Attesi dal suo amore
    Proposta pastorale 2024-25 

    MGS 24 triennio

    Materiali di approfondimento


    Letti 
    & apprezzati


    Il numero di NPG
    luglio-agosto 2024
    600 cop 2024 2


    Il numero di NPG
    speciale sussidio 2024
    600 cop 2024 2


    Newsletter
    luglio-agosto 2024
    LUGLIO AGOSTO 2024


    Newsletter
    SPECIALE 2024
    SPECIALE SUSSIDIO 2024


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di LUGLIO-AGOSTO di NPG sul tema degli IRC, e quello SPECIALE con gli approfondimenti della proposta pastorale.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: luglio-agostospeciale.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2020 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2020: 118 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2024 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2024 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV


    NPG Facebook

    x 2024 400


    NPG X

    x 2024 400



    Note di pastorale giovanile
    via Giacomo Costamagna 6
    00181 Roma

    Telefono
    06 4940442

    Email

    Storia dei diritti, storia di uomini (e donne)


    Gioia Quattrini

    (NPG 2003-01-10)


    E l’uomo un giorno decise di sognare oltre se stesso. Di amarsi e rispettarsi e prendersi cura di sé amando e rispettando e prendendosi cura di un altro.
    All’inizio era la sacralità e l’inviolabilità delle leggi non scritte, quelle che non variano mai, né con i tempi né con i luoghi, quelle che non possono essere suscettibili di errore perché nascono dal cuore duro della pietà umana, quando gli occhi di un uomo guardano negli occhi di un uomo e vi scoprono e riconoscono il tesoro prezioso e condiviso della propria persona, nata per essere oggetto d’amore e rispetto e non di livore e violenza.
    Straordinarie leggi non scritte, che non sono di oggi o di ieri ma sembrano esistere da sempre, da che esiste il mondo, chissà forse da prima che l’uomo stesso esistesse, forse la materia con la quale è stato impastato il suo animo, quel vento che sente dentro quando prova a spiccare il volo e ad andare oltre il pensiero di sé.
    La prova naturale che quell’organizzazione, nella quale il delicato compito di far da tutore all’ordine civile e morale è posto semplicemente nelle mani del potere e non in quelle di tutta la comunità, è destinata a fallire.
    Certo, il passare del tempo non semplificò le cose, aumentarono gli orrori e le miserie e l’esistenza divenne estremamente più complessa, più sofisticata così come anche il male divenne più complesso e sofisticato, più segreto e corrosivo, capace di trasformarsi e di nascondersi dietro ogni cantone.
    Forse gli uomini si sentirono persi, in pericolo, si spaventarono, sembrarono non riconoscersi più in quel patto senza carta e senza penna, capirono che il momento era critico, che le civiltà venivano distrutte con le armi e passando per i camini, e che era il caso di scrivere e sancire ufficialmente perché nessuno potesse, domani, cadere dalle nuvole.
    Così fiorirono le costituzioni degli stati e le dichiarazioni dei diritti umani, perché fossero un faro, una bussola tra le culture diverse e le diverse religioni, insomma tra le diversità in genere, il punto cospicuo che avrebbe dovuto impedire per sempre di vedere l’altro come il nemico che usurpa il nostro territorio per relegarci in un ghetto e distruggere ogni nostra peculiarità. Un nemico che può conquistare spazio e potenza soltanto sottraendolo a noi, come se fosse impossibile una convivenza più ricca per tutti e invece soltanto una lotta ad esclusione dove la tua vita coincide implacabilmente con la mia morte.
    Sapevano in cuor loro che nessuna legge scritta e nessun accordo ufficiale avrebbe potuto comunque dare più forza a quei principi che da soli gridavano anche nel frastuono delle stragi.
    Fu di certo una sconfitta che sembrò però l’unica alternativa possibile al disastro. È una parola strana “dis-astro”, soltanto a pensarla nasce l’immagine di una stella che scivola, la lunga parabola, la scia di polvere che resta per un po’ a segnare il cielo, una cipria incandescente. Cade lontana dal cielo, cade giù e basta. Così gli uomini cercarono di salvare il cielo dalla nudità e dall’oscurità. Cercarono di non far cadere le stelle.
    In questo modo ogni dichiarazione che insista e insista sui diritti dell’uomo si rivela una sorta di firmamento dove l’essere umano possa specchiarsi e sia possibile per lui leggere nitido e luminoso la propria missione e il proprio destino. Una sfida da raccogliere anche se le gambe sembrano incapaci di reggere quella velocità perché inadeguate e poco allenate, fragili come noi.
    Sono loro il punto del cielo dove s’incontrano credenti e non credenti, uniti da una fede comune e forte, quella nell’uomo e nella sua sacralità. Una comune prospettiva ideale cui tendere senza risparmiarsi sia che la si immagini dopo l’ultima parola del Vangelo sia che la si immagini prima.
    Quindi gli uomini scrissero con perizia ed attenzione, pesando le parole, scegliendole perché fossero pietre – che altro sarebbero del resto le stelle cadute? – perché fossero quelle parole e niente altro, perché la loro eco arrivasse fino all’ultimo angolo della terra, dove pensando di non essere visto un uomo ferisce un bimbo o disprezza una donna, schernisce un vecchio, oltraggia le creature.
    Quindi gli uomini lessero con perizia ed attenzione, e qualcuno lesse anche per chi non era capace e gli raccontò che si parlava proprio di lui e di quanto bella avrebbe dovuto essere la sua vita e che qualcuno avrebbe fatto in modo di difenderlo anche da lontano e che qualunque violenza avessero fatto a lui il mondo l’avrebbe considerata fatta su stesso.
    La folla dell’umanità si strinse intorno a queste parole come a cercar calore, stretti stretti a guardare. Immagino che i bambini abbiano saltellato e gli uomini abbiano sorriso sollevati, mentre le donne si siano lisciate il vestito con timidezza e i vecchi abbiano stretto i loro bastoni. Gli uomini si riconoscevano reciprocamente e si tendevano una carezza. La mano forte non avrebbe torto il braccio del debole ma l’avrebbe aiutato a risollevarsi. La forza al servizio del bene.
    Quindi gli uomini cominciarono l’attesa, nelle tende roventi dei campi profughi, soffocati e torturati nelle carceri, latrine senza fondo, nei deserti della fame che sbrana i figli sotto gli occhi dei padri, tra le pieghe spesse del burqua, lì dove i fischi delle bombe mandano in frantumi i cuori. Attesero che le catene venissero spezzate, le armi messe a tacere, la luce ancora sul viso a cercare un pensiero che si potesse gridare senza paura, basta gli occhi bagnati dalla fame e le mosche sulle proprie lacrime. Attesero e ancora attendono mentre il tempo scivola inesorabile verso un futuro ancora troppo simile al giorno passato, quando nessuno aveva mai scritto e nessuno aveva mai letto stelle diventate parole.
    È che le parole hanno bisogno di gambe che reggano la corsa e braccia che portino pesi e bocche che non temano di gridare il vero e occhi che scrutino nelle pieghe della menzogna e mani e teste. Le parole hanno bisogno di un’anima che trasformi un testo sulla carta in diritto del cuore, un diritto che il cuore sente come suo senza esitazione, senza doverlo imparare, semplicemente perché lo sente.

    Diritto alla vita

    E quando Gino Strada, il fondatore di Emergency, cammina lungo le strade improbabili della Ruanda o lungo i sentieri impervi dell’Afganisthan, o lungo chissà quali strade chissà dove, non immagina certo di essere la proiezione più bella, l’immagine straordinaria delle parole che gridano:“Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona”.
    È l’articolo 3 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo che non poteva immaginare di avere come nemici pappagalli verdi, abbozzi di bamboline colorate, giochi infami che sono invece mine antiuomo. Qualcuno le chiama butterfly, non male come nome, grazioso e leggero, per uno strumento che uccide, mutila, sventra non solo corpi ma anche e soprattutto il futuro delle genti. Come se la fame non sia sufficiente, come se non basti un cielo avaro di pioggia, come se le malattie anche le più elementari non distruggano già abbastanza. Gino ha 53 anni e il suo cuore ha avuto bisogno di quattro by-pass per sopportare che i bimbi siano usati come montoni per sminare i territori a basse spese: perché una mina antiuomo costa anche cinquemila lire ma disinnescarla costa anche un milione e mezzo. Per sopportare ginocchia spappolate che non hanno mai corso dietro un pallone. Per sopportare che un contadino perda le mani mentre cerca di blandire quella terra che sembra così difficile. Per sopportare di non avere i mezzi, le possibilità per salvarla quella vita mentre le difficoltà vengono amplificate dalla cecità dei pregiudizi e delle convinzioni oscure, da chi vede peccato nel curare ma non nell’uccidere. Per sopportare tutte quelle lacrime e i silenzi di chi non fa domande e non aspetta risposte, abituato com’è a sentirsi il figlio trascurato di un dio minore. Gino è una stella con la barba e i capelli sempre scomposti e i suoi sono stelle generose ed è la loro luce a saziare l’attesa di chi soffre ma non dimentica una fiaba che narra di uomini audaci che osarono pensare fosse possibile trasformare le stelle in parole.

    Il diritto dei bambini

    Anche Gianni sente nel cuore qualcosa che è un po’ canzone e un po’ poesia, un verso, di quelli che si arrotolano in bocca per assaporarli meglio, una specie di musica, di quelle che non aggrediscono le tenebre, semplicemente le dileguano. Se decidesse di tradurre tutto questo in parole probabilmente scriverebbe così: “il fanciullo deve essere protetto contro ogni forma di negligenza, di crudeltà o di sfruttamento. Egli non deve essere sottoposto a nessuna forma di tratta”.
    È il principio nono della Dichiarazione dei diritti del fanciullo, un diamante in mezzo al cielo al quale in troppi cercano di rubare la lucentezza. I bambini sfruttati nel mondo sono duecentocinquanta milioni, nelle fabbriche tessili da dove escono i tappeti pregiati che ornano le nostre case, nelle concerie e nelle miniere, nei forni da dove estraggono vetro fuso a temperature folli, nelle cave di argilla a trasportare blocchi più grandi di loro, nelle camere sporche di infimi hotel dove l’orco di turno li stupra – e lo chiamano turismo sessuale, negli eserciti dove trascinano fucili più alti di loro e cadono al primo colpo.
    Inutile immaginare che ciò avvenga in paesi lontani dove la nostra tanto decantata civiltà non è ancora giunta per elargire con le sue mani tanto generose principi di educazione e morale che siano al servizio di quanti, purtroppo a lei lontani, sono costretti a vivere da selvaggi. Inutile immaginare che un problema tanto infame non tocchi il nostro mondo così progredito dove i bimbi sono piccoli tiranni che girano tutti sulla punta del loro ditino.
    Su cento bambini sotto gli undici anni, quindici lavorano duramente nella civilissima Gran Bretagna.
    La Francia, evidentemente per il protettivo amore dei suoi, pare che certo si serva di manodopera infantile ma importata magari dall’India o dalla Turchia. Una buona idea, non vi pare?
    L’associazione di Gianni ha un nome che è già un programma: Mani Tese. Un’associazione adulta che sta per compiere quaranta anni di fatica e forza e caparbietà. Non si interessa solo di bambini, ma di tutti i problemi che nel Terzo Mondo rendono impossibile che splenda davvero la luce delle stelle.
    È Gianni una stella che tende le mani per risollevare piccoli corpi e anime che palpitano, carezzare occhi e mettere in fuga incubi, curare piaghe e mentre il dolore pizzica cantare piano piano quella dolce ninna nanna che non aggredisce le tenebre, semplicemente le dilegua.

    Diritto all’integrità

    Francesca sorride con due occhi pieni di luce e stringe la sua amica sudamericana Aurora.
    Quando Aurora vide arrivare Francesca, anni fa, durante il calvario del carcere e della tortura, le sembrò per la prima volta di poter di nuovo alzare lo sguardo fino al cielo e non era più notte. Francesca sorrideva e camminava così sicura mentre Aurora quasi non sentiva più le gambe solo un dolore costante e appiccicoso in tutto il corpo, quasi anche nei pensieri.
    Arrivava la fiaba, quella di cui qualcuno aveva parlato anche alla gente del suo paese che per reati di pensiero veniva maciullata fino a rendere come poltiglia qualunque idea. Francesca era quella fiaba che narrava: “nessun individuo potrà essere sottoposto a trattamento o punizioni crudeli, inumani, o degradanti”.
    L’articolo 5 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo ha gli occhi pieni di luce di Francesca e con lei cammina sicuro.
    Il sorriso di Francesca si offusca soltanto al pensiero di quanti, ancora al buio, cantano da soli una ninna nanna di lamenti e aspettano senza che il tempo abbia più un inizio e una fine, ma sia soltanto un segmento affilato come una lama. Dalle finestre piccole come pertugi la luce delle stelle non trova la via. Da troppo tempo i prigionieri stringono forte gli occhi per non vedere dove stanno morendo e fingono che tutto non esista: occhi chiusi sul dolore, orecchie chiuse sul dolore, loro stessi non esistono, solo l’incubo persiste.
    La tortura è una cosa aberrante che viola il corpo in fondo e sempre più in fondo solo per raggiungere l’animo e farne liquame. Non c’è crimine o delitto che la giustifichi: l’idea infatti che un uomo possa punire un uomo non solo con l’intenzione di spappolargli il corpo ma anche di annullargli l’animo porta diritti diritti fino all’inferno. Non è lecito che un uomo punisca un uomo, piuttosto la società che sanziona quanti violino le regole utili a stabilire una convivenza civile tra tutti. La fiaba racconta che nessuno potrà mai punirci senza rispettarci, senza rispondere con rispettosa fermezza ai nostri delitti, perfino i più efferati. Davvero una stella di civiltà. La traduzione laica dell’evangelico rispetto del nemico. L’abolizione del principio allucinante dell’occhio per occhio dente per dente. La tranquilla affermazione di sé da parte di chi non ha la forza dalla sua ma il giusto e l’equo. E tanto basta. Amnesty International non si arrende e colpisce duramente le porte delle celle, ha fretta, sa che, dentro al fetore, un corpo rannicchiato attende che qualcuno lo convinca con le carezze a riaprire di nuovo gli occhi alle stelle.

    Diritto alla qualità della vita

    Paolo racconta che della prima notte in Africa non dimenticherà mai le stelle. Grandissime come pompelmi e ancora di più. Il buio della notte colorava d’azzurro tutta quella luce, e la solitudine e il silenzio, spessi come carta d’imballaggio, sembravano abbracciare tutto per non lasciarlo mai più. Camminava nel deserto e sembrava che camminasse sulla luna, lento, ovattato, quasi sospeso nell’aria. Sapeva però di non essere poi così solo, perché sotto i tetti di paglia, in villaggi piatti da sembrare invisibili, un’infinità di persone attendeva l’alba per mettersi in cammino e raggiungere proprio lui, il medico bianco che guarisce i mali, lui speranza dei sofferenti, lui che fino a pochissimi giorni prima ancora giocava con il telecomando annoiato nel salone doppio di casa sua.
    Così chiedeva a quelle stelle come pompelmi altre fiabe da poter raccontare l’indomani ai suoi pazienti per rendere accettabile che anche la malattia infierisse su una vita di niente, per accettare lui stesso quella dimensione di dolore assoluto che già portava appiccicata addosso. Paolo racconta che a liberarlo da quella ragnatela fu il pensiero che lui c’era, era lì e poteva cominciare a lavorare, senza arrendersi e a gridare se ce ne fosse stato bisogno, fino a scuotere le montagne di indifferenza che dividono il mondo in primo, secondo e terzo. Lui era lì e qualcuno aveva scritto: “Ogni individuo ha il diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione e alle cure mediche…”, articolo 25 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo.
    Uno di loro, non soltanto il loro medico, senza acqua e cibo e vestiario se l’acqua, il cibo e il vestiario fossero mancati. Uno di loro, attento a non offenderli, ferirli, attento al rispetto delle loro usanze e delle loro convinzioni, pronto a spiegare cento volte, perché nessuno invece che curato si senta violentato o reso indegno di restare nel gruppo. Paolo è un medico ed ha vinto il Nobel, ma nessuno lo direbbe a guardare quella barba tanto mal rasata. Paolo è un “medico senza frontiere”, straordinaria organizzazione umanitaria, nata venticinque anni fa, con più di un milione di aderenti, scrittori di fiabe che si prendono cura di stelle ferite per restituire loro la luce. Paolo si incammina verso la sua capanna, è il caso di riposare un po’, domani sarà dura.

    Diritto alla crescita

    “Il fanciullo deve beneficiare di una speciale protezione e godere di possibilità e facilitazioni in modo da essere in grado di crescere in modo sano e normale sul piano fisico e intellettuale, morale, spirituale e sociale, in condizioni di libertà e dignità”.
    Ogni volta che squilla un telefono, Marina ha il cuore in gola. È pronta, combattiva, determinata ma con il cuore in gola. Sono passati 19 anni e sono cambiate molte cose ma questa no, quella vocina dall’altra parte che a volte piange e a volte è ferma da lasciare di pietra chi l’ascolta.
    La stella dell’articolo 2 della Dichiarazione dei diritti del fanciullo ha il cuore che batte forte perché si tratta di cuccioli che a qualcuno non fanno tenerezza ma rabbia, spettacoli terribili da vedere e difficili da dimenticare. L’umanità fragile e ferita per definizione. La sofferenza assoluta che non ha spiegazione. L’istinto innaturale di mettere in pericolo piuttosto che difendere le creature. Marina dice che sembra di toccarla la paura che scoppia nel cuore dei bambini, quando chi dovrebbe essere disposto a dare la vita per loro li sevizia o li picchia fino a stordirli, li maltratta, li annulla nella giovane mente. Così piccoli eppure in grado di sopportare degli orrori incredibili nel tentativo vano di poter rubare un po’ d’amore evitando di emettere anche un solo lamento. Sorridono poco e procedono cauti come fossero uomini avvezzi al sospetto e alla circospezione. Ogni volta che si sono sforzati di non varcare il limite, il limite si era fatto ancora più vicino. Marina racconta la fiaba di braccia che stringono per scaldare non per far male, di mani che accarezzano, non feriscono e di bocche che baciano senza mordere. Marina racconta la fiaba di sorrisi e giochi non grida e percosse, di corse in bici e nascondini dietro i cespugli piuttosto che di agguati e punizioni e terribili castighi.
    Piccoli angeli caduti in una trappola dolorosa piuttosto che accolti in un morbido nido, che hanno bisogno d’aiuto e non sanno come chiederlo, che amano tanto coloro che li picchiano da credere che forse tanta sofferenza l’avranno pure meritata, che sono loro ad essere cattivi, davvero cattivi. Vivono senza fiabe nel buio di un incubo che li immobilizza come una ragnatela, e quando la porta della cameretta si apre, ad entrare è sempre l’angoscia e mai il conforto.
    Figli della ricchezza e dell’agio, quasi mai della tenerezza e dell’amore. Insopportabili e fastidiosi soprattutto dopo lo stress di una giornata di lavoro.
    Marina non si arrende e continua a raccontare fiabe, lei piccola stella finalmente apparsa a far luce nell’angolo buio di questi piccini, che neanche immaginano esista una dichiarazione dei diritti per loro. Per ora è sufficiente la fiaba che sta raccontando Marina.

    I diritti delle donne

    Come sembreranno le stelle a quadrettini? Certo deve essere difficile alzare gli occhi al cielo con il burqua e cercare le stelle. In realtà difficile è anche guidare se non si ha accanto un fratello o il proprio marito; difficile è ottenere un passaporto senza l’approvazione di un uomo della famiglia; difficile è poter essere visitata da un medico se non c’è un telo che divida e che abbia un solo foro all’altezza della bocca. Certo per fare diagnosi in questo modo ci vorrebbe più un mago indovino che un medico.
    La dichiarazione dei diritti dell’uomo all’articolo 2 sostiene che “ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale e sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione”. Risplende la luce dell’universalità del diritto umano. Grazia sorride e dice che qualcosa non torna quando si parla di donne. In moltissimi paesi del mondo, non solo sottosviluppato, anche quelli insospettabili, le donne vivono un’esistenza di serie B. Troppo spesso le politiche culturali, quelle con radici tanto profonde da aver unito l’uomo alla sua terra piuttosto che al cielo che è di tutti, insieme alle tradizioni, quelle delle quali non si conosce più neanche il perché, quelle dei padri e dei nonni e dei padri dei nonni – ma di madri e nonne non si parla mai? –, insieme ai valori locali, quelli che devono rendere diversi dagli altri, distinguerci nella nostra unicità ma non renderci nemici, queste cose insieme deridono spesso i diritti sanciti dalla dichiarazione come fossero orpelli inventati da chi dovrebbe badare ai fatti propri piuttosto che andare ad interferire con civiltà che vivono benissimo con se stesse da migliaia di anni.
    Così molte donne sanno di una fiaba che le racconta libere di essere senza veli e con il rossetto, negli uffici e nelle palestre e poi al nido a prendere i figli, e in viaggio da sole con il passaporto che loro hanno richiesto e nessuno ha dovuto dare il beneplacito, libere al volante dell’automobile o in camera operatoria, libere in Parlamento, a votare nelle cabine dei seggi con lo stesso valore del proprio marito.
    Molte donne conoscono questa fiaba ma, da tanto sottomesse, la ripetono come fosse un incubo, una cosa che le terrorizza, che solo a pensarla le rende punibili perché non audace ma peccaminosa, sporca, indegna.
    Grazia era alla Conferenza Mondiale di Pechino, come centinaia di rappresentanti di altre ONG, ed ha messo tutta la sua passione e tutte le sue forze, per raccontare nei dettagli le sue donne, quelle povere perché senza accesso al mondo delle risorse economiche, quelle che non erediteranno mai una parte del patrimonio di famiglia che è riservato solo ai figli maschi, quelle che, neanche potendo, riusciranno mai a possedere un pezzo di terra, che non andranno mai a scuola e che non hanno mai partecipato e mai parteciperanno nella loro famiglia a un qualsiasi processo decisionale. In due parole, serve e fattrici.
    Grazia parla e racconta di una povera donna rimasta vedova che non potendo lavorare e perfino chiedere l’elemosina, era destinata a morire di fame. Invece fa la prostituta e nel suo paese per un reato simile c’è la sepoltura fino al collo e solo allora la lapidazione. Grazia sa che a Pechino è stato detto “i diritti umani delle donne comprendono il loro diritto ad avere controllo sulla loro sessualità, inclusa la salute sessuale e riproduttiva, libera da coercizioni e discriminazioni e violenze”. Grazia sa anche che nei paesi dove le stelle brillano poco e rare, amare con l’animo è un lusso e farlo con il corpo un peccato.

    Diritti della natura e dell’ambiente

    E poi c’è qualcuno che si batte perché il cielo dove le stelle brillano, incastonate, non diventi una nebulosa di vapori velenosi che divorino la luce e lo riducano come un colabrodo. E David è davvero molto molto arrabbiato quando racconta di come in tanti continuino a fingere che nessuno si sia mai incontrato a Kyoto o in India ed abbia deciso che il cielo e l’acqua e la terra siano in pericolo.
    Davide ha la tempra di un guerriero ed in effetti guerriero è: the rainbow warrior, il guerriero dell’arcobaleno, come tutti gli attivisti di Greenpeace.
    Un guerriero con la maschera di tigre sul volto, legato con le catene ad una pompa di benzina in Lussemburgo, resistenza passiva totale.
    Il Lussemburgo è considerato la stazione di servizio della Comunità Europea perché il costo del carburante è del 20% in meno rispetto agli altri paesi. Possiede soltanto ventotto stazioni di servizio e una di queste, dove il nostro guerriero-tigre è appunto incatenato, è considerata la più grande del mondo. Le ventotto stazioni sono tutte di un’unica compagnia petrolifera, la più grande del mondo, la ESSO, che nega il cambiamento climatico globale e le sue conseguenze catastrofiche per l’ecosistema come il progressivo scioglimento dei ghiacciai e la distruzione della barriera corallina.
    Eppure a Kyoto i capi di governo di quasi duecento paesi, industrializzati, in via di sviluppo, ed a economia di transizione, hanno riconosciuto che sia diventato necessario un intervento “per limitare i cambiamenti del clima globale indotti da attività umane come l’emissione di gas e inquinanti, capaci di aumentare l’effetto serra naturale e di portare danni all’agricoltura e alle risorse idriche...”.
    Certo le parole che suonano così bene alle orecchie, non direi di tutti ma senz’altro di molti, dovrebbero naturalmente diventare impegno di natura sociale, politica ed economica nei settori più importanti delle attività umane come la produzione e l’uso di energia, i processi e i prodotti industriali e la gestione dei rifiuti. Così Davide ci racconta che qualcuno fa orecchie da mercante e nega l’evidenza, rifiutandosi di prendere qualsiasi provvedimento come se l’aria che respirasse non sia quella che insiste ad inquinare, come se bevesse acqua diversa dagli altri e mangiasse i frutti di una terra che giace altrove.
    Sembrano dei ciechi sciocchi, con attenzione solo alla ricchezza, ma non considerano che una boccata di aria pulita non avrà prezzo quando intenderanno comprarla. Non considerano che alimentare discariche a cuore aperto nei paesi del terzo mondo sembra risolvere i loro problemi attuali ma non potrà risolvere i problemi gravissimi demandati con questo comportamento ai loro figli. Non considerano che rifiutare i tentativi di ricerca sulle fonti rinnovabili e pulite di energia, rende loro ricchi e i loro figli malati.
    “Il mondo non dobbiamo considerarlo come un’eredità dei nostri padri ma come un prestito dei nostri figli”, ripete spesso David precisando sempre che non è una sua frase ma la considera tale da che l’ha sentita.
    I guerrieri dell’arcobaleno non mollano ma sembrano sempre più disperati all’idea che non restino più fiabe da raccontare a nessuno se anche le stelle muoiono.

    Gli inferni umani

    Potremmo raccontare ancora per molto di uomini e donne che hanno deciso di raccontare fiabe e di prestare le loro gambe, le loro braccia e la loro voce alle stelle più belle che ascoltano le preghiere di chi soffre. Finiremo con qualche stella solitaria, cani sciolti si potrebbe dire, che viaggiano da soli senza alcuna paura. Nella discarica d’immondizia fumante a Korogocho, vicino Nairobi, padre Zanotelli non ha tempo per ascoltare discorsi e teorie sul mondo nell’era della globalizzazione. Il mondo che in questo momento è sotto i suoi occhi sono uomini, donne e bambini che esplorano la discarica ogni giorno alla ricerca di un po’ di cibo o di qualche oggetto da vendere. Neanche Dante pensò a tanto per il suo Inferno letterario. E quando lo senti parlare, Zanotelli racconta un fiaba con strane parole, dure e spigolose. Parla dell’attuale ordinamento mondiale retto solo dall’Impero del denaro, aiutato dai mass-media a conquistarci tutti. Parla dell’82% delle ricchezze gestito dal 20% degli uomini quando il 20% dei più poveri ha a disposizione soltanto l’1,4% delle ricchezze. Parla dell’olocausto annuale senza nessuna pubblicità: trenta milioni di morti per fame. Dei bambini soldato che non hanno tempo per le stelle e dei poveri malati di aids senza più nemmeno la forza di guardare al cielo. A guardare quella bolgia maleodorante che è la discarica diventa difficile anche solo prendere in considerazione l’idea di uno “sviluppo sostenibile”, una bugia, una mistificazione, parole vuote che nessuno vuole realmente riempire di contenuto.
    Quando abbandona Nairobi lo fa per unirsi a quanti hanno deciso di non credere che non ci sia soluzione se non quelle che sembrano politically correct, che fanno contenti tutti quelli che già lo sono e scontenti quelli che non hanno voce. Cammina per il mondo e con lo sguardo dritto grida ai potenti del mondo, così pieni di buone intenzioni, che l’imperatore è nudo e che il mondo che vuole vincere la fame non può dedicarsi allo studio e alla progettazione di guerre stellari. Che invadere il mercato con cibi modificati geneticamente significa solo trasformare il mondo in una pattumiera pericolosa dove le fragole hanno un gene del pesce per non marcire e il grano sembra ancora grano ma chissà.
    Tutto il mondo a far teoria dove la realtà è terrificante e si impone senza concedere altro tempo. Nairobi, l’Angola, il Kenya, il Mozambico e l’India e ancora tanta parte del mondo attendono che le fiabe diventino realtà e che il fumo che si leva dalle discariche a cielo aperto e dai gas tossici delle ciminiere liberi finalmente il cielo e lo lasci risplendere della luce delle stelle perché ogni uomo ne possa godere con gli occhi.

    Sono gemello di chi amo
    sono in natura il loro doppio
    sono la miglior prova che esistono
    se io li ho scelti per giustificarmi.
    Sono gran numero, sono innumerevoli
    van per le vie per se stessi e per me
    portano il nome mio io porto il loro
    noi siamo i frutti simili di un albero
    che è più grande del vero
    e di tutte le prove.
    (Paul Éluard)


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

    Main Menu