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    Bibbia e diritti umani: una riflessione in prospettiva di pastorale giovanile



    Cesare Bissoli

    (NPG 2003-01-51)



    L’articolo si pone nella prospettiva del dossier: trattare dei diritti dell’uomo (giovane) come fattore indispensabile ed urgente per un dialogo, confronto e proposta al fine di garantire la dignità della persona.

    Stando sul terreno dell’attualità, tale esigenza emerge dalla redazione in atto della Convenzione Europea, ma lo richiedono soprattutto le ritornanti ed ansimanti conferenze mondiali sullo sviluppo, come quella recente di Johannesburg, ed ancora più le risorgenti tensioni internazionali, come fra Israele e Palestina, fra Stati Uniti ed Iraq, dove sono proprio i diritti della persona inerme e debole (donne, vecchi e bambini) esposti a gravi offese. Non da ultimo va ricordato che nella riforma della scuola, il discorso dei diritti si affaccia come elemento di cultura di base per tutti. Ebbene cosa significa e cosa importa nel processo educativo affrontare questa tematica? In particolare, quali sono le voci più affidabili ed autorevoli?

    “Scorra come acqua il diritto, e la giustizia come torrente perenne” (Am 5,24)

    UN INTERESSE FORTEMENTE CONDIVISO

    Da cristiani avvertiamo la grazia e la responsabilità di un contributo che è squisitamente nostro (e con i nostri fratelli ebrei): ce ne interessiamo dal punto di vista della Bibbia. Siamo infatti convinti con tanti altri che la Dichiarazione dei diritti dell’uomo nelle varie moderne versioni, dalla rivoluzione americana, a quella francese, alla Carta di S. Francisco assunta dalle Nazioni Unite dopo la seconda guerra mondiale, ha per tanta parte ricevuto un influsso determinante dall’esperienza ebraico-cristiana di cui il Decalogo e il Discorso della Montagna rimangono codici emblematici. O con altre parole, riteniamo che una lettura critica della S. Scrittura, attenta ad evitare proiezioni indebite di concetti moderni, ma insieme pronta a cogliere in questi le costanti umane ricorrenti, apporti un contributo autorevole ed affidabile per la straordinaria storia degli effetti fin qui prodotta in ambito etico e giuridico. [1] È chiaro che per un credente la luce della Bibbia è ben più che un dato storico, ma assume la valenza di Parola di Dio con cui operare un discernimento valoriale nelle diverse proposte avanzate.
    Il tema dei diritti umani, come oggi viene proposto, è proprio dell’età moderna, compare strettamente collegato all’affermarsi del principio di libertà individuale e sociale, si presenta in categorie, quanto mai generiche negli enunciati e tendenti quindi a successive specificazioni minute, ma dove la sostanza dei contenuti è antica e per molti aspetti condivisa. È a questo livello che si può aprire un confronto con la Bibbia. Diamo quindi a “diritti umani” il senso primario, fino ad oggi riconosciuto, almeno nelle grandi Dichiarazioni, di ciò che corrisponde alla persona umana in quanto tale, in ordine quindi alla sua dignità, mediante l’esercizio della giustizia e solidarietà.
    Chiaramente non possiamo che toccare alcuni nodi del problema, assai complesso sia sul versante delle scienze umane (giuridiche), sia su quello strettamente esegetico, per non parlare del versante pedagogico.
    Ci muoviamo con intenti pastorali e dunque con un filo logico semplice e chiaro. Lo articoliamo in tre passi: uno sguardo globale sintetico della fonte biblica sui diritti umani; quali sono i punti essenziali nei due Testamenti; alcune conclusioni, in vista anche di una comunicazione educativa.

    “Io sono il Signore tuo Dio che ti ho fatto uscire dalla condizione di schiavitù” (Es 20,2)

    I GRANDI MOMENTI DELLA TESTIMONIANZA BIBLICA

    Leggendo la Scrittura, dalle prime pagine della Genesi, abbiamo chiaramente l’idea che Dio ed uomo abbiano in certo modo legato il loro destino, come la realtà e la sua immagine (cf Gen 1,26). “Un Dio per la vita dell’uomo, un uomo che accoglie ed ama la vita come volontà di Dio” (A. Heschel).

    Al tempo delle origini: il diritto alla vita

    “Domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello” (Gen 9,5).

    Basterebbe questo per dire il baricentro biblico di ogni discorso dei diritti umani. Ma proprio la potenza di questa formulazione che si pone alternativa ad ogni concezione giusnaturalistica, laica o puramente razionale dei diritti dell’uomo, esige una chiarificazione ed approfondimento, perché lungo la storia occidentale è avvenuto che proprio il fondamento religioso dei diritti sia stato recepito come impedimento ed alienazione di essi. Procediamo facendo come un inventario dei principali momenti storici dove emerge il nostro argomento per poi focalizzare i maggiori contenuti tematici
    In apertura del Libro Sacro, ci imbattiamo nel vasto mondo delle origini del cosmo e dell’uomo, e dunque anche alle origini del diritto, il primo dei quali è il diritto alla vita (Gen 1-11).
    Viene spontaneamente radicato nell’atto creativo (cf Gen 1,26-28). Viene alla luce in maniera drammatica e paradossale con la storia di Caino: se è totalmente condannato chi uccide il prossimo in quanto è suo fratello, viene pure condannato chi uccide l’uccisore (Gen 4, 10.16), bloccando per questo quella dinamica di vendetta, di cui Lamech si fa sfrontato campione (cf Gen 4,23-24). La vendetta per la Bibbia non è mai un diritto. La legge del taglione intende essere un criterio elementare di giustizia (= la pena non deve mai superare la colpa). Gesù arriverà ad affermare, alla luce della paternità di Dio, il dovere (il diritto-dono) di un perdono senza misura (cf Mt 18,21-35). Non dimentichiamo che nella Bibbia il diritto alla vita secondo la concezione di Dio, antecede, motiva ed è protetto da ogni altro diritto.

    Al tempo delle origini di Israele: il diritto del povero e del debole

    “Non lederai il diritto dello straniero o dell’orfano e non prenderai in pegno la veste della vedova” (Deut 24,27).

    La liberazione dall’Egitto e l’entrata nella terra diventa codice paradigmatico per il popolo di Dio. Se ne fa carico il codice più antico: il Codice di Alleanza, collocato nella cornice sacra dell’alleanza al Sinai (Es 20,24-23,19). Ivi troviamo come porta di entrata il Decalogo (Es 20,1-17), con le ben note affermazioni apodittiche relative alla vita, alla dignità, alla proprietà di ogni persona. Abbiamo accennato alla profonda influenza del Decalogo per tutte le Dichiarazione dei diritti umani nella storia cristiana. Fanno seguito le diverse leggi che perfezionano il diritto alla vita con l’affermazione di due ordini di diritto: la regolazione della violenza (Es 21-22); la pratica della giustizia in particolare a favore dei poveri, compresi nella triplice categoria dell’orfano, della vedova, del forestiero (Es 23). Nel Codice Deuteronomico (Deut 5-26) il discorso sui diritti assume un profilo maturo, diventando nel contesto del Deuteronomio la carta più alta dei diritti umani secondo la rivelazione biblica prima di Gesù e a cui Gesù stesso si connette.

    La rilettura profetica: il diritto della giustizia

    “Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede da te il Signore: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio” (Mich 6,8).

    È ben noto come i profeti rappresentino la coscienza critica di Israele. Lo sono come uomini di Dio. Grazie a loro la componente religiosa non è più soltanto parte del diritto cultuale, ma anima di ogni diritto umano, specie sul versante sociale in ordine alla giustizia. Perché Dio è giusto, la giustizia deve inondare Israele come l’acqua invade il mare. Amos anzitutto (1-2; 5,4-27; 8, 1-8), ma poi Osea (4,1-3; 6,7-7,7), Isaia (1, 10-28; 3, 1-26; 5,8-24; 58,1-14), Michea (2,1-5;3,1-4; 7,1-7), Geremia (5, 1-9; 9,1-8) hanno interi capitoli di denuncia dell’ingiustizia, e dunque l’affermazione del diritto alla vita integra, fisica e morale. Le antiche prescrizioni del Sinai, rinnovate da quella anonima scuola profetica che ha fatto il Deuteronomio, sono attualizzate, richiamate come norme valide per oggi perché Israele possa sussistere come comunità, popolo di Dio, giacché “effetto della giustizia sarà la pace, frutto del diritto una perenne sicurezza” (Is 32,37). Una espressione perfetta di questo impegno, quasi un manifesto (una dichiarazione dei diritti dell’uomo in chiave biblica), è raccolta nel Sal 72, di cui viene resa responsabile diretta l’autorità suprema, cioè il re: “Egli libererà il povero che grida e il misero che non trova aiuto, avrà pietà del debole e del povero e salverà la vita dei suoi miseri. Li riscatterà dalla violenza e dal sopruso, sarà prezioso ai suoi occhi il loro sangue” (vv.12-14).
    Merita ricordare sul versante dell’azione gli interventi coraggiosi di Natan di fronte all’usurpazione perpetrata da Davide (cf Sam 11-12) e di Elia nei confronti di Acab a proposito della vigna di Nabot (1 Re 21). In verità salvo eccezioni, in Israele sono le autorità (i re) i meno esemplari nella difesa dei diritti. Sfiducia nelle umane capacità di fondarli e mantenerli? È certo che il diritto nella Bibbia è difeso dai profeti e manifesta un’anima profetica prima che giuridica.

    La comprensione sapienziale: la vita quotidiana è il luogo dei diritti

    “La legge che ci ha imposto Mosè... trabocca di sapienza” (Sir 24,22-23).

    La tradizione sapienziale con il vasto corpo dei suoi scritti (Pro, Qoh, Sap, Sir) non presenta una specifica trattazione dei diritti o doveri. O meglio, nelle sue pagine più antiche richiama le tante norme da rispettare per avere una vita felice. Così è nelle raccolte salomoniche di Proverbi (cc. 10-29) e nel libro del Siracide, che in certo modo ripassa il Decalogo e l’applica nei diversi ambiti di vita.
    Con i saggi, assieme alle norme codificate nella Torah, è la stessa esperienza che diventa scuola di diritti e doveri. Avviene una sorta di giurisprudenza in termini non giuridici, che sta ad indicare quanto i codici di alleanza richiedano di diventare corpo e sangue del quotidiano.
    Fuori della verifica della vita, i diritti sono affermazioni astratte. In questo modo diritti e saggezza fanno un connubio di reciproco sostegno e garantiscono una vita felice.
    “Chi chiude l’orecchio al grido del povero invocherà a sua volta e non troverà risposta” (Prov 21,17).
    Ad un secondo livello, proprio delle parti recenti dei testi sapienziali, abbiamo un ancoraggio molto alto della legge, e dunque del corpus dei diritti: “La legge è concepita come la rivelazione vivente di una presenza vivente del Dio creatore” (H. Cazelles) (Sir 24, 22-47). [2] In questa maniera si ottiene un significativo ricongiungimento tra il diritto alla vita delle origini e il dono-dovere della saggezza per poter realizzare felicemente tale diritto giorno per giorno (cf Sir 16,24-30).

    La novità di Gesù: il diritto dell’amore

    “Ma io vi dico: amate i vostri nemici” (Mt 5,44).

    Più avanti confideremo la posizione “teorica”, per così dire, di Gesù. Qui annotiamo due tratti che più da vicino toccano la sfera dei diritti.
    Uno considera la prassi di Gesù: più che fare dottrine sui diritti, li pratica con una intensità, autorevolezza, universalità, costanza che lo rendono un testimone indimenticabile di essi. Esaminando le sue opere, segnatamente i miracoli, vediamo che egli è totalmente dalla parte della vita delle persone indigenti, poveri, malati, vedove, bambini, forestieri…, che guarisce, sfama, difende, libera, salva (cf Mc 1,32-34.40-45;2,1-3,6; 6,32-44; 7,1-13; 12,28-34.41-44) La parabola del buon samaritano è icona espressiva del suo modo di intendere il rapporto con il prossimo (cf Lc 10,25-37). Pietro lo sintetizzerà in casa di Cornelio definendo Gesù come “colui che è passato facendo del bene a tutti” (Atti 10,38).
    In verità sono opere di giustizia quelle che compie, ma – e qui siamo al secondo tratto – Gesù le realizza secondo una visione che non le trascura, ma le supera, come per dare una motivazione e sostegno più radicale. Cosa in verità non estranea all’antica tavola biblica dei diritti, ma adesso Gesù ne esprime al massimo la dinamica.
    Nel concerto dei diritti, egli introduce un inedito diritto (che è dono!) all’amore, e dunque un dovere dell’amore verso tutti, anche verso i nemici: hanno diritto di essere amati perché pure essi sono figli dello stesso Padre che manda i suoi doni senza discriminare alcuno: “Ma io vi dico, amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori perché siate figli del Padre vostro celeste che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” (Mt 5,44-45). Dove si manifesta apertamente, come già nella prima alleanza (ma con quanta originale singolarità!), il mistero di Dio quale componente ineludibile di ogni discorso sui diritti dell’uomo. Certamente questo imperativo va stretto nei codici, non si può trasferire in categorie rigorosamente giuridiche. Eppure ha la potenza del comando di Gesù, che si accomuna con altre sue dichiarazioni di diritti e doveri. La sua morte perdonando mostra come Lui stesso ha assunto seriamente ciò che predicava. Gesù propone dunque un singolare diritto all’esser amato, a partire dai meno amati, che pur non tematizzato nelle Dichiarazioni umane, ha lasciato il segno nella memoria occidentale. Colpisce che la rivoluzione francese – ma anche la rivoluzione americana – con la libertà e l’uguaglianza affermano la fraternità!

    La chiesa nel tempo: la difesa dei diritti

    “Le proteste dei mietitori sono giunte all’orecchio del Signore degli eserciti” (Giac 5,4).

    Le prime comunità cristiane, provenienti dal giudaismo, conoscono il patrimonio delle leggi e diritti ereditati dal mondo biblico, li conoscono come comando di Dio da osservare, [3] per cui non vi è bisogno di parlarne distesamente, tenuto anche conto che le lettere sono occasionali. Sono dunque accolti tranquillamente, con una duplice connotazione. La prima e fondamentale è l’ispirazione cristologica per cui ogni relazione umana va compresa e realizzata “nel Signore”, dove dunque regna il principio dell’agape: “Pieno compimento della legge è l’amore” (Rom 13, 10).
    E difatti sappiamo come le comunità sono chiamate a vivere e vivono di fatto una esperienza di comunione tale, che basta il ricordarla – e qui interviene il memoriale eucaristico –, per generare un rispetto che viene a coprire ogni disagio dovuto a povertà e diseguaglianza di beni. Atti degli Apostoli lo ricorda nella celebre descrizione della prima comunità (2, 42-48; cf pure 6,1-6); Paolo ne dà cenni numerosi nelle sue lettere: scrive ai Corinti perché superino le divisioni e ritrovino la fraternità nell’unico Corpo (cf 1 Cor 12-14), come pure ricorda l’impegno della colletta per i poveri di Gerusalemme (2 Cor 8-9).
    Vi è poi la seconda connotazione che possiamo chiamare profetica, la quale emerge quando la comunità non realizza il Decalogo e le altre leggi che riguardano soprattutto i poveri e gli obblighi di giustizia verso le istituzioni anche civili. La motivazione sta sempre nella vita nuova iniziata da Gesù che sfocia immediatamente nel rispetto dei precetti del Decalogo (cf Ef 4,17-22). Paolo scrivendo ai Romani menziona al positivo il dovuto onore alle autorità civili (Rom 13,1-7), come anche fa Pietro (1 Piet 2, 12-17). Soprattutto si fa sentire la voce di Giacomo che rinnova il forte monito dei profeti verso i ricchi rapaci che compromettono il fondamentale diritto della giustizia: “E ora a voi, o ricchi: piangete e gridate per le sventure che vi sovrastano… Avete ucciso il giusto ed egli non può opporre resistenza” (Giac 5,1-6).
    Segnaliamo in particolare due motivi biblici che maggiormente si sporgono nella linea dei diritti e doveri. Le tavole domestiche, ossia quei codici di comportamento che riguardano diritti e doveri fra i soggetti che vivono nella stessa casa: marito e moglie, genitori e figli, padroni e schiavi (cf Ef 5,20-6,9; Col 3,18-4,1). Tutto è retto secondo il criterio di “Cristo modello di sottomissione amorosa”, per cui la soggettività di ciascuno può essere rispettata nel mutuo incontro preveniente: “Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto; e voi, padri, non inasprite i vostri figli, ma allevateli nell’educazione e nella disciplina del Signore” (Ef 6,1-4). “Ti ho rimandato Onesimo (lo schiavo) perché tu lo riavessi per sempre, non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo” (Filem, vv.12-16).
    Significative sono anche le tavole delle virtù e dei vizi che fanno intravedere sul versante positivo e negativo ciò che garantisce o nega il rispetto delle persone (cf Gal 5,13-23).

    “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la legge e i profeti” (Mt 7,12)

    LA VISIONE BIBLICA

    Il dipanarsi della rassegna storica ci permette ora di tentare una sintesi di quegli elementi che riteniamo costanti del discorso biblico.
    Lo facciamo rispettando il senso specifico dei testi, cioè non vedendo una immediata applicazione tecnica al tema dei diritti umani, ma piuttosto recependo le motivazioni di quanto riguarda il rapporto tra le persone. Solo una adeguata mediazione culturale potrà portare ad un confronto diretto. Ne faremo cenno nella parte finale.

    Il diritto di Israele nell’AT

    È il titolo di un contributo notevole di J.L. Ska, professore al Biblico di Roma, che fa sintesi della ricerca attuale. [4] Lo seguiamo, ma integrandolo con altri contributi. [5]
    Se la matrice dei diritti è comune al mondo antico, e cioè il diritto consuetudinario frutto dell’esperienza, l’elaborazione accademica degli scribi e l’intervento determinante del sovrano, il diritto biblico presenta dei tratti originali che ne indicano l’identità.
    * Nel mondo biblico il diritto non esprime tanto un principio teorico sul giusto o sul torto, ma mira ad assicurare il ristabilimento di una situazione pacifica compromessa dall’azione di una persona o di una collettività. Infatti il termine più adeguato per dire diritto in Israele è mispat che enuncia una prestazione da svolgere per cui si arriverà ad una situazione normale (v. Es 20, 24-23,19). Il fatto singolo diventa poi consuetudine, si fa giurisprudenza, da casuistico il diritto diventa apodittico, come avviene nel Decalogo. È rilevante questa concezione di diritto come bene urgente da acquisire, quindi scaturente dalla concretezza dei fatti, e tendente a produrre fatti. Infatti esso comprende, in misura assai aderente alla pratica, sia il concetto di responsabilità anche collettiva, sia il diritto della vittima ad essere risarcito. La parabola del buon samaritano del NT è un approdo interessante dello stesso principio. Chi è violato, va salvato. Il diritto viene rispettato quando viene eseguito. Il giudizio finale di Mt 25,31-46 si risolve in salvezza e condanna in nome di aver o meno aiutato concretamente, possiamo dire, salvato, l’indigente da ogni punto di vista. Il giudizio di Dio è dunque corrispondente al diritto accolto o respinto da parte dell’uomo verso il prossimo.
    * Chiaramente in siffatta visione emerge uno dei tratti fondamentali di ogni discorso sui diritti: il rapporto diritto e giustizia. “In tutta la Bibbia il connubio diritto e giustizia segna una esigenza permanente della coscienza. È la predicazione dei profeti (Am 5,7-24; 6,12ss, Is 5,7.16, Ger 4,2; 9,23; è la lezione dei saggi (Prov 2,9); è un tratto maggiore della speranza messianica (Is 1,27; 11,5; 28,17ss). Il primo a realizzare tale ideale è Dio stesso (Sal 19,10; 89,15; 119, 7). Colui che fissa il diritto di tutta la terra non saprebbe violare il diritto: ‘Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?’ (Gen 18,25)” (J. Guillet). [6]
    * Evidentemente lo sbocco di questo connubio fra diritto e giustizia va sulla persona di colui che meno l’esperimenta e più ne ha bisogno: il povero. È il bisogno della persona la misura concreta del diritto ed insieme il fattore che urge il suo rispetto. L’abbiamo visto nella Torah con il trinomio della cura del l’orfano, vedova e forestiero, come pure nell’abbondante predicazione profetica, di Gesù e degli apostoli. Ancora una volta emerge la qualità del diritto come bene urgente ed assai concreto cui abbiamo sopra accennato. A questo proposito è indispensabile annotare la base profondamente, anzi totalmente etica del diritto ebraico: riguarda non etichette procedurali, che pure si danno (le tante leggi rituali), ma sempre e radicalmente sta al centro la vita della persona umana a partire dagli ultimi, in termini di giustizia e di adempimento dei suoi obblighi, tale da sconfinare nella carità perché possa essere vera giustizia.
    Acquisiti questi tre tratti intrinseci del diritto biblico, come urgenza operativa, legata alla giustizia (etica) a pro degli svantaggiati, vanno adesso raccolti ulteriori elementi sostanziali.
    * Il diritto biblico appare inglobato in una legge, ha quindi la solennità, anzi sacralità della legge. Non è manipolabile a piacimento, ma assume la intangibilità della legge entro cui è recepito. Il criterio dell’inviolabilità è per sé propria del diritto biblico, ovviamente in relazione all’importanza del suo contenuto e tenendo presente una evoluzione interna culturale. In questo senso il Decalogo esprime diritti inalienabili, ed infatti ha fatto di base sino ad oggi alle moderne Dichiarazioni dei diritti umani, di cui pure non potrebbe rispecchiare tutte le determinazioni specifiche.
    * Chiaramente il senso ultimo dei diritti è dato dalla prestigiosa parola di “Torah” in cui sono racchiusi, o insegnamento normativo, dove cioè sottostanno delle ragioni che motivano il contenuto specifico del diritto. Non vi è imperativo nella Bibbia senza un indicativo la cui provenienza viene da Dio. Alla base del Decalogo non sta il “tu devi”, ma il “tu sei”, cioè “l’essere stati liberati dalla terra di schiavitù” (cf Es 20,2; Deut 5,6). Nella terra di Israele non vi è diritto senza memoriale religioso, cioè senza rifarsi ultimamente al modo di comportarsi di Dio verso il popolo. Togliere questa componente religiosa storica (aggiungiamo l’aggettivo storica, perché per sé tutti i codici antichi si rifacevano a Dio: ma per Israele si tratta del Dio dell’esodo, della liberazione di un popolo perché restasse libero) è togliere qualcosa di vitale ed essenziale al diritto biblico. Il libro del Deuteronomio esprime al meglio questa identità.
    * Si coniuga con questo fondamento religioso la prerogativa di essere la legge promulgata nel deserto, nella terra di nessuno. La monarchia, abituale soggetto di autorità sui diritti del popolo nel contesto medio-orientale, qui non vi entra, se non come soggetto essa stessa al diritto (l’abbiamo accennato sopra a proposito di Davide e di Acab). Né vi è un territorio specifico di esercizio, una sorta di localizzazione privilegiata. Si tratta di “diritto personale” che accompagna la persona come tale in ogni tempo e in ogni luogo. Mosè, come il re Giosia, sono mediatori, non fondatori della legge.
    * Fondatore è Dio, o meglio la sua azione nella storia, che inizia con la creazione della vita umana che Egli benedice e dunque protegge, in quanto è realtà che gli corrisponde come sua “immagine” (Gen 1,26; 9,6), per cui la vita ha un carattere talmente sacro che non vi è possibilità di riparazione pecuniaria quando è violata (cf Num 35,31); si manifesta compiutamente nella liberazione dell’esodo e dunque nella configurazione storica di un popolo proiettato, secondo la promessa, verso una terra, che resterà sempre promessa. Per cui il diritto biblico tanto è cogente nelle esigenze specifiche quanto non trova mai un luogo in cui si esaurisce, ma vale per tutti i luoghi, ed ancora non riesce mai a trovare un tempo di piena realizzazione, proponendosi come divina utopia, ossia come una urgenza sempre da realizzarsi e mai compiutamente realizzata, tanto sono grandi e diversi i pensieri di Dio per il bene dell’uomo. Infatti proprio il Deuteromonio, che potremmo definire al meglio la Dichiarazione dei diritti umani secondo la Bibbia, “prospetta una società nella quale in nessun caso ci può essere povertà e nella quale tutti i membri devono partecipare alla stessa maniera alla creazione della felicità. Ma per far questo il discorso sui poveri diventa discorso sui ‘fratelli’. Il diritto sfocia nella misericordia. È il progetto utopico che Lc propone nella prima comunità di Atti: ‘Non c’erano poveri tra di loro’ (4,34; cf Deut 15,4)” (N. Lohfink). [7]
    * Questa fondamentale presa del diritto sul divino, anzi sull’utopia di Dio per il suo popolo, che ha lo sviluppo maturo nel NT, porta altre connotazioni alla concezione di diritti umani che qui solo accenniamo.
    Sono retti ed espressi in una cornice di alleanza nel senso tipico del termine, il berit o giuramento di fedeltà da parte di Dio. Vuol dire che l’autorità del diritto dell’uomo non è assicurata da un uomo, fosse anche un re, ispirato da Dio (come Hammurabi), ma da Dio stesso. Ma non si tratta di un Dio come despota, bensì come garante della dignità dell’uomo verso gli altri. Infatti l’alleanza afferma un impegno a forma di contratto, consensuale. Ciò permette di segnalare che quanto ai diritti e doveri tutti sono eguali davanti a Dio: “Nell’AT la democrazia è nata nello stesso tempo che la teocrazia” (J.L. Ska). [8] N. Lohfink arriva a cogliere una divisione di poteri tra profeta (fonte legislativa intesa come vitale attualizzazione del diritto antico), i giudici (come potere giudiziario) e il re (come potere esecutivo). Per cui si comprende la critica profetica nel confronto dello stato (del re e dei suoi collaboratori). Ci permette ancora di cogliere la necessità del libero consenso del popolo davanti alla legge. Così nel Sinai (Es 19,8 e 24,3.7), a Sichem (Gios 24) e finalmente, con tratti ideali, nel Deuteronomio. Ne scaturisce il tono frequentemente esortativo dei codici israeliti, specie nel Deuterononio, che è una “legge predicata”, come chi vuol toccare l’esercizio della libertà, davanti ad un diritto la cui osservanza si basa ultimamente sulla libertà e responsabilità, resa così urgentemente operativa.[9] 
    * Non è da dire che questo diritto ha nella Bibbia una sanzione, e sanzione decisiva. Porta con sé un giudizio di salvezza e di condanna, da commisurare secondo il valore intrinseco del diritto-dovere rispettato o trasgredito. Trattandosi di essere umani, tante volte svantaggiati, emerge come criterio decisivo la relazione, positiva o meno, con la persona umana, più precisamente con la sua esigenza di vita, così come si addice ad una persona che di Dio è immagine, anzi figlio.
    La gravità e certezza della sanzione appare a tutto tondo nella cornice di benedizioni e maledizioni dell’alleanza (Deut 28), nelle parole dei profeti e degli apostoli sopra citati. Gesù vi profilerà la maniera di farsi del giudizio finale (Mt 25, 31-46).

    Il diritto di Dio è per la vita dell’uomo (NT)

    Così titola un suo studio J. Blank sul “problema dei diritti dell’uomo nel NT”. [10] Integrandolo con altri dati, portiamo a conclusione la nostra ricerca, la quale, trattando del pensiero di Gesù, ha in esso il punto di riferimento decisivo. Ebbene, è fondato ricondurre tutto ad una articolata considerazione dei seguenti punti.
    * Indubbiamente l’orizzonte del NT è assai diverso. Il concetto formale di diritto (mispat) sembra svanire (unico cenno in Mt 23,23), mentre è sempre vivo il motivo della giustizia e della cura e difesa dei poveri (v. sopra). Tale silenzio ha come prima spiegazione la destrutturazione sociale-politica delle prime comunità cristiane (non esiste uno stato né una nazione cristiana come quella ebraica). I problemi di giustizia sociale poi sembrano meno acuti, anche se non mancano, come abbiamo accennato. In particolare questo silenzio “proviene anche dall’importanza cresciuta data agli atteggiamenti interiori, da dove scaturiscono i comportamenti pratici; proviene soprattutto dal fatto che il diritto stesso, per quanto profondamente legato alla persona come è nell’AT, si trova trasformato dal Vangelo” (J. Guillet). [11]
    * Queste ultime parole mettono in luce la giusta prospettiva.
    La posizione di Gesù sui diritti umani va vista totalmente dentro il mondo dell’alleanza e della legge che Gesù globalmente assume, rispetta e vive, e che insieme trasforma. Qui diventa criterio di base il principio di compimento senza abolizione bene enucleato in Mt 5,17.
    La continuità nel rispetto dei diritti umani, specie come giustizia a favore dei poveri, delle donne, dei peccatori o emarginati, illumina pienamente la prassi di Gesù e della prima Chiesa, in maniera tale che Egli, e i suoi della prima ora, mostrano la piena statura dei profeti, critici e costruttori.
    * Ma vi è di più (e non di contro o di estraneo). È la concezione religiosa di Gesù – ancora una volta, come nella prima alleanza – anzi l’esperienza di Dio che diventa determinante allargando gli spazi del diritto, non però per soppiantarlo, ma per affermarlo in modo migliore, sottraendolo ad ogni strettoia formalistica e meramente teorica. J. Blank si appella ad un dato tipico del NT, che proviene dall’AT, attraverso la mediazione di Filone: la filantropia di Dio, la “umanità di Dio” chiama l’uomo, di cui parla apertamente Tito 3,4-6. Ebbene, compresa alla luce del Regno, che viene con potenza a salvare l’uomo, la divina filantropia, che Gesù afferma chiamando Dio come Padre, si manifesta non come semplice accoglienza amorosa dell’uomo, ma presa di responsabilità per la sua piena salvezza. Come già nell’AT, “Dio non è soltanto il supremo garante dell’ordinamento giuridico, origine e fonte di ogni diritto – questa è la concezione usale –, non sta dalla parte dei potenti, ma è visto come colui – e soltanto lui – che aiuta chi è senza nessuna assistenza a difendere i propri diritti: deboli, poveri, oppressi, ingiustamente perseguitati, vedove, orfani”. [12] In realtà a ben vedere ultimamente Gesù assume e adempie il compito che spetta al Messia secondo Is 11,1-10. Lo stesso concetto paolino di “giustizia-giustificazione di Dio”, che erige a diritto supremo il diritto o giustizia divina, se antecede ogni diritto umano, non misconosce questo (la giustizia umana), ma anzi lo avvolge di ulteriore potenza e possibilità. Infatti il diritto divino si realizza nel gesto totale di amore di Dio stesso per ogni uomo, per cui “il diritto di Dio è per la vita dell’uomo” e dunque ne fonda e garantisce i diritti umani che concernono la vita delle persone. “La giustizia è la concretizzazione della condotta contrassegnata dall’amore”. [13]  “Tutto quello che volete che gli altri facciano a voi, fatelo loro” (Mt 7,12). Il diritto dell’amore e all’amore, cui abbiamo accennato, diventa il diritto trascendentale di ogni diritto ed unica possibilità di realizzazione dei diritti umani, sia pur nella precarietà della condizione umana. L’amore quando è autentico non mira ad assoggettare, ma a liberare e a far crescere. [14]
    * In quest’ottica, mantenendo saldo e realista il rapporto della fede ed amore con i diritti umani di ogni persona credente o meno, si può parlare dell’inno paolino alla carità di 1 Cor 13 come del modo nuovo di parlare dei diritti umani dal punto di vista cristiano, od anche affermare, come fa qualche autore spirituale, che le beatitudini sono “una suprema dichiarazione dei diritti” dell’uomo dal punto di vista di Dio. Purché si garantisca – torniamo a dirlo – sempre l’aderenza al qui ed ora della persona con i suoi bisogni concreti, spirituali e materiali. L’agape che Paolo esalta è pur sempre “benigna, non manca di rispetto, non si adira, non gode dell’ingiustizia” (1 Cor 13,4-6) e le beatitudini di Gesù riguardano poveri, piangenti, affamati, bisognosi di misericordia (ciò è detto ancora più forte nel testo di Lc 6, 20-26). Gesù è l’umanità di Dio che si protende sull’umanità dell’uomo per una condivisione. In questa prospettiva è doveroso parlare di spessore umanistico dei diritti umani secondo il Vangelo, od anche di una umanizzazione cristiana del diritto.
    * Ma proprio i testi citati introducono un ultimo fattore per la comprensione biblica dei “diritti umani”, fattore essenziale e tipico: la componente escatologica. Ossia, come tutte le realtà umane, anche il diritto dell’uomo, quindi il riconoscimento della sua dignità in termini di giustizia e di amore, potrà avere pieno compimento oltre lo spazio terreno. Basti ricordare, come ha ampiamente dimostrato N. Lohfink, che il testo anticotestamentario più dedito al discorso dei diritti, il Deuteronomio, è quello che li afferma per un contesto storico che al presente non può darsi (siamo sul versante dell’esilio) e quindi mantengono il carattere di pura promessa per un futuro che solo Dio conosce. [15] Quanto a Gesù (analogamente a Paolo e agli altri apostoli), il suo modo di affermare i diritti dei poveri ed oppressi, racchiuso nelle Beatitudini e in altri racconti come Lazzaro e il ricco sfrontato (Lc 16,19-31) è detto realizzarsi compiutamente soltanto nella venuta definitiva nel Regno.
    Questo non significa disimpegno nell’oggi, ma sull’esempio di Gesù viene fatto dono di una energia ulteriore nel quotidiano impegno per i diritti: viene svelato il realismo che toglie ogni pretesa ed illusione di fare tutto e subito, ed insieme viene offerta la consapevolezza coraggiosa ed operosa che non si è fatto mai abbastanza se si vuol stare all’altezza dei pensieri di Dio per lo sviluppo dell’uomo.

    “Non chi dice: Signore, Signore, entrerà nel Regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7,21)

    ALCUNE IMPLICANZE ORIENTATA ALLA PRASSI

    La Chiesa partecipa vivamente alla questione dei diritti umani, in particolare a partire dal Vaticano II (si pensi al principio della libertà religiosa e di altre tematiche presenti nella Gaudium et Spes), ed ancora, in misura tanto evidente, nel magistero degli ultimi Papi, Giovanni XXIII (Pacem in terris), Paolo VI (Populorum Progressio) e in particolare Giovanni Paolo II, dalla Redemptor Hominis alla Centesimus Annus. Nulla da eccepire, poiché la visione biblica in ottica cristiana sfocia legittimamente nell’attualizzazione magisteriale, catechistica [16] e nella ortoprassi dei credenti che operano per i diritti dell’uomo. Resta però vero che il dato biblico rimane insostituibile come la sorgente rispetto ai canali, e dunque in fase operativa si può pensare ad un percorso biblico-catechistico inerente al nostro tema.
    Del contributo biblico ora riassumiamo i tratti più rilevanti che in certo modo dicono quei parametri suscettibili di confronto e dialogo critico con le concezioni umane, laiche.

    La precisa collocazione del contributo biblico

    Lo sguardo sulle testimonianze storiche della Bibbia a proposito dei diritti porta con sé una inevitabile discrasia o differenza con il linguaggio moderno. Da questo punto di vista bisognerà evitare anacronismi, come sarebbe pretendere di ritrovare per filo e per segno i moderni concetti di libertà civili e di esercizio dei diritti entro un quadro democratico. Non lo possiamo fare per due ragioni: la prima è il diverso contesto storico culturale e sociale; la seconda, perché il discorso biblico è direttamente una “rivelazione” religiosa. Ma proprio perché religioso – e qui viene il punto centrale di tutta la riflessione sul nostro tema – il punto di vista biblico si fa convergente con il discorso dei diritti, in quanto si tratta di una religione su misura d’uomo, che, se apparentemente non tratta formalmente di diritti, li tocca intimamente, come chi di una pianta si interessa delle radici. E di fatto nella stessa Bibbia sono subito sorte applicazioni concrete: è un dato, e non marginale, l’esistenza di una legge a valenza sociale nei due Testamenti. L’abbiamo accennato sopra. Sicché a ricerca conclusa possiamo affermare che il contributo biblico si pone sulla linea non del come, ma del perché, non delle singole codificazioni, ma delle motivazioni ispirative, accompagnando però tali criteri con massicce esemplificazioni, come è il Decalogo, i grandi codici legali, gli interventi non appariscenti, ma qualificati di Gesù e degli apostoli a favore dei poveri, tali da aver influito, come abbiamo detto, sulla successiva elaborazione dottrinale, in ambito ecclesiale ed anche in ambito laico.

    La fondazione teologica e la sporgenza umanistica della visione biblica

    Sappiamo che il tema dei diritti umani, come oggi viene proposto, è proprio dell’età moderna legato all’insorgere del principio di libertà individuale e sociale, ma la sostanza dei contenuti è antica ed universale: si tratta della persona umana e della sua dignità. Qui, e soltanto qui, avanti le determinazioni tecniche, di certo si inserisce il contributo biblico.
    Riformulandolo in termini antropologico-pastorali troviamo elementi validi per un confronto critico con le impostazioni laiche.
    Ecco una sequenza di elementi:
    * nella Bibbia i diritti umani, nel senso sostanziale, sono una dotazione che spetta all’uomo come tale, antecedono le modulazioni storiche, e dunque non sono manipolabili, ed insieme di determinazioni hanno bisogno, e dunque richiedono concretizzazione;
    * nella Bibbia i diritti umani manifestano una intima bipolarità: affermano i diritti del singolo e i diritti degli altri, dignità personale e relazionalità sociale, diritti miei, come doveri degli altri nei miei confronti, e diritti altrui come miei doveri verso di loro;
    * nella Bibbia il diritto è legato costitutivamente alla giustizia, per cui non vi è diritto se manca la giustizia;
    * nella Bibbia i diritti umani trovano il loro banco di prova nelle persone che facilmente ne patiscono mancanza: i deboli e i poveri. Usurpatori sono abitualmente ricchi e potenti;
    * nella Bibbia le espressioni concrete dei diritti che maggiormente ritornano, riguardano anzitutto il diritto alla vita, alla dignità, alla libertà, alla accoglienza dello straniero. Il Decalogo ne è la base permanente, da capire secondo il contesto di rivelazione detto sopra. Appare chiaro che il diritto per la Bibbia è prima di tutto espressione normativa di valore morale. Diritto e morale appaiono indisgiungibili;
    * nella Bibbia, se il diritto ha una base giustificativa religiosa (v. qui sotto), trova codificazione a contatto con l’esperienza, si affina con la saggezza, assume la normatività della legge, e dunque sfocia nell’esigenza di una sanzione;
    * finalmente nella Bibbia i diritti umani si motivano con un fondamento inalienabile, ineludibile e specifico: l’autorità di Dio nel senso preciso di cui la Rivelazione biblica parla, nella dinamica di AT e NT (Gesù Cristo). Nella Bibbia i diritti umani esistono come dato teologico. L’alleanza ne è il paradigma fontale.
    Il fondamento religioso varrà dunque come genuino riferimento per il vero senso (non si può stravolgerlo) ed insieme è sostegno stabile del senso (non si può trascurarlo). Si può affermare che non si può genuinamente parlare di diritti umani e realizzarne efficacemente il rispetto se non trascendendo il senso puramente umano del discorso, per motivazioni ulteriori. Diritto e mistica si compenetrano. E d’altra parte sapendo che il diritto di una persona è sempre il diritto di questa persona, in contesto culturale determinato, sarà grande missione del cristiano dare spessore concreto alle formulazioni generiche, sapendo che se nessuna forma realizza a fondo la parola di Dio, questa è rispettata quando si compenetra come lievito nella massa;
    * nella Bibbia la “virtù” di base, intesa come forza realizzatrice dei diritti, non è anzitutto la giustizia, ma l’amore di Dio nella sua espressione storica verso il prossimo, a sua volta ispirato ed esemplato dall’amore che Dio ha verso noi che siamo il suo prossimo. È infatti l’amore che in Dio (e in Gesù) assume il volto necessario della giustizia e le realizza. La giustizia è una espressione di amore, anzi la prima ed elementare. Significa che per la Bibbia esiste come diritto primario di ogni persona quello di essere amato come Dio lo ama, e di amare come Dio lo fa: l’amore è la prima espressione della giustizia. Per la Bibbia non esiste “giuridicamente”, non potrebbe essere codificato in nessuna dichiarazione, il diritto di odiare, di ghettizzare… fosse pure il nemico. [17] Entra invece nella serie dei diritti-doveri quello di perdonare e di essere perdonato. Sicché la radice del diritto è la misericordia, e dunque ogni persona ha il diritto di poterla trovare tra gli uomini come la esercita Dio. Non per nulla Gesù è inteso come un leader indiscusso nel rispetto dei diritti umani, in forza di quello straordinario, divino modo di impostare la relazione con gli altri, come amore. Nella sfera del diritto di amare entra evidentemente ogni espressione di amore, anche il rimprovero e la correzione (cf Ebr 12,4-13);
    * nella Bibbia il discorso dei diritti umani abbraccia la testimonianza dei due Testamenti, che non si possono opporre come tra cattivo e buon discorso, ma accogliere come parti dell’unico discorso di Dio sull’uomo che trova in Gesù l’espressione compiuta.

    Per una proposta pedagogica-catechistica

    Non vuol essere che una traccia sommaria per presentare la visione biblica dei diritti umani. Distinguiamo tre passi:
    * Primo passo: il tema dei diritti umani in prospettiva religiosa.
    Esaminando il mondo delle esperienze (persone, istituzioni, idee) cogliere come entra la componente religiosa nel tema, specificamente come e quando funziona bene e funziona male.
    * Secondo passo: la visione biblica.
    - Esplorazione fenomenica: le testimonianze bibliche (vedi sopra).
    - La concezione dell’AT; la specificità della prassi e del pensiero di Gesù (v. sopra).
    - Il rapporto tra la Dichiarazione laica dei diritti dell’uomo (v. ad esempio la Dichiarazione del 1948) e la visione biblica: convergenze, differenze, contributo specifico della Bibbia (v. sopra).
    - Confronto su alcuni fondamentali contenuti categoriali: la persona umana, il povero, la giustizia, la libertà (v. un Dizionario biblico).
    * Terzo passo: l’attualizzazione storica.
    * La dottrina sociale della Chiesa sui diritti umani e la sua radicazione biblica.
    * Esperienze cristiane di promozione dei diritti umani.

    NB. Si può tradurre in termini di preghiera (Lectio Divina) aspetti specifici del discorso biblico sui diritti.

    IL MISTERO PASQUALE, FONDAMENTO, GARANZIA E SPERANZA DEI DIRITTI DELLA PERSONA UMANA

    La morte e risurrezione di Gesù ha il diritto di diventare l’icona emblematica di ogni riflessione sui diritti dell’uomo.
    * La morte di Gesù è in se stessa drammatica esperienza di un diritto di vita, e prima ancora di verità, che è stato palesemente trasgredito. Il Crocifisso è l’icona pubblica della violazione dei diritti dell’uomo. Rimane perciò il segno storico del naufragio e del fallimento del diritto per colpevolezza di quanti non l’hanno voluto o saputo rispettare.
    * La risurrezione di Gesù è affermazione del buon diritto della persona ai beni primari della vita, della dignità, della verità, della giustizia. In Gesù il diritto non muore, ma, per quanto oppresso, ritorna alla luce e vince.
    * La memoria pasquale, ritualizzata nell’Eucaristia, è la ripresentazione religiosa più adeguata ed efficace dei diritti della persona:
    – ne propone il fondamento che è l’amore di Dio per l’uomo, amore che Gesù ha testimoniato nella vita e in cui ha vissuto la stessa morte. Morendo infatti perdona agli avversari, cioè fa loro scoprire il dono di incontrare il perdono di Dio, proponendolo come diritto umano di fidarsi e affidarsi alla misericordia di Dio;
    – ne afferma la garanzia: la pratica dei diritti, alla luce del Vangelo, non ha per sé mai la parola della sconfitta definitiva, ma semmai il sacrificio di portarli avanti come ha fatto Gesù fino a dare la vita. La risurrezione del diritto della vita in Gesù garantisce il diritto di chiunque vive come Gesù e in Lui;
    – ne assicura la speranza: chi obiettivamente si impegna per i diritti come ha fatto Gesù, oltre a realizzare sicuri segni storici di concreto rispetto tali da attirare l’ammirazione (si vedano le azioni positive dei suoi discepoli), è sorretto dalla sicurezza che anche se è piccolo il seme gettato per la giustizia, e per quanto calpestato, esso ha per sé l’orizzonte del Regno, patria dei diritti finalmente attuati, dove le persone “non avranno più fame, né avranno più sete, né li colpirà il sole né arsura di sorta… E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi” (Apoc 7, 16-17).

    NOTE

    [1] Cf La Chiesa e i diritti dell’uomo, in Concilium 15 (1979) n. 4.

    [2] H. Cazelles, Loi Israélite, in Supplément au Dictionnaire de la Bible, V, 497-530 (qui 524).

    [3] In verità è stata fatta una ricerca sui tanti elementi del diritto di ambiente (giudaico, ma anche greco-romano) presente nei vangeli e in Paolo. Nelle parabole viene evocato il diritto a riguardo del licenziamento (Mc 12,1-9), della proprietà (Mt 13,44), sul debito e credito (Mt 18,23-35), del lavoro (Mt 20,1-15), di eredità (Lc 15,11-32), sui processi (Lc 18,1-8). In Paolo: diritto matrimoniale (Gal 3,15; 4,1s), di adozione (Rom 8,15.23), del commercio (2 Cor 1,22; Ef 1,14).

    [4] Le droit d’Israel dans l’Ancien Testament, in F. Mies (éd), Bible et droit. L’esprit des lois, Presses universitaires, Bruxelles, 2001.

    [5] Per uno sguardo di insieme sul “diritto e giustizia” in Israele, si veda De Vaux R., Le istituzioni dell’Antico Testamento, Marietti, Casale 1964, 150-170.

    [6] Diritto, in Léon-Dufour X. (ed), Vocabolario di teologia biblica, Marietti, Torino 1961.

    [7] Il diritto e la misericordia. I codici giuridici nel Vicino Oriente antico e nella Bibbia, in N. Lohfink, All’ombra delle tue ali. Meditazioni sull’AT, Piemme, Casale M., 2002, 70-89.

    [8] Le droit d’Israel, 31.

    [9] Il diritto e la misericordia, 86-89.

    [10] Il diritto di Dio è per la vita dell’uomo. Il problema dei diritti dell’ uomo nel Nuovo Testamento, in “La Chiesa e i diritti dell’uomo”, in Concilium 15(1979) n. 4, 58-71.

    [11] Diritto, in X. Léon-Dfour, o.c.

    [12] Il diritto di Dio per la vita dell’uomo, 66.

    [13] ibid, 71.

    [14] ibid, 71.

    [15] Il diritto e la misericordia, 88-89.

    [16] Si veda nel Catechismo della Chiesa Cattolica in particolare ai numeri 1877-1948; Catechismo degli adulti (italiano), 1097. Nei recenti Orientamenti Pastorali della Chiesa italiana, i Vescovi dicono parole molto chiare: “Il cristianesimo non può accettare la logica del più forte, l’idea che la presenza di poveri, di sfruttati e umiliati sia frutto dell’inesorabile fluire della storia… Il povero, il viandante, lo straniero non sono cittadini qualunque per la Chiesa, proprio perché essa è mossa verso di loro dalla carità di Cristo e non da altre ragioni” (Comunicare il vangelo in un mondo che cambia, n. 43).

    [17] Come è noto il detto di Cristo riferito all’AT: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”, questa seconda parte non si trova in nessuna legge. Va compresa come “non amerai il tuo nemico”. E di fatto così capitava. Gesù ha perfezionato il comando dell’amore coinvolgendo tutti, anche i nemici (Mt 5, 43-48).


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