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    Testimoni della Pasqua del Signore


    Mario Cimosa

    (NPG 2002-04-80)

     

    Chi la domenica va a messa partecipa alla celebrazione della Pasqua del Signore: è la cosiddetta «Pasqua settimanale», il ricordo e la celebrazione del mistero pasquale di Cristo Signore, la sua passione, risurrezione e ascensione. Il Signore «morendo ha distrutto la morte e risorgendo ha ridato a noi la vita». Poi il giovane che va a messa ritornando alla sua esistenza quotidiana diventa testimone, narrazione viva della Pasqua del Signore. Ogni messa è infatti una «Pasqua quotidiana».
    C’è però un periodo dell’anno in cui la Chiesa, attingendo ampiamente al ricordo del più grande evento della storia umana e alle Sacre Scritture che lo raccontano, pone dinanzi ai nostri occhi tutta la ricchezza teologica e vitale di questo grande mistero per aiutarci a riviverlo.
    Questo periodo comprende il cosiddetto «triduo pasquale» che unisce i tre giorni che vanno dalla celebrazione della «cena pasquale» del giovedì santo, attraverso la celebrazione della Passione, con il drammatico racconto tratto dal Vangelo di Giovanni e il silenzio mesto del sabato santo, fino alla solennità della domenica di Risurrezione e al ricordo delle prime apparizioni di Gesù Risorto ai discepoli di Emmaus. Questi tre giorni evidenziano l’unità della celebrazione pasquale sottolineando anche l’unità del mistero celebrato: il Cristo crocifisso, sepolto e risorto.
    Questo triduo ha poi la sua logica continuazione nel tempo pasquale durante il quale si leggono ampiamente due libri biblici, pasquali per eccellenza, gli Atti degli Apostoli e il Vangelo di Giovanni. Questo periodo dura «cinquanta giorni» secondo un’antica tradizione liturgica. È come un’unica grande domenica e si conclude con la Pentecoste che ricorda la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli. Nel quarantesimo giorno dopo Pasqua si celebra l’Ascensione del Signore al cielo che con la Risurrezione costituisce un unico grande mistero. Il tempo pasquale è ritmato dalle sette domeniche di Pasqua che con l’abbondanza delle letture bibliche ci aiutano a penetrare nel grande mistero della Pasqua del Signore. Percorreremo questo lungo periodo pasquale ponendoci in ascolto attento della Parola di Dio per comprenderne tutto il suo significato esistenziale e spirituale, e sarà la stessa Parola di Dio che ci aiuterà a viverlo intensamente a vantaggio nostro personale e di tutti quelli che incontreremo sulla nostra strada specie in questo tempo.

    2002-04 80

    La parola di Dio del giovedì santo ci conduce dalla cena pasquale ebraica preparata dal racconto dell’Esodo che viene rivissuto e attualizzato ancora oggi durante il seder (il rituale) del banchetto pasquale attraverso il gesto simbolico altamente espressivo della lavanda dei piedi che nel Vangelo di Giovanni sostituisce il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia durante l’ultima cena con i discepoli. Nell’intenzione di Giovanni questo gesto di Gesù serve a far capire ai suoi lettori il significato profondo dell’Eucaristia che essi celebrano e che è espresso dalla lettura paolina della lettera ai Corinti. La lavanda dei piedi si presenta come un mimo profetico della morte di Gesù. È un gesto simbolico con il quale Gesù annuncia e interpreta la sua morte in croce come un segno d’amore per gli uomini («…li amò sino alla fine»). È di questo che si deve fare memoria. Celebrando l’Eucaristia i cristiani si sentono solidali con il loro Maestro impegnandosi con lui nel suo amore totale a servizio di tutti gli uomini. Ma riprendiamo un momento le singole letture.
    La parola chiave che può aiutarci a capire il significato di quanto è avvenuto per gli ebrei nel momento in cui hanno lasciato l’Egitto verso la libertà è zikkharon, un termine che viene tradotto in greco con anamnesi ed è divenuta una parola tecnica che significa memoria, ricordo di tutto quello che Dio ha fatto per il suo popolo. Non un ricordo semplicemente psicologico, ma un ricordo che rende attuale la cosa ricordata. Un ricordo che fa rivivere nella mente degli uomini e in quella di Dio qualcosa del passato. La Pasqua ricorda l’Esodo, la liberazione, la salvezza. La celebrazione della Pasqua si faceva e si fa nelle case. È la Torah che prescrive di mangiare all’inizio del giorno 15 di Nisan, con azzimi ed erbe amare il pesah, l’agnello immolato. Il cuore della cena è l’haggadah, cioè il racconto commemorativo letto durante la cena. Alla domanda del più giovane che partecipa alla cena, il capo-famiglia che presiede spiega raccontando la storia dell’Esodo e della liberazione. Il rito (seder) si svolge con una serie di gesti e di preghiere molto suggestive. Si vede come forse Gesù ha istituito l’Eucaristia proprio durante la cena pasquale giudaica. Gli ebrei che celebrano il ricordo della liberazione dall’Egitto si sentono essi stessi oggi liberati da Dio. Questa attualizzazione è il carattere proprio del memoriale.
    Nella seconda lettura Paolo vede la cena legata alla croce del Signore, come cena di sacrificio, segno della Nuova Alleanza. La cena del Signore è la stessa cena ebraica nella quale si pronuncia la preghiera di benedizione. Il Signore Gesù cala in tradizioni già esistenti la realtà della salvezza. Le parole di Gesù «fate questo in memoria di me» ci aiutano a capire che questa cena non è come le altre. Come gli ebrei ricordavano e ricordano la liberazione dall’Egitto, i cristiani ricordano il duplice dono di Cristo: egli si è dato e ci ha dato. Cristo si è dato al Padre per realizzare la sua volontà e con la sua morte in croce ci ha dato la salvezza. Tutto questo viene ricordato e rivissuto durante l’Eucaristia.
    E il vangelo del giovedì santo è strettamente connesso con tutto questo. Ricorda come Cristo si è dato al Padre e ha dato ai suoi tutto il suo amore. È l’amore alla base di questo duplice dono. Amore del Padre che Cristo ci ha dato, di cui è simbolo il gesto della lavanda dei piedi e che noi condividiamo donandolo agli altri. È il comandamento nuovo, dell’amore, della fraternità che noi celebriamo nell’Eucaristia. La lavanda dei piedi esprime con un atto quello che deve essere l’essenziale della condotta del cristiano. «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). Questo comandamento dell’amore è semplicemente l’imitazione dello stesso amore di Cristo: «amatevi come io vi ho amati» (Gv 13,34).

    La prima lettura del venerdì santo ci presenta il servo sofferente e la descrizione che ne fa Isaia è veramente sconvolgente. «Il mio servo avrà successo nella sua missione, sarà riconosciuto degno di stima e riceverà grandi onori». Il canto del servo del Signore mostra il suo passaggio attraverso la sofferenza e la morte all’esaltazione e alla gloria. Negli Atti degli Apostoli il funzionario della regina di Etiopia, ritornando a Gerusalemme sul suo carro leggeva il brano di Isaia: «Egli si è lasciato maltrattare, senza opporsi e senza aprir bocca, docile come un agnello condotto al macello, muto come una pecora davanti ai tosatori». Partendo da questa lettura il diacono Filippo spiega all’uomo il vangelo di Gesù. Infatti noi troviamo in questo canto una sconvolgente figura del Cristo umiliato che accetta la morte come sacrificio di espiazione e che deve dare la vita per tutti i popoli.
    Il brano della Lettera agli Ebrei ci ricorda che come Cristo ha portato la croce fino al Calvario dove poi è morto, anche noi abbiamo la nostra croce da portare. Inoltre Gesù è stato un uomo come noi, pur essendo Figlio di Dio. Ha dato a Dio tutta la sua disponibilità di uomo e ha raggiunto il vertice, o come dice questo documento, la perfezione, il compimento. Ma la sua missione non è compiuta, lo ha fatto perché anche noi uomini come lui possiamo raggiungere il vertice, la perfezione, la santità. «È stato reso perfetto», in altre parole ha potuto raggiungere quella perfezione passando per la nostra stessa esperienza umana di esseri sensibili, emotivi, soggetti di gioia e di dolore, di allegria e di sofferenza. In questa condizione umana ha saputo fare la volontà di Dio, ha «ubbidito» al Padre, come dice il testo. È stato in tutto simile a noi, tranne che nel peccato. Ha voluto farci vedere fino a che punto si spinge l’amore di Dio, fino al dono della propria vita, espressione suprema di amore. Ma questa non è stata una cosa facile. Vero uomo, ha pianto, ha sofferto e ha chiesto al Padre suo di liberarlo da quelle sofferenze, di liberarlo dalla morte. Da una parte vuole dare la vita, e perciò morire per fare la volontà del Padre suo, ma dall’altra sente di non avere le forze per resistere alle sofferenze che lo attendono. Ecco la preghiera che come uomo è costretto a fare «a Dio che poteva salvarlo dalla morte, offrendo preghiere e suppliche accompagnate da forti grida e lacrime». Impara dalla sua sofferenza che cosa significa ubbidire, sa quanto costa in dolore e lacrime dover ubbidire e fare non la propria volontà ma quella di un altro. Il Signore Gesù sa per esperienza propria che cosa significa soffrire e patire. Per questa ragione possiamo accostarci a lui con piena fiducia sicuri che egli comprende tutto e tutti. Possiamo con tutta tranquillità dirgli: «Io sono tentato, provato nella fede: concedimi misericordia, fammi grazia; nelle circostanze dolorose in cui mi trovo, mi occorre un aiuto adeguato e non un soccorso generico; penetra nella mia vita, nel dettaglio della mia tentazione e della mia colpa».
    Al venerdì santo si legge poi sempre anche il racconto della passione tratto dal Vangelo di Giovanni. Il suo racconto è diverso da quello dei vangeli sinottici (Mt, Mc e Lc). Giovanni non insiste su quello che gli avvenimenti della passione hanno di tragico, di umiliante e di doloroso. Tutto è immerso nella luce del compimento dell’opera della salvezza. Come diceva giustamente Loisy: «Nel quarto vangelo la passione viene raccontata nella prospettiva della gloria del Cristo: è Gesù glorificato nella morte». L’autore del quarto Vangelo articola la sua narrazione attorno a cinque temi fondamentali.
    – Il primo è il tema dell’»ora» di Gesù. Fin dall’inizio del Vangelo, tutta la vita di Gesù è proiettata verso quest’ora misteriosa. Gesù ne parla come della «sua» ora, perché è l’«ora» in cui compirà definitivamente la sua opera di salvezza. Tutta la prima parte del Vangelo di Giovanni è preparazione a quest’«ora», e spesso si dice che l’«ora» di Gesù «non è ancora venuta».
    – La glorificazione di Gesù avviene nel momento della sua «ora»: «…li amò sino alla fine…».
    – L’»ora» di Gesù è il momento della sua morte per i frutti che questa morte porterà a tutti gli uomini.
    – Un altro tema è quello dell’esaltazione del Figlio dell’uomo. L’elevazione di Cristo sulla croce è vista in prospettiva regale e di salvezza: dall’alto della croce Gesù attira a sé tutti gli uomini per dare la salvezza e in questo modo diventa re di tutti coloro che credono in Lui.
    – Giovanni ha visto realizzarsi sulla croce di Gesù alcuni avvenimenti della storia della salvezza: il giudizio finale e il raccogliersi in unità del popolo di Dio disperso.
    Per Giovanni la croce di Gesù è la rivelazione suprema dell’amore del Padre. Perciò Gesù appare sulla croce come un re sul suo trono, nell’atteggiamento di chi conosce il senso di quanto sta capitando e lo accetta liberamente. Queste considerazioni possono aiutarci a capire meglio il racconto della passione e morte di Gesù come ci è stato trasmesso dall’evangelista Giovanni e vivere più intensamente il mistero del venerdì santo.

    2002-04 83

    Per la veglia pasquale della sera del sabato santo vengono proposte sette letture, oltre l’Epistola e il Vangelo. Si inseriscono nella struttura di un’unica celebrazione della Parola, ma al di là dell’aspetto didattico e catecumenale di queste letture come sguardo globale a tutta la storia della salvezza in preparazione al battesimo, dato ai catecumeni durante la veglia, e come riflessione sul battesimo per i cristiani che vi partecipano, è Gesù stesso presente come un maestro che insegna. Infatti le letture vengono fatte alla luce del «cero pasquale» che è simbolo del Signore Risorto, Luce del mondo. Si tratta di una splendida catechesi biblica anche dell’AT che viene letto alla luce di Cristo e di Cristo presente oggi.
    Dopo la lettura del racconto della creazione con una visione positiva e ottimistica del creato: tutto ciò che esiste è bello e buono perché è dono dell’amore di Dio, c’è il racconto della Pasqua antica in cui il popolo ebraico liberato, dall’Egitto, attraversa il mar Rosso verso la liberazione e la salvezza. Ma è il Signore che ci parla per mezzo del Figlio, vera Pasqua, agnello immolato per noi. Noi ci poniamo in ascolto del Signore che ci parla. Ci racconta l’episodio del sacrificio di Isacco che ci invita a pensare al sacrificio del Figlio unico del Padre, la salvezza concessa a Isacco ci rimanda alla risurrezione di Cristo e per i catecumeni indica l’unica condizione per il rinnovamento della loro vita, la fede assoluta e incondizionata nel Signore che ha come oggetto la risurrezione di Gesù, che è il passaggio alla vita attraverso la morte.
    La lettura di Isaia sulla nuova Gerusalemme è poi una teologia sintetica sulla Chiesa nata da Cristo e divenuta sua sposa. Questo brano molto bello rappresenta da una parte un poema dell’amore misericordioso di Dio e della sua fedeltà: «Anche se le montagne cambiano di posto o le colline spariscono, il mio amore per te non cambierà mai, e la felicità che ti prometto non verrà mai meno. Lo dice il Signore che ti ama» (Is 54,10). Dall’altra la descrizione della città che l’amore di Dio costruisce continuamente: «Ti ho abbandonata solo per un momento, ora, poiché ti amo, ti riprenderò con me. Per la collera ti ho lasciata, ma solo per un momento. Ora ho avuto pietà e sarò sempre con te con un amore infinito. Lo dice il Signore, il tuo liberatore» (Is 54, 7-8).
    Segue, sempre dal profeta Isaia, il brano sulla fecondità della Parola di Dio che è potente e che opera ciò che vuole: «Così è anche della parola che esce dalla mia bocca: non ritorna a me senza produrre effetto, senza realizzare quel che voglio e senza raggiungere lo scopo per il quale l’ho mandata» (Is 55, 1-11).
    Trasformati dall’acqua e dalla Parola in una vita nuova riceviamo il dono della sapienza che è lo stesso Cristo Gesù.
    La sesta lettura dal profeta Baruc parla di questa guida e di questa legge per poter camminare:» La sapienza è il libro dei comandamenti di Dio, è la legge che sarà valida per sempre. Tutti quelli che le sono fedeli camminano verso la vita, invece chi l’abbandona va verso la morte» (Bar 4,1). I libri del NT, soprattutto Paolo e Giovanni, vedono personalizzati in Cristo Gesù tutti gli aspetti e le dimensioni che i libri sapienziali dell’AT attribuiscono alla Sapienza. Una Sapienza che tutti i battezzati, tutti i cristiani devono ricevere in dono per seguire i suoi insegnamenti ed avere la vita.
    L’ultima lettura prima dell’Epistola, anche molto bella, è tratta dal profeta Ezechiele: «Vi radunerò da tutti i popoli e nazioni e vi ricondurrò nella vostra terra. Verserò su di voi acqua pura e vi purificherò da ogni vostra sporcizia, dai vostri idoli. Metterò dentro di voi un cuore nuovo e uno spirito nuovo, toglierò il vostro cuore ostinato, di pietra, e lo sostituirò con un cuore vero, ubbidiente. Metterò dentro di voi il mio spirito e vi renderò capaci di ubbidire ai miei ordini, di osservare e di applicare le leggi che vi ho dato. Allora voi abiterete nella terra che io ho dato ai vostri antenati: voi sarete il mio popolo, io sarò il vostro Dio» (Ez 36, 24-28). Il Signore riunisce tutti gli uomini di tutte le nazioni, li raccoglie da tutti i paesi, li trasforma versando su di essi un acqua che purifica e donando un cuore nuovo e uno spirito nuovo. Il Signore mette in loro il suo Spirito e gli uomini sono capaci di seguire la sua legge, di osservare i suoi comandamenti e di essere fedeli. Un testo che canta l’iniziativa di Dio che ha pietà degli uomini e li salva purificandoli. Temi ripresi poi da Paolo e da Giovanni nel NT.
    Dal racconto di alcuni punti salienti del mistero pasquale nell’AT, attraverso il Gloria, si passa alla sua realizzazione nel Nuovo. Il testo di Paolo ai Romani letto nell’Epistola è la base teologica del nostro Battesimo. Immersi nella morte con Cristo e con lui sepolti, risorgiamo con Lui a una vita nuova. È ovvio che quando il battesimo si celebrava per immersione si comprendeva molto meglio questo messaggio. L’unione con Cristo per mezzo del Battesimo aiuta poi a vivere ciò che si è diventati, della stessa natura di Cristo (symfytoi), con la morte dell’uomo vecchio, rifiuto del peccato, e con l’unione alla vita stessa di Cristo. Tutti i battezzati, a causa della liberazione del Cristo, siamo morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù. In che consiste tutta la vita cristiana se non nell’esercizio della nostra libertà di figli di Dio a gloria del Padre?
    Il racconto dell’evangelista Matteo sulla risurrezione è molto diverso dagli altri Vangeli: ci descrive «i segni della risurrezione». Le donne verso le sei di sera, quando inizia il primo giorno della settimana, vanno a vedere il sepolcro e trovano la pietra del sepolcro non ancora rotolata. Matteo presenta l’annuncio della risurrezione, della vittoria di Dio sulla morte con il genere letterario della teofania: è di sera tardi con un’allusione alle tenebre, c’è un grande terremoto e l’angelo sceso dal cielo è luminoso come una folgore. Dio mediante il suo angelo entra in azione e sconfigge i nemici come nella notte dell’Esodo, la pietra viene rotolata e l’angelo vi si siede sopra per indicare che il sepolcro è vuoto. Ecco allora l’annuncio che è il nucleo della fede cristiana: «Non abbiate paura, voi. So che cercate Gesù, quello che hanno crocifisso. Non è qui, perché è risuscitato proprio come aveva detto. Venite a vedere dov’era il suo corpo. Ora andate, presto! Andate a dire ai suoi discepoli: È risuscitato dai morti e vi aspetta in Galilea. Là lo vedrete. Ecco, io vi ho avvisato» (Mt 28,5-7). «Proprio come aveva detto…», si è quindi realizzata la parola di Gesù, la sua fiducia nel Padre non è andata delusa. «Ora andate, presto! Andate a dire ai suoi discepoli: È risuscitato dai morti…»: non è nel sepolcro che si può incontrare Gesù, ma lo si incontra quando lo si annuncia. «… Vi aspetta in Galilea…»: là, in Galilea, nel mondo lo incontrerete. È proprio là che si incontra Gesù, nei suoi testimoni, in quei cristiani che ne danno l’annuncio con la loro vita gioiosa e felice, veri testimoni del Signore Risorto.

    2002-04 85

    Il giorno di Pasqua è il giorno «che ha fatto il Signore», il giorno per eccellenza.
    È la Pasqua del Signore: in questo giorno noi viviamo una realtà passata e nello stesso tempo presente.
    L’annuncio della Parola inizia con il discorso di Pietro a Cesarea nella casa del centurione Cornelio.
    Questi ha raccontato a Pietro la sua visione del Cristo risorto. Ne è stato sconvolto e ha fatto cercare Pietro. La lettura degli Atti trasmette la risposta e la catechesi di Pietro. Questi comincia con il raccontare una «vita di Gesù» in miniatura: il primo periodo con quel che segue al battesimo proclamato da Giovanni e soprattutto con l’accenno all’unzione profetica di Gesù e alla sua omelia inaugurale a Nazaret con il suo programma e con l’annuncio che l’«oggi» messianico ed escatologico della salvezza si è compiuto. Segue il racconto del ministero di Gesù: è il secondo periodo, Gesù che passa pellegrino per questo mondo per beneficare, risanare, e annunciare la pace e la salvezza, perché Dio era con lui. Poi il ricordo della morte come tappa successiva della storia della salvezza e infine la confessione di fede: «Dio lo ha risuscitato al terzo giorno…». Ma la storia della salvezza non si chiude con la risurrezione di Gesù, continua con la proclamazione del messaggio pasquale nella Chiesa. La missione degli apostoli e di tutta la Chiesa consiste nel rendere testimonianza della risurrezione e nel proclamarla come oggetto di fede che salva rimettendo i peccati. Bella la definizione degli apostoli come di chi «ha mangiato e bevuto con Lui dopo la sua risurrezione dai morti».
    La seconda lettura di Paolo ci coinvolge tutti personalmente. «Se siete risorti con Cristo…» è la conclusione concreta è evidente e fonda tutta la morale cristiana: lo scopo della nostra vita è di «cercare le cose di lassù, non quelle della terra».
    Il Vangelo del giorno di Pasqua è tratto da Giovanni che racconta l’esperienza di Maria e quella di Pietro e del «discepolo che Gesù amava» dinanzi al sepolcro vuoto. Tre i punti importanti del racconto: la tomba vuota, la corsa dei discepoli e la fede. L’opera di Gesù è riuscita, la pietra è stata ribaltata dal sepolcro. Maria corre ad annunciare la notizia ai discepoli. Pietro, capo della Chiesa e Giovanni «il discepolo che Gesù amava» corrono al sepolcro. Lo trovano vuoto: Pietro constata che tutto è in ordine, Giovanni entra, vede e crede. Ecco le due testimonianze per tutti noi: quella della Scrittura e quella dei due Apostoli unita alla testimonianza di Maria Maddalena.
    Per la messa vespertina del giorno di Pasqua viene proposta una delle pagine più belle del NT: il vangelo dei due discepoli di Emmaus. Un racconto che tutti conosciamo, quando Gesù che cammina con i due discepoli tristi e delusi, la sera stessa della sua risurrezione, spiega le Scritture alla luce della realtà: «Voi capite poco davvero; come siete lenti a credere quel che i profeti hanno scritto! Il Messia non doveva forse soffrire queste cose prima di entrare nella sua gloria? Quindi Gesù spiegò ai due discepoli i passi della Bibbia che lo riguardavano. Cominciò dai libri di Mosè fino agli scritti di tutti i profeti» (Lc 24, 25-27). E poi l’invito a cena a casa di Cleopa che ha tutti i caratteri di una cena eucaristica e il riconoscimento di Gesù nello spezzare il pane da parte dei discepoli. Essi si sentono ardere il cuore in petto non soltanto da questo ma soprattutto dal commento di Gesù alle Scritture: «Noi sentivamo come un fuoco nel cuore, quando egli lungo la via ci parlava e ci spiegava la Bibbia!» (Lc 24,32).
    Sono i due momenti inseparabili per riconoscere la risurrezione e avere la fede in Gesù. L’annuncio della Parola e la frazione del pane sono inseparabili dalla Pasqua.


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