiti a collaborare con lo Spirito santo perché tu possa superare in maniera creativa e vincente le delusioni e perché, passando attraverso la prova, tu acquisti quella sofferta paternità e maternità spirituale che rende il tuo cuore simile a quello del Padre che è nei cieli (cf Mt 5,48; Lc 6,36)”.
    Concludendo la sua proposta pastorale il cardinale Martini ci dice:
    “Caro/a... anch’io nella mia vita mi sono sentito spesso un ‘educatore fallito’. Conosco l’amarezza che si prova quando, dopo aver cercato di donarti con onestà e generosità per la crescita di quelli che Dio ti ha affidato (nonostante e attraverso tutti i tuoi limiti), ti sembra che tutto (o quasi) sia stato inutile, perché essi se ne sono andati per la loro strada, a volte anche compiendo scelte che ti hanno fatto molto soffrire e che più ancora – ti sembra – fanno soffrire il cuore del Padre. Arrivi a pensare che hai sbagliato tu e che – avendo agito in buona fede – continuerai ancora probabilmente a sbagliare con altri. Ti viene allora la tentazione di fermarti, di rinunciare, di credere che il compito educativo non è per te.
    Ho pensato a quello che deve aver provato Gesù davanti al tradimento di Giuda e al rinnegamento di Pietro: non ti nascondo che l’idea del ‘fallimento educativo’ di Dio mi ha come sollevato il cuore, riempiendolo di una certa indicibile pace. Non che essa mi faccia avvertire di meno la serietà e la tragicità del ‘fallimento’: l’albero da cui Giuda pende impiccato resta un’immagine infinitamente dolorosa e amara davanti alla quale non so che tacere. Ma ho anche pensato a come il Risorto ha saputo integrare il fallimento nella continuità e nella fedeltà dell’amore ai suoi ‘sino alla fine’.
    Mi è venuto in mente il dialogo tra Gesù e Pietro sulle rive del lago di Tiberiade (cf Gv 21, 15-19). Il significato che colgo penso possa aiutare molto te e me: Gesù ha integrato il fallimento di Simone e, in fondo, il suo personale ‘fallimento educativo’ perché ha molto amato: il suo amore è così totale da essere libero da ogni pretesa, da non imporre all’altro un’esigenza avvertita dall’altro come impossibile, da piegarsi sulla debolezza e povertà del suo discepolo per dargli nuovamente la speranza di amare, la fiducia di poter ancora dare tutto, fino alla fine.
    Non assolutizzando il fallimento, non drammatizzandolo fino a negare la speranza, Gesù ha saputo inglobarlo in un cammino di amore più grande, modificando forse ai nostri occhi un progetto educativo, perché non si fermasse l’itinerario educativo dell’imparare ad amare sino alla fine...”.
    Siamo stati rincuorati da questa meditazione e intendiamo continuare il nostro servizio educativo pastorale. Il criterio di ricerca e di riflessione “critica”, che abbiamo scelto, è stato quello di conoscere “quello che già si fa”, riconoscerlo nella sua consistenza e significatività, per poter ipotizzare “quello che non si fa ancora”.

    IMPEGNATI A CONTINUARE

    Abbiamo letto e commentato, con l’ottica giovanile, alcuni spunti dalla Nota Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia.

    La conversione nel discernimento

    C’è bisogno di una vera e propria conversione, che riguarda l’insieme della pastorale. Dalla liturgia alla carità, dalla catechesi alla testimonianza della vita, tutto nella Chiesa deve rendere visibile e riconoscibile Cristo Signore.
    Il volto della parrocchia, cellula fondamentale della Chiesa, forma storica concreta della visibilità della Chiesa, come comunità di credenti in un territorio, è l’ultima localizzazione della Chiesa, che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie.
    Il mutamento esige il discernimento, quel dono che Paolo fa discendere dalla carità e quindi dalla comunione.
    La parrocchia è l’immagine concreta del desiderio di Dio di prendere dimora tra gli uomini, un luogo dove è possibile comunicare il Vangelo dentro le forme di vita quotidiana. Ma perché questo possa realizzarsi, è necessario disegnare con più cura il suo volto missionario, rivedendone l’agire pastorale, per concentrarsi sulla scelta fondamentale dell’evangelizzazione. Ciò significa valutare, valorizzare e sviluppare le potenzialità missionarie già presenti, anche se spesso in forma latente, nella pastorale ordinaria. I luoghi della comunità credente sono i luoghi della vita quotidiana.

    Nuovi educatori alla fede

    Un ripensamento si impone, se si vuole che le nostre parrocchie mantengano la capacità di offrire a tutti la possibilità di accedere alla fede, di crescere in essa e di testimoniarla nelle normali condizioni di vita. Si è finora cercato di “iniziare ai sacramenti”: in tal senso, al progetto catechistico “per la vita cristiana” vanno riconosciuti indubbi meriti e bisogna impegnarsi per darne una sempre più piena attuazione.
    Il cammino va scandito in tappe, non necessariamente quelle scolari ma della maturazione di fede – per cui più che classi occorre creare gruppi omogenei –, e soprattutto deve integrare tra loro le varie dimensioni della vita cristiana. Si tratta di valorizzare i momenti – tutti, non solo quelli che appartengono strettamente alla vita comunitaria – in cui le parrocchie entrano in contatto con i giovani e con gli adulti, un mondo lontano, distratto, incapace di dare un nome alla propria ricerca.
    La vita della parrocchia ha il suo centro nel giorno del Signore, che è anche il giorno della Chiesa e il giorno dell’uomo. La parrocchia, che condivide la vita quotidiana della gente, deve immettervi il senso vero della festa”. La qualità delle celebrazioni eucaristiche domenicali e festive va curata in modo particolare.
    Se si dimentica la responsabilità originaria della famiglia nella trasmissione della fede, l’iniziazione cristiana dei fanciulli non è possibile. La parrocchia deve offrire ai genitori gli elementi essenziali che li aiutino a dare ai figli l’“alfabeto” cristiano. Li sosterrà nel compito educativo coinvolgendo tutta la comunità. La parrocchia missionaria fa della famiglia un luogo privilegiato della sua azione, scoprendosi essa stessa famiglia di famiglie.
    Se prima il territorio viveva all’ombra del campanile, oggi è la parrocchia a doversi situare nei diversi “territori” di vita della gente, per capirne i problemi e le possibilità.
    La parrocchia nasce e si sviluppa in stretto legame con il territorio. Nella concretezza del legame locale si crea e ricrea il senso dell’appartenenza, anche ecclesiale. Il riferimento al territorio ribadisce la centralità della famiglia per la Chiesa. La comunità nel territorio è infatti basata sulle famiglie, sulla contiguità delle case, sul rapporto di prossimità o di vicinato.
    La presenza della parrocchia nel territorio si esprime anzitutto nel tessere rapporti diretti con tutti i suoi abitanti, cristiani e non cristiani, partecipi della vita della comunità o ai suoi margini. Presenza è anche capacità da parte della parrocchia di interloquire con gli altri soggetti sociali nel territorio.
    Ma è l’intero rapporto tra la comunità cristiana e i giovani che va ripensato, come vedremo tra poco.
    Le parrocchie dovranno poi curare la proposta di momenti aggregativi, che portino con certezza alla comunione, e rafforzare il collegamento tra celebrazione ed espressione della fede nella carità. Così nella festa la parrocchia contribuisce a dar valore al “tempo libero”, aiutando a scoprirne il senso attraverso opere creative, spirituali, di comunione, di servizio.
    L’impegno è dunque per la crescita della comunità:
    – nell’educazione all’amore. Resta ancora una “voglia” di famiglia tra i giovani, da alimentare correttamente: non possiamo lasciarli soli; il loro orientamento andrebbe curato fin dall’adolescenza;
    – nell’impegno del dialogo. Si tratta di continuare a intessere il dialogo tra fede e cultura e a incidere sulla cultura complessiva della nostra società. L’attenzione all’annuncio va inserita nel contesto del pluralismo religioso, che nel nostro paese cresce con l’immigrazione, rendendo “plurali” le nostre parrocchie, nel rispetto delle altre religioni e con la valorizzazione dei “semi di verità” che portano in sé;
    – nell’orientamento al mondo del lavoro. L’esperienza del lavoro percorre oggi strade sempre più complesse, a causa di molteplici fattori, tra i primi quelli riconducibili alle innovazioni tecnologiche e ai processi di globalizzazione. La parrocchia da sola non basta, ci vogliono competenze che possono essere assicurate solo da livelli più integrati, diocesani o zonali, e da dedizioni più specifiche, come quelle associative;
    – nella preparazione all’impegno sociale e politico. Lo stessa difficoltà si trova per l’ambito della responsabilità sociale e della partecipazione alla vita politica. La parrocchia deve saper indirizzare, ospitare, lanciare ponti di collegamento. Più a fondo, però, c’è da offrire una visione antropologica di base, indispensabile per orientare il discernimento e un’educazione alle virtù, che costituiscono l’ancoraggio sicuro capace di sostenere i comportamenti da assumere nei luoghi di lavoro e del sociale e le scelte che, nella legittima autonomia, i laici devono fare per edificare un mondo impregnato di Vangelo.

    ALLA SCOPERTA DELLA COMUNITA’ DEGLI UOMINI

    Bisogna passare da “parrocchia, struttura, centro di educazione e pastorale”, in cui si va in tempi determinati per ascoltare e annunciare la parola del Signore, per pregare e celebrare le meraviglie del Signore, per rendersi attenti e disponibili al servizio dei più poveri... a “parrocchia comunità ampia di battezzati”, uomini e donne, giovani e adulti:
    – che vivono e operano in casa, in famiglia, nei luoghi di studio e di lavoro, nel tempo libero... tutti i giorni della settimana e per molte ore in ogni luogo nello stile dell’attenzione e dell’impegno...;
    – che, alla domenica e nelle feste, vivono un tempo limitato in comunità, nell’ascolto del Signore, nella preghiera e celebrazione del Signore, nel rendersi disponibili al servizio. Un tempo “determinato” per ricevere energie nuove per la vita quotidiana.
    I luoghi della comunità credente sono i luoghi della vita quotidiana.
    Ci siamo dunque impegnati in un’opera di discernimento, per essere nel nostro territorio una chiesa missionaria.

    Inseriti nella “comunità degli uomini”

    La vita di ogni persona si sviluppa all’interno di quella realtà, che in un documento della Chiesa italiana è stata chiamata “comunità degli uomini”.
    L’espressione mette l’accento sugli uomini e le donne che vivono e operano oggi in ogni territorio, e sul loro impegno di vivere insieme. Usando la parola “comunità” si evoca anche un’immagine ideale dei rapporti di convivenza e la possibilità di realizzare significativi rapporti di prossimità. È bene ricordare che non tutti coloro che rifiutano il loro consenso alla comunità-Chiesa, in cui emergono delle figure e ruoli particolari, rifiutano con ciò stesso i valori fondamentali del Vangelo, e d’altra parte non pochi degli ideali storici concreti affermatisi al di fuori della Chiesa sono di fatto corrispondenti allo spirito cristiano e hanno in esso la loro matrice storica.
    L’opera dello Spirito del Signore nella comunità degli uomini è più estesa e imprevedibile dell’opera della comunità cristiana. Riconoscere quest’opera e incoraggiarne la prosecuzione da parte di tutti gli uomini di buona volontà è compito indubitabile di ogni comunità cristiana, della Chiesa. La comunità cristiana è germe di unità nella storia: porre i semi della riconciliazione nel tessuto della società è realizzare la missione che le è stata affidata.

    Nell’esercizio del discernimento

    Fare discernimento significa rendersi sensibili all’azione dello Spirito nella comunità degli uomini d’oggi, per favorire quelle realtà e processi che appaiono mossi dallo Spirito di Dio, e per smascherare e contrastare quelle realtà e processi culturali e sociali che appaiono contrari allo spirito evangelico.
    Per orientare l’esercizio del discernimento è opportuno distinguere diversi livelli in cui lo Spirito opera e muove singoli e gruppi verso la pienezza della carità.
    Il primo livello è costituito dagli itinerari e dai cammini di educazione alla fede, che lo Spirito suscita continuamente all’interno della comunità cristiana.
    Il secondo livello di esperienza dello Spirito può essere rappresentato dagli interventi con cui la comunità, gruppi e associazioni, movimenti, singoli credenti, mossi dallo Spirito, operano nella società favorendo il dialogo, la comunicazione, il perdono, la vicinanza agli ultimi...
    Il terzo livello in cui opera lo Spirito del Signore può essere individuato nelle varie forme di tensione verso la solidarietà, di ricerca della pace, di attenzione agli ultimi che sono presenti nella comunità degli uomini, sul piano locale, regionale, nazionale, internazionale. Anche se contraddette da opposte tensioni egoistiche o anche se velate da ambiguità, anche se indeterminate negli scopi e fragili nell’attuazione concreta, anche se bisognose di purificazione e di interpretazione, esse rappresentano un possibile “gemito” della creazione (cf Rm 8,32) che la comunità cristiana deve discernere. Tutto ciò va colto con diligenza e va accolto con amore, senza pregiudizi e senza presunzioni; con la disponibilità a collaborare perché il vero, il bello maturi ovunque sia e da chiunque proposto.
    Si tratta di una realtà “a cerchi concentrici”, in movimento continuo dal centro, che è Cristo, che cerca di raggiungere ciascuno di noi come singoli e come membri di famiglie e di gruppi nei luoghi più diversi di vita e di azione; verso il centro, che è sempre Cristo, al quale ci si rivolge in momenti particolari della vita, per chiedere aiuto, per ricordare per una persona cara, per ringraziare il Signore.
    Abbiamo pensato ai giovani, che vivono nella comunità degli uomini, e abbiamo condiviso quanto affermato: “Ma è l’intero rapporto tra la comunità cristiana e i giovani che va ripensato e, per così dire, capovolto: da problema a risorsa. Il dialogo tra le generazioni è sempre più difficile, ma le parrocchie devono avere il coraggio di Giovanni Paolo II, che ai giovani affida il compito impegnativo di ‘sentinelle del mattino’. Missionarietà verso i giovani vuol dire entrare nei loro mondi, frequentando i loro linguaggi, rendendo missionari gli stessi giovani, con la fermezza della verità e il coraggio della integralità della proposta evangelica”.
    Stiamo cercando di acquisire un’ottica giovanile nel riflettere e orientare le scelte educative pastorali della comunità parrocchiale. Questa “priorità giovanile” significa, da una parte che le attività e le opere a favore dei giovani (fanciulli, ragazzi, adolescenti, giovani) devono impiegare la maggior parte del nostro tempo e del nostro sforzo; dall’altra che le attività e le opere a favore degli adulti, compiute secondo le loro esigenze, conservano la preoccupazione attenta per i giovani.
    Inoltre abbiamo fatto la scelta di rileggere le esperienze fatte, le indicazioni orientative emerse e condivise, i documenti ecclesiali, che continuamente ci sono offerti, insieme, giovani e adulti, dando più spazio e ascolto ai più giovani nel Consiglio Pastorale Parrocchiale.
    Per questo abbiamo ricordato quanto detto dal Papa: “Significativo ciò che san Benedetto ricorda all’Abate del monastero, nell’invitarlo a consultare anche i più giovani: ‘Spesso ad uno più giovane il Signore ispira una parere migliore’” (cf NMI 45). Tutti ci sentiamo “soggetti responsabili”, tutti siamo “destinatari” di quanto ispirato dallo Spirito del Signore.
    Abbiamo fatto nostro l’impegno “di non deludere le aspirazioni profonde dei giovani (bisogno di vita, di amore, di espansione, di gioia, di libertà, di futuro) e insieme di portarli gradualmente e realisticamente a sperimentare che solo nella ‘vita di grazia’, cioè nell’amicizia con Cristo, si attuano in pienezza gli ideali più autentici” (Giovanni Paolo II)
    Le riflessioni che presentiamo, il linguaggio che usiamo, vuole permetterne la lettura e la comprensione da parte della maggioranza dei giovani, anche quelli che frequentano poco.

    I GIOVANI AI QUALI INTENDIAMO RIVOLGERCI

    I giovani nella società

    Nel contesto sociale odierno la costruzione dell’identità diviene più lunga e laboriosa a motivo del dilatarsi del tempo degli studi, della difficoltà di trovare lavoro e del ritardo nell’accesso del matrimonio e della formazione di una famiglia propria, fattori tutti che comportano un prolungamento della condizione giovanile fino ai 25-30 anni.
    I giovani dipendono in modo più prolungato e sottile dalla famiglia e i genitori cercano di ovattare i rapporti dei figli con la vita reale, ricorrendo talvolta a uno stile di rapporti di tipo “amicale”.
    I giovani si aspettano istituzioni più attente a loro. Non si pongono in modo conflittuale nei confronti della scuola e per lo più le riconoscono la capacità di aiutare a crescere, anche se poi ritengono che debba essere fortemente rinnovata in quanto non li aiuta abbastanza nell’inserimento nel mondo del lavoro e non li orienta al domani della loro vita personale. Nei riguardi degli insegnanti li vogliono ricchi di fantasia e di stimoli, che siano di aiuto a scoprire i valori autentici della vita, sensibili ai loro bisogni, attenti alla formazione personale e incoraggianti.
    Anche nei confronti dell’istituzione chiesa vivono un rapporto in forte evoluzione: riguardo alla frequenza sta diventando maggioritaria (anche se di poco) la posizione del continuare a credere anche senza frequentare. Circa il tipo di fede che la chiesa propone, si nota che per alcuni è uno stimolo dinamicizzante, di ricerca e di valorizzazione personale; altri la vivono come un appoggio rassicurante; mentre per altri sembra trasformarsi in esperienza marginale.
    La quasi totalità dei giovani trascorre il tempo libero fuori di casa, solitamente con gli amici, manifestando così il bisogno di sganciarsi progressivamente dalla famiglia e dagli adulti, proiettati verso una nuova definizione della propria identità nutrendola di ulteriori energie, significati e valori.
    Significativo è il progressivo mutare dei luoghi di ritrovo prediletti dai giovani: diminuisce la frequenza dei luoghi istituzionalizzati (oratorio, parrocchia, centro giovanile, palestra, associazione, campo sportivo...) a favore di luoghi liberi dall’organizzazione esterna e dal controllo degli adulti con la particolare preferenza per la casa privata di qualche amico/a.
    Molti giovani frequentano con una certa regolarità più di un gruppo di coetanei e percepiscono il gruppo come un momento di crescita e di espansione vitale, sorgente continua di esperienze interessanti per il confronto di idee e per capire meglio se stessi.
    La gestione del tempo libero operata dai giovani si configura come sostanzialmente ambivalente (da tempo attivo a tempo vuoto); infatti molti affermano di vivere senza veri programmi, mentre altri sono attratti esclusivamente dagli interessi del momento; una parte dei giovani vive i suoi ambiti di possibile autorealizzazione come un mosaico senza un disegno.
    I giovani si sentono oggetto di una somma di inadempienze, ritardi e tradimenti, che producono in essi una frustrazione reale delle attese riguardanti l’autorealizzazione, la soddisfazione dei bisogni fondamentali, il raggiungimento di una identità robusta, l’inserimento da protagonisti nella vita sociale.
    Oggi in particolare le radici del disagio vanno cercate non tanto nelle difficoltà di trovar lavoro e a integrarsi nella società, ma vanno forse identificate nell’inadeguatezza degli atteggiamenti con cui gli adulti si relazionano alle domande problematiche dei giovani, nell’obiettiva condizione di povertà e abbandono di alcuni, di marginalità e di frammentarietà del vissuto di molti. Il disagio si nutre in sostanza della diffusa crisi delle principali agenzie di socializzazione, quali la famiglia, la scuola, la chiesa, l’associazionismo giovanile.

    Giovani in ricerca

    Siamo di fronte ai giovani, che si presentano fondamentalmente “in ricerca” delle modalità per vivere in pienezza.
    Alcuni si basano su valori umani (amore alla propria famiglia e alla propria terra, rispetto delle regole del gruppo di appartenenza, collaborazione con quelli che condividono le proprie idee...), ma li manifestano in forme non solo non rispettose ma talvolta violente nei riguardi degli altri gruppi e di quelli che hanno altre idee.
    Alcuni si fondono su valori umani (bisogno di vita, di amore, di espansione, di gioia, di libertà, di futuro...), e li manifestano in forme interessate soltanto al proprio successo, indifferenti alle situazioni degli altri, soprattutto dei più deboli.
    Un certo numero vive valori umani (rispetto, giustizia, pace, solidarietà...) e li manifesta in impegni coerenti in campo sociale e civile, ma senza riferimento religioso.
    Molti si presentano con valori umani e un vago ricordo dell’esperienza religiosa, vissuta da piccoli, che in alcuni diventa anche nostalgia dell’esperienza religiosa infantile, che si manifesta nel chiedere in circostanze speciali della vita una presenza esplicitamente religiosa (matrimonio, battesimo dei figli, funerale per i defunti...).
    Vi sono giovani aperti a un certo tipo di partecipazione. Essi sentono il bisogno reale, spesso confuso, di un significato per la propria vita e di valori per motivarne le scelte e le azioni. Sono i giovani e gli adulti del “desiderio”, sensibili agli stimoli religiosi.
    In qualche modo somiglianti a questi, sia pure con accentuazioni diverse, sono i “giovani della pratica religiosa” non motivata, quelli che compiono con regolarità i gesti religiosi richiesti, ma non sempre per viverne la qualità e la pienezza.
    Quello dei “giovani impegnati” è il cerchio più ristretto. Eppure la loro presenza è un vero segno di speranza. Per essi la fede è un dono: è una scoperta, una sorgente e sempre una gioia. In loro la riflessione sul mistero cristiano è continua, lo sforzo di coerenza è permanente e le varie forme di impegno apostolico e socio-politico e le diverse vocazioni, vissute con generosità, danno vita a una appartenenza alla Chiesa sentita e manifesta.

    UN PUNTO DI PARTENZA REALISTICO: DAI PROGETTI AL PROGETTO

    Un tempo le persone di una zona determinata, i fedeli, dalla fanciullezza alla età giovanile vivevano quasi “immersi” in una cultura, che è stile di vita, mentalità, che si ispirava fondamentalmente al Signore Gesù e ai messaggi proposti dalla comunità credente.
    La “parrocchia”, allora, era il luogo, la struttura, in cui andare per curare il cammino di crescita cristiana con un “corso” intensivo, in preparazione alle tappe più significative della vita di fede: la celebrazione dei sacramenti. In questo luogo, struttura, si andava anche per esprimersi nel tempo libero e per far parte di gruppi, che rispondevano agli interessi dei piccoli e dei grandi.
    In questo luogo, struttura, si trovavano anche persone, che proponevano, organizzavano e animavano nel modo più originale e fantasioso, i momenti di formazione, di educazione, di evangelizzazione, di preghiera e celebrazione.
    Era come la “fontana del villaggio” alla quale tutti ricorrevano per la loro sete.
    Oggi il contesto è cambiato. Si sono moltiplicati i luoghi in cui si trovano proposte di tempo libero, di tipo ricreativo, sportivo, turistico, culturale sociale.
    Ogni ragazzo impegna il suo tempo, sostenuto dai genitori ed educatori, anche durante il “corso” di preparazione alla comunione e alla cresima, in molteplici attività. L’ora di catechismo si aggiunge a tutte le ore di scuola, di palestra, di studio della musica, della danza...
    Tanti genitori, desiderosi di far vivere l’esperienza dei sacramenti, si organizzano, per i due anni di preparazione alla comunione e nei tre di preparazione alla cresima, in maniera tale che è un continuo “correre” dalla scuola alla parrocchia, dal corso di catechismo al corso di chitarra o di sport...
    Siamo convinti che c’è da tentare una operazione “dai progetti al progetto base comune”.

    Ogni educatore: un progetto

    È qui, nel “proprio progetto”, nel “mio progetto”, che sta uno dei punti fondamentali da considerare come premessa indispensabile per procedere seriamente a un confronto, a una verifica e a un rilancio.
    Crediamo che sia importante e urgente che, negli incontri di educatori, di catechisti, di persone che intendono sentirsi corresponsabili e non stanno alla ricerca di capri espiatori, si parta con il piede giusto. Il problema di fondo non è che “non c’è un progetto educativo-pastorale”, ma che “non c’è un unico progetto”, anzi che ci sono tanti, troppi progetti. In modo determinante c’è “il mio progetto personale”, “il progetto del mio gruppo”. Infatti ciascuno di noi, per il fatto che vive e che nella sua vita vuole raggiungere certi obiettivi, ha un proprio stile di vita, un proprio metodo, un proprio progetto.
    Anche quelli che dicono di vivere e agire senza un progetto, seguono in realtà un progetto che si riduce alle proprie esperienze e alle proprie idee. È il progetto più pericoloso e ambiguo, perché non ha mai la possibilità di confrontarsi, sia perché non è concordato con alcuno, sia perché non risulta mai scritto.
    È necessario quindi rilevare, con estremo realismo, l’esistenza di più progetti, che possono presentarsi spesso in parallelo, qualche volta divergenti o contrapposti. Questa è l’unica base realistica da cui partire per fare qualche passo in avanti e facilitare il cambio della situazione... verso un progetto unitario.

    Ogni ambiente: un progetto

    Ci sembra utile evidenziare cosa capita nelle diverse agenzie educative che operano sui ragazzi e sui giovani, soprattutto per quanto riguarda l’educazione religiosa. Prendiamo in considerazione la famiglia, la scuola, i mass media e la parrocchia. Sono rapidi flash che non hanno la pretesa di essere completi ed esaustivi, ma di suscitare la riflessione e la discussione.
    La famiglia resta luogo di affetto e di comprensione. Dal punto di vista educativo si presenta come desiderosa della “buona” educazione dei figli e anche della loro educazione religiosa e cristiana. Nella maggioranza dei casi la famiglia si riconosce non preparata nel riguardi sia dell’educazione umana che di quella cristiana, per cui la collaborazione alla realizzazione dell’una e dell’altra risulta scarsa ed episodica. L’impegno di far crescere e maturare una autentica religiosità viene delegata a chi ne sa di più.
    Comunque la famiglia resta ancora un punto positivo, anche soltanto per il rispetto generale delle tradizioni di tipo religioso e la fiducia nella comunità che aiuta ad educare bene i propri figli.
    La scuola si presenta come il luogo dell’istruzione, che contempla nel suo progetto la dimensione religiosa come componente fondamentale, ma poi, per motivi vari, rischia di relegarla a incontro esclusivamente confessionale per coloro che lo chiedono, a un elemento di tipo privato.
    Per il modo come viene portato avanti, anche se con impegno e fantasia, si può definire quindi un insegnamento dalle molte iniziative ed esperienze, che tendono a rispondere alle domande immediate dei ragazzi e a spiegare i fatti che li coinvolgono direttamente e gli avvenimenti che li colpiscono in maniera particolare.
    I mass media, soprattutto la TV con i suoi programmi serali di distensione (films o spettacoli di varietà), visti dai più grandicelli in quanto non costretti ad andare subito a letto, presentano situazioni e modelli di vita improntati all’individualismo e alla ricerca del successo facile; modelli di relazione familiari in cui prevalgono l’infedeltà, la superficialità dei rapporti, la facilità della rottura definitiva; e modelli relazionali in cui il sociale è vissuto come il luogo della competizione, dello scontro, dell’arrivismo e della conflittualità permanente.
    Le trasmissioni di carattere culturale, che possono aiutare a maturare nell’atteggiamento critico di fronte alla società, sono poco seguite anche perché poste in fasce di orario impossibili soprattutto per i ragazzi.
    Anche i luoghi di gioco e di attività sportive, frequentati da tanti ragazzi e giovani, sono gestiti e animati con progetti e da società che hanno finalità non sempre a servizio dei giovani atleti, ma qualche volta di sfruttamento, servendosi dei giovani.

    La parrocchia: più progetti

    Un ambito privilegiato per l’educazione cristiana è la parrocchia, che risulta ancora frequentata da fanciulli e preadolescenti; i più convergono ad essa in vista della preparazione al sacramento della riconciliazione, della comunione e della cresima, alcuni invece per la possibilità di partecipare alla vita di gruppi, che rispondono ai loro interessi. Nella riflessione pastorale sono state ricondotte a tre le componenti fondamentali di una comunità credente: la parola, la preghiera e la diaconia. La parola del Signore viene annunciata prevalentemente negli incontri di catechesi; la preghiera si esprime per lo più nella liturgia eucaristica e nella celebrazione dei sacramenti; la diaconia si manifesta in esperienze di carità e di servizio.
    Nella misura in cui le tre componenti sono tra loro armonizzate si può parlare di un progetto unitario; altrimenti si deve purtroppo parlare di “più” progetti.
    Anche se si constata che ci sono casi positivi di progetti unitari, le parrocchie di fatto si presentano con più progetti di formazione cristiana, il più delle volte in parallelo, qualche volta in contrasto.
    In questi anni l’unica area pastorale che si è mossa incontro ai fanciulli e ai ragazzi è quella catechistica. Di qui il numero grande di giovani e adulti impegnati nella catechesi in funzione prevalentemente della celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana. A loro sono dedicati incontri, convegni, ai vari livelli. Per loro c’è una attenzione e una formazione sistematica anche a livello locale. Sta emergendo una categoria di catechisti-insegnanti che per lo più curano il momento di catechismo, in cui l’obiettivo primo è di tipo conoscitivo. Alcuni curano l’integrazione tra fede e vita, partendo dalla vita dei fanciulli e dei ragazzi, facendoli incontrare con il Signore Gesù, nella sua vita e nei suoi testimoni, e ritornando alla vita di tutti i giorni, da vivere in maniera sempre nuova. Pochi possono inserirsi nella programmazione e nella animazione della liturgia e della carità.
    L’area liturgica, dopo i primi sprazzi di luce e l’entusiasmo nella ristrutturazione degli spazi e nella traduzione in lingua italiana dei testi, si è bloccata. Anche se i ragazzi sono impegnati nelle celebrazioni eucaristiche in determinati momenti (il canto, il servizio all’altare, le letture, la preghiera dei fedeli) risultano ancora spettatori. Il loro è un servizio di tipo funzionale e si nota chiaramente che la celebrazione procede con criteri propri: gli interventi del sacerdote risultano generalmente al di fuori della vita dei ragazzi, il linguaggio (parole e gesti) è poco familiare e talvolta anche incomprensibile.
    La terza area, quella della diaconia o servizio, solo in questi ultimi anni comincia a svilupparsi soprattutto con la presenza attiva in ogni chiesa locale della Caritas e per l’impegno di molti giovani nel volontariato, che resta una delle esperienze più significative per incidere anche sul rinnovamento della società.
    Per la maggioranza dei fanciulli e dei ragazzi queste esperienze sono lontane (roba da adulti), sporadiche (giornate particolari per...), episodiche (una visita ai vecchietti...).

    UNA ESIGENZA: NUOVI EDUCATORI PER UNA SITUAZIONE DI PLURALISMO

    Nuovi educatori

    In una situazione di pluralismo pastorale in cui convivono proposte e modelli differenti, alcuni più riusciti ed equilibrati, altri non privi di unilateralità e di carenze, c’è bisogno di nuovi educatori.
    Anzitutto di educatori con una capacità di accoglienza della “diversità” dei progetti.
    La varietà delle strutture, nelle quali in modi diversi la comunità credente è presente per educare fanciulli, ragazzi e giovani all’incontro con Gesù Cristo, va vista come una ricchezza e un dono dello Spirito, che si manifesta ed educa in modo imprevedibile. Il pluralismo delle istituzioni educative, sotto questo profilo, va favorito.
    Abbiamo costatato che c’è anche un pluralismo progettuale all’interno della stessa istituzione educativo-pastorale. In questa situazione c’è bisogno di nuovi educatori, coscienti di avere una propria identità progettuale e di essere “una” voce all’interno di un complesso educativo e pastorale; capaci di cogliere con diligenza gli elementi positivi di ogni persona, di ogni proposta e di ogni ambiente; capaci di accogliere con amore le intuizioni più significative degli altri, anche “diversi”, senza pregiudizi e presunzioni; disponibili a collaborare “perché il vero e il bello maturi ovunque e da chiunque proposto”.

    Educatori con un progetto di base comune

    È stato riconsegnato autorevolmente il testo Il rinnovamento della catechesi che si presenta come il Documento Base, dal quale far emergere le linee fondamentali del progetto educativo-pastorale della Chiesa italiana, maturato in questi anni del post-concilio.
    Un progetto, ed è bene richiamarlo e tenerlo sempre presente alla mente, non piovuto dall’alto o stilato da uno studioso lontano dalla realtà pastorale, ma maturato con l’apporto di tanti operatori pastorali che prima di noi e con noi hanno affrontato i problemi dell’evangelizzazione e della educazione alla fede dei giovani.
    È stato scritto che “la riconsegna... vuole essere innanzitutto una riaffermazione della sua validità e delle sue opzioni di fondo”.
    Siamo convinti che, essendo stato intitolato “Il rinnovamento dalle catechesi”, ha portato a una interpretazione riduttiva. Infatti è ancora considerato uno strumento utile per i catechisti in senso stretto, non per gli altri operatori pastorali, tanto che la maggioranza non lo conosce, e chi lo conosce non lo considera “il documento base” del suo impegno educativo e pastorale.
    Sarebbe un punto di partenza formidabile se tutti gli operatori pastorali, in ogni ambito di azione e di vita della comunità credente, lo considerassero effettivamente il loro comune documento-base: un punto di riferimento insostituibile quindi non solo della catechesi, ma di tutta la pastorale. Infatti “là dove esso è divenuto oggetto di studio e di applicazione paziente, si è avviato un processo di rinnovamento capace di incidere, in modo positivo non soltanto sulla catechesi, ma su tutta l’azione pastorale della comunità”.

    Educatori con una nuova capacità di progetto unitario

    Siamo in presenza di un cambiamento complesso e di vaste proporzioni, che si ripercuote nelle esperienze di fede e nella situazione ecclesiale. La gravità e l’urgenza di tali problemi chiamano direttamente in causa la comunità ecclesiale nel suo specifico ruolo missionario.
    Si impone una nuova capacità di progetto che offra un efficace campo di accoglienza e di attuazione alle opzioni catechistiche e pastorali del Documento Base, che “guida la comunità a prendere coscienza che la catechesi, mentre mantiene un suo ambito specifico di azione, non deve essere isolata nel cammino pastorale, ma inserita in un piano organico”. “Tale piano, che ogni comunità deve darsi, comprende in una visione globale lo sviluppo unitario della pastorale catechistica, liturgica e caritativa”.
    Tutta la pastorale quindi deve assumere un taglio più marcatamente missionario, quello cioè di essere accanto alla gente, tenendo presenti le loro reali situazioni di vita e le loro esigenze di fede. “Di qui la necessità di avviare itinerari di fede sistematici e differenziati, non accontentandosi di incontri occasionali o di massa, ma puntando su progetti educativi e catechistici più personalizzati”.
    L’esigenza è chiara e sentita da molti; la realizzazione è possibile se si fa propria la scelta di fondo del Documento Base.

    Alcune convinzioni

    All’incontro di Dio nel giovane.

    L’educatore è consapevole che impegnandosi per la salvezza della gioventù fa esperienza della paternità di Dio, che previene ogni creatura, l’accompagna con la sua presenza e la salva donando la vita. Per questo il “credo dell’animatore” suona come segue.
    Noi crediamo che Dio ama i giovani: questa è la fede che sta all’origine della nostra vocazione, e che motiva la nostra vita e tutte le nostre attività pastorali.
    Noi crediamo che Gesù vuole condividere la “sua vita” con i giovani: essi sono la speranza di un futuro nuovo e portano in sé, nascosti nelle loro attese, i semi del Regno.
    Noi crediamo che lo Spirito si fa presente nei giovani e che per mezzo loro vuole edificare una più autentica comunità umana e cristiana. Egli è già all’opera, nei singoli e nei gruppi. Ha affidato loro un compito profetico da svolgere nel mondo che è anche il mondo di tutti noi.
    Noi crediamo che Dio ci sta attendendo nei giovani per offrirci la grazia dell’incontro con Lui e per disporci a servirlo in loro, riconoscendone la dignità ed educandoli alla pienezza della vita.
    Il momento educativo diviene, così, il luogo privilegiato del nostro incontro con Lui.
    In forza di questa grazia nessun giovane può essere escluso dalla nostra speranza e dalla nostra azione, soprattutto se soffre l’esperienza della povertà, della sconfitta e del peccato. Noi siamo certi che in ciascuno di essi Dio ha posto il germe della sua “vita nuova”.
    Questo ci spinge a renderli coscienti di tale dono e a faticare con loro, perché sviluppino la vita in pienezza. Quando la dedizione sembra non raggiungere il suo scopo, noi continuiamo a credere che Dio precede la nostra sofferenza come il Dio della speranza e della salvezza.

    Farsi prossimi ai giovani.

    Il nostro impegno di educazione dei giovani alla fede si imbatte sovente in un ostacolo: molti giovani non sono raggiunti né dal nostro messaggio né dalla nostra testimonianza. Rimane tra noi e la maggior parte di loro una distanza che spesso è fisica, ma che è soprattutto psicologica e culturale. Eliminare la distanze tra noi e loro, farsi prossimi, accostarsi a loro è dunque per noi il primo passo.
    Andare ed incontrare i giovani dove si trovano, accoglierli disinteressatamente e con premura tra noi, metterci in attento ascolto delle loro domande e aspirazioni sono per noi scelte fondamentali che precedono qualsiasi altro passo di educazione alla fede.
    Il cammino di educazione alla fede inizia col valorizzare il patrimonio che ogni giovane ha in sé, e che un vero educatore con intelligenza e pazienza saprà scoprire. Egli utilizzerà opportunamente la ragione e la sua sensibilità pastorale per scoprire il desiderio di Dio a volte sepolto, ma non del tutto scomparso dal cuore del giovane. Metterà in gioco la sua carica di comprensione e di affetto, studiando di “farsi amare”.
    L’accoglienza genera, poi, una circolazione di reciproca amicizia, stima e responsabilità, al punto da suscitare nel giovane la consapevolezza che la sua persona ha un valore e un significato che oltrepassa quanto egli stesso aveva immaginato. E questo mette in azione ogni sua migliore energia.

    Orientare alla fede in situazione.

    Un incontro significativo o l’accoglienza cordiale in un ambiente divengono momenti di inizio di un cammino “verso” la fede o di un ulteriore itinerario “di” fede. Si mette allora alla prova il cuore dell’educatore, la sua personale esperienza di fede in Gesù Cristo e la sua capacità pedagogica.
    Nell’orientare verso la fede, lo stile della comunità si muove secondo alcuni criteri.
    Il processo educativo, in cui ci si impegna per la promozione totale della persona, è lo spazio privilegiato dove la fede viene proposta ai giovani. Questo orientamento è decisivo per definire le caratteristiche e i contenuti del cammino. In esso si valorizzano non solo i momenti “religiosi”, ma anche quanto si riferisce alla crescita della persona fino alla sua maturità.
    La vita dei giovani è insieme punto obbligato da cui partire per un cammino di fede, continuo riferimento nel suo svilupparsi e punto di arrivo del cammino stesso, una volta che essa sia stata trasformata e avviata alla pienezza in Gesù Cristo.

    Un cammino educativo

    Si tratta di un cammino “educativo”, che prende i giovani nella situazione in cui si trovano e si impegna a sostenerli e orientarli a compiere i passi verso la pienezza di umanità a loro possibile.
    È dunque percorribile anche in quelle situazioni in cui l’annuncio esplicito di Cristo risulta difficile, impraticabile, o dove sono ancora da creare le condizioni minime perché sia ascoltato. In simile stato di precarietà il riferimento al Vangelo fa da ispiratore, indicando valori umani autentici, e dando fiducia alla sofferta e silenziosa testimonianza degli educatori.
    Proprio in forza di questa logica il cammino pone al centro dell’attenzione alcuni aspetti.
    Il cammino si adegua a coloro che devono incominciare la scelta educativa di privilegiare i più poveri: è la condizione previa per dialogare con tutti, anche con quelli che sono meno informati sull’“evento” cristiano. Il linguaggio facile e immediato, un ambiente accogliente e lo stile di rapporto familiare rendono accessibile il mistero salvifico e si trasformano in buona notizia e invito per quanti sono lontani.
    Il cammino procede sempre verso ulteriori traguardi. Si apre fino a quegli orizzonti di donazione e di santità che lo Spirito sa svelare ai giovani.
    La missione educativo-pastorale risulterà quindi carente tutte le volte che non saremo capaci di scorgere nei nostri ambienti questo dono posto da Dio, o non ci troveremo preparati a sostenere una risposta generosa.
    Il cammino richiede una terza sensibilità: prendere atto che ogni giovane ha un suo passo, diverso dal passo degli altri, che gli esiti delle tappe non sono uguali per tutti e che, quindi, il percorso va adeguato ad ogni singolo caso. Se la fede è dialogo d’amore di Dio e con Dio, se è un’alleanza da Dio proposta nella concretezza della vita, allora non esistono “clichés” che si possano ripetere.
    Gli educatori, costituiti dalla iniziativa dello Spirito amici di Dio e dei giovani, si impegnano a prevenire, favorire, seguire le loro parole e i loro gesti.
    Anche i fallimenti educativi possono essere esperienza di ogni cammino. Non li consideriamo fatti accidentali o dimensioni estranee al processo educativo. Ne sono parte integrante e vanno assunti con atteggiamento di comprensione. Sono, in alcuni casi, conseguenza delle gravi condizioni in cui si trovano a vivere certi giovani.
    Da tutto questo risulta evidente che il cammino deve essere pensato come unico, perché unica è la meta cui è orientato, uniche le indicazioni legate alla natura della fede, e sono costanti alcune caratteristiche dell’esperienza giovanile. Ma non è difficile comprendere che il cammino deve progressivamente determinarsi in itinerari particolari, commisurati sui giovani che lo percorrono. Gli itinerari si presentano appunto come determinazioni più dettagliate di esperienze, contenuti e traguardi, a seconda dei giovani e delle situazioni particolari.
    Vi è un aspetto da non trascurare: è la comunità educativa, composta di giovani e adulti insieme. Essa è il soggetto che percorre il cammino “verso” la fede e “di” fede. Non si possono fare distinzioni del tipo: i giovani sono i “destinatari” della proposta, mentre gli adulti sono da ritenere solo elaboratori tecnici e autorevoli della medesima. Una simile prospettiva riporterebbe tutto il discorso nell’ambito dei servizi professionali, staccati dalla vita. San Paolo ci ricorda come alla fede noi veniamo generati (cf Gal 4,19).
    Il cammino è unico e coinvolgente, sempre. Anche se esso interpella ogni singola persona in ordine alle sue specifiche responsabilità di fronte a Dio, la proposta però è sostenuta da tutti coloro che riconoscono in Gesù il fondamento e il senso della vita.
    Nella comunità educativo-pastorale tutte le persone, siano esse impegnate in compiti di educazione e sviluppo umano o più esplicitamente sul versante del discorso di fede, sono “educatori dei giovani alla fede”. La loro gioia più grande è comunicare ad essi le incommensurabili ricchezze di Cristo. Tutte le risorse e le attività devono concorrere per servire la stessa persona, aiutandola a crescere verso la vita e verso l’incontro con il Signore risorto.

    UN PROGETTO DI BASE COMUNE

    Il Documento Base indica autorevolmente la strada su cui camminare e fa la scelta di una pastorale di Incarnazione, sia nella sua fondazione cristologica che nelle conseguenze antropologiche e metodologiche. La scelta del principio dell’Incarnazione ha significato caratterizzante. Da questa grande scelta sono state qualificate e armonizzate tutte le altre.

    Il principio dell’Incarnazione

    Il principio dell’Incarnazione offre la piattaforma di riflessione, capace di unificare le tensioni che attraversano ogni progetto pastorale che voglia conservare contemporaneamente fedeltà a Dio e fedeltà all’uomo. “Fedeltà a Dio e fedeltà all’uomo: non si tratta di due preoccupazioni diverse, bensì di un unico atteggiamento spirituale, che porta la Chiesa a scegliere le vie più adatte, per esercitare la sua mediazione tra Dio e gli uomini. È l’atteggiamento della carità di Cristo, Verbo di Dio fatto carne” (RdC 160).
    Il 6 gennaio 2001 il Papa indica elementi di riflessione per una proposta di educazione alla fede a partire dal principio di Incarnazione nel documento “Novo Millennio Ineunte”.
    È soprattutto nel concreto di ciascuna Chiesa che il mistero dell’unico popolo di Dio assume quella speciale configurazione che lo rende aderente ai singoli contesti e culture. Questo radicarsi della Chiesa nel tempo e nello spazio riflette, in ultima analisi, il movimento stesso dell’Incarnazione. Ogni comunità deve compiere una verifica del suo fervore e recuperare nuovo slancio per il suo impegno spirituale e pastorale, perché la Chiesa risplenda sempre di più nella varietà dei suoi doni e nell’unità del suo cammino (cf n. 3).
    Gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti di oggi non solo di “parlare” di Cristo, ma in certo senso di farlo loro “vedere” (cf n. 16).
    È l’ora di una nuova “fantasia della carità”. L’annuncio del Vangelo, che pur è la prima carità, rischia di essere incompreso o di affogare in quel mare di parole a cui l’odierna società della comunicazione quotidianamente ci espone. La carità delle opere assicura una forza inequivocabile alla carità delle parole (cf n. 50).

    La meta: un giovane orientato positivamente a Cristo

    Ogni tracciato di cammino è sempre definito da dove si vuol giungere, dalla meta.
    Dobbiamo aver chiarito quale sia il tipo di uomo e di credente che deve essere promosso nelle concrete circostanze della nostra vita e della nostra società. In questo ci aiuta il “Documento di base”.
    La meta che il cammino propone al ragazzo è quella di costruire la propria personalità, avendo Cristo come riferimento sul piano della mentalità e della vita. “Cristiano è chi ha scelto Cristo e lo segue” (RdC 57). È un riferimento che, facendosi progressivamente esplicito e interiorizzato, lo aiuterà “a vedere la storia come Cristo, a giudicare la vita come Lui, a scegliere e ad amare come Lui, a sperare come insegna Lui, a vivere in Lui la comunione con il Padre e lo Spirito Santo” (RdC 38). La vita di Gesù diventa “agevolmente motivo e criterio per tutte le valutazioni e le scelte della vita” (RdC 52).
    Per conseguenza maturano e diventano connaturali quegli atteggiamenti umani che portano ad aprirsi sinceramente alla verità, a rispettare ed amare le persone, ad esprimere la propria libertà nella donazione e nel servizio. È l’esercizio della fede, della speranza e della carità come stile di vita (cf RdC 53).

    Il centro vivo è Gesù Cristo

    Il Documento Base ha il merito di ricondurre il contenuto della pastorale alla sua espressione più originale, concentrata nell’annuncio di Gesù Cristo.
    Ci ricorda che per raggiungere una matura mentalità di fede è indispensabile ordinare il messaggio “attorno a un centro vivo, ben assimilato e operante”. Proclama che il centro vivo e organico della fede è Gesù Cristo. “Cristiano è chi ha scelto Cristo e lo segue”. Mette in risalto la portata pastorale di questa scelta. “Scegliendo Gesù Cristo come centro vivo, la catechesi (e possiamo dire la pastorale) non intende proporre semplicemente un nucleo essenziale di verità da credere; ma intende soprattutto far accogliere la sua persona vivente, nella pienezza della sua umanità e divinità”.
    Non quindi un insieme di verità da conoscere, ma una persona vivente per cui impegnarsi. Per cui “evangelizzare Gesù significa anzitutto presentarlo nella sua esistenza concreta e nel suo messaggio, quale fu trasmesso dagli Apostoli e dalle prime comunità. Egli appare come l’Uomo perfetto, che “ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo” (RdC 59).
    Ci sono indicati gli elementi di fondo di un cammino per incontrare personalmente Gesù Cristo. “La catechesi deve introdurre i credenti nella pienezza dell’umanità di Cristo per farli entrare nella pienezza della sua divinità. Lo può fare in molti modi, muovendo da premesse e da esperienze diverse, seguendo metodi diversi, secondo l’età, le attitudini, la cultura, la problematica, le angosce e le speranze di chi ascolta. La catechesi mette particolarmente in luce i lineamenti della personalità di Gesù Cristo che meglio lo rivelano all’uomo del nostro tempo” (RdC 60). La conseguenza che ne scaturisce dal punto di vista contenutistico e metodologico è che bisogna sempre “muovere dai problemi umani”.
    “Chiunque voglia fare all’uomo d’oggi un discorso efficace su Dio, deve muovere dai problemi umani e tenerli sempre presenti nell’esporre il messaggio. È questa, del resto, esigenza intrinseca per ogni discorso cristiano su Dio. Il Dio della Rivelazione, infatti, è il Dio con noi, il Dio che chiama, che salva e dà senso alla nostra vita” (RdC 77).
    Con questa affermazione il principio teologico dell’Incarnazione giunge alle conseguenze pastorali più concrete: la scelta antropologica.

    Aspetti della maturazione cristiana

    Il cammino di educazione alla fede è pensato come progressiva crescita verso la meta proposta e ci si deve impegnare perciò su quattro grandi aspetti o dimensioni della maturazione cristiana.
    Ogni credente cresce in umanità, assumendo la vita come “esperienza religiosa”. Ha come modello di riferimento Gesù di Nazaret, e l’incontro con Gesù, l’uomo perfetto, gli fa scoprire il senso dell’esistenza umana. Si inserisce progressivamente nella comunità dei credenti, colta come “segno e strumento” della salvezza e luogo dove celebrare la vita nel Signore e in cui si assumono impegni e si fanno scelte vocazionali nella linea della crescita della comunità e della trasformazione del mondo.
    Le dimensioni assumono quello che l’uomo stima come vero valore e intendono deporvi il seme della fede come compimento e senso ultimo. Vogliono, nell’insieme, presentare il regno inserito nel cuore della storia (la grande storia del mondo o la piccola storia personale) e i veri credenti quali chiamati dall’amore di Dio ad impegnarsi nella lievitazione della storia umana.
    L’educazione alla fede viene dunque pensata come umanizzazione, senso della vita, scelta di valori e impegno ecclesiale e sociale. La scelta non risponde a una semplice opzione metodologica, bensì alla consapevolezza di dover promuovere lo sviluppo delle diverse dimensioni dell’unico progetto salvifico, in cui Dio, in Gesù Cristo, viene incontro agli uomini rispettando, liberando e promuovendo le loro potenzialità e i loro ritmi di crescita, e accogliendo la varietà delle loro condizioni sociali e culturali secondo la sua sapiente pedagogia.

    Un cammino di educazione

    Verso la maturità umana.

    A partire dall’ammirevole armonia di grazia e di natura così significativamente manifestata nella persona di tanti educatori credenti, è facile comprendere che la fede richiama la vita, e la vita, riconosciuta nel suo valore, sente, in certa maniera, il bisogno della fede. In forza della grazia non c’è frattura ma continuità tra creazione e redenzione.
    Per meglio decifrare problemi ed elaborare proposte giuste in questa prima area, l’educatore alla fede si serve anche delle scienze dell’educazione, utilizzandole con quella sapienza che lo sguardo della fede stessa gli suggerisce. Il panorama dei modelli educativi si presenta intricato. L’educatore alla fede sceglie e organizza i suoi interventi con lo sguardo fisso all’immagine di uomo di cui percepisce il riflesso contemplando il mistero di Dio presente in Gesù di Nazareth.
    L’uomo maturo è quello che ascolta con attenzione gli interrogativi che la propria vita e il mondo propongono; quello che coglie il mistero che li avvolge e ne ricerca il significato mediante la riflessione e l’impegno.
    In questa prospettiva sono presentate alcune mete da raggiungere (e indirettamente qualche esperienza da proporre):
    – accogliere la vita, accettare se stessi ed aprirsi agli altri, riconoscendo il loro valore, accogliendo la loro diversità e accettando i loro limiti;
    – far emergere le aspirazioni profonde, vivendo esperienze arricchenti di donazione, protagonismo, contemplazione della natura o della verità, momenti di realizzazione. Anche le esperienze del limite aiutano a crescere e maturare interiormente;
    – scoprire il senso della vita e ricercare il suo significato ultimo e anelare al trascendente. Si compie un’esperienza umana matura, che è anche un’esperienza “religiosa”, perché la persona arriva ad immergersi nel progetto di Dio.

    Verso l’incontro autentico con Gesù Cristo.

    Il servizio di educatori alla fede non può certo arrestarsi al livello della crescita umana, anche se cristianamente ispirata.
    L’educazione alla fede chiede di proseguire verso il confronto e l’accettazione di un evento rivelato: la vita dell’uomo raggiunge la sua pienezza solo in Gesù Cristo. “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Ma l’incontro con Gesù non è un incontro “qualunque”. L’educazione alla fede cerca questo: di prepararlo, di offrirlo, di approfondirlo perché sia un incontro personale nella fede. È un incontro che avviene nella testimonianza di vita, e quest’area è fortemente centrata sulla testimonianza dei cristiani. A sollecitare e a sostenere l’incontro di fede con Gesù Cristo si esige la vita vissuta di una comunità credente e la sua interpretazione mediante la parola della fede.
    Nelle strutture in cui si opera si verificano a volte degli insuccessi, perché ci si affatica a trasmettere in maniera impersonale formule di fede che, sganciate dalla loro efficacia per la vita, risultano del tutto incomprensibili. La fede è ricercata e desiderata, quando le persone si incontrano con un’autentica esperienza evangelica.
    Ecco alcuni traguardi a cui tendere progressivamente, perché l’incontro con Gesù Cristo superi la sola curiosità e si trasformi in un incontro nella fede:
    – far percepire i segni di Cristo, la sua presenza nella comunità credente e la sua incidenza nella storia umana, non solo con gesti religiosi, ma con la disponibilità per un dialogo con ogni persona e la capacità di impegnarsi per la salvezza dei poveri;
    – esplicitare la testimonianza con l’annuncio di Gesù, della sua vicenda umano-divina e degli insegnamenti da lui proclamati, facendoli sperimentare come “buona novella” per la vita quotidiana;
    – scoprire la presenza di Cristo nella propria vita come chiave di felicità e di senso, sperimentando che la sua parola è aperta ai problemi delle persone, risponde alle loro domande, potenzia e valorizza i loro valori, dà soddisfazione alle loro aspirazioni;
    – rielaborare la propria visione della vita e viverla in modo nuovo, condividendo quella che fu la passione di Gesù: il regno di Dio;
    – riconoscere la presenza e l’amore del Padre e crescere nell’atteggiamento filiale verso di Lui.

    Verso una intensa appartenenza ecclesiale.

    L’incontro con Gesù Cristo nella fede ha nella Chiesa il suo luogo privilegiato. L’obiettivo finale di questo percorso si propone di aiutare i battezzati, giovani e adulti, a vivere l’esperienza della Chiesa, maturando così il senso di appartenenza alla comunità cristiana. Si è nella Chiesa in progressiva crescita di appartenenza.
    L’appartenenza dei battezzati alla Chiesa non giunge immediatamente a maturità. Se non viene intesa bene dagli educatori e non viene curata saggiamente, rimane allo stato di simpatia generica, di adesione esterna, di prudente distanza e autonomia.
    L’appartenenza ecclesiale può maturare come adesione del cuore e della mente, soltanto se la Chiesa viene percepita come comunione con Dio e con gli uomini nella fede e nella carità, come segno e strumento del Regno.
    Soltanto se si percepisce la Chiesa centrata sulle persone, la persona di Gesù Cristo, quelle dei credenti e quelle degli uomini da salvare più che sull’organizzazione o sulla legislazione, essa potrà provocare una decisione di fede.
    Anche sotto questo aspetto vi sono atteggiamenti, contenuti ed esperienze che definiscono un cammino:
    – prendere atto del bisogno che si ha di amicizia e di rapporti interpersonali profondi, di partecipazione e solidarietà; far emergere il senso della festa, il gusto dello stare assieme;
    – sperimentare la gioia del condividere in gruppo, aprirsi alla comunicazione e alla responsabilità in un clima di reciproca fiducia, imparando così la comprensione e il perdono;
    – inserire ogni esperienza di gruppo nella più ampia comunità educativa e cristiana, impegnata in un progetto comune, facendo esperienza concreta di Chiesa;
    – partecipare alla pastorale organica della Chiesa, valorizzando gli insegnamenti del Papa e del Vescovo e riconoscendo la loro missione di unità e di guida;
    – vivere la vita della comunità cristiana ed assumere vere responsabilità, che stimolano alla creatività e all’impegno;
    – vivere la celebrazione della salvezza, educando alla celebrazione, alla preghiera, all’ascolto della Parola di Dio, e vivendo la Chiesa come mediazione per conformarsi a Cristo nel pensiero e nella vita, soprattutto nei sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione;
    – vivere i momenti dell’iniziazione cristiana e la preparazione ai sacramenti dell’impegno come cammino di educazione alla fede.

    Verso un impegno per il “regno”.

    Nella pedagogia cristiana la scelta vocazionale è l’esito maturo e indispensabile di ogni crescita umana e cristiana. Si è impegnati ad educare ogni persona, soprattutto i giovani, a sviluppare la propria vocazione umana e battesimale con una vita quotidiana progressivamente ispirata e unificata dal Vangelo.
    La fede impegna per la causa del “regno”. La vocazione cristiana si comprende soltanto facendo riferimento al “regno”, che è insieme dono di Dio e fatica dell’uomo. Dio ne è il protagonista. Egli vuole la vita e la felicità dell’uomo e realizza questa sua volontà in molti modi differenti. L’uomo è invitato ad accogliere questo dono con disponibilità totale e a scommettere la propria vita per il progetto di Dio, che si realizza con il proprio apporto “vocazionale”, vissuto come “fedele” cristiano: laico, consacrato e ministro ordinato.
    L’impegno vocazionale diventerà in tutti anche responsabilità familiare, professionale, sociale e politica. L’obiettivo di quest’area è aiutare ogni credente a scoprire il proprio posto nella costruzione del “regno” e ad assumerlo con gioia e decisione.
    Per giungere a questo traguardo, si possono immaginare alcuni passi come tappe di un cammino:
    – far emergere il positivo di ogni persona, attraverso il paziente lavoro di attenzione a se stessi, di confronto con gli altri, di ascolto e di riflessione;
    – comunicare con gioia se stessi e condividere i propri doni, allenandosi alla generosità e alla disponibilità;
    – far vedere qual è la vocazione di tutti e quali sono le diverse forme di servizio del “regno”, conoscendo gli impegni attuali della comunità, in particolare quelli più difficili e significativi;
    – far opera di discernimento, riconoscendo sempre più l’opera e l’iniziativa del Signore, sapendo che ogni vocazione coinvolge tutta la persona: le sue preferenze, i suoi rapporti, le sue energie e i suoi dinamismi;
    – orientare i ragazzi e i giovani verso una prima scelta vocazionale, che si individua considerando le inclinazioni spontanee, i bisogni degli altri, le possibilità di poter rispondere.
    Piuttosto che su un lavoro da fare, religioso o profano, egli si concentrerà su un senso singolare da dare all’esistenza: fare di essa una confessione del valore assoluto di Dio e una risposta al suo amore.

    UNA COMUNITÀ EDUCATIVA PASTORALE

    Uno stile di carità pastorale

    L’impegno di educare per un credente si presenta come una attività chiaramente “pastorale”. Questo significa che l’educatore cristiano pone al vertice delle sue preoccupazioni, e quindi del suo stesso interesse, anche per i più piccoli, la loro educazione alla fede. La spinta “pastorale” dell’impegno di educazione alla fede porta a unire tra loro l’educazione e l’evangelizzazione. L’educatore cristiano esclude, di fatto, nella sua attività educativa e pastorale una qualsiasi dissociazione tra educazione ed evangelizzazione
    Si è convinti che educazione ed evangelizzazione sono attività distinte nel loro ordine. Sono però strettamente connesse sul piano pratico dell’esistenza. È la persona che vive, cresce e matura in senso umano e cristiano. La comunità educa ed evangelizza secondo un progetto di promozione integrale dell’uomo, orientato positivamente a Cristo, uomo perfetto.
    Si può indicare e descrivere la sua azione apostolica dicendo che è impegnata a “educare evangelizzando ed evangelizzare educando”.

    Educare “evangelizzando”.

    Educare evangelizzando vuol dire far crescere l’uomo completo, integrale, con un modello: Gesù di Nazaret. Vuol dire che il processo educativo con i suoi contenuti e con la sua metodolgoia ha un orientamento chiaro e positivo.
    L’arte educativa è “pastorale”, non solo nel senso che da parte dell’educatore nasce ed è alimentata esplicitamente e quotidianamente dalla carità apostolica, ma anche nel senso che tutto il processo educativo, con i suoi contenuti e con le sue metodologie, è orientato al fine di incontrare il Signore Gesù e vivere in pienezza la propria vita. Comporta l’impegno assai più convinto e profondo di aprirsi ai valori del Vangelo, educarsi al pensiero di Cristo, a vedere la storia come lui, a giudicare la vita come lui, a scegliere e ad amare come lui, a sperare come insegna lui, a vivere in lui la comunione con il Padre e lo Spirito Santo.
    La pedagogia cristiana intende proporre una educazione situata realisticamente al di dentro della vita concreta e integrale dell’uomo, soprattutto il giovane, come un’arte pratica per imparare a crescere in pienezza.
    “Educare evangelizzando” significa “raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo, i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza” (EN 19).

    Evangelizzare “educando”.

    Evangelizzare educando significa annunciare Gesù come Salvatore, far crescere l’uomo credente in Cristo, tenendo presente la sua situazione di vita e l’ambiente in cui sta crescendo. Vuol dire che il cammino di educazione alla fede con i suoi contenuti fondamentali sceglie una modalità che esprime attenzione e rispetto dei valori umani, che lega profondamente il Vangelo con la cultura dell’ambiente, che ha soprattutto il senso realista della gradualità e della progressività.
    Così la pastorale non si riduce mai a sola catechesi o a sola liturgia, ma spazia in tutti i concreti impegni di carattere educativo e culturale della vita, soprattutto dei ragazzi e dei giovani. L’azione pastorale si situa all’interno del processo di promozione umana, con un senso critico delle sue deficienze, ma anche con una visione globalmente ottimista della maturazione umana, nella convinzione che il vangelo deve essere seminato nelle situazioni di vita concreta per portare i credenti, giovani e adulti, ad impegnarsi generosamente nella comunità credente, nella società e nella storia.
    Si opera con il senso realista della gradualità. Imitando la pazienza di Dio, si incontrano le persone al punto in cui si trova la loro libertà e la loro fede. Occorre quindi moltiplicare gli sforzi per illuminarle e stimolarle rispettando il delicato processo della fede. L’arte educativa tende a far sì che ogni persona sia progressivamente responsabile della propria formazione e della propria vita.
    È un processo pedagogico che tiene conto di tutti i dinamismi umani e crea nelle persone, giovani e adulti, le condizioni di accettazione per una risposta cosciente e libera. L’impegno di evangelizzare educando richiede particolari esigenze per una sua realizzazione autentica e completa: l’essere dei veri educatori ed evangelizzatori come persone e come comunità; considerare il mondo della cultura con i suoi valori, le sue istituzioni e le sue scienze come l’ambiente in cui realizzare la missione pastorale.

    Credere che tutti i momenti della vita sono importanti.

    Per la spiritualità cristiana, basata sul movimento dell’Incarnazione di Dio in Gesù, fatto sconvolgente nella storia dell’umanità, tutti i momenti della vita sono importanti perché rispondono in modi diversi alle esigenze e ai bisogni fondamentali di crescita sul piano fisico, sul piano intellettuale, affettivo e sociale e sul piano spirituale e religioso.

    Una dinamica: dalla vita... a confronto con il Signore della vita… alla vita.

    Ogni momento della giornata, anche se limitato nel tempo (per esempio, stare insieme in famiglia, giocare e riflettere insieme, un incontro con gli amici, un allenamento, una celebrazione...) viene sempre vissuto ed animato con una dinamica basata su tre passaggi:
    – dalla vita: si parte sempre tenendo presente ciò che si sta facendo e vivendo, quanto si sta sperimentando. Cioè si parte sempre dalla vita, fatta anche di piccole cose, che non sempre sono condivise da tutti, ma sempre sono fondamento di quel che diciamo e facciamo;
    – a confronto: poi ci si confronta con un patrimonio di vita, quanto ha fatto e detto Gesù, le esperienze di altri, che prima di noi hanno affrontato gli stessi problemi e li hanno risolti in modi vari, alcuni più riusciti altri meno. Punto fondamentale su cui poggia questo confronto è la persona dell’adulto, del genitore e dell’educatore, che ha il compito di inserire la situazione presa in considerazione in una storia che viene da molto lontano e di cui è narratore entusiasta.
    È importante stimolare le persone a scoprire in se stessi capacità e potenzialità non ancora completamente conosciute e riconosciute e che sono doni da valorizzare;
    – alla vita: infine si ritorna alla vita, ad altri momenti della giornata, ma con più convinzioni e motivazioni, con una carica in più che favorisce incontri, riflessioni ed esperienze da vivere con più coscienza e partecipazione.

    Un compito: tradurre per fasce di età

    Una qualsiasi crescita è però impensabile se la proposta non viene assunta dal soggetto: il giovane. I contenuti di ogni singola area non sono “lezioni” offerte dall’esterno, o materiali da lavorare. Sono invece maturazioni che avvengono nella persona in forza delle sue scelte. Va allora prestata molta attenzione al soggetto perché ogni proposta sia debitamente interiorizzata.
    La traccia di cammino che è proposto va effettivamente e dinamicamente percorso e attuato nella prassi.
    Il problema sta nel “come”, trattandosi di applicarlo a diverse fasce di età, che hanno esigenze diverse: dai fanciulli della prima comunione, ai ragazzi della cresima, agli adolescenti e ai giovani.
    Certo, la messa in opera di un itinerario pensato e organico richiede tutta la nostra passione educativa, non risparmia nessuna fatica del viaggio, non sostituisce la forza d’animo, il senso di responsabilità, l’attenzione alle sollecitazioni dello Spirito, la fiducia nel dono che riceviamo nei fanciulli, nei ragazzi e giovani che si rivolgono a noi, testimoni ed educatori alla fede.
    Come abbiamo più volte constatato, si può correre il rischio di fare esperienze molto belle e interessanti (basti pensare a quanto si realizza nella preparazione e nella festa della prima riconciliazione, della prima comunione e della cresima...) quasi fossero delle parentesi della vita, anche se allungate per più anni.
    C’è bisogno di un cammino di educazione alla fede, nella speranza e nella carità, che sia condiviso e assunto da ogni operatore pastorale, e indicato, almeno per quelle parti che sono considerate valori comuni, anche agli educatori nelle strutture civili.
    Da parte degli operatori pastorali, catechisti, educatori, animatori e responsabili... deve essere curato un cammino educativo, che si propone di iniziare e progressivamente di sviluppare la conoscenza e l’accoglienza della fede, che si nutre della parola del Signore, si apre alla celebrazione sacramentale, si qualifica al servizio della comunità.
    È necessario condividere un itinerario che si presenta con caratteristiche qualificanti.
    Si tratta di un itinerario permanente, per essere una proposta nelle diverse età e condizioni dell’esistenza; è un itinerario sistematico, per la presentazione del messaggio cristiano nella sua globalità e nella sua organicità; ha il carattere della gradualità, perché propone il vangelo nelle forme adeguate alle varie età e alle condizioni culturali e spirituali dei destinatari.
    Siamo convinti che un cammino è proponibile nella misura in cui è già una esperienza di crescita dell’educatore, che di conseguenza tiene presenti le situazioni in cui si trova il soggetto protagonista del cammino, se bambino, fanciullo, ragazzo, adolescente e giovane.
    Ed è impegnato a riscrivere “adattandole” le conoscenze da acquisire, gli atteggiamenti da interiorizzare, i comportamenti da promuovere, indicando le esperienze più significative da far vivere.
    Su questo cammino di base e nella dimensione più congeniale, si devono inserire in modo armonico tutte le esperienze:
    – relative alla famiglia, prima responsabile della crescita umana e cristiana, in termini di vita quotidiana;
    – relative alla comunità credente, in termini di esperienze e celebrazioni della riconciliazione, della comunione, della cresima e degli altri sacramenti;
    – relative alla scuola, in termini di formazione culturale, nel confronto e nella condivisione dei valori comuni;
    – relative al territorio, in termini di incontro, confronto e sana competizione sociale e politica.

    Al centro della comunità: il giorno del Signore

    La vita della parrocchia ha il suo centro nel giorno del Signore, che è anche il giorno della Chiesa e il giorno dell’uomo.
    “La parrocchia che condivide la vita quotidiana della gente, deve immettervi il senso vero della festa”. È importante che la celebrazione, a servizio dei piccoli, dei ragazzi e dei giovani, sia curata in modo che diventi “educativa”.
    Nel 1973 è uscito il Direttorio della messa dei fanciulli, in cui si indicano due principi fondamentali per l’educazione alla preghiera e alla liturgia.
    II primo afferma che bisogna realizzare l’educazione alla liturgia dentro il processo più generale di educazione umana e cristiana. Mai scissione e contrapposizione.
    II secondo invita a far fare esperienza di valori umani aperti in modo specifico alla preghiera e alla liturgia: come il saluto, il silenzio, l’ascolto, il chiedere scusa e perdonare, il condividere un pasto, il fare una festa. È la scelta della continuità tra educazione ed educazione alla fede.
    È urgente facilitare in tutti i modi la partecipazione dei piccoli e dei giovani all’eucaristia. Condividiamo alcune convinzioni.
    Il Signore accoglie l’uomo, in particolare il piccolo e il giovane, così come è, lo vuole partner di dialogo, vuole stare con lui nella sua condizione “giovanile”. I piccoli e i giovani hanno diritto di pregare e prendere parte all’eucaristia, da piccoli, da giovani, cioè come sanno pregare loro.

    Per uno stile giovanile dell’eucaristia.

    Innanzi tutto l’attenzione al “dono” del Signore, che si fa vicino a noi, e suscita l’entusiasmo e il ringraziamento. In secondo luogo non è giovanile una eucaristia perché ci sono molti giovani o perché sono loro a cantare e animare la celebrazione. Non è giovanile neppure perché ogni tanto ci si rivolge ai piccoli e ai giovani presenti.
    È giovanile solo se si hanno a cuore le attese e le intuizioni del mondo giovanile, solo se, in altre parole, si è attenti a cogliere il dono che sono i giovani per l’umanità e la Chiesa.
    Infine è giovanile una eucaristia comunitaria. Ognuno è convocato non per vivere la “sua” messa, ma per inserirsi in un’unica esperienza. Nel mangiare il pane eucaristico si accoglie il dono della salvezza; nel bere al calice del vino si firma la grande alleanza tra il Signore e gli uomini, tra i presenti e gli assenti, tra coloro che fanno la chiesa e coloro che sono parte del Regno di Dio, che è oltre la Chiesa.
    Nel sentirsi comunità fraterna, nel canto, nella stretta di mano, nel guardarsi negli occhi ci si sente amati dal Signore attraverso i fratelli perché lo si incontra in loro. Nel partecipare alla “processione” si cammina non soltanto verso un altare, ma verso i “cieli nuovi e nuova terra” che il Signore ha promesso all’umanità.


    N.B.: Per questa prima parte ci si è ispirati a:
    – Dalmazio Maggi, Educazione e pastorale: una scelta di chiesa, Elledici 2003.
    – CSPG, “... Conversava con noi lungo il cammino”. Per educare i giovani alla fede, Elledici 1991.


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