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    L’universo giovanile in un mondo che cambia


    Vito Orlando

    (NPG 2003-03-5)



    Di fronte al rapido succedersi di analisi scientifiche e ai continui sondaggi sui giovani pubblicati nei quotidiani, ho sempre pensato alla necessità di cercare nuovi paradigmi per la comprensione e l’interpretazione dell’universo giovanile, a partire da una conoscenza e comprensione globale della realtà attuale in profonda trasformazione sociale e culturale. [1]

    La lettura dello scenario attuale è indispensabile per comprendere e comprendersi.
    Ho cercato così di immaginare un’attenzione alla realtà giovanile che potesse diventare una modalità utile di approccio per chi ha bisogno di conoscere e soprattutto di dotarsi di una strategia che gli consenta di capire orientamenti generali e singoli aspetti del loro essere e operare.
    Cambiare paradigma… può apparire necessario, ma trovare una prospettiva, una strategia diversa nella nostra attenzione di conoscenza dei giovani non è facile.
    Siamo sempre tentati, immediatamente, di portare l’attenzione e di descrivere abitudini, comportamenti, gusti, consumi, forme di disagio, modi di essere e di pensare… Tutto questo è legittimo e può essere utile, ma non consente di andare molto lontano e, soprattutto, non apre prospettive innovative di intervento.
    Un’altra prospettiva (o tentazione, più intellettuale), che si affaccia nell’attenzione alla realtà giovanile, è quella di cercare alcune categorie concettuali che siano in grado di esprimere qualcosa di significativo della condizione più o meno comune dei giovani (salvo poi a dire che i giovani sono diversi e che non tutto può essere espresso nelle categorie che usiamo). Lo sforzo intellettuale può essere notevole e forse risultare significativo, ma alla fine ci si rende conto che ogni categoria concettuale non può che offrirci una prospettiva parziale e spesso fortemente riduttiva. Non si può avere la pretesa di fare un discorso unico e univoco sui giovani (oggi in modo particolare) e la diversità è un dato di immediata evidenza e da tutti sottolineato.
    Non basta, quindi analizzare, non basta teorizzare e forse non è sufficiente neanche la combinazione delle due prospettive. Per interpretare (capire non solo il che cosa o il come, ma anche il perché) è indispensabile contestualizzare, saper valorizzare le coordinate di tempo e di spazio, essere attenti alle condizioni generali del vivere umano del nostro tempo e alle sue situazioni strutturali e culturali, ai diversi livelli:
    – vi è un contesto mondiale, con i suoi dinamismi e le sue incertezze, le sue possibilità e i suoi rischi, e con i suoi influssi e il suo peso a tutti i livelli;
    – vi è un contesto di vita più immediato con le sue opportunità e le sue contraddizioni, le sue aperture e le sue resistenze;
    – vi è la quotidianità, l’esperienza di vita concreta dei giovani che riflette concretamente le situazioni di contesto e i suoi condizionamenti;
    – vi sono soprattutto i grandi cambiamenti attuali che rendono problematica l’interazione tra i vari livelli e contesti e che possono rendere incerto il cammino di ciascuno.
    In tutto questo bisogna verificare anche le possibilità e la necessità che hanno i giovani di essere accompagnati nel loro percorso di vita per essere in grado di conoscere il mondo vicino e lontano e divenirne protagonisti. Ma non ci si può fare compagni di viaggio dei giovani senza accettare di cambiare con loro.

    IL MONDO CHE CAMBIA E LE NUOVE CONDIZIONI DI VITA

    Il mondo attuale con i suoi orizzonti e le sue contraddizioni, la società in cui viviamo con le sue profonde trasformazioni ci interpellano, ci provocano, ci chiedono di trovare le coordinate che consentano di comprendere la nostra vita. Questo è un compito che riguarda soprattutto gli adulti. Delineare la “cornice sociale” dell’oggi, le caratteristiche del nostro tempo, non è semplice, ma il tentativo è indispensabile.
    Viviamo in una situazione di rapido cambiamento:
    - un cambiamento non lineare e con possibili previsioni della sua direzione e della sua meta, ma discontinuo e frammentato;
    - la sensazione è quella di non riuscire ad avvertire dove stiamo andando, ci sembra di vivere in un “mondo in fuga” che è sempre più difficile controllare, individuare la “direzione della storia”.
    Siamo nel tempo del “possibile”, della varietà e provvisorietà delle scelte che accentuano l’incertezza e l’instabilità sociale.
    In effetti il percorso e le appartenenze sociali sono divenute molto incerte. Il rapporto studio-lavoro, curricolo ben fatto ricompensa sociale, riuscita professionale riconoscimento sociale, diventano moneta sempre meno spendibile e mandano in crisi le prospettive di interpretazione dell’identità e della regolazione del vivere sociale. I fattori di stabilità della vita individuale e sociale (il lavoro e la famiglia) sono messi in crisi dai fattori di esclusione sociale e di precarietà.
    Sono fattori che accrescono, per tutti, gli interrogativi sull’identità sociale e sugli strumenti di decodificazione del mondo.
    Il tentativo di esaltazione individuale, obiettivo prioritario degli ultimi decenni del Novecento, non ha avuto successo perché l’esasperato individualismo non dà garanzie di sicurezza e il valore dell’appartenenza (a partire da un’adesione personale) diventa centrale rispetto a quello dell’autonomia. Trattandosi, tuttavia, di appartenenza strumentale (non al valore del gruppo di riferimento, per cui si può facilmente passare ad altro o farla convivere con altre appartenenze = pluri-appartenenze) ha una finalità di rassicurazione e non porta a identità comunitarie.
    Venute meno, quindi, le garanzie offerte dal sistema sociale alla realizzazione delle potenzialità dell’uomo moderno, non si ha una ripresa delle agenzie di senso, dei mondi vitali ove ricostruire e ripensare il contesto societario in trasformazione e perenne ricostruzione.
    Le incertezze di percorso e di appartenenza sociale, il ripiegamento sugli interessi individuali fanno perdere vigore alle progettualità e al coraggio di assumere responsabilità, tanto da far emergere la “paura di crescere”, se non proprio il “rifiuto di crescere”, per l’incapacità di assumere le proprie responsabilità. Si stanno moltiplicando gli emuli di Peter Pan che preferiscono rifugiarsi nel regno della fantasia infantile, spinti a questo anche dalla eccessiva protezione dell’ambiente familiare che non educa al rischio e alla responsabilità. [2]
    Al di là, tuttavia, di scelte che possono essere di comodo e opportunistiche, vi sono anche situazioni reali di precarietà di lavoro, di tipo temporaneo e senza alcuna garanzia.
    Lo shock dell’atto terroristico dell’11 settembre 2001 ha reso ancor più incerto il nostro tempo perché ha colpito al cuore il sistema abbattendo i simboli economico (Twin Towers) e militare (Il Pentagono) che lo rappresentavano, e nella debolezza del sistema che pareva vincente, l’incertezza ha raggiunto il cammino stesso della storia. [3]
    Della società postmoderna in cui viviamo:
    – si è messa in discussione l’idea del progresso;
    – sono stati anche ridimensionati gli eccessi di potere riconosciuti alla ragione e la sua pretesa autosufficienza;
    – si sta imponendo la necessità di rispetto per la natura e le esigenze dell’habitat per salvaguardare la possibilità e la qualità della vita umana;
    – si tenta un recupero della centralità dell’umano e dei valori che lo caratterizzano, proiettati in un contesto nuovo. L’orizzonte di valori del moderno si orienta sempre più verso ciò che tende ad “esaltare la qualità della vita”;
    – si evidenzia, a fianco del razionalismo tecnico scientifico, un atteggiamento di maggior disponibilità alla dimensione spirituale, alle domande “sul significato e sul fine ultimo della vita”.
    È necessario, inoltre, tenere presente che nella società attuale le realtà più diverse si sono riavvicinate; i fenomeni anche inquietanti del mondo ci toccano da vicino e ne avvertiamo le conseguenze; i confini del particolarismo diventano sempre più evanescenti; alcuni principi e valori morali si fanno sempre più globali e trascendenti. “È in questa società che sta emergendo l’uomo del ‘post-individualismo’: il ‘global-io’”. [4] La realtà della globalizzazione ci aiuta a capire che non vi è separazione tra l’io e il resto del mondo; l’io globale non annulla la realtà individuale, ma la apre a orizzonti che sono le condizioni nuove del suo esistere. In questa non estraneità, l’uomo è chiamato a comprendere la irrinunciabilità di una “solidarietà globale”, anche semplicemente legata a motivi di egoismo personale.
    In questo orizzonte macrosociale, appaiono anche sempre più evidenti le nuove condizioni di vita:
    - Oggi si vive in una società complessa e anzitutto fortemente differenziata che offre agli individui “pluriappartenenze” e molteplici opportunità per soddisfare i bisogni e le esigenze della vita. Di questa pluralità il soggetto è chiamato ad acquistare piena consapevolezza per saperla valorizzare senza divenirne dipendente, per imparare a vivere nel plurale senza incertezze, per orientarsi nelle scelte senza perdere la bussola.
    - Oltre che differenziata, la società complessa è, in secondo luogo, molto dinamica, soggetta a rapidi e anche profondi cambiamenti. Le innovazioni tecnologiche cambiano la vita a livello di lavoro, di relazioni, di comunicazione, di informazione e anche di formazione. Questo accresce la difficoltà di vivere da protagonisti nella società complessa, senza estraniarsi, ma anche senza soccombere allo stress.
    - La società complessa è anche una società multiculturale. La “cultura plurale” è il tessuto della nuova società. Essa richiede una presa di coscienza e un rispetto per la diversità. Imparare a vivere in una società multiculturale è condizione indispensabile per dare qualità alla nostra vita quotidiana.
    - Infine, la società attuale, oltre che complessa e multiculturale, è una società planetaria. La globalizzazione comporta rischi e problemi, ma è anche una realtà straordinaria che fa intravedere “l’unità fondamentale del mondo umano”, fa maturare una coscienza universale, apre nuovi orizzonti di pensiero e di realizzazione concreta della vita umana. Bisogna imparare a vivere come cittadini del mondo senza perdere la concreta appartenenza, anzi valorizzando ancor più le significative identità locali che consentiranno di essere portatori di una specificità nel convito umano mondiale. [5]

    Identità e ricerca di senso nella società postmoderna

    Siamo “la prima generazione a vivere in questa società, i cui contorni riusciamo a distinguere con difficoltà. Essa sconvolge i nostri abituali modi di vita, ovunque ci troviamo”.
    Abbiamo bisogno di riapprendere il mestiere e l’arte di vivere, facendo i conti con il nostro tempo, per ridare fondamento nuovo alle identità personali e ai percorsi di identificazione, ai valori, ai modelli e alle certezze che costituivano i fondamenti e le rassicurazione della vita.
    La rapidità dei cambiamenti e la messa in discussione dei valori e delle istituzioni tradizionali accrescono le incertezze e fanno sperimentare la precarietà dei riferimenti esistenziali e dei percorsi sociali. Dobbiamo impegnarci in una elaborazione culturale dei cambiamenti per poterli interpretare ed essere capaci di controllarli.
    Questa è la condizione di vita e il compito degli adulti nella modernità avanzata. Bisogna tenere presente che i segnali di crisi del contesto sociale odierno toccano anzitutto loro e non in modo superficiale. Ciò su cui si fondava la loro identità e stabilità sociale è cambiato: le identificazioni a livello sociale, professionale, culturale, istituzionale e perfino di modalità di pensare si sono frammentate e hanno fortemente incrinato i riferimenti e le sicurezze esistenziali (dall’organizzazione piramidale a quella partecipata, dalla dipendenza all’interdipendenza, dal pensiero lineare a quello circolare). Oggi la metafora prevalente è quella della rete e il problema organizzativo è quello del coordinamento; la stabilità della famiglia, del lavoro, del ruolo sociale sono venute meno e ci si può trovare a vivere processi di nuova inclusione sociale anche dopo i 40 anni (formazione di una nuova famiglia, avvio di un nuovo lavoro, cambio di domicilio, di reti relazionali, ecc.).
    Il cambiamento a cui è sottoposto il lavoro e l’insieme del ruolo sociale esige un “apprendimento per tutta la vita” per garantirsi una continuità e stabilità sociale, pur nella flessibilità. La condizione di vita dell’adulto si rivela oggi in tutta la sua problematicità proprio a partire dalla difficoltà di definire, costruire e conservare una sua specifica identità.
    In questa situazione si vivono due rischi di fondo, riferiti all’identità individuale e sociale:
    - Il rischio di perdita nel frammento: l’instabilità e precarietà della situazione complessiva del nostro mondo del “possibile”, le pluriappartenenze strumentali e la differenziazione degli ambienti vitali, la difficoltà di coordinare le precarietà per dare un certo peso alle esperienze, possono accrescere ansia e incertezza e far vivere la sensazione di non riuscire a dare orientamenti e scelte per valorizzare al meglio la stessa esperienza.
    - Il rischio di perdita nel globale: l’individuo, visto sempre più come soggetto di consumo in una strategia di mercato che ha interesse ad acquistare clienti, corre il rischio di essere ridotto a terreno di conquista o a destinatario di una infinità di oggetti per la soddisfazione di esigenze materiali, con la pretesa di rispondere alle esigenze della vita personale e sociale solo con l’abbondanza delle cose.
    Le nuove condizioni di vita cominciano anche a suscitare nelle persone nuova sensibilità e attenzione ai valori, alla dimensione spirituale, al significato e al fine della vita.
    La mondializzazione, proprio perché crea nuove condizioni di vita, apre anche nuove prospettive e nuovi orizzonti all’identità. Se i pionieri del globale riusciranno ad umanizzare la mondializzazione e ad aiutare l’uomo ad universalizzarsi, si potranno superare i traumi che la globalizzazione ha finora prodotto.

    La ricerca di senso nella “modernità avanzata”

    La “modernità avanzata” è l’orizzonte nuovo dell’identità e la nuova prospettiva del nostro percorso di identificazione. Bisogna diventare capaci di dialogo con questa nuova realtà per la ricerca di senso da dare alla vita attuale. D’altra parte, non mancano segni di speranza per l’uomo del XXI secolo che si apre a questo nuovo orizzonte e neanche risorse per valorizzare questo stesso orizzonte.
    Nella società attuale si riscontra una diffusa ricerca di spiritualità, di trascendenza, quasi come un superamento della stagnazione spirituale registratasi con la secolarizzazione. Appare quasi come ricerca di un surplus di umanità contro il predominio della tecnica e della razionalità strumentale.
    Questa ricerca porta con sé un forte segno di speranza, che, tuttavia, è mista a paura perché non è facile trovare ragioni di senso della vita individuale.
    La ricerca di senso avviene in una stagione di pluralità e di differenziazione, che è anche tempo del mercato unico mondiale che tende a imporre un “pensiero unico”, una monocultura imperante tra i signori dell’economia e della tecnica.
    Tutto questo rende difficile la ricerca di un senso autentico legato al soggetto e alla sua terra, proprio perché nella prospettiva del “pensiero unico” si corre il rischio di venire espropriati dalle nostre radici di senso.

    Religione e ricerca di senso

    La ricerca di senso nella “modernità avanzata” apre alla religione. Oggi viene riconosciuto da tutti questo compito della religione nella vita degli individui, anzi in questo si identifica la sua funzione specialistica, confinata però nel privato.
    La ricerca di senso diventa, quindi, uno degli elementi costitutivi dell’esperienza religiosa.
    Piuttosto assente nelle vicende ordinarie della vita, il riferimento trascendente è presente nel momento della riflessione, in cui se ne cerca una fondazione.
    Alla vita segnata dall’esperienza del limite, la religione offre una interpretazione, anche se non sono tantissimi ad avvertire la coscienza del limite e “la necessità di punti di riferimento più ampi”.
    Il sociologo italiano Franco Garelli parla del riferimento religioso per il senso individuale in questi termini: “La religione presiede ancora la sfera privata di molti individui, rappresentando una risorsa che contribuisce a rispondere al problema del significato. Ma la ricerca di senso è oggi assai varia e pluralistica, da parte di soggetti più attenti a esigenze immediate di realizzazione che a prospettive più ampie”. [6]

    I GIOVANI IN QUESTA REALTÀ SOCIALE E CULTURALE

    In una società differenziata e che presenta una notevolissima diversità culturale, in cui i punti di riferimento collettivi sono carenti e in cui il tessuto sociale presenta stili di vita e modelli alternativi, i giovani possono essere visti come la cartina di tornasole delle situazioni di incertezza e di disagio, di difficoltà di identificazione e di passaggio a ruoli adulti.

    Le ricerche più recenti sulla realtà giovanile

    Offriamo anzitutto una rapida panoramica delle ricerche più recenti e dei fenomeni significativi che riguardano i giovani.

    Il Quinto Rapporto IARD

    L’impegno più organico di conoscenza della realtà attuale dei giovani italiani è certamente quello svolto dallo IARD che ha pubblicato il suo Quinto Rapporto sulla condizione giovanile in Italia: Giovani del nuovo secolo. [7] Il rapporto è frutto di una trentina di studiosi e presenta piccole monografie su molti aspetti del vissuto giovanile.
    In alcuni saggi si evidenzia una percezione di insicurezza legata soprattutto alla precarietà che tocca da vicino la loro condizione sociale e lavorativa; non è alieno tra gli adolescenti un senso di inadeguatezza per quanto avvertono come esigenze a livello di immagine; vi è inoltre una sensazione dominante di solitudine perché manca qualcuno su cui contare, una figura guida che possa aiutare a muoversi nella società con minore incertezza. Situazioni che fanno rinviare l’uscita dalla famiglia e l’assunzione di responsabilità a livello di coppia e di famiglia.
    Sono giovani figli del loro tempo, si dice, che mal sopportano l’applicazione di cliché e che non consentono facili integrazioni tra caratteristiche legate a competenze e pratiche di vita, con quelle più di tipo psicologico e culturale; fortemente differenziati anche al loro interno in riferimento all’età, al percorso formativo e alle appartenenze.
    Non è possibile fare una rapida presentazione dei tratti essenziali; nelle sintesi successive ci rifaremo spesso ai risultati del Rapporto, che è uno strumento con cui non possono non fare i conti quanti si interessano dei giovani in Italia.

    Le ricerche del CENSIS sui giovani

    Il Censis, in questi ultimi due anni, ha effettuato analisi e sintesi significative sui giovani italiani. Nel marzo 2001, sintetizzando i risultati emersi da diversi studi e ricerche effettuate sui giovani e di cui offre i risultati nel 34° Rapporto, ne ha fatto una sintesi nella nota dal titolo “La generazione del consenso”. [8] Vengono presentati alcuni dati della situazione giovanile e si cerca di far cogliere la portata del disagio generazionale e l’incidenza sociale della marginalità dei giovani. Gli estensori della nota, tuttavia, sottolineano anche la rilevante capacità dei giovani di adattamento all’evoluzione sociale e la loro disponibilità alle esigenze di flessibilità, di centralità della formazione e della cultura del merito. Per tutto questo affermano che la nuova cultura giovanile “rispecchia fedelmente, e freddamente, le contraddizioni, le antinomie e le patologie dell’attuale contesto sociale”.
    La generazione del consenso, si legge nella nota, è “una generazione specchio fedele delle contraddizioni sociali; fin troppo fedele, tanto da riflettere una possibile natura patologica della compresenza negli stessi individui in età giovanile di un forte senso di estraneità dalle altre generazioni, ma da un contestuale appiattimento consensuale sui valori dominanti, sui comportamenti e persino le scelte più banali (dalle vacanze, ai film preferiti) delle generazioni adulte”.
    Da una parte, quindi, si può riscontrare una “quasi sistematica convergenza di orientamenti sociali e valoriali rispetto agli adulti”, ma dall’altra è notevole l’alterità rispetto alle altre generazioni, avvertita “soprattutto nei linguaggi espressivi e nei luoghi della socializzazione”.
    Due tensioni, in qualche modo, convivono nella realtà dei giovani: “una spinta potenziale alla alterità generazionale e una aderenza sostanziale a modelli valoriali convenzionali”. Queste due tensioni convivono in una sorta di quieto vivere, che illude sull’assenza di conflitti. In realtà, anche questa forma di quieto vivere è un segnale di un modo diverso di leggere il rapporto generazionale. Non si tratta tanto di consenso, quanto piuttosto di una forma di dissenso che è di fatto estraniazione, risultato della scarsa presenza e incidenza della famiglia nel processo educativo dei giovani. Un’assenza che non rende neanche capaci di cogliere le contraddizioni nella vita dei figli e questo fa illudere circa le convergenze e il consenso.
    A metà giugno 2002, il CENSIS ha offerto i risultati di un’altra ricerca: Giovani lasciati al presente. [9] L’indagine, commissionata dall’Osservatorio Europeo sui giovani, ha coinvolto un campione rappresentativo nazionale di 1500 giovani dai 15 ai 30 anni.
    Al di là di ciò che il titolo richiama, l’indagine vuole aiutare a capire “i cambiamenti in atto nella cultura e nell’identità giovanile”. Vengono indicati i valori positivi di cui i giovani sono portatori (lavoro, famiglia, spiritualità, crescita intellettuale) e si sottolineano alcuni punti fermi sulla condizione giovanile. Tra questi, si dice che l’omologazione da essi espressa non è un loro progetto ma una conseguenza dell’azione del sistema in cui sono inseriti (società e famiglia). “È il mondo degli adulti, si afferma, a suggerire stili di vita e di rapporti con l’altro sulla base di modelli di omologazione. Di questo atteggiamento i giovani finiscono per essere lo specchio nonché agenti di moltiplicazione e di amplificazione”. L’effetto di sistema porta almeno sei giovani su dieci a “condividere le stesse caratteristiche psicologiche, comportamentali e fisiche, e appaiono quindi del tutto immersi nel processo di cetomedizzazione cui è sottoposta la struttura delle classi in Italia”. Un aspetto interessante di questa situazione viene evidenziato in riferimento all’età: mentre i più giovani (15-17 anni) vivono questa indistinzione perché si identificano con il gruppo dei coetanei, i giovani più grandi (28-30 anni) l’avvertono come una “condizione generale di omologazione” al mondo degli adulti, di cui cominciano a sentirsi parte.
    Il “presente” viene indicato come uno dei tratti più importanti dell’esperienza di vita dei giovani, ma viene ricondotto al fatto che gli “adulti non si interrogano più sul ‘se’ e sul ‘come’ potrebbe essere disegnato il futuro: questo fa mancare ai giovani gli stimoli e le provocazioni necessari per elaborare un proprio progetto di vita; essi non riescono più neanche a cogliere e a sfruttare il potenziale di rivoluzione permanente che la loro età potrebbe indurre e che – soltanto uno o due decenni fa – costituiva per molti ragazzi, un imperativo diffuso”.
    Di presente e presentismo, la ricerca non indica altro, anzi sottolinea notevoli potenzialità di futuro nei giovani che potrebbero essere valorizzate per “migliorare la qualità della società”.
    L’8 novembre 2002, il CENSIS ha anche pubblicato i risultati di una ricerca promossa dalla CEI su I giovani e la cultura nell’era della comunicazione. [10] La ricerca è stata effettuata su un campione rappresentativo di 1000 giovani dai 18 ai 30 anni. In questa ricerca si è cercato di esplorare le “dimensioni immateriali del vissuto giovanile, di riflettere sulle emozioni e i sentimenti che li abitano, sulle passioni che li agitano, sulle loro speranze, sul rapporto con le figure-guida, sulla loro idea di ‘cultura’”.
    I risultati della ricerca fanno emergere “un’interiorità, un vissuto psicologico dai forti contrasti”, con notevoli contraddizioni tra tensioni ideali e pragmatismi imposti dall’efficientismo e dalla frenesia che il modello sociale impone.
    Notevole attenzione viene data nella ricerca alla religiosità dei giovani. Si cerca di capire il punto di vista dei giovani riguardo alla fede a livello esistenziale, culturale, sociale, etico… e anche la loro collocazione nella Chiesa cattolica. I dati evidenziano la ricerca da parte dei giovani di un riferimento ad una comunità di senso che sia di sostegno nella costruzione di sé e nella propria collocazione nel mondo. La fede, pertanto, diventa un canale di appartenenza a una realtà comunitaria, ma nello stesso tempo fa da supporto a dimensioni individuali e private di costruzioni di senso e di scelte di vita.
    Anche la cultura viene letta in riferimento al bisogno di identità, di costruzione della propria identità e di una visione del mondo. Questo accresce la sensibilità e la voglia di nuovi modelli culturali e apre al patrimonio culturale di altri paesi. I giovani, tuttavia, appaiono privi di riferimenti solidi, di maestri di vita. È ancora l’esperienza di vita personale, la dimensione privata che segnerà i processi di acquisizione culturale: “Sono le esperienze di vita quelle che costituiscono davvero la cultura di una persona, è il suo rapporto diretto con il mondo, il suo esplorare le tante dimensioni dell’esistenza”.
    I giovani sono da soli ad “affrontare una trasformazione epocale” in cui la tecnologia rischia di dominare la cultura e di marginalizzare lo spessore umano, anche a motivo del fatto che si impoverisce sempre più la trasmissione culturale tra generazioni.
    Di fronte ai dati, spesso provocanti, della ricerca, gli estensori del rapporto sottolineano l’emergenza del “bisogno di figure guida che sappiano trasmettere la memoria e il senso del passato e, al tempo stesso, sappiano indicare le prospettive del futuro”.
    Ma, avvertono, l’approccio alla realtà giovanile non si presta a logiche razionali‚ e ciascun aspetto dell’analisi contribuisce a costruire un mosaico piuttosto complesso. È più facile cogliere le interazioni tra i vari aspetti che la loro integrazione. I vari processi della loro realtà esistenziale si collegano e interagiscono “secondo le logiche sfuggenti e un po’ bizzarre” dell’evoluzione dei modi di vivere e di pensare.
    L’insieme delle provocazioni che emergono dai risultati di questa ricerca consolida ancor più la convinzione della difficoltà di comprendere “i giovani dell’inizio di questo terzo millennio”. Ci si può illudere circa le loro ostentate sicurezze e il loro sentirsi a proprio agio nel contesto e nel complicato mondo che li circonda. In verità “la loro realtà interiore è fortemente contraddittoria e reclama, da parte di chi vuole interpretarla, l’abbandono rapido di preconcetti e atteggiamenti pregiudiziali, pena il dissolvimento di un’immagine, quella appunto dell’universo giovanile, che è di per sé sfocata e in rapida trasformazione”.

    La condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia

    Il 13 novembre è stato presentato il 3° Rapporto nazionale sulla condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza curato dall’Eurispes e Telefono Azzurro. Il rapporto consta di una parte fondamentale, che è un monitoraggio puntuale su alcune aree tematiche nelle quali si vuole individuare le problematiche e i nuclei critici emergenti nel mondo dei bambini e degli adolescenti, e nello stesso tempo intercettare le domande provenienti dalle istituzioni, dalla società civile, dagli operatori e dalle famiglie. Una parte più breve riporta i risultati di un’indagine campionaria realizzata applicando 7 mila questionari in 150 scuole italiane per individuare, con un sufficiente grado di precisione, i comportamenti, gli atteggiamenti e le tendenze attuali dell’infanzia (7-11 anni) e dell’adolescenza (12-18 anni).
    Nell’analisi dei dati dell’indagine campionaria sugli adolescenti l’aspetto più rilevante emerso è il fatto che in Italia, gli adolescenti “crescono, si fanno uomini e donne, vanno a lavorare, hanno i fidanzati, ma di casa non se ne vanno, non ci pensano proprio. Cocchi di mamma, eterni adolescenti”.
    “I giovani italiani restano con mamma e papà ben oltre la laurea, ma già dalle elementari sono abituati a gestire somme di denaro – la paghetta settimanale – e dispongono delle chiavi di casa: due chiari segnali di autonomia. Poco impegnati in politica, i ragazzi italiani sono però pronti a scendere in piazza sotto le bandiere dell’ambiente e dei destini del Sud del mondo. Navigano spediti su Internet, chattano on line, spediscono raffiche di e-mail e messaggini, eppure da piccoli leggono il doppio dei loro padri”. Si tratta di indicazioni molto veloci e un po’ di luogo comune, secondo una certa prospettiva di evidenziare caratteristiche del vissuto giovanile attuale.

    Libro Bianco della Commissione Europea: un nuovo impulso per la gioventù europea

    Tra le attenzioni alla realtà giovanile vi è uno strumento e avvenimento da non trascurare. In occasione del Consiglio “Gioventù” alla fine del 1999, la Commissione ha proposto di varare un Libro Bianco per una nuova cooperazione europea in materia di gioventù. L’adesione unanime ha fatto avviare un’ampia consultazione, dal maggio 2000 al marzo 2001, “che ha interessato i giovani di qualsiasi origine, le organizzazioni della gioventù, la comunità scientifica, i responsabili politici e le loro amministrazioni”.
    Il Libro Bianco è stato pubblicato nel novembre 2001. Lo ritengo un avvenimento e uno strumento da non dimenticare perché è il segno di un’attenzione nuova: in esso si esprime la necessità di conoscere la realtà attuale dei giovani per poter valorizzare la gioventù come una forza per la costruzione europea. La prospettiva è interessante: i giovani non sono ritenuti un problema, ma una risorsa; sono attori sociali da ascoltare e da valorizzare per le idee che li animano e li guidano.
    “Ascoltare i giovani, offrire una cassa di risonanza alle iniziative locali, incoraggiare gli Stati membri a meglio cooperare, avviare sin d’ora azioni concrete nel quadro dei programmi europei esistenti e meglio inserire la dimensione ‘gioventù’ nell’insieme delle politiche, questa è la strategia proposta da questo Libro bianco per creare le condizioni di una piena partecipazione dei giovani alla vita di società democratiche, aperte e solidali”.
    “Investire nella gioventù, si legge ancora nel Libro Bianco, significa investire nella ricchezza delle nostre società di oggi e di domani”. Per questo motivo si intende andare oltre quanto da tempo si sta realizzando con il “Programma GIOVENTÙ” per rispondere alle nuove sfide.
    Il Libro Bianco offre, come frutto della consultazione, una lettura dei cambiamenti che riguardano i giovani e ne precisa anche alcuni caratteri generali. Le caratteristiche attuali dei giovani sono dovute alle “modifiche del contesto sociale, dei comportamenti individuali e collettivi, delle relazioni familiari e delle condizioni del mercato del lavoro”. Questi cambiamenti, insieme alle nuove realtà demografiche, hanno indotto nei giovani nuove caratteristiche a livello sociale, culturale ed economico.
    In particolare, sono tre le constatazioni fatte circa la nuova realtà dei giovani:
    - La prima riguarda “il prolungamento della gioventù”: “I demografi osservano che, sotto l’influsso di fattori economici (occupabilità, disoccupazione, ecc.) e di fattori socioculturali i giovani sono, mediamente, più avanti con gli anni allorché superano le diverse tappe della vita: fine degli studi, accesso al lavoro, creazione di una famiglia, ecc.”
    - La seconda evidenzia “percorsi di vita non lineari”: “Si assiste oggi a ‘un accavallamento delle sequenze della vita’: si può essere contemporaneamente studente, avere responsabilità familiari, essere lavoratore o alla ricerca di un lavoro, vivere presso i genitori; e il passaggio dentro e fuori da tali condizioni è sempre più frequente. I percorsi individuali sono meno lineari proprio per il fatto che le nostre società non offrono più le stesse garanzie di un tempo (sicurezza del posto di lavoro, prestazioni sociali, ecc.)”.
    - La terza sottolinea la non pertinenza dei modelli collettivi tradizionali perché le traiettorie personali sono sempre più individualizzate. Non più quindi percorsi standard, e questo richiede anche politiche nuove da parte delle autorità pubbliche.

    Un altro elemento significativo emerso dalle consultazioni è la disponibilità dei giovani europei ad essere promotori e attori della democrazia. La difficoltà perché questo avvenga è la diffusa diffidenza nei confronti delle strutture istituzionali. “I giovani si identificano meno che in passato nelle strutture tradizionali dell’azione politica e sociale (partiti, sindacati), la loro partecipazione alle consultazioni democratiche è debole”.
    Da questo, tuttavia, non si può dire che i giovani siano disinteressati alla vita politica. Il problema è piuttosto come trovare nuove vie per farli partecipare colmando “il fossato che separa la volontà di espressione dei giovani e le modalità e strutture offerte a tal fine dalle nostre società”. In questo modo si potrà impedire “il deficit di cittadinanza” e non “incoraggiare la contestazione”.
    La sfida per tutti è quella di riuscire a “creare le condizioni per far sì che i giovani europei siano cittadini solidali, responsabili, attivi e tolleranti in società pluralistiche”.
    Occorre, pertanto, far emergere nel mondo giovanile una cittadinanza attiva attraverso un loro maggiore coinvolgimento “nella vita della collettività locale, nazionale ed europea”.
    Le prospettive di attenzione alla realtà giovanile e al suo inserimento attivo nella nuova Europa sono senza dubbio uno stimolo efficace perché si possa individuare il da farsi anche a livelli territoriali diversi.
    Il Libro bianco prevede anche una migliore presa in considerazione dei bisogni specifici dei giovani nelle politiche comunitarie e nelle politiche nazionali, nella consapevolezza che una migliore cooperazione su scala europea rafforzerebbe l’impatto e la coerenza delle politiche nazionali.
    “Da qui deriva la principale ambizione del Libro bianco: dotare l’Unione europea di un nuovo quadro di cooperazione nel campo della gioventù ambizioso, all’altezza delle aspettative dei giovani, e realista, che stabilisca priorità tra le numerosissime questioni evocate in occasione della consultazione, e che rispetti i diversi livelli di competenze interessati.
    Questa cooperazione deve partire dallo zoccolo di attività esistenti, essere compatibile e complementare con le altre iniziative in corso, in particolare nei campi dell’occupazione, dell’istruzione e dell’integrazione sociale, ove ciò risulti necessario, e assicurare una migliore sinergia tra i diversi livelli di potere e gli attori del settore della gioventù”.

    ATTENZIONI ALLA REALTÀ GIOVANILE ATTUALE E PROVOCAZIONI A LIVELLO EDUCATIVO

    Lo scenario che abbiamo presentato, i risultati delle più recenti ricerche e le iniziative che si stanno promovendo a livello europeo pongono necessariamente nuove esigenze nell’attenzione di conoscenza della realtà giovanile attuale.
    Occorre pertanto individuare prospettive di attenzione che facciano intravedere una più efficace possibilità di azione e di dialogo intergenerazionale. Solo così, tutti coloro che raggiungono i giovani nel loro percorso di vita potranno coglierne meglio le provocazioni e gli appelli e accompagnarli nell’apprendistato della vita.
    Qui di seguito, offro una sintesi delle caratteristiche portanti della realtà giovanile attuale aperta alla prospettiva educativa.
    In essa cerco di focalizzare l’attenzione di conoscenza, di individuare le ambivalenze della situazione e di evidenziare le provocazioni a livello educativo.

    L’esperienza sociale e la realizzazione personale dei giovani

    Lo scenario sociale che abbiamo indicato rende incerto il processo di socializzazione, difficile e complesso il percorso di formazione dell’identità personale, problematico l’inserimento sociale.

    “Resilienza” e “socialità ristretta”

    La socializzazione, soprattutto perché sono divenuti sempre più fluidi i confini tra le generazioni e approssimativi i ruoli educativi degli adulti, “appare come un processo discontinuo, frammentato, ma soprattutto poco vincolante”.
    L’inconsistenza della socializzazione (indicata come “leggera”, “a bassa definizione”) era stata sottolineata negli anni Novanta e la si collegava alla eccessiva incidenza della informazione e della comunicazione e alla scarsità di riferimenti e percorsi istituzionali. [11]
    Come ben sottolinea Elena Besozzi, “gli esiti di una tale socializzazione sono altamente problematici: soggetti con identità debole, privi di criteri di riferimento, o soggetti in balìa degli eventi o delle mode, o ancora soggetti molto informati ma poco capaci di azioni mirate, progettualità, legame sociale”. [12]
    La disponibilità di conoscenze e informazioni, veicolate soprattutto dai media (televisione, computer, ecc.), accentua l’incidenza della “ridondanza informativa e di pluralità di esperienze”, fa vivere una sorta di autosocializzazione; e la scarsa presenza degli adulti e la poca incidenza dei percorsi istituzionali fa venir meno una presenza e un percorso educativo significativo per “la comprensione, la riorganizzazione delle conoscenze e delle informazioni, l’attribuzione di valore e di senso, l’attivazione di un pensiero riflessivo”. [13]
    In queste difficoltà di socializzazione, il dato più immediato e comune che emerge dall’esperienza attuale dei giovani è la loro disponibilità ad accettare l’esistente e i non pochi compromessi che esso richiede. Con un atteggiamento altamente opportunistico si adattano alle condizioni attuali del vivere sociale, godono dei vantaggi che vengono loro offerti, ma vivono l’incertezza della responsabilità del loro percorso di vita.
    Anche se questo è il dato più immediato, non tutto si riduce qui. Vi sono anche forme significative di reazione in un buon numero di giovani “che interpreta l’incertezza come una sfida e riesce a tradurla in una risorsa”, che esprime una notevole dose di “resilienza”, che li rende capaci cioè di assorbire i colpi e di reagire attivamente alle spinte conformizzanti che riceve dal mondo adulto. [14] Il loro modo di essere e di vivere, per quanto condizionato dalle generazioni adulte, esprime capacità e risorse che li spingono ad agire diversamente e a trovare forme di presenza e di partecipazione nel sociale che fa trovare loro una nuova forma di visibilità e di combinazione individualità/socialità.
    L’eclissi dei giovani dalla politica ha fatto parlare della loro invisibilità. In verità, a ben guardare comportamenti, valutazioni ed esperienze vissute dai giovani, le cose stanno anche diversamente. Vi sono spazi, atteggiamenti e adesione a valori che esprimono una loro presenza, una partecipazione e attenzione diversa ai problemi della collettività. Motivazioni politiche e di solidarietà sono alla base della partecipazione dei giovani a movimenti, associazioni, volontariato, mobilitazioni a volte occasionali ma dal chiaro contenuto sociale e politico (basterebbe pensare al movimento no-global, agli ecologisti, al volontariato in genere).
    Anche se l’adesione e in genere il coinvolgimento si realizza sulla base di spinte emozionali, i giovani, attraverso reti di appartenenza, di vicinanza, di prossimità, di socialità ristretta, vivono un relazionarsi che esprime il bisogno di identificazione, di appartenenza, di condivisione, di non estraneità con l’altro. Anche se il tutto può rispondere a un bisogno individuale, è una via di apertura all’altro che non può leggersi soltanto come riflesso della crisi personale. Va piuttosto visto come uno degli orizzonti di attività o anche come una forma di reazione alla globalizzazione: valorizzazione dello spazio di vita, del locale come possibilità di prossimità, di reti relazionali, di appartenenza. [15]
    Nell’ultimo Rapporto IARD è stata evidenziata l’importanza della socialità ristretta, delle relazioni interpersonali: “È come se intorno alla famiglia si andasse progressivamente strutturando un nucleo forte di valori tutti riferiti all’intorno sociale immediato della. persona. Nucleo che pervade di sé e qualifica l’intero sistema valoriale delle giovani generazioni”. [16]
    L’area della società ristretta è a cavallo tra spazio interno ed esterno alla persona, ed è qui che viene collocato il punto focale di attenzione dei giovani per la costruzione del loro sistema di vita.
    A partire da questa garanzia ci si apre ai valori più esterni e all’impegno anche politico.
    L’altro è colui che viene coinvolto nella socialità ristretta, con il quale realizzo una situazione di prossimità; socialità ristretta e rete di prossimità è anche un modo di rendere la società vicina per renderle quel volto umano che a livello macro non riesce a realizzare.
    Proprio con il desiderio di valorizzare la prossimità come strategia politica per una base nuova di cultura civica, Paola Di Nicola ne indica la condizione e la cornice possibile della sua attuazione.
    La condizione è che si elabori un quadro di riferimento chiaro e si accompagni il processo. Non si può d’altra parte pretendere che la cultura civica possa essere un contenuto condiviso e coerente della socializzazione. La sua via di attuazione è piuttosto legata all’azione di aggregazioni sociali a cui si aderisce per scelta e che potenziano le soggettività individuali. Se queste aggregazioni attivano processi, potenziano le sfere intermedie (tra il pubblico e il privato) e stimolano i partecipanti a realizzare una propria identità aperta alla visione e alla pratica del bene comune, possono attivare la pratica di una “cittadinanza societaria” in grado di sviluppare una nuova cultura civica su basi fiduciarie e in grado di ricostituire un tessuto sociale con regole di convivenza civile condivise. [17]
    L’esperienza della socialità ristretta non ha portato i giovani ad avvicinarsi al pubblico né a superare la distanza dalle istituzioni, che ai loro occhi appaiono delegittimate, destrutturate, poco funzionali agli stili di vita, alle esigenze di soggettività e di libertà attuali.
    Nell’apprendistato della vita, i giovani fanno fatica a conciliare libertà e ricerca di senso che esprimono esigenze individuali, con scelte e responsabilità che sono richieste dalla socialità, da cui sanno di non poter evadere. Allo stesso modo non sembrano molto lineari nella connessione vicino/lontano, per cui oscillano fra appartenenze localistiche e spinte universalistiche quando devono assumere un ruolo di protagonismo sociale.
    La socialità ristretta e la prossimità sembrano essere le vie più ricercate per sperimentare la coniugazione tra queste complementari dimensioni della vita. La via del volontariato e l’occasione offerta del servizio civile possono essere un’opportunità importante per rafforzare l’interdipendenza individualità/socialità in una prospettiva nuova di intervento e di coinvolgimento nel sociale.

    Il “pluriverso” giovanile attuale

    La quota dei giovani che affrontano la realtà e cercano di realizzare una nuova visibilità sociale non deve far perdere di vista la grande varietà del mondo giovanile attuale e i diversi e differenziati percorsi di realizzazione personale.
    I giovani di oggi vivono una pluralità di mondi di vita e sperimentano differenti modalità di appartenenza, costruiscono la propria identità con riferimenti, modelli e proposte plurime.
    Si trovano di fronte a “un supermarket di offerta, di possibilità di identificazione, in termini di moda e di stili di consumo, di comportamento, di esperienze” che accrescono le possibilità di libertà esistenziali attraverso cui poter realizzare una propria identità.
    Esistono, in verità, mondi giovanili diversi. Questa diversità non è legata solo alle diverse opportunità e condizioni di accesso alle risorse della società, non è determinata soltanto da aspetti di tipo strutturale e socioeconomico. Si tratta di diversità culturale, di riferimento ideale, di valori, di sistema simbolico, di modi cioè di comprendere la vita e di pensarne la realizzazione. Tutto questo richiama fortemente l’attenzione ai singoli percorsi esistenziali e richiede una capacità di aiutare ciascuno a verificare il proprio e di offrire sponde che lo rendano più sicuro. La pluralità di esperienze e di appartenenze deriva dal fatto che i giovani vivono in un mondo che offre varie possibilità e opportunità e ha come conseguenza che essi realizzino un atteggiamento selettivo ma non coerente. Le loro scelte non sono esclusive, ma selettive e parziali, legate a funzionalità e strumentalità. Si trovano di fatto a vivere appartenenze contigue, riferimenti culturali plurali che fanno vivere una vita varia e articolata, aperta alla novità, alla ricerca di stimoli, di emozioni in esperienze diverse, parzialmente coinvolgenti. Le pluriappartenenze strumentali e la differenziazione degli ambienti vitali danno vita a una “patchwork-identità” fatta di parti, di esperienze parziali legittimate da significati parziali che ciascuna offre, di riferimenti plurimi a valori orientati a soddisfazioni immediate, ecc.
    Tutto questo fa parlare di “una realizzazione policentrica, non lineare né gerarchica”, in quanto l’esperienza di vita attuale dei giovani non è un processo verso qualcosa di ben definito; non sono le gerarchie o il pensiero lineare che caratterizzano la crescita. Non si può neanche dire che si tratta di una realizzazione a “mosaico”, che richiederebbe comunque una cornice… la vita dei giovani resta aperta perché ogni polo può aprire ad altri aspetti ad esso collegati o collegabili, in quanto esprime sempre una pluralità di opportunità.

    Novità e difficoltà nel percorso di crescita dei giovani

    Il percorso di crescita dei giovani di oggi è segnato dalla difficoltà di progettare il futuro: la polarizzazione sul presente, l’attenzione alla quotidianità, la mancanza di orizzonti, accrescono l’incertezza di prefigurare il futuro e di definirne i percorsi. [18]
    La polarizzazione sul presente, tuttavia, non deve impedire di riconoscere il “potenziale di futuro ‘buono’” dei giovani, anche se bisogna cercare di leggerlo diversamente rispetto al recente passato. Non si tratta tanto di cogliere le scelte che segnano il passaggio alla vita adulta e ciò che le determina, perché “crescere è diventato un lungo processo senza tappe rigidamente predeterminate” e “si diventa grandi” con la consapevolezza che “si sta percorrendo la strada di ingresso nella maturità e, tramite la coscienza, di ciò, assumendo le responsabilità che di volta in volta urge sostenere”. [19]
    Il futuro, pertanto, è segnato da questo percorso di crescita che esprime la voglia di realizzarsi mettendo a frutto le proprie capacità ed energie in una prospettiva di autonomia. L’incertezza del presente, avvertita dai più con una certa tensione, non facilita la prefigurazione del futuro e rende le scelte piuttosto indeterminate, per la difficoltà di fare previsioni per gli anni successivi. La non definitività e la reversibilità delle scelte possono accompagnare fino oltre i trent’anni e sono atteggiamenti nuovi che accompagnano e trasformano il rapporto al futuro. Le conseguenze, a livello di scelte concrete e di atteggiamenti di vita, sono molte e obbligano a una nuova lettura e interpretazione della realtà giovanile.
    Il problema è relativo alla possibilità di interventi che rendano più sicure le sponde del percorso, che aiutino a trovare il filo rosso della vita per rendere visibile una continuità nella transizione al futuro che non faccia perdere la voglia di essere se stessi, per non smarrirsi in una omologazione indistinta.
    Oggi, come sempre, tuttavia, si riesce davvero a diventare grandi solo se si tesse una trama ordinata di relazioni con il mondo degli adulti, sia pure avendo l’obiettivo di differenziarsene.
    Per gli adulti la sfida attuale, nel processo di crescita delle nuove generazioni, è la capacità creativa e la disponibilità ad offrire ai giovani maggiori sicurezze nel processo di progressiva identificazione culturale, affettiva, comportamentale. I giovani hanno bisogno di poter contare su qualcuno che li rafforzi nel cammino e soprattutto non li faccia sentire soli. [20]

    Un modo nuovo di diventare adulti

    L’insistenza attuale sull’adolescenza prolungata può risultare fuorviante nell’analisi del passaggio alla vita adulta. Bisogna anzitutto tenere presente che le incertezze nella crescita, il bisogno di una formazione prolungata, la difficoltà di individuare una meta di arrivo, sono legate alla nuova visione dell’adultità, vista piuttosto come processo che come punto di arrivo.
    Non è neanche giusto collegare all’idea di adolescenza prolungata l’immagine di dipendenza dovuta al cammino di sviluppo non compiuto. Se i giovani vivono atteggiamenti culturali che li portano a dilazionare alcune scelte, non significa che per “stili di vita e modelli di comportamento” non siano autonomi; possono anche trovarsi in situazioni di precarietà a livello occupazionale, ma spesso hanno un reddito e un’ampia autonomia a vari livelli.
    Oggi i giovani vivono in una realtà nuova e bisogna sforzarsi di comprendere la novità della loro esperienza; l’immagine di eterna adolescenza impedisce di cogliere la novità e la particolarità degli attuali processi sociali.
    Per poter interpretare senza condizionamenti la realtà attuale dei giovani e il loro passaggio alla vita adulta, bisogna veramente riconoscere che non sono assimilabili alle generazioni precedenti, che le loro modalità di accesso alla vita adulta sono cambiate, che la stessa adultità attuale va vista diversamente rispetto a quella delle generazione precedenti, che non sono più gli stessi i riti di passaggio dalla giovinezza alla vita adulta, che la mentalità e la modalità di ingresso nei ruoli sociali e la non definitività della condizione di adultità deve anche far pensare che non si realizza una vera cesura con l’età precedente e le sue modalità di sperimentazione della vita stessa.
    Oggi, la formazione non finisce prima dell’avvio del lavoro (si può iniziare l’uno mentre si è ancora in fase di conclusione dell’altra); l’avvio del lavoro è accompagnato da incertezze (scelte personali di lavoro autonomo senza garanzie di stabilità, lavoro dipendente flessibile e precario che non dà sicurezza economica); si possono avviare esperienze di convivenza o si può prolungare l’attesa del matrimonio (vivendo nel frattempo una vita di coppia da sposati) ma sempre con l’idea di una situazione non definitiva; si continua a vivere in famiglia e di essa si godono le garanzie e la gratificazione affettiva, ma con notevole autonomia e indipendenza perché ogni rischio di conflittualità viene risolto con forme di negoziazione (anche implicita) che sono la base di un quieto vivere più o meno funzionante.
    Diciamo che i giovani si avviano a ruoli di adulti non acquisendo le condizioni tradizionali dell’essere adulti. Vi è tuttavia da chiedersi: che cosa significa oggi diventare adulti dal punto di vista culturale, simbolico? Se non consiste più nell’avviare lo svolgimento di alcuni ruoli sociali, se non è più neanche sentire di essere i nuovi personificatori di un modello, in che cosa è da cogliere?
    Partendo dall’importanza attribuita alla relazione anche per l’esperienza della propria identità, il passaggio alla condizione di adulto è riscontrabile quando nella relazione alle altre generazioni il giovane, nella sua esperienza individuale e diversa rispetto ai suoi coetanei, matura un senso di generazionalità. Quando cioè comincia ad essere consapevole di una eticità di cui assume una sorta di responsabilità. La sensibilità per ciò che è etico (che per i giovani non vuol dire tanto normativo, ma dotato di senso), la sensibilità per la dignità della vita umana è ciò che comincia a farlo confrontare con l’adulto, e questo confronto pone entrambi in un contesto significativo di relazioni con una personale consapevolezza della propria generazionalità e identità umana. [21]
    “Il rapporto adulti-giovani è in sostanza una ‘messa alla prova’ reciproca, che corrisponde in larga misura anche a una ricerca comune della propria piena umanità”. [22] Quando il giovane diventa capace di una relazionalità significativa a partire da una consapevolezza e di una assunzione di responsabilità della propria identità umana, ha maturato la sua adultità.

    Novità nell’esperienza affettiva e nella vita di coppia

    Alcuni atteggiamenti culturali, tra cui la non definitività delle scelte e il fatto che il domani è sempre aperto a possibili nuove esperienze, fanno vivere in modo nuovo l’esperienza affettiva e la vita di coppia.
    La provvisorietà, l’incertezza del futuro stanno diventando per tutti (giovani e adulti) una connotazione della vita sottoposta a continui cambiamenti. La definitività del lavoro o della relazione affettiva è sempre più minacciata, e ai giovani è proposta un’ambigua flessibilità che accumula confusione e incertezza nella loro vita.
    Anche per questi motivi, nell’esperienza familiare italiana permane, e sembra addirittura incrementarsi, una cultura protettiva volta alla reciproca gratificazione affettiva che non promuove il processo di svincolo e di autonomia dei figli. La scarsa propensione dei giovani a lasciare il nucleo familiare d’origine, tuttavia, non sembra dipendere soltanto da difficoltà oggettive, vi sono piuttosto motivi utilitaristici e di convenienza. Si tratta quindi di una scelta più che di una costrizione. Tanto più che nella casa dei genitori i giovani godono di un’ampia libertà e non trovano ostacoli né per la propria vita sociale e neanche per quella affettiva. Si realizza così una relazione affettiva e strumentale tra giovani e genitori: la “famiglia lunga”, si afferma nell’ultima ricerca IARD, “offre aiuto e protezione in cambio di una dipendenza relativa, più formale che sostanziale, soddisfa pienamente i bisogni economici, culturali e psicologici del giovane”, ma vede anche una notevole complicità dei genitori “restii ad incoraggiare i figli a rendersi indipendenti”.
    Il prolungamento della transizione ai ruoli adulti provoca un adattamento etico frammentato: i giovani adottano criteri diversi di moralità, a seconda delle esperienze a cui li applicano. La sfera sessuale, per esempio, ha perso ogni prescrittività sociale e anche religiosa, e il singolo rivendica la piena autonomia di giudizio di un’area vista come eticamente neutra. Il rinvio della scelta di sposarsi ha fatto anticipare i comportamenti sessuali e ha anche rallentato la connessione tra sessualità e rapporto di amore: anche un rapporto affettivo senza progettualità futura condivisa può far ritenere eticamente accettabile una relazione sessuale.
    Sulla base di questa evidenziazione del sistema affettivo, il matrimonio, pur essendo visto, molto più della convivenza, come la situazione in cui può esprimersi meglio la relazione affettiva e dare ad essa una condizione di stabilità… non è vissuto come definitività, per cui è sempre avvolto da una certa quota di confusione affettiva e di precarietà. L’idea di un “amore per sempre” sembra diventata piuttosto anacronistica.
    Tutti questi elementi prefigurano caratteristiche diverse di una giovane coppia rispetto al passato. Anche perché si stanno verificando notevoli cambiamenti nei ruoli di genere e nelle immagini di vita di coppia. Il cambiamento del ruolo femminile a livello sociale cambia anche la relazione di genere all’interno della famiglia: nella giovane coppia vi sono notevoli differenze sul modo di cogliere la realtà e orientare le scelte; sono diversi, molto spesso, gli interessi culturali e fragile la base comune di comunicazione e dialogo. Si attribuisce valore diverso a fattori che possono costituire la riuscita del rapporto: sono prevalenti per entrambi i fattori che indicano rispetto e comprensione reciproca, fedeltà e capacità di comunicazione. Le donne accentuano gli elementi che si rifanno a criteri legati alla capacità intrinseca di gratificazione emotiva. Alla base dell’intesa si ritiene necessaria la comunicazione, l’impegno reciproco, la condivisione, la fiducia… perché questi elementi nutrono l’intimità e aprono alla “qualità della relazione”. Cresce insomma l’interesse per forme di relazione più ricche di partecipazione emotiva, ma anche per questo più fragili.
    La famiglia sembra non essere più “il progetto comune” su cui investire le migliori risorse della propria esistenza, ma una convivenza che non deve disturbare troppo i progetti personali di realizzazione, che sono piuttosto esterni alla realtà familiare.
    Anche per questo la giovane coppia non giunge facilmente alla scelta di avere un figlio, perché diventerebbe un vincolo con maggiori responsabilità e rinunce di quanto ne comporti la scelta di sposarsi.

    NUOVI ORIZZONTI CULTURALI E DINAMISMI DI PENSIERO E DI AZIONE

    Nella sensibilità giovanile attuale prevale l’affettivo, il relazionale, la socialità ristretta, l’immaginario: il primato viene dato all’emozione e alla relazione. La loro cultura rispecchia un modo di essere e di vivere. Il ragionamento non è lineare, causale…, avviene a partire da un’immagine, da una vibrazione, da una impressione, da una sollecitazione dei sensi.
    “La coerenza interna è percepita soggettivamente in modo più personale e vitale a cui si accompagna una specie di bisogno di vedere per comprendere e una percezione sensoriale, visiva, sonora ove ciò che conta è il sentimento dell’insieme, l’emozione complessiva”. [23]
    Se vogliamo aprirci alla diversità giovanile dobbiamo portare la nostra attenzione alle loro forme comunicative ed espressive, al loro linguaggio, ai loro tempi e forme di vita che stanno diventando sempre più altre rispetto a quelle degli adulti:
    “Il corpo come territorio personale, strumento di linguaggio, laboratorio di sperimentazione, interfaccia per la socializzazione (piercing, tatuaggi, trucco, vestito, acconciature, ecc.).
    La musica, nelle sue diverse forme, come modi di pensarsi e di percepirsi con visioni di stili di vita spesso diametralmente opposti gli uni dagli altri. Legata al mondo della musica c’è la danza come rito, spazio espressivo, sfogo, potenziamento energetico, ecc.
    La notte, contrapposta al giorno, perché spazio del mondo adulto, è spazio del mistero, dell’avventura, del non definito, del possibile, del trasgressivo, del poter osare, del limite da oltrepassare… anche a costo della vita”.[24]

    La “generazione elettronica” e una nuova identità di internauta [25]

    Un paio di anni fa, tracciando un profilo dei “Giovani di inizio millennio”, abbiamo sottolineato la loro familiarità con le nuove tecnologie: sono venuti su manovrando telecomandi, maneggiando video e televideo, cassette e CD-Rom, appassionandosi ai videogiochi, accanendosi intorno a un computer, avventurandosi nella navigazione in rete alla scoperta di incantati mondi virtuali, con la voglia di intessere nuove relazioni… Divenuti esperti utilizzatori del telematico e del multimediale hanno trovato nuovi spazi di esperienza, nuove fonti di conoscenza, motivi diversi di interesse, nuove soddisfazioni, nuove mete e accarezzato progetti che si collocano in orizzonti diversi.
    Vi è ora un’identità dell’Internauta tutta da scoprire sia per le sue caratteristiche specifiche sia in riferimento agli influssi condizionanti che possono verificarsi. Da una parte il navigatore è stimolato a diventare protagonista, a sviluppare capacità interattiva e relazionale, anche se tutto questo si gioca nel virtuale. Intanto maturano capacità di uso della nuova tecnologia e padronanza del linguaggio multimediale che diventano, sempre più, anche nuove professionalità messe a disposizione dei nuovi bisogni di comunicazione, di amministrazione, di mercato, di processi produttivi, ecc.
    La tecnologia è uno degli spazi e linguaggi espressivi preferito dalle nuove generazioni. Figli del loro tempo, la assimilano velocemente e la adattano alle loro esigenze. Si servono come fonte di informazione, come veicolo di comunicazione e di interrelazione; riescono anche a superare la loro dipendenza da certe forme, ma altre diventano indispensabili per le esigenze attuali della loro vita. Nella fase adolescenziale superano la dipendenza televisiva, ma non pochi restano catturati da tecnologie più sofisticate interattive e computerizzate.
    In un mondo della comunicazione sempre più massmediatico con spinte globalizzanti e che vede crescere la “cosiddetta realtà virtuale”, i giovani appaiono una generazione che “pensa con gli occhi”. Anche tra le forme di svago individuale prevalgono ormai quelle visive: video-giochi, televisione, video-casette, svaghi sui monitor dei computer. Si sta quindi diffondendo l’attitudine a conoscere, a divertirsi e a passare il tempo vedendo, più che leggendo. Tutto questo sta costituendo la figura dell’homo videns, dopo quello dell’homo legens e potrebbe ridurre e ancor più impoverire il tempo della riflessività, che alimenta l’interiorità e la realtà personale. Vi saranno sicuramente effetti anche sull’intelligenza e sulla cultura dei giovani e si porranno problemi anche per la stessa esperienza spirituale. La “fatica del leggere” dovrà sempre più competere con la “facilità del guardare”. E, quest’ultima aumenterà sempre più la sua influenza con il suo alto livello di iconicità, di multisensorialità, di convivialità.

    Un dinamismo di pensiero e di azione di tipo reticolare

    Le nuove modalità di informazione, di comunicazione e di interrelazione hanno trasformato il processo di apprendimento dei giovani a tutti i livelli.
    In questo ambito si è realizzata negli ultimi venti anni una rivoluzione radicale, attuata attraverso il passaggio da modelli di elaborazione e trasmissione del pensiero e dell’esperienza di tipo lineare-verticale a situazioni in cui il confronto avviene secondo sequenze orizzontali, in cui ogni soggetto decide liberamente come spostarsi nell’ambito di una rappresentazione della realtà che procede seguendo una logica reticolare.
    Il fatto che la realtà sia percepita – e conseguentemente vissuta – come una rete comporta che nessuno dall’esterno possa determinare gerarchie o direzioni forzate puntando sulla comunicazione di una pretesa oggettività della conoscenza e dell’etica o su esigenze di condizionamento-manipolazione ideologica. Il giovane si ritrova, anche senza averlo scelto, a dover assumere una libertà di azione rispetto ai suoi spostamenti mentali ed esistenziali, che possono essere vissuti in modo consapevole e responsabilizzante oppure, al contrario, come forma di disorientamento e di contingenza.
    Il modo in cui i giovani si muovono sul piano dell’apprendimento e del vissuto appare agli occhi degli adulti piuttosto caotico. Bisogna tuttavia riconoscere che si attua secondo la successione tentativo-errore-verifica-correzione. Per questo motivo non sempre funziona sul livello massimo di attenzione e di consequenzialità, ma proprio nei momenti in cui prevale una certa curiosità libera consente di approcciare elementi nuovi che alla fine concorrono ad arricchire le esperienze personali.
    Questo modo di procedere dei giovani può non essere coerente con le esigenze di costruzione dell’identità personale; è tuttavia in sintonia con quanto viene proposto dai sistemi di informazione in rete e da tutto ciò che appartiene alla cultura della complessità e della globalizzazione; questo però non significa necessariamente che si creino dipendenze acritiche nei giovani rispetto alla cultura dominante. Il modo di muoversi lungo le reti di saperi e di comunicazioni è soprattutto individuale e avviene in rapida successione. Più che far maturare disponibilità omologanti, può facilitare la moltiplicazione di combinazioni fra le diverse informazioni ed esperienze.
    Queste combinazioni arricchiscono di fatto la creatività dei giovani, ma creano anche ingorghi comunicativi fra forme originali ed irripetibili di assemblaggio della conoscenza.
    L’esito di questo processo è affidato alla soggettività giovanile, ma anche alla capacità degli adulti di non prendere le distanze da questa nuova modalità dell’apprendimento e della crescita, ma di creare forme di attenzione critica e di accompagnamento discreto in funzione orientativa, evidenziando come sicuramente non serve la casualità per muoversi fra i diversi reticoli, ma è necessario attrezzarsi di un sistema – sia pure provvisorio – di motivazioni e significazioni che renda possibile la connessione fra un reticolo e l’altro.
    Bisogna fare di tutto per evitare il rischio che il potenziale di apprendimento individuale impedisca la formazione di piattaforme condivise (riguardanti obiettivi, contenuti e strategie) che possano concorrere all’identità generazionale e al travaso di forme complesse di riflessione culturale a livello intergenerazionale.
    Questa situazione, dunque, richiede interventi di razionalizzazione e di messa a punto di situazioni convergenti, il che significa creare rinforzi di tipo affettivo/relazionale laddove invece i formatori sembrano preoccupati di intervenire sulla quantità/qualità dell’apprendimento intellettivo.
    Gli adulti devono riuscire a entrare in forme di empatia con i giovani che consentano di esplorare (cordialmente, senza diffidenze) in modo non pregiudiziale i meccanismi che regolano i percorsi cognitivi ed esperienziali dei ragazzi, proponendo il proprio modo di muoversi attraverso le reti del sapere o addirittura riproponendo i modelli tradizionali di apprendimento non come alternativa coatta e superiore dal punto di vista qualitativo, ma come possibilità di integrare i circuiti orizzontali dotandoli di maggiore intenzionalità.
    In questo modo l’educatore adulto può diventare una sorta di compagno di navigazione rispettoso dell’autonomia dei giovani, ma non rinunciatario o neutrale nella possibilità di esprimere esigenze e prospettive critiche; allo stesso tempo può mettere in atto una sorta di reciprocità nella metodologia della ricerca che conferma le asimmetrie insite in ogni relazione formativa, ma allo stesso tempo le dota di maggiore equilibrio per quanto riguarda le risorse messe in gioco, sia a livello di elaborazione culturale sia sul piano della comunicazione.

    Valori, comportamenti, ricerca di senso e trascendenza

    Tra gli elementi caratteristici della realtà attuale dei giovani vanno esplorati anche il “sistema di valori”, i comportamenti, l’apertura alla trascendenza. Sono aspetti molto importanti, presenti nelle ricerche, che aiutano a comprendere la portata innovativa o anche le radici della problematicità e dell’insicurezza della vita dei giovani.

    Sistema di valori e comportamenti dei giovani

    Concludendo l’interessante capitolo sul “sistema di valori” dei giovani nel Quinto Rapporto IARD, Antonio De Lillo sostiene che “vi è un sempre maggior rilievo dato alla vita di relazione ed ai rapporti interpersonali, ma tali rapporti vengono vissuti ed agiti nel proprio intorno immediato; le dimensioni del collettivo, dell’impegno pubblico, delle cosiddette ‘virtù civiche’ si spostano sempre più sullo sfondo degli schemi valoriali che guidano i comportamenti giovanili. Ne consegue un insieme di atteggiamenti e di orientamenti all’azione che sembra sempre più rinserrarsi nella ristretta cerchia degli affetti sicuri, delle certezze che derivano solo dallo stare insieme e dal sostenersi a vicenda tra chi condivide i nostri stessi criteri di giudizio, i medesimi modi di vita, lo stesso ambiente sociale”. [26]
    Parlando della socialità ristretta abbiamo già sottolineato che il nucleo forte di valori costruito intorno alle relazioni amicali e familiari pervade l’intero sistema valoriale delle giovani generazioni. Un orizzonte di vita che esalta le dimensioni amicali, familiari, solidaristiche, che costituisce una sorta di “mondo familiarizzato”, che può essere letto anche come una forma di reazione alla complessità.
    Oltre che riferiti a orizzonti molto controllabili, i comportamenti giovanili mostrano sempre più una individualizzazione dei percorsi e dei criteri di scelta. Le prospettive di valutazione e di azione sono sempre più soggettive e l’etica (una comune valutazione a partire da ciò che era ritenuto bene o male, giusto o sbagliato) si incrocia sempre più con una valutazione estetica che porta a vivere esperienze sulla base del fascino delle stesse. Nella incertezza delle regole di vita e nella crescita della soggettività dei criteri di scelta si giunge a proporre un’etica fondata sulla rivalutazione della sensibilità rispetto alla razionalità e le esperienze si vivono piuttosto dalla prospettiva di una visione estetica, all’insegna del bello/brutto. [27]
    Sensibilità ed emozione orientano pertanto le scelte e danno valore alle esperienze; anche nelle scelte più importanti spesso non si va oltre il proprio sentire, lo stato d’animo del momento. Sul comune sentire si può realizzare un rapporto affettivo e tentare di costruire una identità di coppia, scegliere un impegno o un’appartenenza, ecc. A tutti questi livelli, la mancanza di qualcosa di più consistente alla base, di tipo ideale e progettuale, rende per lo più temporanee le esperienze, che si esauriscono con l’affievolirsi dell’emozione o l’offerta di qualcosa più seducente.
    I giovani stanno sperimentando stili di vita, nel tentativo di superare la monotonia della quotidianità e la forte pressione conformizzante dell’organizzazione sociale attuale, e assumendo atteggiamenti piuttosto difformi, che esprimono tendenze permissive e trasgressive.
    Una quota rilevante sceglie di collocarsi ai margini della società o cerca luoghi diversi da quelli ufficiali e istituzionali in cui vivere le esperienze più significative ed emozionanti.
    La centralità della libertà individuale è il criterio fondante delle scelte circa le relazioni e il senso attribuito alla vita e alla salute; tematiche legate ad aree di comportamento le più diverse. Tanto che agli estensori del Rapporto IARD sembra riduttivo parlare semplicemente di maggiore disponibilità alla trasgressione; giungono a cogliere in tutto ciò un distanziamento etico, una prospettiva di innovazione identificabile come un vero “cambiamento etico-culturale”. [28]
    Dall’insieme delle indicazioni e delle posizioni, appare sempre più netta la distinzione che i giovani esprimono tra la loro posizione e quella della società delle istituzioni e degli adulti. Ma in queste posizioni, dicono giustamente gli estensori del Rapporto, il loro riferimento è agli adulti e alle istituzioni in cui sono direttamente inseriti; e che anche per questi aspetti, essi non sono che la cartina di tornasole dei cambiamenti che stanno avvenendo, e in cui sono coinvolti, nella stessa società. [29]

    Ricerca di senso e trascendenza

    Le indicazioni offerte dalle ultime ricerche circa l’aspetto religioso dei giovani vanno considerate con attenzione. Per quanto differiscano i criteri secondo cui si fanno analisi e verifiche della religiosità, si possono utilizzare i diversi apporti per un quadro d’insieme.
    Nella ricerca Censis-Osservatorio europeo, si distinguono i giovani con un orizzonte di vita piuttosto immanentista e giovani aperti alla trascendenza: i primi (66%) sono rappresentativi di coloro che non coltivano interessi spirituali; i secondi (34%) sono tutti coloro che in forme diverse vivono un’attenzione al trascendente. Tra questi vi sono quelli che hanno una pratica religiosa (per lo più legata alla chiesa cattolica), quelli che seguono correnti spirituali nuove e altri che coltivano forme piuttosto individuali.
    L’elemento significativo che la ricerca evidenzia è il fatto che il coltivare interessi spirituali non incide chiaramente su comportamenti e atteggiamenti di vita: non vi è molta differenza tra i due gruppi rispetto alle grandi paure della vita (solitudine, sofferenza, morte) o circa alcuni comportamenti legati alla sfera etica (assumere droghe leggere, ubriacarsi, infrangere leggi…); quelli che credono, tuttavia, hanno maggiore apertura all’ottimismo, stabilità, soddisfazione…
    Tra i due gruppi, quindi, non vi sono particolari segni di distinzione di fronte alle grandi domande esistenziali, etiche ed affettive. “È quindi comprensibile ritenere che i giovani, per la più grande maggioranza, abitino in un contesto spirituale non definito, in una terra spirituale di nessuno: la maggior parte si trova immersa dentro una dimensione personalissima, molto spesso rinnegata e apparentemente senza forme (il 66% che non coltiva esperienze spirituali), mentre coloro che riconoscono il proprio lato spirituale (34%) lo professano in una dimensione molto spesso intimistica e personalistica che, per sua natura, finisce nel magma dell’indistinguibilità e dell’indistinzione”.
    Anche nella ricerca Censis-CEI i giovani, per quanto assetati di senso, non appaiono attivi ricercatori di verità, per cui restano piuttosto disorientati di fronte alle domande di senso e quindi incerti nelle modalità di risposta. Non riescono a dare consistenza alla propria identità religiosa perché instabili circa tutto quello che esprime legame e continuità e nomadi, fisicamente e spiritualmente, rispetto alla comunità di appartenenza. Questi atteggiamenti fanno della identità cattolica una “identità rifugio”, più di riferimento e di identificazione culturale, “senza approfondimento interiore, spirituale ed etico”.
    “In sostanza, dicono gli estensori del rapporto, è come se la religione che i giovani si attendono dovesse essere adattata su misura, una fede a uso individuale, per il conforto personale. Una religione di consolazione e non di responsabilità, che vuole una fruizione personale, individualistica e dimentica gli aspetti dell’altro, premessa indispensabile per incontrare l’Altro. Una fede che coinvolge, dunque, l’aspetto emotivo e quello psicologico e agisce come una sorta di ‘solletico spirituale’ perché mette in gioco i sentimenti, la passionalità, il coinvolgimento emozionale ma trascura i valori che servono a sostenerla nel tempo come la fedeltà, la costanza, la coerenza delle scelte, l’assunzione di responsabilità. I giovani percorrono così una continua migrazione spirituale da un’esperienza a un’altra, nel tentativo continuo di abbeverarsi di nuove emozioni, più o meno mistiche, che li soddisfano individualmente ma non placano mai la sete, perché ogni scelta viene presto abbandonata nel momento in cui arriva il peso da sostenere, la comunità da incontrare o con cui confrontarsi”. [30]
    Anche se il 73.8% si dichiara cattolico, le posizioni sono molto differenziate; la fede subisce un processo di individualizzazione e risulta depotenziata e despiritualizzata.
    Anche in questa incerta e problematica situazione religiosa, i giovani evidenziano la grande importanza della partecipazione a movimenti e organizzazioni perché favorisce la formazione e l’adesione di fede, il cammino religioso personale e anche la pratica sacramentale.
    Ciò che più di tutto esprimono è il bisogno di “testimonianze forti, credibili e quotidiane”. È l’esempio e la coerenza di vita di qualcuno che li interessa e li coinvolge, molto di più delle stesse manifestazioni a qualunque livello. Anche se queste, come per esempio le GMG, rappresentano una modalità per i giovani di esprimere la fede.
    Anche nell’analisi della religiosità giovanile del quinto Rapporto IARD si riscontrano elementi notevoli di diversificazione, anche questi legati al prevalere delle scelte individuali. “L’esame delle credenze giovanili, mettendo in luce che la piena adesione alla credenza monoteista riguarda solo una minoranza degli intervistati e che la maggior parte dei giovani tende ad affiancare a tale credenza una o più credenze parallele estranee alla tradizione religiosa del nostro Paese, suggerisce che anche a livello giovanile si stia affermando una tendenza a costruirsi un’identità religiosa personale caratterizzata dalla presenza di credenze eterogenee e talvolta formalmente incompatibili”. [31]Un vissuto religioso, quindi, che presenta dimensioni e intensità diverse. I giovani che non hanno maturate posizioni definitive sono molti: nella popolazione giovanile “continua a esserci una zona intermedia di ampiezza variabile popolata da giovani che esprimono una religiosità a bassa intensità, un’adesione non pienamente convinta alle credenze, un coinvolgimento parziale nella pratica e nell’impegno religiosi”. [32]
    In tutte e tre le ricerche (le due del CENSIS 2002 e il Rapporto IARD) si sottolinea l’efficacia della partecipazione associativa per la costruzione di un’identità religiosa personale perché in essa si ha la possibilità di curare interessi spirituali e di vivere esperienze religiose significative. Resta il dato importante della larga fascia di giovani che manifesta una rilevante disponibilità a un discorso religioso, che è possibile valorizzare soltanto facendola evolvere verso forme di identificazione e di appartenenza.

    Conclusione

    Nell’attenzione alle caratteristiche fondamentali della realtà dei giovani di oggi sono già state esplicitate alcune provocazioni per l’azione educativa con i giovani e per i giovani. Ciascuno, tuttavia, deve rendersi disponibile a cogliere le provocazioni che gli vengono dalla realtà giovanile più vicina, per poter avviare strategie e percorsi educativi efficaci.
    Una prospettiva di questi percorsi si sta imponendo sempre più chiaramente per una migliore qualità della vita di tutti. Chi vuole ritrovare il gusto di camminare con i giovani deve essere disposto a vivere insieme un serio apprendistato della vita attuale, deve impegnarsi a tessere un dialogo che riesca a far emergere e a portare a maturazione le risorse latenti o grezze che la realtà giovanile esprime; ad accrescere la disponibilità a riconoscere specificità e novità positive nel processo di costruzione dell’identità delle nuove generazioni; deve essere in grado di dare nuovo impulso alla ricerca di senso e aiutare a realizzare una visione critico/costruttiva nei confronti della società attuale e del tempo presente. Da tutto questo potrà anche maturare, in modo significativo, una reciprocità formativa che aiuti gli stessi adulti a cogliere le spinte innovative per la loro stessa identità.
    L’efficacia educativa, tuttavia, soprattutto oggi, non può essere legata soltanto alla disponibilità di singole persone, per quanto numerose possano essere. Né si può puntare alla crescita dei giovani al di fuori di una efficace integrazione sociale. Bisogna elaborare una strategia significativa che sia capace di garantire all’educazione quella priorità che la realtà sociale attuale le riconosce e le assegna; puntare a realizzare una situazione di “welfare educativo” potenziando il tasso di impegno effettivo dei molteplici agenti territoriali, per creare una trama sociale capace di promuovere condizioni migliori di vita e consenso su nuovi obiettivi di sviluppo, che facilitino l’integrazione sociale delle nuove generazioni e attutiscano le crescenti disparità e differenze attuali. La promozione di un “welfare educativo” nella società deve realizzare una efficace mediazione tra i bisogni dei giovani e le istanze della collettività, stimolare apertura e solidarietà tra le persone, favorire la crescita e il coordinamento dei servizi socioeducativi e l’animazione educativa e culturale, per garantire un’educazione di qualità a tutti durante tutto il corso della vita.
    La disponibilità degli adulti a condividere con i giovani l’apprendistato dell’esistenza (anche gli adulti hanno bisogno di “imparare ad essere” nella società attuale) e la promozione di un “benessere educativo” nel territorio sono due prospettive che possono facilitare a giovani e adulti un modo nuovo di vivere una cittadinanza partecipe e responsabile, e dare efficacia all’impegno di costruzione della loro specifica identità.

     

    Riferimenti bibliografici utili per ulteriori approfondimenti 

    - Besozzi E. (2002), Esistere in quanto adulti, in quanto giovani: tra rischi e opportunità, Atti del Convegno “L’adolescente e le sue sofferenze nascoste: la fatica di crescere”, a cura del Centro di Psicologia Clinica ed Educativa e dell’Ufficio Scolastico, Milano 22 marzo 2002, 11-26.

    - C. Buzzi, A. Cavalli, A. De Lillo (a cura di) (2002), Giovani nel nuovo secolo, Quinto rapporto IARD sulla condizione dei giovani in Italia, Bologna, Il Mulino.

    - CENSIS (2001), La generazione del consenso, pubblicato nel Sito del CENSIS il 20 marzo 2001.

    - CENSIS (2002), Giovani lasciati al presente, Milano Franco Angeli.

    - CENSIS (2002), I giovani e la cultura nell’era della comunicazione, Roma, 2002.

    - Chiurazzi G. (1999), Il postmoderno. Il pensiero nella società della comunicazione, Torino, Paravia Scriptorium.

    - EURISPES (2002), Rapporto Italia 2002, Roma, Eurispes.

    - EURISPES (2002), 3° Rapporto nazionale sulla condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Roma, Eurispes-Telefono Azzurro.

    - Di Nicola P. (2001), La politica della prossimità: la rete come orizzonte di vita dei giovani, in Ferrari Occhionero M., I giovani e la nuova cultura socio-politica in Europa, Milano, Franco Angeli, 181-190.

    - Diamanti I. (a cura) (1999), La generazione invisibile. Inchiesta sui giovani del nostro tempo, Milano, Edizioni il Sole 24 Ore.

    - Donati P., Colozzi I. (1997), Giovani e generazioni. Quando si cresce in una società eticamente neutra, Bologna, Il Mulino.

    - Garelli F. (1999), Le sfide poste dai giovani agli adulti, Intervento al Convegno Nazionale su “Politiche giovanili” ad Aosta, 17-18 aprile 1999.

    - Giddens A. (2000), Il mondo che cambia. Come la globalizzazione ridisegna la nostra vita, Bologna, Il Mulino.

    - Maffesoli M. (1993), Nel vuoto delle apparenze: per un’etica dell’estetica, Milano, Garzanti.

    - Martelli S. (a cura) (1996), Videosocializzazione. Processi educativi e nuovi media. Milano, Franco Angeli.

    - Morcellini M. (1992), Passaggio al futuro. La socializzazione nell’età dei mass media, Milano, Franco Angeli.

    - Orlando V., Pacucci M. (1999), La pastorale giovanile, Roma, Vivere In.

    - Orlando V. (2002), Il difficile apprendistato sociale dei giovani di oggi, “Orientamenti Pedagogici” vol. 49, n. 6 (2002), 1059-1082.

    NOTE

    [1] I contenuti del dossier si rifanno alla riflessione sui giovani offerta nell’ultimo numero del 2002 della rivista “Orientamenti Pedagogici”. Cf V. Orlando, Il difficile apprendistato sociale dei giovani di oggi, “Orientamenti Pedagogici” vol. 49, n. 6 (2002), 1059-1082.

    [2]  Cf G. M. Fara, Oblomovisti d’Italia, Introduzione al Rapporto Italia 2001. Percorsi di ricerca nella società italiana, EURISPES (Istituto di Studi Politici Economici e Sociali), Roma, EURISPES 2001, 23-53.

    [3] Le incertezze nel cuore de sistema, a partire dall’attentato dell’11 settembre, sono state evidenziate nel rapporto 2001 del CENSIS. Il “Rapporto Italia 2002” dell’EURISPES ha tracciato in modo molto significativo il succedersi degli eventi degli ultimi dieci anni. p. 74 (della Sintesi per la Stampa).

    [4] Cf G. M. Fara, Oblomovisti d’Italia, op. cit., 52.

    [5] Cf K. Sing, “Educazione per una società globale”, in J. Delors (Ed.), Nell’educazione un tesoro, Roma, Armando Editore, 1997, pp. 214-216.

    [6] Cf F. Garelli, “Religione e ricerca di senso”, in R. De Vita-F. Berti (a cura), La religione nella società dell’incertezza, Milano, Franco Angeli 2001, p. 149.

    [7] C. Buzzi, A. Cavalli, A. De Lillo (a cura di), Giovani nel nuovo secolo, Quinto rapporto IARD sulla condizione dei giovani in Italia, Bologna, Il Mulino, 2002.

    [8] La nota si può leggere nel sito del Censis: https://www.censis.it/censis/ra.html

    [9] CENSIS, Giovani lasciati al presente, Milano, Franco Angeli 2002. La ricerca è stata presentata il 14 giugno 2002. Una sintesi della ricerca è offerta nel sito del CENSIS: https://www.censis.it/censis/           pubbli.html.

    [10] CENSIS, I giovani e la cultura nell’era della comunicazione, Roma, 2002. La ricerca è stata presentata l’8 novembre 2002 al Convegno nazionale organizzato dalla CEI, “Parabole mediatiche. Fare cultura nel tempo della comunicazione”, Roma 7/9 novembre 2002.

    [11] Cf S. Martelli (a cura), Videosocializzazione. Processi educativi e nuovi media. Milano, Franco Angeli, 1996; M. Morcellini, Passaggio al futuro. La socializzazione nell’età dei mass media, Milano, Franco Angeli, 1992.

    [12] E. Besozzi, Esistere in quanto adulti, in quanto giovani: tra rischi e opportunità, Atti del Convegno “L’adolescente e le sue sofferenze nascoste: la fatica di crescere”, a cura del Centro di Psicologia Clinica ed Educativa e dell’Ufficio Scolastico, Milano 22 marzo 2002, 11-26.

    [13] Idem, 21-22.

    [14] Cf P. Donati, I. Colozzi, Giovani e generazioni. Quando si cresce in una società eticamente neutra, Bologna, Il Mulino, 1997, p. 286.

    [15] Cf P. Di Nicola, art. cit. 186-187.

    [16] C. Buzzi, A. Cavalli, A. De Lillo (a cura di), Giovani nel nuovo secolo, op. cit., p. 41.

    [17] Cf P. Di Nicola, art. cit.,188-189.

    [18] CENSIS, Giovani lasciati al presente, op. cit., 15.

    [19] Idem, p. 13.

    [20] C. Buzzi, A. Cavalli, A. De Lillo (a cura di ), Giovani nel nuovo secolo, op. cit., p. 70.

    [21] Cf Idem, pp. 300-301.

    [22] E.Besozzi, Esistere in quanto adulti, in quanto giovani… op. cit., p. 24.

    [23] P. Poupard, Foi et culture dans les mutations de notre temps, in “La Documentation Catholique” (1995), n° 21 12, p.262.

    [24] Cf F. Pasqualetti, Universo giovani. Linguaggi nuovi, adulti attenti, “ANSmag”, V° anno, n. 74, 15 aprile 2001, 10.

    [25] Cf V. Orlando, Giovani di inizio millennio, “Note di Pastorale Giovanile”, n. 3, Marzo 2000, p. 10.

    [26] C. Buzzi, A. Cavalli, A. De Lillo (a cura di ), Giovani nel nuovo secolo, op. cit., p. 48

    [27] M. Maffesoli, Nel vuoto delle apparenze: per un’etica dell’estetica, Milano, Garzanti,1993

    [28] Cf C. Buzzi, A. Cavalli, A. De Lillo (a cura di), Giovani nel nuovo secolo, op. cit., pp. 332.333.

    [29] Cf Idem, 334.

    [30] CENSIS, I giovani e la cultura nell’era della comunicazione, Roma, 2002, p. 23.

    [31] C. Buzzi, A. Cavalli, A. De Lillo (a cura di), Giovani nel nuovo secolo, op. cit., pp. 374-375.

    [32] 32) Ibidem.


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