Riccardo Tonelli
(NPG 2002-09-65)
In questi anni, molti educatori, impegnati nell’ambito della pastorale giovanile, hanno scoperto e sperimentato la possibilità di realizzare i compiti relativi alla educazione alla fede, attivando un rapporto privilegiato con quel modello particolare di educazione che passa sotto la formula “animazione”.
La faccenda però non è davvero pacifica.
Non pochi, all’inizio del cammino, hanno avanzato perplessità, dal punto di vista teologico e da quello educativo; le hanno poi rilanciate man mano che il processo prendeva consistenza. Oggi i problemi restano, più o meno, quelli di una volta, anche se le resistenze sono diventate silenziose e sotterranee, perché in questa nostra stagione abbiamo imparato a non impicciarci dei fatti degli altri e a fare ciascuno la propria strada.
Le difficoltà e le critiche possono essere riassunte in un interrogativo: è possibile far dialogare sul merito pastorale giovanile e animazione… oppure ciascuna realtà deve camminare per la sua strada, dal momento che obiettivi e strategie operative sembrano così diverse? Alla radice dell’interrogativo ce ne sono due ancora più seri. Il primo è questo: è possibile realizzare una corretta ed autentica educazione dei giovani alla fede, assumendo in pieno le caratteristiche e le logiche dell’animazione? E il secondo: d’accordo sulla opportunità di dare alla pastorale giovanile una precisa risonanza educativa, ma perché proprio l’animazione?
È facile constatare che le perplessità riguardano, da una parte, la natura della pastorale giovanile e la sua specificità e, dall’altra, sollecitano a far chiarezza sul significato di quel modello educativo che abbiamo chiamato “animazione”, inventando una espressione assente nella storia della pedagogia, almeno nel senso in cui la stiamo utilizzando.
Per affrontare gli interrogativi in modo corretto, la riflessione deve impegnarsi su due frontiere: da una parte, la ricomprensione dell’animazione, per coglierne tutta la portata educativa e per individuare bene le sollecitazioni e le sfide che essa lancia ai processi di educazione alla fede; dall’altra, la ricomprensione dell’educazione alla fede in questa logica.
Affronto i due interrogativi “assieme”, come abbiamo fatto spesso in questi anni. Solo nel confronto reciproco è possibile fare chiarezza e giustificare le scelte.
Il rapporto tra educazione e pastorale giovanile
Chiunque si metta a fare attività pastorale instaura un rapporto con le scienze dell’educazione. Non è necessario che la cosa sia consapevole e… il rapporto scatta anche quando viene escluso a priori.
Non si può fare altrimenti… vista la natura della pastorale e la necessità di utilizzare, nell’esercizio dei suoi compiti, modelli operativi e strumentazioni che le provengono dal vissuto concreto delle persone e dalla cultura dominante in un certo contesto.
Su questo rapporto nascono due questioni.
La prima questione è di fondo, perché riguarda la qualità stessa del rapporto tra riflessione e azione pastorale, e quel vasto mondo di riflessione e di prassi che, in modo complessivo, viene definito “educazione” e fatto oggetto di attenzione da parte delle “scienze dell’educazione”.
La seconda questione è successiva alla prima e la porta verso il concreto. Può essere indicata con un interrogativo: se la pastorale ha bisogno dell’educazione nell’esercizio delle sue funzioni specifiche, quale modello, teorico e pratico, di “educazione” può essere utilizzato, dal momento che non ce n’è certamente uno soltanto?
L’educabilità indiretta della fede
La risposta alla prima questione è ormai abbastanza consolidata. Sono superati i modelli pastorali in cui tende a prevalere una funzione solo strumentale dell’educazione, come sono superati quei modelli che sostengono la separazione netta degli ambiti. Il primo superamento è frutto di maturazione teologica. Il secondo nasce da una presa d’atto di situazioni pratiche: è follia immaginare di separare quegli ambiti e quegli interventi che invece sono sempre un tutt’uno, abbastanza indivisibile.
Una prospettiva di soluzione è quella della educabilità indiretta della fede. L’espressione ricorda la possibilità di rendere attenti e disponibili al dono personale della fede attraverso quegli interventi educativi che fanno comprensibile e significativa la sua proposta e suscitano nel soggetto gli atteggiamenti corrispondenti al dono stesso. In questo modo viene, di conseguenza, riconosciuta la funzione preziosa dell’educazione – in senso stretto e tecnico – anche nell’educazione alla fede.
Quale figura di educazione
A proposito del modello di educazione da assumere nella pastorale giovanile, invece, la ricerca è molto più aperta. La consapevolezza di quanto sia prezioso prendere sul serio le istanze dell’educazione anche nell’ambito dell’azione pastorale, si scontra oggi con il pluralismo di figure educative e la complessità che attraversa anche il mondo delle scienze dell’educazione. Dicendo educazione penso non solo ad una metodologia pedagogica, ma, come è doveroso, all’insieme delle discipline che rientrano nel suo statuto e collaborano a dare ad essa un volto preciso (si va dalla filosofia dell’educazione a tutte le discipline che aiutano a dare un quadro corretto della persona e dell’ambiente in cui vive, fino a quelle, di tipo progettuale, che riguardano le condizioni per la costruzione del futuro personale e sociale…).
È facile constatare quanto siano diversi i modelli operativi, fino al punto che molti hanno l’impressione che ogni educatore abbia ormai le sue formule e le applichi tranquillamente nelle diverse circostanze. Chi possiede un minimo di capacità riflessiva, si rende conto che questa diversità pratica manifesta la grande diversità teorica che sta a monte. Sono spesso in gioco concezioni antropologiche – e di conseguenza teologiche – assai differenti. La pastorale diventa piena di proposte forti e sicure, se a monte c’è un certo modo di pensare all’uomo e alla sua educazione; al contrario, nella pastorale si accettano le logiche della gradualità, della progressione lenta e costante, del significato e del valore dell’esperienza, quando a monte c’è una figura diversa di uomo. Le differenze sembrano giustificate da ragioni teologiche ma, in fondo, sono dovute a motivi antropologici.
La scelta dell’animazione come modello globale di educazione
La pastorale deve e vuole rispettare l’autonomia delle scienze dell’educazione nella definizione di una figura di educazione.
Non può però ridursi ad una funzione subalterna, proprio nel momento in cui essa stessa cerca di superare la tentazione di trattare in questo modo le altre discipline.
Come scegliere nel pluralismo di proposte, rispettando, nello stesso tempo, l’autonomia scientifica delle discipline con cui la pastorale vuole dialogare e il peso condizionante che queste discipline possono esercitare rispetto all’esercizio specifico dell’azione pastorale? Sembra un problema solo teorico, per gli addetti ai lavori, e invece ha risvolti concreti notevolissimi.
In questi anni si è progressivamente fatta strada una convinzione che aiuta ad affrontare bene la questione.
Il confronto tra le scienze dell’educazione e le discipline teologiche è possibile solo se esiste un principio regolatore del confronto stesso, che funzioni come sede unificante del dialogo.
Nella pastorale questo principio è l’attenzione all’uomo, come evento integrale e indivisibile, in vista della compenetrazione nella sua struttura di personalità della maturità umana e cristiana: l’uomo, cioè, che ricerca ragioni per vivere e sperare e cui la comunità ecclesiale vuole testimoniare il progetto definitivo di salvezza in Gesù Cristo.
La teologia e le scienze dell’uomo, pur nella diversità degli approcci, possono riconoscere la maturazione dell’uomo verso la sua pienezza di vita, come un punto comune di convergenza, teorica e pratica. In esso, i problemi relativi all’educabilità e alla riferibilità a Dio, provenienti da direzioni diverse e tendenti verso direzioni diverse, si attraversano e si coinvolgono. Su questo principio unificatore, ogni disciplina può suggerire il suo specifico contributo, verso la soluzione del problema. In parte è problema comune perché centrato sull’uomo e sulla sua promozione in umanità. In parte è specifico della riflessione e progettazione pastorale perché attento esplicitamente sulla sua salvezza nel Dio di Gesù Cristo.
Per questa convinzione, la pastorale giovanile, tra i molti modelli di educazione con cui si confronta, sceglie e assume quel modello in cui ha l’impressione che siano rispettati e riaffermati i riferimenti che, nella fede, riconosce irrinunciabili per la qualità della vita e per il consolidamento della speranza. Di qui nasce la scelta dell’animazione come modello globale di educazione, da integrare nei processi di educazione alla fede.
La pastorale non ha bisogno di uno strumento in più, da aggiungere a quelli che già possiede, e che le vengono dalla tradizione ecclesiale. Ha invece bisogno di una proposta globale di educazione in cui ripensarsi e da cui qualificare il suo servizio.
L’esperienza di molti educatori, in questi anni, ha portato a scoprire che l’animazione non è né una tecnica né uno strumento. Essa è una scommessa globale sull’uomo e un progetto complessivo per la sua maturazione. Essa è, in altre parole, un progetto di educazione, uno fra i tanti, con una sua precisa organicità e articolazione. La pastorale ha scoperto di potersi riconoscere bene nelle sue linee di fondo. Convergendo attorno all’uomo e alla sua maturazione, anche da preoccupazioni diverse, si è trovata interpretata bene e aiutata a scoprire esigenze e dimensioni a cui non può rinunciare per la qualità del suo servizio.
Per questo, la pastorale si è messa in dialogo con l’animazione e ha riconosciuto quanto sia preziosa per essa “la scuola dell’animazione”, per assumere in modo pieno quel rapporto con l’educazione che fa parte della sua natura.
L’animazione come modo globale di realizzare l’educazione, diventa il luogo in cui si ripensano e si concretizzano i problemi, le prospettive e le scelte… tipiche dell’educazione alla fede. E, nello stesso tempo, attraverso il dialogo con le esigenze irrinunciabili dei processi che riguardano la trasmissione della fede, l’animazione può comprendersi meglio e riformularsi in termini più adeguati, pur restando un processo autonomo, orientato ad altre finalità e ad altre dimensioni della vita dell’uomo.
Le pagine di “Note di pastorale giovanile” e le molte pubblicazioni che sono fiorite in questi anni attorno alla grande esperienza pastorale testimoniata dalla rivista, sono un documento eloquente e concreto dei guadagni reciproci: quelli che arrivano alla pastorale giovanile quando sa confrontarsi con l’animazione e quelli che giungono alla animazione, quando sa misurarsi con le esigenze della pastorale giovanile. Chi volesse fare l’elenco di questi guadagni dovrebbe ricopiare di peso l’indice delle ultime 20 annate di NPG.