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    Quindici anni dopo



    Elisa Storace

    (NPG 2004-03-40)


    È appena andata la diretta delle 13.00, e il pomeriggio si prospetta tranquillo. Di domenica, a meno che non capiti un evento catastrofico, in radio c’è lavoro solo per i ragazzi della redazione sportiva: i lanci d’agenzia sono scarsi, e chi fa il GR deve giusto tenere d’occhio gli aggiornamenti meteo e i collegamenti con la Società Autostrade!
    “Scendo un attimo al bar a prendere qualcosa da mangiare… qualcuno vuole un caffè?”.
    Al ritorno, con un tramezzino tonno e pomodoro nella sinistra e la destra sul mouse, decido di spendere la pausa-pranzo facendo un po’ di “navigazione libera” su Internet.
    Controllo la posta, vedo che film danno nelle sale attorno alla redazione... e poi?
    In redazione c’è veramente poco da fare, e i pensieri iniziano a vagare ad altre domeniche pomeriggio, domeniche di tanti anni fa, quando dopo pranzo scendevo a casa di Irene (abitavamo nello stesso palazzo) e facevamo i compiti sul tavolo da pranzo.
    Irene? Si, proprio Irene, la mia migliore amica di Torino, Irene che non sento oramai da una quindicina d’anni, Irene dei pomeriggi passati giocando con i Lego… Irene insomma!
    Era qualche anno che non pensavo a Irene: chissà che fine ha fatto…
    Intanto, la pagina che ho davanti è quella di Google, il motore di ricerca: d’istinto, digito il suo nome e clicco sul pulsante “Cerca con Google”.
    Quindici secondi per quindici anni… trattengo il fiato.
    Il programma, bibliotecario accuratissimo, mi mostra decine di risultati in cui compare il suo nome.
    Fra questi, mi colpisce una pagina che parla di un gruppo amatoriale di musica folk, così clicco sul link, ed è… proprio lei!
    Certo… di tempo n’è passato parecchio… ma la mia amica la riconoscerei fra mille!
    Guardo la sua foto per diversi minuti – una foto di profilo, mentre accorda il violino – e penso a quella volta, quando aveva nove anni, che le si ruppero i freni della bici: per non andare addosso ai passanti finì contro un muretto, fratturandosi la schiena.
    Era inverno, e finché (dopo diversi mesi…) il medico non le diede il permesso di alzarsi, passammo tutti i nostri pomeriggi a giocare sul suo letto: lei sdraiata e io seduta in poltrona accanto al comò.
    E adesso eccola qui: una bellissima trentenne!
    Nel sito c’è un indirizzo di posta elettronica cui inviare messaggi per i membri del gruppo.
    Le scrivo subito, non so neppure bene che cosa, e “consegno il messaggio alla Rete”…
    Dopo qualche giorno, aprendo la posta, trovo una mail: “CIAOOOOO! Quanti anni sono passati? Quasi una ventina! Come stai? Io bene, sono appena tornata dalle vacanze, che durano sempre troppo poco!
    L’ultimo ricordo che ho di te è di quando volevo nascondermi sul camion dei traslochi assieme ai vostri mobili […]”.
    Già! Io avevo solo otto anni (Irene ha cinque anni più di me) ma lo ricordo benissimo anch’io il “progetto di fuga” nel camion dei traslochi: ci scoprirono subito, e non se ne fece niente!
    Sua mamma, invece, ci comprò due audiocassette, e disse a ciascuna di noi di registrare un pensiero per l’altra, da ascoltare… nei momenti di nostalgia!
    Per un paio d’anni, ci siamo scritte quasi una volta la settimana (nella prima lettera che mi scrisse si leggeva: […] Dieci minuti dopo che eravate partiti, è stata trovata una sospetta maglia, di un sospetto color blu, con dei sospetti bordini di un sospetto color verde… in breve: hai lasciato a casa mia la tua maglia! Vieni a prenderla… ti prego! […]), poi le lettere hanno iniziato ad arrivare ogni quindici giorni, poi una volta al mese, e poi… ci siamo perse di vista.
    Ma ora eccoci di nuovo a chiacchierare, sia pure per via telematica, di vacanze e stage radiofonici!
    Le rispondo subito, chiedendole un indirizzo “vero” cui mandarle delle lettere “vecchio stile”; pochi giorni dopo mi comunica il suo nuovo recapito (anche lei non abita più nel “nostro” palazzo).
    E a questo punto… non so che fare.
    Perché da allora sono successe tantissime cose… ma ce n’è una relativamente recente, importantissima, anzi la più importante… che però non credo di riuscire a spiegare!
    Eppure non posso non raccontargliela: sarebbe come non dirle niente!
    Per il momento decido di spedirle un libro illustrato di Richard Bach, Nessun luogo è lontano, perché “se vuoi davvero essere vicino a qualcuno, è un po’ come se tu lo fossi già”, in attesa di trovare le parole…
    Dopo qualche tempo, nella buca della posta trovo una lettera:

    Torino, 12-11-2003
    Ho provato più volte a scriverti, ma ciò che mi bloccava era il fatto di non sapere da cosa cominciare per “raccontarmi”. In tutti questi anni non sono poi cambiata molto, ma non sono più “Irene di Via Avogadro”. Sono successe tante cose e passato tanto tempo, e fare un riassunto è difficile. Ma penso che basti fare come se tu fossi partita da… un anno! Ti scrivo le ultime novità!
    Proviamo: Ciao Elisa! Come stai? Come ti trovi lì a Roma?
    Io ho frequentato le magistrali, dopo l’anno integrativo ho iniziato l’Università, la facoltà di Scienze Naturali, anche se volevo iscrivermi all’Accademia di belle arti, che forse va scritto maiuscolo, comunque devo ancora laurearmi ma spero che succederà a luglio 2004 perché non ne posso più, ma non riesco a non finire ciò che inizio perché sono fatta così e basta, nel frattempo ho fatto la baby-sitter, la commessa, la maestra, l’accompagnatrice o meglio la “guida naturalistica”, la decoratrice (poco, purtroppo, ma spero di farla “quasi” seriamente un giorno), la maschera a teatro (questo lo faccio ancora ora, perché con la tesi non avrei tempo di fare altro di più serio), ho seguito corsi di pittura e decorazione, ora ne seguo uno di disegno naturalistico (così combino un po’ quel che so con quel che so fare), sto da più di tre anni con un ragazzo meraviglioso e ci amiamo da pazzi, ho un gatto, cioè, sono 11 anni che ce l’ho ma mi è venuto in mente solo ora, suono (come hai visto) in un gruppo di musica folk, anche se ora siamo un po’ in crisi perché il fisarmonicista si è preso “l’anno sabbatico” dal gruppo e il chitarrista tra un anno si trasferisce a Dublino per lavoro, quindi mi sa che siamo alla fine del nostro percorso musicale, quest’estate ho imparato a nuotare (era ora!) e mi sono abbronzata (quasi, ma perdo solo il colorito cadaverico che mi contraddistingue di solito), sto preparando un esame lunghissimo… e con ciò dovremmo essere arrivate a oggi, più o meno.
    Adesso sì che posso cominciare!
    Mentre ti scrivo, sto ascoltando la cassetta di Samuele Bersani, che è uno dei miei “cantanti preferiti”, oltre De Andrè, Battiato, Branduardi, Gazzè, Consoli… sono tanti, in effetti, e sono solo quelli italiani! Musicalmente a essere sincera non ho preferenze particolari, l’unica certezza è che non mi piace la “tecno”… non tutta comunque.
    La scorsa settimana sono andata con mia madre (l’unica che sono riuscita a convincere!) a vedere “Appuntamento a Belleville”, e l’ho trovato stupendo, te lo consiglio.
    Adesso però basta, se no la prossima volta non so più davvero che dirti, anzi, scriverti!
    A presto! (“epistolicamente” parlando!)
    Irene

    Oltre alla lettera, nella busta c’era un acquerello fatto da lei con una breve dedica:

    “Conoscere qualcuno, ovunque
    egli sia,
    con cui comprendersi nonostante
    le distanze e le differenze,
    può trasformare la terra
    in un paradiso”
    Johann Wolfgang Von Goethe.

    A questo punto urge una risposta!
    Devo trovare il modo di affrontare l’argomento…
    Perché una ventiquattrenne, nel mese di luglio e dopo cinque esami (avendo una sola settimana a disposizione prima d’iniziare uno stage di tre mesi…) invece di andare al mare con gli amici, prende un treno per Assisi e va a seguire un corso dai frati?
    Perché una figlia che ha sempre fatto tutto di testa propria, ora è felice di obbedire ad un padre spirituale?
    Probabilmente per lo stesso motivo per cui, la sera precedente la romana Notte Bianca (quella che lei a Torino ricorderà meglio come “la notte del black-out”…), dopo una giornata di lavoro in redazione, la nostra ragazza decide di passare la notte in pellegrinaggio per le vie della capitale, lungo il percorso delle Sette Chiese: ventiquattro chilometri con il rosario in mano, ascoltando le catechesi del don…
    Non è facile da capire.
    Ai miei piacerebbe riuscirci, specialmente a mio padre, preoccupato che “con quella croce al collo” voglia farmi suora, e anche al mio ragazzo che avrebbe più di una domanda a riguardo…
    Una curiosità diffusa anche ai miei amici, stupiti dai miei nuovi “consigli letterari” (io, che ai compleanni regalavo Pennac e Sepulveda, adesso faccio recensioni estasiate de “I fioretti di San Francesco” e della “Imitazione di Cristo”), o dal sapere che tutte le domeniche a Messa faccio la lettrice (mentre a lezione ero a disagio perfino con le domande ai professori…).
    Però non è mica facile spiegare cosa mi è successo.
    Quando ero a Torino, la domenica andavo in chiesa con Irene e sua madre: mio padre era quasi sempre fuori per lavoro, mentre mamma – che è greca ed è ortodossa – difficilmente veniva a messa con noi. Allora io mi mettevo in mezzo fra loro due e ascoltavo tutto quanto in silenzio…
    Ma questo era tanto tempo fa, prima che succedessero milioni di cose, ancora nella chiesa di Santa Barbara, quando il vescovo di Torino si chiamava “Anastasio”.
    Come dirle ora dei miei anni lontano da Dio, quando avevo fede solo in ciò che potevo vedere e toccare, quando pensavo che mi fosse lecito tutto ciò che mi era possibile…
    Ma non è più il tempo di raccontare quegli anni, né il loro epilogo.
    Quello che vorrei saperle dire oggi è che sono felice, perché so di non essere mai sola; che sono serena perché ho una nuova più grande speranza; che non ho più paura della mie tante debolezze perché mi sento amata; che ho voglia di gridare a tutti questo amore perché io stessa ne ho ricevuto in abbondanza. Perché Dio è entrato prepotentemente e con dolcezza nella mia vita. E quello che conta ora per me è cercare e fare la sua volontà.
    Ma finché non riesco a esprimerle questo, non ha molto senso che le racconti che mi mancano due esami alla laurea (presto sarò “dottoressa in Scienze della Comunicazione”), che anch’io – come lei – ho fatto diversi lavori (addetta alle vendite in una libreria, assistente del medico scolastico in un liceo, organizzatrice di conferenze, designer di menù per un pub, addetta di un ufficio-stampa, coordinatrice di un corso di giornalismo alle scuole medie, correttrice di bozze…), che ora collaboro per un paio di giornali, che ho dei buoni amici sui quali contare e un ragazzo stupendo…
    Ma… ecco come farò!
    Le manderò una copia di questo numero di NPG, e mi terrò pronta per rispondere a tutte le domande che poi vorrà farmi. Me ne aspetto una raffica!


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