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    Gioia Quattrini

    (NPG 2004-01-8)

    Quando Mosè salì il monte Sinai non pensava davvero che ad attenderlo ci sarebbero state parole dure come pietre, assordanti come tuono, roventi come il fuoco.
    C’era Dio su quel monte, il suo Dio, quello che rifiutava il tentativo di fermare la sua immagine, di essere rappresentato con disegni o statuine d’oro e d’argento, stupidi ritrovati di quei pagani sciocchi. Il suo Dio, quello che voleva amore e preghiere senza però che il suo nome fosse nemmeno sfiorato dalla lingua umana, a mala pena avvicinato dal pensiero. Il suo Dio, l’unico centro della sua vita senza che lui potesse mai chiamarlo per nome.
    C’era Dio su quel monte che pareva parlasse come la voce del tuono. In realtà, Dio non parlava, stava scolpendo. Con pietra e fuoco scolpiva l’immagine dell’uomo come la sua mente lo vedeva ogni giorno.
    Un uomo fedele ai sentimenti e agli impegni, alla parola data sul proprio onore, al lavoro come al riposo. Un uomo pieno di rispetto per il padre che è nel cielo e per quello che lo cura sulla terra, per l’amore e la ricchezza degli altri, per la vita e per la verità.
    L’uomo mite ma fermo, giusto e pietoso, coraggioso sapendo di essere fragile, che porterà la croce cadendo e camminando, camminando e cadendo. Un uomo che non violi e non ferisca, che non infami e non distrugga, che non strappi e non rapini. Un uomo che guardi al cielo pensando che è suo e guardi la terra pensando che è di tutti.
    Le parole di pietra come tasselli di un puzzle: il ritratto suggestivo di un sogno che nella mente di Dio era solo e da sempre realtà.
    Dieci nodi, dieci gasse d’amante, con i quali Dio lega l’uomo alla terra, il cuore dell’uomo al cuore degli altri uomini. Con i quali Dio lega le mani alle mani e le lingue alle lingue. Non ci sarà più un gesto che non abbia come ripercussione un altro gesto, un sì o un no che smettano di far sentire la loro eco. Ed ogni tentativo di scioglierli rende quei nodi ancora più stretti. Dio lega l’agire di uno all’agire dell’altro, in una creazione d’eventi della quale il Signore stesso parla all’ottativo potenziale. La tela del ragno della storia dell’uomo nasce così da questa danza collettiva, da chi muove i passi seguendo il ritmo e da chi pensa di andare da solo, senza che la musica abbia importanza. La famosa farfalla che battendo le ali in Amazzonia provoca la caduta di una foglia dall’altra parte del mondo.
    Dio lega l’uomo allo specchio pulito che ha dentro di sé: la propria coscienza. E così l’uomo potrà anche decidere di lasciarsi andare trascurato e sporco, con gli occhi lividi e le mani tremanti, ma dovrà farlo guardandosi, guardando se stesso che sfiorisce e che langue, senza possibilità di fuggire da quella immagine. L’uomo potrà anche decidere di rinnegare il giusto ma avrà scelto di sbagliare, non gli sarà capitato. Dio lega l’uomo a se stesso sperando che rinnegare se stesso sia uno strappo che nessuno sarebbe disposto a sopportare. Vivere lacerato, imperfetto e insufficiente a qualunque impresa. Lo specchio è lì. L’imperatore nudo resterà nudo.
    Dieci punti di luce, dieci stelle del cielo delle stelle fisse, che agganciano lo sguardo dell’uomo e lo sostengono ogni volta che egli tema di essersi perso, di aver dimenticato, di non essere più capace. I punti cospicui della navigazione, perché il gioco del male è oramai scoperto: il gioco di cancellare ogni punto di riferimento, insidiare con l’idea che una strada valga l’altra nell’assoluta relatività del tutto perché tanto qualunque mare si scelga di navigare, sempre di acqua si tratta. Vivere senza andare troppo per il sottile, con approssimazione e disimpegno.
    Chiamare l’uomo alla responsabilità di un metodo, e chiedergli un sì davanti a delle regole che per sempre gli impediranno le scelte fatte in ultimo e per comodo. A guidarlo non sarà più l’utile o l’agevole, ma quello che il cuore non può negare sia la cosa migliore. È fatica, fatica per la quale non bastano forze. Fatica perché il desiderio è un puledro giovane e instancabile che si alza sulle zampe e schizza la schiuma della bocca e forte i nitriti, sempre gonfio di vigore e i muscoli potenti che guizzano. E Dio sa che non si tratta di negare il desiderio, di conculcarlo e di spingerlo indietro con forza, nell’orcio con il masso sopra. Questo è il modo con cui la brezza si trasforma in uragano. Si tratta di imparare a gestire, impedendo al desiderio di diventare il padrone assoluto, quello che ci rende ciechi e sciocchi, burattini che non stanno in piedi.
    Dieci segnali, dieci frecce sulla mappa che dovrebbe guidare alla terra promessa. Perché al paese bello e spazioso dove il latte scorre col miele non si arriva se non esiste un progetto, un itinerario che riveli lo studio e l’attenzione, un calcolo dei rischi e dei benefici, delle insidie del territorio e di come neutralizzarle, delle trappole e come scoprirle.
    La strada per il futuro dove l’uomo nuovo che è in noi trovi la sua casa e possa far riposare il suo cuore, quella strada è una e una sola. Molte le somigliano, altre sembrano più o meno portare verso la stessa direzione, altre ancora si muovono similmente ma la strada resta soltanto una.
    Nel paese dove il lupo e l’agnello vivono insieme felici ci aspettano la pace e la serenità, il bene e i suoi frutti. Ma nulla ci sarà dato di queste cose senza sacrificio, senza che il nostro desiderio di averle si dimostri appunto il più forte dei nostri desideri. I nostri beni saranno davvero nostri solo quando lasceremo agli altri i loro beni e li rispetteremo. La migliore delle esistenze non potrà mai essere quella in cui ognuno potrà tradurre i propri pensieri in realtà senza guardarsi intorno e senza rischiare di compromettere i pensieri degli altri e le loro realtà.
    E così i nodi, le stelle, le frecce diventano anche paletti e confini che tuttavia non strizzano realtà e soffocano gioie, ma aumentano la larghezza dell’orizzonte e la nostra capacità di respiro. E giunti nella terra dove è bello lavorare per la pace, la nostra mente inseguirà lunghezze d’onda mai percepite prima e nuove voglie si faranno strada, con rispetto e nel lecito. Lo sguardo cambierà ed è lo sguardo che vede le cose belle o brutte. Ciò che si è ottenuto diventerà così importante che niente potrà più indurci a metterlo a rischio.
    Ecco Dio padre, padre davvero, nel senso più umano del termine, che insegna ai suoi figli valori e tesori da difendere. Le cose belle e giuste, quelle che hanno allargato il suo cuore e che allargheranno il nostro, in quello scambio d’amore che è l’unica eredità davvero inestimabile. Il padre che ti regala le cose e i principi che lo hanno fatto emozionare sperando che emozionino anche te attraverso un sublime cordone ombelicale. Il padre che ti raccomanda con fermezza le regole in cui crede, che lui stesso ha usato per costruire la propria di vita. Regole che conosce benissimo, le cui difficoltà per lui ora sono senza segreti. Regole difficili, ma noi siamo i suoi figli e lui ci guarda certo che saremo in grado. Ammonisce con il dito alzato perché ci vuole pronti a pagare le conseguenze, perché conosce già la rovina che segue ad ogni errore e farebbe qualunque cosa per evitarcela.
    Tutto questo perché per nostro padre noi siamo la speranza del futuro, noi siamo quelli che annichiliranno la violenza e spunteranno le armi del male.
    E questo che segue è quello che pensano i suoi figli, quelli più giovani.

    Libertà

    Lo sguardo ironico di Giovanni ha sventato del tutto il mio piano ed io me la rido.
    Giovanni è uno spilungone, secco secco e alto alto, vestito con pantaloni e magliette più grandi di svariate taglie. È la moda hip hop, mi pare. Qualche catena che spunta da quelle tascone altezza ginocchio e capelli che gridano vendetta. Glielo dico e lui ride a crepapelle perché sa che lo stimo. Però credevo davvero di spiazzarlo con la mia domanda: “Allora Giovanni, io ti dico DIECI COMANDAMENTI e tu mi rispondi…”. Contavo almeno di lasciarlo un momento interdetto, così incredulo.
    E invece la sua risposta arriva secca e sintetica: libertà.
    Mi precisa subito che non ne fa un discorso laico o religioso ma umano. Dice proprio così: “umano”. Nel senso di responsabilità che si hanno prima di tutto nei confronti degli altri esseri umani che ci accompagnano in questa meravigliosa avventura che è la vita.
    Fa tenerezza quando si sforza di spiegarmi che la gente è caduta in un equivoco sciocco, in un terribile tranello: quello di credere che la libertà sia poter fare quello che si vuole, assolutamente e senza limiti, anche se questo significa compiere qualunque nefandezza. Anzi sembra quasi che più le cose compiute siano trasgressive più gli uomini si sentano davvero liberi.
    “Invece è il contrario”, Giovanni mi dice appassionato. “La mia straordinaria prova di libertà è nel rinunciare a fare la più orribile delle cose che pure potrei fare. Io rinuncio al male consapevole che nessuno sarebbe in grado di tenermi lontano da questo se io prendessi la decisione contraria. Io rinuncio al male perché sono assolutamente libero di farlo e quindi ancora più libero di rifiutarlo. È come entrare in un negozio vuoto, dove la migliore delle merci è esposta sugli scaffali solo per te. E ad aspettarti c’è una cassetta dove tu dovresti porre il denaro per la cosa che vuoi comprare e poi uscire. Beh, io scelgo, pago ed esco. E nel mettere quel denaro nella cassetta io sono davvero libero.
    Vedi, per uccidere, per rubare, per commettere adulterio non c’è bisogno di pensare, di elaborare idee, di fare scelte, sei come un cane che insegue la salsiccia. Non deve farsi domande o darsi risposte. La insegue e basta. È la cosa più ovvia che possa fare e quindi la fa. Il cane non sa fare altro. L’uomo invece sì. Vuoi mentire? La vita ti darà mille occasioni al giorno per farlo. Vuoi offendere tuo padre e tua madre? Il loro amore per te è tanto grande che avrai la strada spianata e ferirli sarà un gioco da ragazzi. E allora mi domando, in tutto questo dove è la libertà. È come se il Signore ti mettesse in guardia: nel fare ciò che ti consiglio di non fare non sarà la tua libertà ma la tua schiavitù. Rubare, uccidere, offendere tengono legati ed isolano dal mondo. Spezzano i legami con ciò che ci gira intorno e ci fanno stranieri e scacciati ai confini della vita sociale.
    Non c’entra scegliere tra il bene e il male. La soluzione è rinunciare del tutto alla scelta perché questa in realtà non si pone. Il male non è e non potrà mai essere seriamente un’opzione. È un miraggio, un falso richiamo, un intreccio d’immagini che rapisce la nostra per non restituircela più”.

    Amore

    Monica è timida e si vede. La sua è la classica paura di dare una risposta banale, poco intelligente, di quelle che sembrano risposte gettate là senza pensare troppo, risposte che si conoscono già prima di sentirle. Così sorridendo le spiego che la verità è sempre semplice, forse è proprio questa la sua forza, sempre sotto gli occhi di tutti e non deve temere mai di essere poco originale anche quando, come lei stessa ammette ora, la questione non è semplice, anzi.
    E Monica, presa un po’ di sicurezza, comincia a parlare e andando avanti le viene sempre meglio. Monica parla d’amore. Sono questo i dieci comandamenti per lei. Una canzone dolce ed in ogni strofa la consacrazione dell’amore, del rispetto, del desiderio. L’amore verso Dio, dice come prima cosa, ma poi il pudore la rende un pochino impacciata. Monica ha fede e tra le altre cose teme anche di essere considerata troppo “di parte”. “L’amore verso Dio e di riflesso verso tutto quello che Dio ha creato ed ama.
    Dio ci ama e dunque si deve prima di tutto amare se stessi, desiderare per sé le cose più oneste e pulite, i sentimenti autentici e sinceri. Come desiderare di vivere la propria vita in una casa piena di aria e luce e in questa casa sentirsi leggeri e in pace. Dobbiamo convincerci di meritare molto più di una vita di menzogne o compromessi, di sotterfugi e viltà, di tradimenti e affanni. Noi valiamo di più e possiamo di più. Perché accontentarci?”.
    Alla parola pace, Monica si distrae un momento e insiste che la pace non avrà nessuna possibilità se noi avremo vergogna dell’amore e delle rinunce che a volte si fanno per esso. Rinunciare all’amore di una donna se quella è la donna di un altro non è un atto di debolezza o di stupidità ma un gesto di straordinario amore per noi, per quella donna, per la purezza dei sentimenti e per l’umanità che non deve rinunciare alla fiducia. L’uomo guarda l’uomo e vede un fratello. Questo accade solo se i valori che devono essere rispettati sono valori in comune
    La parentesi è finita, riprende le fila del discorso lasciato a metà.
    “Allora quando ci vedremo finalmente belli saremo in grado di vedere anche gli altri belli come noi. Vedremo le loro cose preziose pensando quanto le nostre cose sono preziose per noi. E come toccheremo con delicatezza le une così guarderemo con rispetto le altre. Rispetteremo i loro cari e i loro affetti perché ci commuoveremo stringendo al cuore i nostri. Il peso sarà uno. Una sarà anche la misura. Insomma dovremo arrivare a vederci belli e capaci come ci vede il nostro Dio. Il Signore pensa all’uomo come ad un miracolo d’amore e lo vede creatura meravigliosa, capace di portare luce e dotata delle capacità più incredibili per costruire. Il perché questo non accada, perché l’uomo spesso si riduca alla caricatura di se stesso, perché invece di costruire distrugga, perché invece di amare uccida, perché scelga per sé la menzogna e la morte, è nascosto nello sguardo dell’uomo che mal sopporta la propria immagine, che storce gli occhi e la sua fede e non riuscendo a credere in niente finisce per non credere neanche in se stesso. Invece il Signore, come un padre pieno d’amore, crede fermamente nella nostra forza e sa che non perderemo questa sfida. Non sottovaluta la difficoltà delle regole e la forza di certe passioni ma non sceglie di addolcire la pillola e dichiara la verità senza preoccuparsi che per noi sia una responsabilità insopportabile. Il Signore parla d’amore con severità e seriamente perché da questo sentimento e dalla capacità di amministrarlo dipende il nostro benessere. Egli dice: NON UCCIDERE e guarda negli occhi i suoi figli. Mai belli come in questo momento.

    Legge

    Gabriele riflette e prende tempo. La domanda, mi rendo conto, è davvero complessa, ma anche fosse stata più banale si sarebbe comportato nello stesso modo. Gabriele si prende sul serio, molto sul serio. Gabriele frequenta la facoltà di giurisprudenza e odia il disordine. Tutto preciso dalla cravatta alle argomentazioni. La sua risposta gli calza a pennello: “I dieci comandamenti sono la prova incredibile della forza della legge, lo straordinario significato della trasformazione di un’esigenza interiore in regola. Il bisogno di difendere e consacrare qualcosa si trasforma subito in un dettato scritto che vincoli, che attiri l’attenzione, che definisca senza lasciare spazi eccessivi alle follie di ognuno.
    Il Signore scrive e sancisce il codice nella pietra perché nessuno possa più prescindere da questo senza tirarsi fuori dalla famiglia umana, perché chiunque violi le regole di una comunità rifiuta implicitamente il suo posto all’interno di essa. Disprezza e per questo viola.
    Valori che il cuore degli uomini sceglie malgrado tutto, così importanti da divenire il patrimonio dell’umanità che tutta in essi si riflette e si ritrova. Valori che più sono forti, più forti sono quegli uomini che li hanno scelti.
    Un patto che unisce e apre il panorama fino a permettere che anche i sogni possano avere la possibilità di diventare realtà. Che ogni uomo possa costruire senza troppe paure a fermargli il cuore e senza troppi impacci a sbarrargli il cammino. Che l’umanità possa darsi da fare, sicura che non tutto è affidato al caso ma qualcosa di intoccabile c’è ed è tesoro.
    Ed ogni singolo uomo ha il dovere di investire tutto se stesso nel rispettare quelle regole fino in fondo, perché ognuno di noi non è altro che l’anello di una catena infinita che in teoria potrebbe essere fortissima ma che in realtà è forte quanto il suo anello più debole”.
    Gabriele insiste molto su questo; è evidente che la responsabilità di ognuno è cosa che gli sta molto a cuore.
    “Violare le regole vuol dire prendere a spallate l’intero sistema che si è costruito con fatica. Il mondo migliora e si regge sull’equilibrio e ogni sbandamento alza di molto la soglia del rischio di un crollo. Del resto anche dal punto di vista della filosofia è così. Quando Kant parla di morale parla di imperativi, di cose che devono essere perché la volontà non è la sola guida al nostro agire. E come l’imperativo categorico, anche i comandamenti mi sembrano regole a priori, universali e necessarie. Senza di esse nessun ordine avrebbe la benché minima possibilità di esistere. Cosa ne sarebbe delle nostre esistenze e del nostro mondo?
    L’uomo non può avere come fine ultimo che il suo bene, ma sarebbe davvero sciocco a pensare che questo possa verificarsi senza il rispetto assoluto del bene degli altri. Lì dove ogni cosa è santa lo sono anche le proprie, altrimenti è solo confusione e mercato. Quando un uomo ruba o uccide, commette di certo peccato davanti a Dio ma anche davanti al resto del mondo, perché mette in pericolo la sicurezza di tutti, crea precedenti pericolosi, provoca smarrimento e affanni. Seminare la debolezza nel mondo dove comunque anche noi ci troviamo a vivere è davvero cosa poco intelligente. Bisognerebbe valutare bene prima di agire”.
    Gabriele scuote il capo per dire che lui proprio non capisce come un ragionamento così ovvio possa sfuggire a quelli che ogni giorno mettono a ferro e fuoco il mondo. Io scuoto il capo con lui e sorrido di tenerezza davanti alla fatica incredibile di quadrare il cerchio.

    Comando

    Che Giacomo sia di natura un po’ ribelle lo so bene e lo vedo anche da come aspetta di rispondere. Si muove insofferente anche se poi ascolta con attenzione quelli che gli parlano intorno. Ogni volta fa per intervenire poi si blocca da solo anche se con grande fatica. Soffoca monosillabi di approvazione o assoluto disappunto. Quando tocca a lui è un fiume in piena, neanche prende fiato.
    “Comandi, ecco, sono comandi che non servono a niente, fatemelo dire. Non si può cominciare così: NON UCCIDERE, NON RUBARE… è difficile, è troppo complicato. A cosa può servire, penso veramente a poco, imprimere lettere nella carta se la coscienza non è ancora arrivata a quel punto. Le conquiste devono essere prima di tutto conquiste della nostra coscienza, convinzioni delle quali siamo davvero sicuri, alle quali siamo giunti direi quasi spontaneamente, convinti che siano l’unica soluzione e l’ultima possibilità di organizzare in modo vivibile la nostra comunità. Per rispettare regole così severe si deve essere profondamente motivati, non basta che nostro padre ce le proponga con veemenza.
    Questi comandamenti cercano di imbrigliare alcune tra le passioni più forti dell’animo umano. Tempeste che da sempre gli uomini cercano di controllare con lo sforzo della ragione, riflettendo e mettendosi in discussione. Se un essere umano pensa che per la sua felicità sia determinante una cosa piuttosto che un’altra, se arriva a pensare davvero che senza quella cosa nessuna felicità è possibile per lui, la situazione è davvero delicata. È come un nervo infiammato e scoperto che trema e non si sa come toccarlo.
    Si chiede all’uomo di provare a rinunciare a qualcosa che a lui sembra indispensabile oppure a dominare quelle passioni che abitano il suo animo da sempre. È davvero una scommessa che giusto il Signore poteva osare.
    Guarda, non voglio pensare che sia impossibile, ma certo il cammino è infinitamente lungo. La strada che divide l’affermazione NON COMMETTERE ADULTERIO dalla realizzazione del comando non so dove parta e non vedo dove possa finire. E le nostre epoche lo dimostrano. Siamo ancora in piena esercitazione. Non possiamo parlare ancora se non di tentativi embrionali di un pugno di coraggiosi e generosi che sfidano i tempi e i costumi. Bisogna ragionare anche sul concreto, su quello dal quale si parte, sulla realtà di fatto e non su ciò che vorremmo fosse”.
    A questo punto lo interrompe una mia sonora risata: “Stai forse dicendo che Dio manchi di senso pratico? Stai per caso dando a Dio del sognatore? Insomma il Dio delle utopie?”.
    Ride anche Giacomo e confessa: “Uso tanta veemenza forse perché ho tanta paura di non essere in grado di farcela. Ho paura di avvicinarmi al roveto che arde e consacra per sempre la verità e la vita. E se non dovessi farcela? Se le mie qualità fossero così poca cosa che alla prima insidia cadessi subito e cedessi senza neanche esitare un momento?”.
    “Saresti davvero un uomo” – gli rispondo io e allora lo vedo tacere.
    Ma poi riprende subito: “È importante, è davvero fondamentale mettersi in cammino. Dobbiamo assolutamente prendere il coraggio a due mani e partire. Ci aspetta un lavoro su noi stessi che ci spezzerà la schiena dalla fatica, le mani ci faranno male e il cuore si dispererà. So però che non dobbiamo cedere, mai fermarsi. La cosa importante è non confondere i punti di partenza con quelli che sono punti di arrivo”. E così chiude.


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