Una prospettiva di antropologia culturale
Gioia Di Cristofaro Longo
(NPG 2002-09-60)
Il volume di Mario Pollo segna un punto di arrivo e, al contempo, un punto di partenza nella riflessione che l’autore conduce ormai da vari decenni.
Un punto di arrivo perché costituisce un’eccellente sistematizzazione all’impegno di tutta una vita scientifica che ha ruotato proprio sul concetto teorico di animazione e, contemporaneamente, sulle relative sperimentazioni pratiche, con grande attenzione agli aspetti metodologici.
All’autore sono stati e sono ben presenti gli opposti pericoli collegati all’animazione culturale: quello di una confusione solo con le “buone intenzioni” e quello, per converso, del rischio di un tecnicismo che può far perdere di vista il nucleo centrale valoriale legato all’animazione come “progettualità esistenziale”.
Con forza Mario Pollo sottolinea la dimensione globale dell’animazione che testimonia lo sforzo dell’essere umano di “onorare la vita al di là dello scacco e del fallimento che ogni giorno segnano il suo vivere” (p. 23).
In questa prospettiva l’animazione si traduce in una vera e propria cultura di riferimento i cui valori centrali sono la libertà, la creatività, la gioia, l’amore, il rispetto, la speranza, la solidarietà.
Una cultura che affronta direttamente il problema del senso dell’esistenza. Un senso che non si ferma alla superficie, ma si propone di scavare nei significati profondi della verità dell’esistere cogliendo nessi, interdipendenze, qualità e quantità di rapporti, memorie, realizzazioni, progetti.
Di fronte ad identità per un verso policentriche, per altro spezzate e frammentarie a causa proprio della complessità che distingue le nostre società che, appunto, con terminologia forse generica e prettamente descrittiva, definiamo “complesse”, la cultura di animazione può costituire una risposta in grado di contribuire a ritessere la tela delle nostre esistenze cercando di dare proprio all’esistenza, alla vita il significato più ampio ed impegnativo che le compete. Non si tratta di pensare a modelli pre-fissati e rigidi, né tanto meno a risposte certe, bensì, come opportunamente afferma Mario Pollo, favorire “la generazione di un sistema di valori che esprima, da un lato, il rispetto dell’individuo e dei suoi bisogni e diritti e, dall’altro, il rispetto delle necessità connesse al funzionamento del sistema sociale e della solidarietà reciproca tra i suoi membri”.
L’autore individua proprio in questa carenza quella che definisce la “crisi del noi”.
È proprio nella relazione io-noi che i mutamenti sono profondi, inediti e, spesso, contraddittori. Sono, infatti, cambiate alcune categorie quali vicinanza/lontananza, intimità/estraneità, pertinenza/irrilevanza.
Nell’analisi di queste categorie, infatti, non può non essere oggetto di riflessione il ruolo della televisione che, sotto le spoglie di una “normalità” così come oggi viene percepita da tutti e da tutte (assolutamente nuova se si considera la storia dell’umanità), ridisegna proprio i contorni delle categorie sopra citate. Domandiamoci: chi è più “vicino”, l’inquilino della porta accanto che spesso in un fortuito incontro ci sforziamo di evitare, oppure i protagonisti delle telenovelas che abitano il nostro tempo solitario tutti i giorni da anni, alla stessa ora, secondo un’inedita ritualità virtuale?
È proprio la riflessione sul ruolo della televisione oggi un punto centrale anche sotto l’angolatura del rapporto passato, presente, futuro.
Si tratta, infatti, di tre dimensioni temporali ben distinte e che tutte interagiscono nello scenario identitario personale e collettivo.
Ora è indubbio che, attraverso la televisione, delle tre la dimensione che viene assolutamente privilegiata è quella del presente, un presente che si consuma sempre più in fretta, un presente che diventa subito passato, ma che inevitabilmente cancella il passato nell’accezione tradizionale del termine.
Tale processo di appiattimento porta con sé un’altra cancellazione, quella del futuro.
Molte ricerche ed una, in particolare, condotta proprio da Mario Pollo (I labirinti del tempo, Franco Angeli, Milano, 2000), hanno messo in evidenza come proprio il concetto di futuro sia in crisi. Non può sfuggire la gravità di questa tendenza che tenderei a considerare come una delle differenze più profonde tra i giovani di oggi e quelli di ieri.
La prospettiva del futuro si sposa spesso con la dimensione del sogno, sogno percepito non di rado come tale, ma che, intanto, aiuta a disegnare una cornice esistenziale più ampia mettendo, quindi, in grado di cogliere quelle opportunità che spesso attraversano la propria vita, ma che senza un preciso addestramento non si è in grado di riconoscere.
Orizzonti ristretti, in una logica di stretta “economicità”, se non addirittura rinunciatari, in quanto consapevoli più dei rischi che si possono correre che dei possibili vantaggi, portano a delineare una crisi giovanile che coincide con una crisi progettuale alla base di un diffuso disagio.
Di chi la colpa, o meglio la responsabilità? Credo fermamente che sarebbe troppo comodo scaricare tutte le responsabilità sui giovani. Ritengo, invece, che il mondo adulto di oggi debba interrogarsi profondamente e analizzare quale patrimonio culturale abbia trasmesso.
Senz’altro ha ottemperato ad un impegno – quasi un imperativo – più o meno implicito, ma fortemente presente, quale quello di dotare i propri figli di tutti i possibili beni materiali; si è forse venuti meno, però, all’altro imperativo, altrettanto importante e ancora più essenziale, di consegnare valori culturali, prospettive, ideali, con i quali e nei quali sperimentare la propria esistenza.
In questo contesto la proposta di una cultura dell’animazione indagata in tutto il suo spessore e calata nei vari ambiti della vita, una cultura “in grado di dialogare con le altre culture, pur non rinunciando alla propria identità”, una cultura “capace di ridare spessore ai simboli e ai racconti che la precedono” (cf p. 139), interroga in profondità ognuno di noi. Un’interrogazione, però, che è sostenuta da un bagaglio di obiettivi, metodologie e strumenti attraverso i quali costruire quelle abilità che Mario Pollo riesce ad individuare con un linguaggio nuovo, aperto e ricco di prospettive progettuali. Abilità che presuppongono una precisa scelta valoriale che, attraverso un percorso originale tra tradizione e innovazione, tende “a costruire se stessi come centro esistenziale”, a vivere il “mistero della sessualità come dono”, ad “abitare il tempo della storia e del progetto”, a “radicarsi nella cultura per articolare la propria identità” per incarnare una “speranza progettuale, ovvero sognare il futuro”, per ridare “terra alle parole e ai segni”.
Una sfida decisamente ardua, ma che una volta intravista si pone e s’impone con tutta la sua forza e il suo fascino.